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Autore: JoJo    30/01/2010    1 recensioni
“Oh.- annuì, rivelando infine i propri dubbi- Mi dispiace, ma sono una scettica. La psiche è troppo instabile per farci affidamento, preferisco di gran lunga le prove concrete.”
Non era esattamente la cosa più giusta da dire, perlomeno a due profiler del loro calibro.
“Tu credi?” la rimbeccò quindi l'agente Morgan, incrociando le braccia con sicurezza, come se avesse appena raccolto una sfida troppo facile da vincere.
Genere: Generale, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Love hurts

Aristotele una volta ha scritto “Punto primo: avere un ideale chiaro e pratico, un obiettivo. Secondo, avere i mezzi necessari per raggiungere i vostri fini: sapienza, soldi, mezzi e metodi. Infine, indirizzare tutto ciò alla vostra meta.”

Il dipartimento di polizia di Tulsa non era mai stato un luogo tranquillo.
Appena si varcava la porta di quell'edificio dall'aspetto ordinario ci si sentiva come attraversati da una scarica di adrenalina che raddoppiava istantaneamente la velocità dei movimenti di chiunque. Qua e là si potevano vedere persone scattare come se fossero state punte da spilli, i telefoni squillavano in continuazione e un brusio sommesso faceva da colonna sonora all'ambiente. Tuttavia, chiunque avesse avuto l'occasione di farci l'abitudine, avrebbe capito che quello che stava accadendo lì dentro in quei giorni era decisamente fuori dell'ordinario.
C'era un serial killer operante in città e, nonostante l'intervento della squadra di Analisi Comportamentale dell'FBI erano riusciti solo nel corso delle ultime ventiquattro ore a individuare un possibile sospettato. Anzi, una sospettata.
In quel momento se ne stava seduta tramante nella sala degli interrogatori ma, nonostante fosse così spaventata da non riuscire a tenere ferme le mani, si era ricordata in fretta i suoi diritti e aveva chiesto immediatamente un avvocato.
“Quanto tempo credete che ci metterà?” domandò l'agente Emily Prentiss, leggermente spazientita.
Il detective che stava con loro scrollò le spalle “Lo studio Dodson&co. è dall'altra parte della città.”
Proprio in quel momento un giovane poliziotto fece capolino dall'uscio “E' arrivato l'avvocato.” annunciò, prima di sparire di nuovo lungo il corridoio.
Il detective Meyer si alzò velocemente, facendo tintinnare involontariamente gli spiccioli che teneva in tasca e gli agenti del BAU lo imitarono immediatamente.
Katerine Donovan era l'unica sospettata per quel caso di pluriomicidio. Una ciocca di capelli, probabilmente strappati dalla vittima nel tentativo di difendersi, era stata trovata proprio quella mattina sul luogo del settimo omicidio. Come per quelli precedenti, si trattava di un ragazzo fra i venti e venticinque anni, con una famiglia tutto sommato normale e nessuna abitudine strana.
La squadra speciale dell'FBI stava aspettando di interrogarla da più di un'ora, ma la sospettata aveva reclamato il diritto di vedere prima un avvocato e quindi non avevano potuto far altro che aspettare.
“E' quella?” domandò l'agente Morgan, additando una ragazza impegnata in una conversazione telefonica piuttosto accesa. Con un braccio si stringeva al petto una pila piuttosto consistente di documenti e a tracolla portava una borsa dall'aspetto severo.
Meyer annuì distrattamente prima di pararsi di fronte alla nuova arrivata. Aveva fretta di farla parlare con quella pazza omicida e di fare quello per cui aveva deciso di intraprendere quella carriera: giustizia.
“Ho accettato il caso, Dodson.- affermò convinta l'avvocato, tenendo ben vicino alla bocca il microfono dell'auricolare- Non hanno prove rilevanti. Solo una ciocca di capelli.”
“E i suoi precedenti.” puntualizzò il detective Meyer.
La ragazza lo fulminò con lo sguardo “Cose di poco conto. Anche Keanu Reeves ne ha, ma nessuno lo accusa di essere un criminale.- sbottò, prima di tornare a rivolgersi al suo interlocutore al telefono- Ci penso io, se mi serve qualcosa lo farò sapere a Melissa. È tutto.”
Non si prese nemmeno la briga di togliersi dall'orecchio l'auricolare e puntò i suoi grandi occhi ambrati sul detective “Sono Alicia Kensington e da questo momento mi assumo la difesa della signorina Donovan. La pregherei di informarmi di qualsiasi evoluzione abbiano le indagini d'ora in poi.”
Il detective sospirò: avere a che fare con una ragazzina appena uscita dal college e con un ego più grande della Casa Bianca non lo allettava per niente “Signorina Kensington, questa è la squadra di Analisi Comportamentale dell'FBI. Sono l'agente Hotchner, l'agente Rossi, l'agente Prentiss, l'agente Jareau, l'agente Morgan e il dottor Reid. Devono interrogare la signorina Donovan.”
“D'accordo. Preferisco che parlino prima loro con la signorina Donovan, ma devo assistere all'interrogatorio.” sentenziò, dopo aver fatto passare lo sguardo sui presenti.
“D'accordo.- concordò l'agente Rossi, prima di fare un cenno ad Emily- Ci segua.”
Il detective le si affiancò e lei non potè fare a meno di sentire una certa sensazione di dèja-vu.
“Assisterò dall'altra parte del vetro.- li informò, quando ormai erano alla soglia della stanza degli interrogatori- Fate sapere a Katerine che sono lì e che non è sola.”
L'agente Prentiss le rispose annuendo e dopo di che sparì insieme a Rossi all'interno dell'angusta stanza.
“Mi segua, allora.” la invitò Meyer, indicandole una porta che conduceva a una camera attigua a quella degli interrogatori.
In quel momento vide per la prima volta la sua cliente. Katerine Donovan, detta Kitty, era una ragazza di appena ventidue anni. Aveva il viso, a forma di cuore, coperto da una cascata di riccioli biondi, perfettamente in sintonia con il colore ceruleo dei suoi grandi occhi che in quel momento esprimevano meglio di mille parole tutta la preoccupazione che stava provando. Sulle sue mani diafane, così come sulla fronte, c'era un leggero strato di sudore. In quel momento stava guardando gli agenti Rossi e Prentiss come se fossero stati dei terroristi pronti a farsi saltare in aria da un momento all'altro.
Prestava poca attenzione a quanto i profiler stavano chiedendo alla sua cliente. Le domande, almeno così pensò, che dovevano essere meramente di routine per trovare una falla che potesse farli entrare nella testa della sospettata,in quel momento le parevano scontate e poco interessanti.
Il cigolio sinistro della porta le fecero voltare gli occhi giusto per una frazione di secondo.
Un uomo muscoloso di colore e un ragazzo allampanato entrarono nella stanza, affiancandosi al detective Meyer. Ricapitolò mentalmente i nomi: Morgan e Reid; e alla fine decise di tornare a riconcentrarsi su quanto stava accadendo al di là del vetro.
Alicia Kensington non era l'unica in quella stanza ad essere interessata ai particolari e, dopotutto, in presenza di due profiler tanto preparati non poteva che aspettarselo.
Spencer Reid la osservò perplesso. Dal modo in cui i suoi occhi chiari vagavano veloci su ogni particolare di quella angusta stanza, senza soffermarsi su niente per più di qualche secondo, immaginò che dovesse soffrire di un qualche disturbo dell'attenzione diffusa.
“Perchè non hai voluto parlare prima con lei?Sapere la sua versione?”domandò, prima di rendersene conto.
“La so già. È innocente.” tagliò corto lei, senza nemmeno voltarsi a guardarlo in faccia.
“D'accordo.” borbottò Reid stringendo le labbra. Quando la gente diventava isterica in quel modo preferiva di gran lunga non dover interagirci.
Morgan scosse la testa, ma il gesto sembrò totalmente casuale, e nella stanza ricalò immediatamente il silenzio.
Perlomeno, finchè un cellulare dalla suoneria troppo alta cominciò a suonare.
Meyer non potè trattenere una smorfia quando estrasse dalla tasca il telefono che continuava imperterrito a squillare. Si volse verso gli agenti dell'Unità Comportamentale facendo un lieve cenno di scusa con la testa e uscì dalla stanza velocemente, sperando di riuscire a cavarsela in tempo breve.
Quando, con un tonfo, la porta si chiuse alle sue spalle, Alicia si sentì libera di rilassare le spalle, che aveva tenuto fino a quel momento rigide e dritte, e pensò pure di lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo.
L'agente Morgan la guardò incuriosito. Non era difficile per un profiler notare un cambio di atteggiamento così radicale. La postura del corpo e l'espressione facciale erano totalmente diverse e per un attimo si ritrovò a domandarsi perchè.
“Scusate, non volevo essere scortese.- la voce dell'avvocato li aveva presi alla sprovvista. Non si era voltata verso di loro, ma il tono non era duro e ostile come prima, quindi la cosa li fece ben sperare in un cambio di atteggiamento- Ma un comportamento del genere è l'unica cosa che mi fa avere un po' di rispetto qui al dipartimento. Sapete, visto che non sono rugosa e raggrinzita in molti pensano che il fatto più sconvolgente che abbia vissuto fino adesso sia stato la scomparsa del mio gatto. Ma voi siete profiler, no? Immagino che posso comportarmi in modo civile senza per questo essere presa per un'incompetente.”
“Quindi puoi rispondere in maniera civile alla domanda che ti ha fatto prima il mio collega?” azzardò Derek.
La ragazza si voltò per la prima volta verso di loro, leggermente stupita “E' il mio metodo.”
“Metodo?” ripetè Reid.
“Quando incontri i tuoi clienti in una stanza per gli interrogatori tutto quello che fanno è giustificarsi e assicurarti che non sono stati loro. Ascoltarli in quel momento è una perdita di tempo per entrambi.- spiegò con una scrollata di spalle- Credo che rivelino molto di più di sé ai poliziotti e, osservandoli, posso farmi un'idea di come sono e di che linea difensiva assumere.”
“E' uno strano metodo, ma interessante.” convenne l'agente, sorridendole incoraggiante.
“Grazie.” sorrise di rimando Alicia, tornando a guardare al di là del vetro.
Lo sbattere della porta li avvisò che il detective era ritornato.
“Tutto bene?” borbottò, osservandoli tutti guardingo.
Reid fu l'unico che si prese la briga di annuire leggermente.
Non erano passati che pochi minuti dall'inizio dell'interrogatorio che Alicia Kensington si voltò con aria determinata verso l'agente che le si era affiancato. Aveva cambiato espressione, tornando seria e concentrata.
“Direi che ciò che ho visto è più che sufficiente.” annunciò, alzando leggermente il mento.
Meyer dovette morsicarsi la lingua per non risponderle in malo modo. Invece, riuscì a farle un lieve cenno del capo come per darle il permesso di uscire.
La ragazza ondeggiò leggermente sui tacchi non troppo alti fino a raggiungere l'uscita, senza nemmeno preoccuparsi di salutare qualcuno.
“Ah- aggiunse, mentre aveva ancora una mano sulla maniglia- fatemi avere le registrazioni di questo e qualsiasi altro interrogatorio a cui verrà sottoposta la mia assistita.”
“Sento già che presto odierò quella ragazza.” sibilò il detective, non appena quella si chiuse la porta alle spalle.



   
 
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