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Autore: Adrienne    02/02/2010    9 recensioni
Gabriel Reeve è un ragazzo a cui importano solo poche cose: le sigarette, il sesso, il disegno e i Led Zeppelin. E' cinico, freddo, praticamente solo, e non sa cosa voglia dire amare. E se, per caso, si trovasse a scoprirlo?
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo ventiquattro

Capitolo ventiquattro.

 

« Is this to end or just begin? All of my love, all of my love, all of my love to you. »

Led Zeppelin, All My Love

« Cara Astrid,

non sono mai stato bravo in queste cose, sai? Da quanto sono in questo orfanotrofio non ho mai scritto una lettera a nessuno, né, d'altra parte, ne ho mai ricevute. Certe volte ho proprio l'impressione che mio padre – mi fa persino senso scriverlo, figuriamoci dirlo – non si ricordi nessuno che suo figlio sia stato sbattuto in un posto così. Ma, molto più verosimilmente, neanche si ricorderà d'avere un figlio e basta. Non se lo ricordava quando avevo otto anni, figuriamoci adesso che sta in gattabuia! Credo che mi odiasse così tanto solo perché io gli ricordavo mia madre. Mia madre era molto bella, fisicamente non ho preso quasi nulla da lui.. Doveva essere per lui un dolore incolmabile rincasare e vedere praticamente la miniatura della moglie che cercava disperatamente di dimenticare. Certe volte mi chiedo cosa abbia spinto mia madre ad andarsene di casa: forse lei e mio padre non facevano più sesso, con un bambino piccolo in giro per casa? La loro vita sessuale era agli sgoccioli? Forse lui la picchiava? Forse semplicemente si era accorta di non amarlo più? Mi immagino molto spesso che lei sia fuggita via con un uomo più giovane di lei, abbagliato dalla sua bellezza, a bordo di una bellissima Porche rosso fiammante. Buffo, vero? Non avrei mai pensato di raccontare queste cose a qualcuno. Sono piuttosto umilianti, del resto. Ma così puoi accorgerti che anch'io, ogni tanto, penso ai miei genitori. E mi chiedo se loro, ovunque siano, mi pensino. Anche se ne dubito fortemente.
Da mia madre ho preso l'aspetto fisico, ma da mio padre ho preso tutto il resto. Lui era un artista. Dipingeva, ma non guadagnava quasi nulla e, fra i tanti problemi che i miei genitori avevano, c'era pure un ammontare di conti da pagare e di bollette della luce arretrare. Credo di aver preso da lui il mio senso artistico, ma in fondo lui non ha mai saputo – e mai lo saprà – che sono bravo a disegnare. Non per vantarmi, eh! Lo dicono gli altri. Cioè Lucas, e tu.
Per quanto mi ricordi, mio padre era troppo egoista, troppo presuntuoso, troppo saccente..
Ed io, per quanto mi secchi ammetterlo, sono uguale a lui. Non è vero?

A me non importava un fico secco di nessuno se non di me, credevo d'aver ragione su tutto, e che fossi superiore agli altri, mi sbattevo qualsiasi ragazza che mi capitasse fra le mani senza alcun scrupolo. Perché ero così? Non lo so. Forse perché la mia situazione familiare – sempre se quello che eravamo io, mia madre e mio padre si possa chiamare famiglia – mi aveva costruito attorno, dopo tutti quegli anni, una scorza spessa spessa, imponendomi di fare il duro, come dicevi tu, mentre dentro ero fragile e vulnerabile. Non volevo essere compatito dagli altri, non volevo che avessero pena di me. Volevo che avessero paura, che mi portassero rispetto. In fondo, come dice Machiavelli, è più semplice essere temuti che amati.

Poi sei arrivata tu.
Sei stata l'unica persona sulla faccia della terra che abbia mai visto quella parte di me, quella fragile e vulnerabile. All'inizio, lo ammetto, era solo una pura e semplice attrazione fisica.. Ma poi, non ho capito più quello che succedeva, quello che
mi succedeva, e.. Mi sono innamorato di te. Proprio io, che allontanavo ed evitavo l'amore come se fosse la peste! Non volevo cascarci anch'io, per evitare di finire come mio padre e mia madre, l'unico esempio di amore che avevo sotto tiro sin da quando ero bambino. Pensavo che l'amore fosse un sentimento per i deboli, per i sognatori, per persone che passano tutta la vita a cercarlo, magari invano. Io non cercavo nulla.. Ma poi sei arrivata tu, lo dico un'altra volta. Bella, bella da far innamorare con un solo sguardo; fragile, dolce, gentile, sensuale, divertente, semplicemente perfetta. Perfetta, ecco. E non scherzo, né esagero. Sei fin troppo modesta, ti conosco.
Io non so quel che hai visto in me, ma sono cambiato, e solo grazie  te. Francamente mi chiedo cosa tu abbia mai potuto vedere che ti abbia fatto innamorare così tanto.. Io e te siamo proprio diversi, eppure, in un certo senso, ci completiamo. E' solo che lì fuori ce ne sono milioni migliori di me, e tu hai scelto proprio me. Non che la cosa mi dispiaccia, eh.. Ma mi sembra così bella da suonarmi assurda. E, cosa più importante, mi va di credere che la tua non sia mai stata una recita, da quel vasetto di miele andato in frantumi a quelle urla e a quelle lacrime del nostro ultimo incontro.

Sai qual è la verità?
Egoisticamente parlando, come la maggior parte delle volte, avevo solo paura di farmi del male, di stare male. Ecco perché sono scappato via. Non posso credere né accettare che fra noi finisca in quella maniera così brusca e triste. Non dopo tutto quello che abbiamo passato, non dopo tutte le promesse, le
mie promesse..
La ricordi anche tu, quella notte? Non era niente di concreto, niente di conosciuto, niente di possibile. Quella notte era oro potabile, raggio lunare toccabile con mano; era una pietra filosofale e l'Elisir di lunga vita. Ricordi ancora la storia di
mille e una notte? La principessa Shahrazàd  continuava a raccontare la sua storia ogni notte al re che la imprigionava, solo per non poter essere uccisa dal re stesso. La situazione non è esattamente quella, ma.. beh, avrei voluto che tu fossi la mia Shahrazàd, la mia principessa da mille e una notte. Mia, e di nessun altro. E mille, mille notti ancora.
Mi dispiace solo d'esser stato così codardo e freddo, perché adesso so cosa potrei fare per te, davvero. Perché? Semplice. Perché ti amo, Astrid Halls. Perché ti amerei anche se tu non mi amassi, ti amerei comunque perché prima e dopo di te non c'è mai stata nessun altra, e mai ci sarà.
Mi dispiace solo che avevo troppo timore per rivelartelo, mi dispiace solo di non avertelo detto prima. Forse ci sarei rimasto meno male.

Forse c'è ancora un po' di futuro, per me, per te, per noi. Suona bene, vero?
Ed è per questo che scrivo questa lettera. Sarebbe abbastanza patetico e colpirebbe profondamente il mio orgoglio se ti implorassi di perdonarmi.. Ma è quello che sto facendo, in pratica.

Per quanto sia possibile, mi accorgo che la mia vita senza di te è vuota, come sbiadita – molto più vuota rispetto a quando non c'era, a quando ancora non ti conoscevo.

Non mi sembra di chiedere tanto.
Vorrei solo mille notti ancora da consumare insieme a te. E basta. »

 

Feci una bella firma con tanto di svolazzo e piegai il foglio. Lo misi dentro una busta bianca che chiusi accuratamente con la mia saliva; dopo di ciò mi alzai dalla sedia ed uscii dalla stanza. Vicino alla mensa trovai un'inserviente e mi ci avvicinai.

“Mi scusi,” chiesi con fare gentile, porgendole la busta ben chiusa, “potrebbe consegnare questa lettera alla signorina Astrid Halls?”
L'inserviente mi guardò attentamente. “Può anche riferire a me. Cosa deve dirle?”

“E' personale.” insistetti, con tono eloquente.

Evidentemente la storia dell'assistente sociale innamorata del ragazzo ribelle aveva fatto scalpore fra gli inservienti e fra tutto il personale della topaia, eccitata da quella storia, credendo di trovarsi nel bel mezzo di una telenovelas.

Infatti quest'ultima prese la busta, si guardò intorno e se la ficcò in tasca. Dalle sue labbra nasceva un sorriso orgoglioso, fiera di aver avuto un ruolo importante nella storia e di non essere più una semplice spettatrice.

“D'accordo, Reeve.” sussurrò con aria da cospiratrice, ravvivandosi con una mano piena di anelli i capelli biondi, con un'evidente ricrescita nera.

“Ma se scoprono qualcosa.. Noi non abbiamo mai avuto questa conversazione.”
Tipica frase da film di spionaggio.
Annuii, divertito, e decidendo di darle retta. “Certo. Sarà il nostro piccolo segreto.”
Le feci l'occhiolino e lei ridacchiò. Chissà che faccia avrebbero fatto le sue amiche quando avrebbe raccontato quella conversazione filo e per segno!

“Grazie.” dissi ancora. Le feci uno dei miei migliori sorrisi e girai sui tacchi.
Mentre percorrevo la strada a ritroso per la mia stanza, mi chiedevo se quella lettera sarebbe davvero arrivata nella mani giuste. Magari la tizia l'avrebbe aperta senza tante cerimonie, leggendola insieme alle sue amiche, e sarei diventato lo zimbello dell'orfanotrofio.
Ma in fondo, era la mia unica possibilità di mettermi in contatto con lei. Meglio quello che niente.
Davanti la porta della mia camera, trovai Lucas, appoggiato al muro con aria scocciata.
“Ehi!” esclamò quando mi vide, staccandosi dal muro e venendomi incontro. “Ti cercavo. Pensavo stessi dormendo, dato che non rispondeva nessuno.”

Gli sorrisi. “No, ci sono, come vedi. Che volevi?”

“Niente. Non posso stare un po' di tempo col mio migliore amico?”
Scoppiai a ridere. “Troppo facile. Sono l'unico!”
“Ah-ah. Spiritoso. Comunque, dai, che facevi di bello in giro per questi lugubri corridoi?” chiese.
“Spedivo una certa lettera.”
“Fammi indovinare: Astrid?”
Solo sentire pronunciare quel nome mi metteva i brividi.
Annuii.

Lucas mi diede una pacca sulla spalla. “Vai tranquillo, amico. E poi, manca esattamente un mese da oggi, no? Una ragione in più per essere felice.”
“Già.” dissi fissandolo. “Un mese.”
La vita non era poi così male, dopotutto.

“Beh, Lucas. Ti dispiace se vado un po' in camera mia a riposare? Quella dannata lettera mi ha fatto stare sveglio quasi tutta la notte. Spero che almeno ne valga la pena.”
Lui annuì. “Certo. Ci vediamo dopo.”
Gli diedi una pacca sulla spalla per salutarlo e lui, fischiettando, sparì lungo il corridoio. Sospirando, entrai nella mia camera non appena Lucas scomparve, trascinandomi a malapena vicino al letto.
Ero stanchissimo.
Però, quando alzai gli occhi sulla scrivania, vidi che qualcosa non era come avrebbe dovuto essere.

Corrugai la fronte e mi avvicinai ancora un po', la stanchezza passata all'improvviso, come se niente fosse.
Qualcosa, anche se non sapevo cosa, non era al posto giusto.
Mi avvicinai alla sedia e mi ci sedetti. Vidi vicino alle mie matite un rotolo di carta leggera, legato con quello che sembrava dello spago.

Incuriosito e quasi impressionato, con una delicatezza assoluta lo presi e lo aprii, levando prima il filo di spago e poi srotolando il foglio, facendo attenzione a non stropicciarlo.
Il cuore fece uno dei suoi soliti salti mortali e mi dimenticai di respirare.
Era il disegno che avevo mostrato ad Astrid quella sera temporalesca, prima che facessimo l'amore. Il suo viso, fatto di china nera e matita, mi sorrideva; era quasi doloroso – per quanto fosse terribilmente piacevole – vederla anche lì, nero su bianco, dopo tutto quel tempo. Quando era andata via dalla mia stanza, se l'era portato, perché diceva che voleva appenderlo da qualche parte nella sua stanza, talmente era bello e talmente le era piaciuto.
Ma allora che ci faceva qui, quel disegno? E cosa significava?

Forse.. Astrid era in quella camera, nella mia camera?
Quel pensiero mi fece diventare le guance rosse. Mi alzai di scatto dalla sedia come se avessi preso la scossa e , lasciando il disegno sulla scrivania, mi misi a controllare dappertutto, in attesa che lei sbucasse da qualche parte, per vedere se magari si era nascosta. Controllai nel bagno, nella doccia, dentro l'armadio, sotto il letto.
Naturalmente trovai solo polvere e qualche spicciolo che avevo perso nel sfilarmi via i jeans.

Deluso, mi sedetti sul letto, intrecciando le mani.

Che stupido che ero stato! Come avevo anche solo potuto pensarlo? Ma il desidero di vederla di nuovo era così grande che ero capace di tutto. Anche di quello.
Ma in fondo il rovescio della medaglia, in quella occasione, c'era. Eccome.

Quel che era certo era che Astrid era stata in quella camera, mentre non c'ero.
Quel che era certo era che mi pensava ancora, così tanto da lasciarmi quel disegno come ricordo di lei.
Quel che era certo era che Astrid Halls sarebbe stata di nuovo mia.
Non c'era alcun dubbio.

Epilogo.

Un mese passò in fretta.
Mancavano pochi giorni a Natale; ma nonostante ciò la giornata era inondata di sole e dal cielo azzurro. La temperatura era fredda e rigida, ma non me ne lamentavo.

Non avrei potuto sperare di meglio.
Chiusi la piccola valigia con un inquietante tlac, per via della chiusura. Mi guardai attorno: la piccola stanza polverosa era ormai vuota. Chissà chi sarebbe stato il prossimo a viverci: avrebbe dovuto combattere ogni giorno con la polvere. Io ci avevo già rinunciato in partenza.

Feci un ultimo controllo per vedere se avevo dimenticato qualcosa dentro qualche cassetto o nell'armadio: ma era davvero tutto vuoto.

Con la scusa feci un piccolo tour della stanza, passando in rassegna alcuni dei miei momenti più belli passati lì dentro.
Trascinai la valigia, afferrai il giubbotto di pelle ed una sciarpa scura.

Aprii la porta fermandomi sulla soglia e mi guardai indietro per un attimo. Fissai il letto appiccicato alla parte, e per un attimo un'immagine alquanto piacevole ed emozionante mi riaffiorò nella mente, come un flash.

Lei, nuda, lì per me, con i suoi baci e la sua dolcezza.
In una sorta di atto di bontà, sperai con tutto il cuore che anche la prossima persona costretta a vivere là dentro sarebbe stata tanto fortunata come me; a vivere delle emozioni fortissime proprio lì dentro, ignaro di quello che era successo prima di lui. O di lei.
“Addio.” dissi lentamente, ma sorridendo.

Chiusi la porta con un altro rumore metallico e percorsi il corridoio lugubre per l'ultima volta. Era una sensazione incredibile: mi sentivo leggero ma potente.

 Libero, finalmente.
Arrivando quasi alla fine del corridoio, m'imbattei in Amanda.

“Oh, scusa!” disse spostandosi. Dietro di lei c'erano alcune delle sue scagnozze, le quali mi guardavano non proprio gentilmente. Ma sapendo che era presente Amanda, non potevano né dire né fare nulla.
Lo sguardo di Amanda si posò sulla mia valigia, che ancora stringevo in una mano, mentre sottobraccio tenevo il giubbotto e la sciarpa.
“Vai via?” chiese.
Annuii, sorridendo. Lei mi sembrò un po' meno felice.
“Questo significa che non ci rivedremo più..” disse ancora, con un tono che faceva trasudare tutta la sua tristezza.
Scrollai le spalle. “Beh, no. Verrò qualche volta a trovare Lucas finché anche lui potrà uscire. Sicuramente ci incroceremo.”

Annuì, come se comprendesse benissimo.

“Okay. Allora, cosa potrei dirti.. Buona fortuna.”
La fissai. Era ancora innamorata di me, lo sapevo, ma non potevo ricambiarla. Non avrei mai potuto amarla; forse avrei potuto volerle bene.
Posai il giubbotto e la sciarpa sulla valigia e le diedi un buffetto sul mento con la mano libera.

“Stai serena, Amanda..” dissi, notando i suoi occhi scuri velati di lacrime.
Ma perché mi amava? Perché riusciva a farmi sentire un verme? Mi venne quasi voglia di chiederglielo, ma mi morsi la lingua, deciso a non farla soffrire ancora di più con quelle stupide domande. In fondo, neanche se lo meritava.
Mi fece un sorriso triste. “Vorrei dirti tante cose, Gabriel, ma..”
“Ma non dirle. Forse è meglio ricordarmi così, con questo buffetto, e basta..” la interruppi.
Lei annuì e si stropicciò gli occhi. “Ci vediamo, Gabriel.” disse guardandomi negli occhi. Fece per superarmi, ma le afferrai un braccio, fermandola.
“Ehi, cos'è tutto questo gelo? Un abbraccio non me lo dai?” le dissi, sorridendo.
Ci abbracciammo.

Lei si lasciò stringere da me, sprofondando il viso nel mio petto. Respirai a fondo il suo bellissimo profumo, ritornando con la mente a quella notte maledetta, ma cancellai tutto all'istante. Sì, le volevo bene: e pensai davvero con tutto il cuore che forse sarebbe stato meglio per lei se avesse incontrato un ragazzo che l'amasse davvero, e non uno stronzo come me. Ma ero certo che prima o poi avrebbe incontrato il ragazzo giusto per lei e si sarebbe scordata di me, e glielo auguravo, anche se non lo dissi.
L'abbracciò finì dopo qualche minuto e scostandomi rimasi con le mani sulle sue spalle.

La guardai negli occhi e le sorrisi; lei ricambiò. Dopo di ciò lei fece un cenno alle ragazze, che si avvicinarono e la seguirono lungo il corridoio, mentre lei se ne andava.
“Ci vediamo presto, Gabriel.”
“Sicuro.”
La guardai camminare via, poi sospirai e ripresi il mio cammino.

Uscii dal portone trascinandomi dietro la valigia e mi fermai sugli scalini.

Faceva freddo, così mi infilai il giubbotto di pelle e mi avvolsi al collo la sciarpa. Scesi gli scalini che rimanevano, e arrivando in cortile, trovai un'altra persona ad aspettarmi.
Mi avvicinai a Lucas Smith con un sorriso a trentadue denti.
“E così è arrivato il grande giorno, fratello.” disse lui con la sua solita pacca sulla spalla. “Sei diventato grande!”disse ancora, e mi diede un pizzicotto sulla guancia, come se fossi un neonato.
Gli volevo un bene da morire. Lucas aveva i capelli raccolti in un piccolo codino, e portava una sigaretta dietro l'orecchio, come se fosse una penna. Quella sua aria pazza mi faceva divertire, così scoppiai a ridere.
“Oh, infatti adesso portami rispetto.” ribattei, sorridente.
“E' risaputo che con l'avanzare dell'età crescono le illusioni..”
Ridacchiamo entrambi come dei cretini.
“Beh, adesso ti lascio andare. Mi raccomando, fai il bravo, non ti drogare e fai sempre sesso sicuro.” disse, puntandomi un dito contro ed annuendo.
Ridendo ancora, lo abbracciai. “E anche tu, ma tanto ci rivediamo presto.”

“Certo. E ancora auguri, Gabriel.” aggiunse Lucas.

Annuii, poi ci separammo e lui mi tenne le mani sulle spalle, proprio come prima avevo fatto con Amanda.

“Sei proprio adorabile, Gabrielino. Se fossi una donna, quasi quasi mi metterei con te!” scherzò lui.
“Sì, in effetti anch'io se fossi una donna.. Mi metterei con me!” dissi di rimando, ridendo.
Un pugno sulla spalla e un altro abbraccio.

“Ciao, Luke.”
“Ci vediamo, Gab.”
Lucas mi sorrise un'altra volta, poi fece dietro-front e rientrò nell'edificio.

Rimasi qualche attimo a contemplare il cortile vuoto e quella costruzione, così familiare. Tutto quello un po' mi sarebbe mancato. Ma non troppo, del resto.
Diedi le spalle all'edificio e riprendendo la mia valigia camminai ancora davanti a me. Arrivai davanti al fantomatico cancello di ferro battuto. Lo spinsi con una mano, e, attraversando la soglia tra il cancello e la strada, decisi che da quel momento mi sarei buttato a capofitto nella mia nuova, splendida vita.

“Gabriel!”
Mollai di scatto la mia valigia ed una cascata di capelli biondi mi travolse, avvolgendomi in un abbraccio spezza costole. Con la gola secca, ricambiai l'abbraccio più forte che potevo, sentendo il cuore andare a tremila. Chiusi gli occhi, sprofondando il viso fra i suoi capelli d'oro, mettendoci una mano in mezzo.
“Mi sei mancato..” sentii la sua voce sussurrarmi vicino l'orecchio.
Avrei voluto dire che anche lei mi era mancata, ma non riuscivo più a parlare.
Rimanemmo così, fermi ad abbracciarci, dondolando un po'. Poi l'abbraccio finì e potei guardarla negli occhi.
“Astrid..” sussurrai carezzandole la guancia con una mano, quasi tremando dall'emozione. Lei mise entrambe le mani ai lati del mio collo, fissandomi a sua volta.
“Accidenti, sei venuta davvero come mi avevi scritto nella tua ultima lettera..” dissi ancora, un po' sorpreso, ma più che felice.

“Speravi forse che non lo facessi?” disse lei, carezzandomi piano il collo con le dita, fissandomi.
“No, piuttosto lo temevo.”
Sorrise. Quanto mi era mancato quel sorriso.
“Tra l'altro,” continuai, “non sarei neanche uscito da lì se non avessi avuto la certezza che tu  saresti stata qui ad aspettarmi..”

Lei sorrise ancora di più, con gli occhi marroni che le luccicavano per la gioia.

Quante volte avevo già visto quei bellissimi occhi farlo?
“Ed io non sarei stata qui se non avessi saputo che tu eri lì dentro ad aspettarmi.” disse lei di rimando.
Non sapendo che altro dire, mi limitai a guardarla, quasi mangiandomela con gli occhi.
“Gabriel..”
“Sì, cosa?”
Chiuse per un attimo gli occhi e poi li riaprì sorridendo.

“Ti amo.” disse.
Rimasi a bocca aperta.

La guardai, sbattendo più volte gli occhi, preso alla sprovvista.
“Gabriel, lo so, mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo prima, magari adesso è troppo tardi, ma avevo solo..” iniziò, ma le chiusi la bocca, baciandola.

Lei si arrese all'istante e prese a baciarmi a sua volta. Assaporai le sue labbra come se stessi gustando un piatto prelibato, molto lentamente, passando poi la mia lingua sul contorno del suo labbro inferiore. Le mie mani carezzavano la sua schiena, mentre le sue il mio collo.
“Non ci credo che posso farlo di nuovo..” sussurrai ancora con la bocca sulla sua, dentro la sua. Sentii le sue labbra incurvarsi in un sorriso.

Ci separammo.

Aprii gli occhi lentamente e ci guardammo per un lungo istante, sorridendo senza nient'altro da dire. Astrid poggiò la sua fronte sulla mia, tenendo sempre le mani ai lati del mio collo.
“Baci sempre divinamente.” mi disse.
La guardai sorpreso, perché non mi aveva mai detto nulla del genere.
“Ne dubitavi?” ribattei, ridendo.
Anche lei rise e mi baciò di nuovo.
“Hai la prova, adesso, Gabriel. Io ti amo sul serio, non fingevo, non ho mai finto.”
Rimasi qualche attimo in silenzio. “Ma io ti credevo già da prima, Astrid.”
Sorrise con aria felice. “E, sai..” iniziò.
“Cosa?”
“Ho lasciato il mio lavoro.” disse alla fine.

La guardai ad occhi sgranati, incredulo. “Cosa hai fatto?!”
“Ho lasciato il mio lavoro.” ripeté, come se fosse una cosa del tutto normale.

“Sei impazzita? Io pensavo che.. che.. Beh, l'avevi detto anche tu, no? Che non lo volevi lasciare, che era meglio aspettare che io facessi diciotto anni..”
“Lo so cosa pensavi e lo so cosa ho detto. Ma questa è un'altra dimostrazione. Ho sbagliato, Gabriel, e anche se mi sono già scusata e ne abbiamo parlato, voglio ridirtelo. Sono stata proprio egoista, e non è da me. Nessun lavoro è più importante di te, e lo sai.”
Avevo quasi gli occhi lucidi.
“Nessuno aveva mai fatto qualcosa del genere per me.” balbettai, guardandola sempre con quegli occhi sgranati.
“Beh, ma io mica sono nessuno.” ribatté lei sorridendo.
“Lo dico e lo ripeto.. Sei una soddisfazione, Astrid Halls..”
Ancora un altro bacio.
“Ehi,” disse Astrid quando ci staccammo, scompigliandomi i capelli con una mano, “sei pronto per vedere il tuo nuovo appartamento?”
“Nuovo appartamento?!” chiesi, ancora più incredulo di prima.

Lei rise della mia reazione.
“Certo! Cosa ti aspettavi, che stessimo in una stanza d'albergo?” Mi diede una gomitata. “Non ti ho detto nulla, nelle lettere, perché volevo farti una sorpresa.”
Sorrisi.
“Beh, l'idea di me e di te chiusi tutto il tempo in una stanza d'albergo è molto eccitante, ma, okay, mi accontenterò dell'appartamento. Ma come diavolo hai fatto...?”
“Ci abitavo prima. Il mio letto è matrimoniale, quindi..”
“Ottimo!” esclamai tutto eccitato.
Rise e mi afferrò una mano. “Sono sicura che ti piacerà! E' poco distante da qui.”
La guardai per l'ennesima volta.

Portava i capelli sciolti, come piacevano a me, un maglione bianco ed un paio di jeans scuri. Il crocifisso d'argento luccicava sul suo collo: nel guardarlo ritornai mentalmente a quella notte di quasi un mese prima. Era lei, l'Astrid che avevo conosciuto e che avevo imparato ad amare. E non potevo chiedere nient'altro di meglio.
“Sei bellissima.” le dissi, così, spontaneamente. Ed avevo proprio ragione.
Mi sorrise dolcemente. “Anche tu sei bellissimo.”
Quasi quasi mi sentii arrossire, ma le sorrisi soltanto in segno di gratitudine.
“Beh, andiamo?” disse, sempre tenendomi per mano.
Mi voltai per guardare l'orfanotrofio.

Sembrava così strano poter lasciare per sempre quel posto, dove avevo vissuto gran parte della mia adolescenza. Ed adesso avevo diciott'anni, ero maggiorenne, ero libero.

Ed avevo Astrid al mio fianco.

Era tutto così incredibile: non avrei mai creduto di trovarmi in una situazione del genere. Se me l'avessero raccontato pochi mesi prima, probabilmente non ci avrei proprio creduto, e mi sarei limitato a fare una grassa e grossa risata.
Mi voltai di nuovo verso di lei. Mi sorrideva.
“Certo.” dissi alla fine.
Annuì, poi però si batté la mano libera sulla fronte. “Oh! Quasi dimenticavo.”
“Che cosa?” chiesi, alzando un sopracciglio nel guardarla.
Lei mi lasciò la mano e si diresse verso la mia valigia, ancora accanto a noi, dove prima d'abbracciarmi aveva mollato la sua solita borsa di tela.

Si accucciò accanto alla valigia e, prendendo la sua borsa, ci frugò dentro. Alzò lo sguardo su di me, che la stavo guardando.
“Chiudi gli occhi!” mi ordinò.
“Eh? Perché?” protestai, ma col sorriso sulle labbra.
“E' una sorpresa.”
Obbedii e chiusi gli occhi, mettendo le mani dietro la schiena ed attendendo.

Sentii qualche fruscio ed infine sentii che Astrid si era rialzata ed era proprio di fronte a me.
“Adesso posso aprirli?” chiesi, impaziente, notando che lei ancora non diceva nulla.
“Okay, aprili.”
Li aprii e vidi Astrid, di fronte a me come pensavo, con un pacchetto rettangolare fra le mani. Era incartato con una carta di un bel blu scuro.

“Oddio. Che cos'è?” dissi d'istinto, come se tra le mani tenesse qualcosa di cui avere paura.
Ridacchiò. “Non ti mangia mica, Gabriel.”
Me lo porse ed io lo presi con entrambe le mani. Era un po' pesantuccio.
“Buon compleanno, Gabriel!” esclamò lei allora, tutta allegra, accompagnando il tutto con un casto bacio sulla guancia.

Io questa volta arrossii davvero, non abituato a tutte quelle attenzioni. Tra l'altro non ricevevo un regalo da parecchi anni. Lei poi mi scoccò un bacio sulle labbra.
“Grazie mille, Astrid.” bofonchiai, improvvisamente intimidito.

“Dai, aprilo, che aspetti?” mi incitò lei, sorridente.
Annuii e molto lentamente scartai quel regalo. Chissà che cos'era?
“Oh Dio..” dissi non appena levai tutta la carta.
Era il disegno che io ed Astrid avevamo fatto insieme, quel pomeriggio in mezzo al campo di papaveri, quello che avevo regalato a lei. Era incorniciato con cura in una cornice di plexiglas. Sembrava più bello, più professionale. Ed era un bellissimo pensiero. Guardandolo mi sembrava quasi di ritornare indietro nel tempo: mi sembrava quasi di sentire il profumo dell'erba, dei capelli di Astrid mossi dal vento. Lo adoravo già.
“Allora l'hai conservato..” fu la prima cosa che dissi.
“Certo, secondo te lo buttavo?” rise.
“E' bellissimo. Grazie, Astrid.” dissi.
“E' solo un pensiero, anzi, non è nulla d'originale. Pensavo che potessimo metterlo a casa nostra. Meglio di una foto, no?”
Casa nostra. Suonava un po' strano, ma non ci badai.

Ero troppo felice, quasi lusingato.
“Certamente. Tutto quello che vuoi.”
Posai il regalo sopra la valigia e le buttai le braccia al collo, per abbracciarla e successivamente baciarla.

Lei ricambiò senza esitare; poi, mentre le mordevo un orecchio, le sussurrai: “Ti amo, Astrid. Da impazzire.”

Ero sicuro che stesse sorridendo. “Anch'io ti amo, Gabriel. Da morire.”

La lasciai andare molto lentamente e le sorrisi, scombinandole i capelli.
“Allora, Astrid, che ne dici di Gabriel Junior?”
Lei mi guardò con aria perplessa, evidentemente non capendo cosa stessi dicendo. “Scusa?” chiese, infatti.
“Il nome per nostro figlio.” risposi con estrema tranquillità.
Rimase un attimo in silenzio, poi scoppiò a ridere.
“Non c'è niente da ridere! E' una cosa seria.” la rimproverai, trattenendo a stento le risate.
“Ma Gabriel Junior è orribile, scusa!”
“Okay. Allora se è una femminuccia vada per Astrid Junior.”
Scoppiammo a ridere entrambi, come degli scemi. Presi il mio regalo e facendo attenzione a non romperlo lo misi dentro la valigia, avvolto da qualche maglione per evitare che si rompesse durante il tragitto; dopo di che la chiusi e la presi in mano.
“Vuole seguirmi, signorina Halls?”
“Con piacere, mister Reeve.”
Mentre si rimetteva su una spalla sola sua borsa, prese la mano libera che le offrivo e le nostre dita s'intrecciarono. Mi voltai per un attimo e guardai davvero per l'ultima volta l'orfanotrofio St.Catherine.

Cosa m'avrebbe riservato il futuro?
Avrei avuto una vita con Astrid, questo sicuramente. Avremmo trovato entrambi un lavoro, ci saremmo sposati ed avremmo avuto davvero un Gabriel Junior o una Astrid Junior? Oppure, come mio padre e mia madre, avremmo finito per odiarci qualche mese dopo il nostro matrimonio?
Non lo sapevo, non avevo una palla di cristallo; e in quel momento neanche m'importava.

Sapevo solo che in quel preciso istante Astrid stringeva la mia mano e che quel semplice gesto bastava per allontanarmi da tutto, bastava per far sbiadire lentamente le mie paure infondate, il ricordi dell'orfanotrofio e tutto il resto; come se stessi percorrendo una strada a duecento chilometri all'ora e vedessi i contorni del paesaggio attorno a me sbiadire lentamente, sgretolarsi.

Non c'era niente di più importante che lei, semplicemente lei.
“Gabriel,” disse all'improvviso lei.
“Sì?” chiesi.
“Sei pronto per affrontare mille notti ancora, insieme?”
Le sorrisi. “Puoi scommetterci.” dissi soltanto.
Anche lei mi sorrise, più felice che mai. Così ci allontanammo, continuando a stringendoci la mano.
Però, ancora, una domanda mi faceva arrovellare il cervello.
“Astrid, invece cosa ne pensi del nome Lucas?”
Risi, mentre lei mi guardava male.
Ero felice.
Ero con Astrid.
Ed era esattamente tutto quello che volevo, tutto quello che mi bastava.





Sì, siamo alla fine. Onestamente, mi sono sempre piaciuti i lieto fine e, sì, anche in questa storia vissero tutti felici e contenti...
Ho scritto questa storia quasi due anni fa, e rileggendola mi rendo conto che AVREI POTUTO FARE DI MEGLIO, e di alcuni errori grammaticali, che sono davvero tremendi. Ma, sapete? Non ho voluto toccarla, perché non mi sembrava giusto. Ho scritto questa storia in un periodo della mia vita in cui pensavo che Gabriel avesse totalmente ragione, e... Sì, in lui c'è molto di "quella me". Ma anche Gabriel alla fine capisce che sta sbagliando, e che per essere amati, è necessario amare. E anche io, l'ho capito...
Spero davvero che la mia storia vi sia piaciuta. Ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito, chi ha commentato, chi ha aggiunto la storia tra i preferiti o tra i seguiti. Ringrazio legolina77, trettra, valespx78, pinkgirl (Jessica :D), BAMBOLOTTA, sbrodolina, ChasingTheSun, Melikes, didi_kaulitz, AllegraRagazzaMorta (FEDEEEE <3), CrImInAlSmOoTh, GiulyRedRose, Laura93, _Ink Whisper_, luciini, e TUTTE LE ALTRE. Ho sicuramente dimenticato di menzionare qualcuno, ma perdonatemi! Vi abbraccio e ringrazio comunque tutte! Spero che 'Mille Notti Ancora' vi abbia trasmetto di qualcosa, qualche emozione, e che vi siate divertite a leggerla. L'unica cosa che mi è dispiaciuta è non aver ricevuto un numero "decente" di recensioni, che sinceramente mi aspettavo... Ma pazienza! Almeno per il grande finale, siate buone/i e lasciatemi un commentino ;)
Credo sia tutto. Come ho scritto alla fine dei capitoli precedenti, molto presto (più presto di quanto immaginate) tornerò con il SEQUEL della mia PRIMA storia, "Ovunque". Vi consiglio di leggerla, e di leggere gli altri miei lavori, nell'attesa! =P
- Ovunque!
- But I'll be with you 'til the end scritta a quattro mani con AllegraRagazzaMorta.
- Pelle, la mia one-shot.
G R A Z I E.
Adrienne.
   
 
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