Note
dell'autrice:
Mi premeva molto scrivere una ByakuyaxYoruichi e finalmente ho trovato
il tempo
per riordinare tutte le mie idee e cominciarla.
Byakuya è stato da subito il mio personaggio maschile
preferito e Yoruichi mi
ha sempre attratto per il suo carattere molto forte e arrogante. Ho
cominciato
a vederli bene assieme grazie alla saga del pendolo che ha mostrato la
loro
relazione in maniera decisamente inedita, solleticando così
la mia fantasia che
tende già di suo ad accostare personaggi molto diversi fra
loro (vi basti
pensare che, oltre alla ByakuyaxYoruichi, sono fan della AizenxOrihime
e della
GrimmjowxRukia, giusto per citare i crack-pairing per i quali
impazzisco in
bleach).
Tornando a parlare della mia fanfiction, questa è una
“what if..?” ambientata
post “BLEACH”.
Ho voluto, però, evitare di inventare un eventuale finale
del manga, ragion per
cui non accennerò più di tanto alla vicenda in
sé per sé. Anche perché,
rappresentando le ultime rivelazioni della storia, sarebbe davvero
difficile immaginare
cosa abbia in mente Tite Kubo. Ci tenevo a precisare questo, ora vi
lascio alla
lettura della mia ByaYoru.
Recensitemi, mi raccomando! Mi aiuterà a capire se vale la
pena continuare
questo lavoro!
A
presto, fiammah_grace
CAPITOLO
01
Era abbastanza
facile capire quando si fosse
nelle vicinanze di casa Shiba.
Enorme e contornata dai più strani arredamenti da
“giardino”, essa non poteva
assolutamente passare inosservata. Attualmente spuntavano dal terreno
due
possenti ed inconfondibili braccia in pietra che caratterizzavano
quell’abitazione.
Una donna dall’aspetto felino sgattaiolò nelle
vicinanze di quell’assurda casa,
confondendosi nel buio della notte. Solo i suoi luminosissimi occhi
dorati da
gatta brillavano tra le siepi incolte.
Scrutò
furtiva dentro e solo
quando fu certa che la donna dai lunghi capelli neri fosse distratta,
le balzò
dietro.
“Signorina Kukaku, cara! Sento un profumino! Sono arrivata in
tempo, no?!” urlò
con l’umore alle stelle, pienamente soddisfatta di averla
colta alla sprovvista
come sperava.
“Signorina Yoruichi! Che modo di entrare in casa altrui
è?” rispose la ragazza
con le mani vicino alle orecchie. Fece una pausa, poi sbottò
collerica,
agitando il mestolo pericolosamente. “Brutta gattaccia! Io ti
do da mangiare,
ma tu che mi dai in cambio?!” gridò Kukaku.
Nonostante
i loro toni grezzi, in
realtà le due erano abituate a prendersi in giro in questo
modo.
Del
resto…da quanti anni si
conoscevano?
Impossibile
dirlo con certezza.
Erano praticamente come sorelle.
Burlarsi
l’una dell’altra era il
modo di giocare che preferivano. Altre persone, vedendole, le avrebbero
prese
per due pazze squilibrate, ma Yoruichi e Kukaku avevano un modo
esclusivo di
intendere l’amicizia. Un modo spontaneo e sincero, esente
completamente dai
convenevoli.
“Pazza ingrata! Ti ho portato uno nei migliori vini di
Karakura!” disse Yoruichi
in tutta risposta, alzando una bottiglia di vino rosso da almeno un
paio di
litri.
“Non sei solo un gattaccio spelacchiato, ma sei anche una
tirchia della
miseria! Solo una misera bottiglia?!” le urlò
l’altra.
“Kukaku, bastarda! Se non stai zitta, non solo ti
darò soltanto questa misera
bottiglia, ma berrò dinanzi a te le altre due
rimanenti!” le rispose Yoruichi
alzando le altre due bottiglie con una mano sola.
Le
due si fermarono. Di colpo si
sorrisero.
“Ciao,
Yoruichi!”
“Ciao,
Kukaku!”
Dopo
tutto quel casino assordante
causato dalle loro voci, si salutarono finalmente, pronte a mettersi a
tavola.
Pochi minuti, infatti, e la cena fu pronta.
Quello che prima era un tavolo ampio e ben pulito, adesso traboccava di
tutto
ciò che Kukaku aveva preparato. Ogni tipo di cibaria
sembrava essere sepolta
sotto quantità spropositate di viveri e bevande di
più tipologie.
Strano che a partecipare a quella cena, in effetti, fossero degli
ex-membri di due
delle quattro famiglie più nobili della Soul Society.
Non si poteva fare a meno di rabbrividire a quello spettacolo:
Salsicce, quattro sformati diversi grondanti di salse, timballi di
pasta
iper-conditi, formaggi stagionati, risotti, onigiri, verdure farcite,
fritti,
dolci di più varietà, gelato, vini…il
tutto mischiato senza nessun criterio!
Quello che più dovrebbe sorprendere tuttavia, non era tanto
la quantità
industriale di cibo, ma piuttosto in quanto poco tempo esse furono
capaci di fiondarsi
su ogni cosa commestibile presente su quella tavola.
Le
due amiche, inoltre,
trangugiavano senza molti complimenti, completamente a loro agio
l’una con
l’altra.
Tanto
da potersi permettere di
perdere ogni ritegno.
Se
non fossero state due donne dai
tratti così soavi e belli, nonché dai fisici
tonici e formosi, avrebbero potuto
essere due maiali.
Più
tardi, dopo aver sbafato a più
non posso, le due si rilassarono.
Kukaku
resisteva ancora e si
limitava a bere e spiluccare comodamente appoggiata sulla tavola.
Yoruichi
invece era già sfinita e
quasi del tutto sdraiata a terra.
La gatta emise un sonoro sbadiglio, mentre soddisfatta riempiva
l’ennesimo
bicchiere di latte.
Esatto!
In tutto questo, Yoruichi
beveva il latte anche a tavola, durante il normale pasteggio, bevendolo
inquietantemente
come una normalissima bevanda.
L’essere
rimasta un gatto per
tanti anni aveva sballato completamente il suo palato.
Il
latte sembrava essere un gusto
di cui non riusciva più a fare a meno, nonostante sarebbe disgustoso per chiunque
pensare di bere un
bicchiere di latte assieme a carne e pasta!
“No! Perché è già
finito?” disse amareggiata. Infatti, non scese nel bicchiere
più di qualche goccia.
“Perchè è la punizione che ti meriti
per non aver preso abbastanza vino,
cretina!” le rispose Kukaku Shiba oramai completamente brilla.
“Io voglio il latte. La prossima volta scendi tu
allora!”
“Ah, si? E chi ti da fitto, alloggio e la completa bocca
chiusa gratis?”
“Vado anche un po’ a scrocco da
Urahara…” rispose la donna felino mentre
tentava insistentemente di far uscire qualche altra goccia.
Intanto Kukaku fece per alzarsi. Era mezzanotte passata e aveva davanti
a se dozzine
e dozzine di piatti sporchi e incrostati. Così si
avviò in cucina.
Sfortunatamente Ganju non era in casa, se no avrebbe rifilato il lavoro
sporco
a lui, come al solito!
La gatta le si avvicinò mentre infilava un caldo maglioncino
arancione.
“Kukaku, io torno a Karakura.” Le disse
sbadigliando.
Kukaku Shiba si girò e la guardò seria.
“Nessuno ti cercherebbe qui. Perché non
rimani?”
L’amica scosse la testa e le mostrò il suo solito
sorriso sicuro di sé.
“E’ giusto che vada così, fidati! E poi
oramai mi sono ambientata bene laggiù.
Pensa che ho anche un monolocale da quando ho imparato a gestire bene
la
moneta!”
“Tutto questo è così grandioso da farmi
venire il sonno, cara. Eppure io sono
sicura che tu rimani per Urahara.” Le rispose schietta.
“Forse hai ragione, ma il problema sono anche io. Qui non
c’è più niente che mi
appartenga, oramai.”
"Ma davvero..?" le disse maliziosa, quasi a voler sottolineare quel
momento di ‘serietà’ di Yoruichi.
Si voltò completamente col busto, tuttavia si rese conto che
l’amica aveva
parlato più seriamente di quanto pensasse. Infatti le due si
guardarono con una
serietà inaspettata.
“Yoruichi…”
sussurrò, ma in verità
non trovò le parole adatte da pronunciare.
In
fin dei conti, quel che aveva
detto Yoruichi, non era una bugia.
Anche
lei si sentiva così.
Nonostante
fosse triste per lei
ammetterlo, non era nel suo carattere negare l’evidenza.
E
poi, anche per lei le cose
stavano allo stesso modo, e da tempo oramai.
Erano
simili anche in questo.
Erano due disadattate, allontanate per sempre dalla vita che, in un
tempo oramai
lontanissimo, facevano.
La serata proseguì lenta e insolitamente tranquilla. Tra una
chiacchiera e
l’altra, l’atmosfera fu ripresa completamente.
Quella era infatti una realtà
che le due avevano ampiamente accettato, per cui poco ci volle ad
entrambe per
tornare allegre come prima.
Ancora
poche chiacchiere, un the
caldo, e Yoruichi saluto l’amica e sparì tra le
alte siepi del Rukongai sotto
forma felina.
[…]
Erano le due di
notte quando Yoruichi riuscì a
tornare a Karakura.
Ancora con le sembianze di un gatto nero, percorse velocemente le buie
vie
della cittadina. Fu costretta ad ammettere che mai come in quel periodo
Karakura era stata così sicura e controllata.
Di tanto in tanto avvertiva i reiatsu dei vari shinigami che
setacciavano la
zona e sconfiggevano i vari hollow che apparivano.
Sospirò pensando a quanto fossero cambiate le cose, ormai,
mentre furtivamente
sgattaiolava cercando di non essere vista.
Le ci volle poco grazie alla sua agilità per arrivare
all’emporio di Urahara.
Nonostante l’orario poco civile, Yoruichi non si
preoccupò di evitare di
arrampicarsi sugli alberi e saltare sulla finestra dell’amico
Kisuke graffiando
il vetro in maniera decisamente fastidiosa.
Il sonno del biondo doveva essere molto pesante dato che Yoruichi si
ritrovò ad
aver graffiato mezzo vetro soltanto per vedere Kisuke girarsi e
rigirarsi sul
letto.
“Tu guarda..!” disse infastidita e
cominciò a urlare il suo nome assicurandosi
che non vi fosse nessun umano nei paraggi. Solo dopo
l’ennesima graffiata sul
vetro finalmente riuscì a ottenere un rumore stridulo
abbastanza forte da farlo
sobbalzare dal letto.
“Ah! Chi c’è?!”
urlò Urahara impugnando prontamente il suo bastone.
Un miagolio attirò la sua attenzione e vide quella bella
gattina nera con gli
occhi scintillanti.
“Oh, ma guarda chi mi è venuta a
trovare..!” disse estasiato.
“Apri, cretino!” lo interruppe la gatta e Urahara
non osò obiettare. Mise il
cappotto nero, l’immancabile cappello a righe e
aprì la finestra. “A cosa devo
una visita a quest’ora, mia cara?”
“Tu la prossima volta vedi di aprirmi prima, se non vuoi
ritrovarti un vetro
sfondato ogni settimana!” gli urlò con voce
miagolante.
“Perché..? Che cosa hai fatto alla
finestra?” Kisuke guardò meglio e
rabbrividì. “ARGH! Non di nuovo! E’
tutto graffiato! E’ un disastro..!”
Yoruichi se la rise e solo dopo aver sceso le scale riprese la sua
forma umana.
Urahara intanto la raggiunse e le poggiò sulle sue spalle un
leggero yukata dal
semplice design.
Accese le luci del locale e illuminò quelle stanze dove
prima regnava il buio
più tetro.
“E’ un po’ presto per aprire il locale,
sai?”
“Non sono qui per questo, lo sai.” Gli disse la
donna. “Piuttosto, preparami
qualcosa di caldo, fuori si gela!”
L’uomo le sorrise cordialmente e si diede da fare nel
scaldarle un po’ di
latte.
Yoruichi presto gli fu accanto. Lo guardò a lungo prima di
mettersi a frugare
nei cassetti della cucina alla ricerca di cibo.
“Ti hanno dato problemi?” gli chiese distrattamente.
“Non particolarmente. Stanno solo facendo il loro
lavoro.”
Pochi minuti e la bevanda fu pronta. Sedettero assieme e rimasero per
un po’ in
un silenzio assolutamente piacevole.
Yoruichi bevve e sentì il corpo riscaldarsi. Era una
sensazione decisamente
piacevole.
Urahara, inoltre, conosceva perfettamente i suoi gusti e sapeva che, a
quell’ora della notte, niente era più rilassante
per lei del latte. In
realtà…era così in ogni momento della
giornata.
La ragazza alzò gli occhi dorati verso di lui e
l’osservo, dopo rise.
Urahara rimase perplesso, ma ricambiò quel sorriso
ugualmente.
“Sono divertente..?”
“Ah, quello lo sei sempre!” gli disse.
“…ma ora sei anche buffo! Dovresti
vederti allo specchio, con tutti quei capelli
all’aria.”
Il biondo toccò i folti capelli con una mano e
cercò di sistemarli un po’.
“Oh, beh…non è che io abbia avuto la
prontezza di usare la spazzola alle tre
del mattino.”
“Ah, ah..! Sei orribile!” disse in maniera
sfacciata, ma solo uno come Urahara
avrebbe potuto capire che non c’era cattiveria nelle sue
parole.
Yoruichi si alzò e si posizionò dietro la sua
sedia.
“Faccio
io…!”
Continuò
a ridere mentre con le
mani aggiustava i capelli dell’amico.
In verità, era più facile pensare ad una Yoruichi
irruente e rude che ad una
che dolcemente sistema i capelli di un amico. Eppure lo faceva con
disinvoltura, e le sue dita scorrevano tra i capelli di Urahara con una
delicatezza quasi irreale e terribilmente piacevole.
“Kukaku mi ha detto che verranno mandati altri shinigami,
sai?” disse mentre
lentamente si poggiava sulla schiena di Urahara.
Lui non vi fece troppo caso e continuò a sorseggiare la
bevanda.
“Lo immaginavo. Nonostante tutto, Karakura non è
molto sicura.” Posò la tazza e
guardò pensieroso verso il vuoto. “Anzi, i nuovi
ibridi tra hollow sembrano
essere più forti di quelli di prima. Immagino che
smuoveranno anche i
capitani.”
Yoruichi chiuse gli occhi e sospirò mentre si abbandonava
quasi del tutto su di
lui.
“Penso che lo abbiano già fatto.”
“Eh, eh..!” le rispose soddisfatto.
“Dunque chiederanno ancora una volta il mio
ausilio?”
“Sempre che non si rivelino orgogliosi. Però non
pensiamoci più. Infondo,
quello non è più il nostro mondo.” Gli
disse con voce bassa, stanca di parlare
sempre della Soul Society.
Tuttavia Urahara non riuscì ad evitare
l’argomento. Del resto, lui non era mai
stato capace di cancellare il passato.
[…]
Nella Soul
Society regnava un silenzio e una
tranquillità a cui non si era più abituati.
Ciò era dovuto anche all’assenza di molti capitani
e luogotenenti che erano via
a sorvegliare Karakura.
“Rukia, sei sicura di aver fatto bene i rapporti?”
chiese Renji mentre guardava
preoccupato una grande quantità di fogli che la giovane
stringeva sul petto.
“Abarai Renji. Sei tu anormale che nel tuo status di
luogotenente ti ritrovi con
un protocollo di appena due paginette!”
“Eh? Ma perché? Cosa dovevo scrivere..?”
le chiese.
Rukia scosse la testa.
“Lascia perdere! È incredibile, sei sempre il
solito!”
I due si stavano recando nella dimora Kuchiki, dove il capitano della
sesta compagnia,
Byakuya Kuchiki, li attendeva.
La grande villa della nobile famiglia era immensa e davvero molto
curata. Ci
volle poco per riconoscerla anche a debita distanza.
Non appena Rukia scorse i ciliegi in fiore della villa si
fermò e, solo dopo
qualche metro, il ragazzo dai capelli rossi si accorse che
l’amica non era più
di fianco a lui.
“Ehi! Ti si sono paralizzate le gambe?”
urlò.
“Cretino!” gli rispose seccata. “Non
c’è bisogno che andiamo entrambi a dare
queste carte a mio fratello.” Gli allungò i suoi
rapporti. “Portaglieli tu.”
Renji prese i fogli e non riuscì proprio a capire
perché
“Va tutto bene, nana?” le disse picchiettando la
testa di lei come fosse una
porta.
Rukia
si ritrasse, infastidita da
quel gesto.
“Io sto benissimo!” disse divincolandosi.
“Pensa a te piuttosto! Ora va dal
nobile fratello. Tanto si sarà già accorto della
tua presenza!”
Renji
rimase ferito. Non riusciva
a spiegarsi il perchè, nonostante gli anni, tra Rukia e
Byakuya ci fosse ancora
tutta quella freddezza. Tuttavia decise di non insistere. Erano
questioni tra
“fratelli”, dopotutto.
Così
proseguì da solo, ancora
assorto.
Come sempre, orientarsi era difficile lì dentro, specie per
un uomo umile come
lui, per niente abituato a quegli infiniti spazi.
Mentre avanzava, si distrasse più volte ad ammirare il
grande giardino
perfettamente curato.
I ciliegi erano già in fiore, i piccoli arbusti appena
tagliati, le fontane
erano perfettamente pulite e rendevano l’ambiente ancora
più elegante.
Si avvicinò ad una di queste e fece per specchiarsi
nell’acqua, quando una voce
molto severa lo richiamò.
“Renji.”
Renji sbottò e vide che il fusuma di casa era aperto.
Un giovane uomo dall’aria nobile, seduto accanto ad un
tavolino basso, lo guardava
con uno sguardo quasi sprezzante.
“Capitano! Io non...stavo solo..!”
“Non m’interessa cosa stavi facendo.”
Disse seccamente, interrompendolo.
Byakuya Kuchiki, come sempre, era molto freddo e distaccato, e non solo
caratterialmente.
Già il suo aspetto rappresentava un attendibile biglietto da
visita.
I sottili capelli neri, lunghi fino alle spalle raccolti in parte dal
copricapo
tipico della famiglia Kuchiki.
Il viso pallido e sottile. Gli occhi di un colore a metà tra
il blu e il grigio
chiaro, così vitrei da sembrare di ghiaccio. Il fisico
longilineo ma muscoloso,
coperto dall’abito nero da shinigami…
…Già solo trovandosi davanti un soggetto simile,
di così grande elite e
autorevolezza, destava soggezione in molti.
Con un gesto molto elegante, il capitano allungò appena la
mano verso Renji.
Il rosso solo dopo capì che voleva i protocolli per i quali
era venuto, così
con fare goffo glieli mise in mano. Ancora una volta, dovette sostenere
quegli
occhi così gelidi che scrutavano lui e i rapporti scritti.
“Ehm…non è che ci sia molto da dire,
per questo…”
Mentre Renji balbettava improvvisando qualsiasi cosa per spezzare in
qualche
modo quel silenzio non esattamente rilassante, Byakuya aveva
già messo da parte
il suo ridicolo rapporto, preferendo di gran lunga leggere quello della
sorella, decisamente più dettagliato e chiaro.
“Ehm, poi volevo anche dire che...”
“Sto leggendo, Renji.”
“Ah! Eh…Okay.”
Per una manciata di minuti regnò un silenzio decisamente
imbarazzante.
Con tutta calma il capitano finì di leggere e
posò delicatamente tutti i fogli
sul tavolo. Prese una penna e cominciò a scrivere.
“Hai già avuto modo di parlare con il comandante
Yamamoto?” chiese dopo un bel
po’.
Renji si apprestò subito a rispondere.
“Direttamente con lui no, ma è quasi certo che
avranno bisogno di noi. La
quarta compagnia sta lavorando decisamente molto e dovranno farlo
ancora di più
se non saranno mandati a Karakura i luogotenenti e i capitani delle
altre
divisioni.”
Byakuya rimase in silenzio pensieroso. Il rosso deglutì e,
con tono basso, gli
si rivolse esitante.
“Se sarà necessario, andrete?”
tentennò.
“In verità, mi è stato già
chiesto.” Gli rispose prontamente Byakuya, del tutto
impassibile.
Renji, sentendo quella parole, sbottò e istintivamente diede
un violento pugno
sulla scrivania facendo sobbalzare tutti i fogli e i fascicoli.
Si sentì terribilmente inutile e ridicolo… e il
fatto che in quel momento fosse
presente anche Byakuya non lo fece star meglio.
“Dannazione! Io non sono stato chiamato, invece!”
Byakuya lo guardò con disapprovo, ma non ritenne necessario
rimproverarlo.
Conosceva bene il carattere istintivo del suo luogotenente Renji.
“Evidentemente non ce n’è bisogno. Uno o
due capitani e una manciata di
luogotenenti saranno più che sufficienti per sistemare la
situazione.”
Il rosso si sentì tremare di rabbia, ma si limitò
a chinare il capo ed annuire.
Il capitano preferì evitare di continuare
l’argomento ulteriormente.
Con fare leggiadro si allontanò dal tavolo.
Infilò l’haori bianco da capitano e
la sua immancabile sciarpa, regalatogli dal nonno tempo addietro.
Prima di solcare la porta fece cenno a Renji di seguirlo, il quale non
tardò
nell’essergli fedelmente accanto.
Una volta chiuso il fusuma, Byakuya gli si rivolse.
“Ci sono hollow sempre più forti in
città, non è detto che non serviranno
ulteriori soccorsi. Fino ad allora dovrai occuparti tu di controllare
la
situazione nella Soul Society in generale.”
“Si certo...” disse Renji distratto.
“Sai cosa significa? Dovrai rispondere delle tue azioni, nel
caso di una mia
assenza prolungata.”
“Ho capito. Mi terrò pronto. Piuttosto,
è oramai ufficiale questa partenza?”
L’uomo dai capelli scuri non rispose e solo in quel momento
il luogotenente
dedusse che, probabilmente, stesse osando troppo rappresentando gli
standard
dell’aristocratico Byakuya.
Proseguirono fino al gotei, dove Renji avrebbe dovuto separarsi dal
capitano.
Ovviamente il rosso aveva capito perfettamente il discorso affrontato
precedentemente da Byakuya, sulle responsabilità che avrebbe
avuto qualora lui
non ci fosse stato.
Tuttavia era terribile la sensazione che provava in corpo. Quella di
essere,
ancora una volta, non in prima linea.
Scosse la testa e cercò di farsene una ragione.
Arrivati, Byakuya scorse Rukia in lontananza.
Era seduta sul ciglio della strada intenta a concentrare le sue energie
per
applicare dei Kido di lieve forza su piccoli oggetti.
“Vai da lei.” Disse improvvisamente con un tono che
suonava quasi un comando.
Tuttavia aveva un che di dolce.
“Da chi?”
Renji non si aspettava un’affermazione simile e solo dopo
aver guardato con
attenzione la traiettoria degli occhi di Byakuya, si accorse della
ragazza dai
capelli folti e scuri.
“Rukia? Che fa li da sola..?”
La guardò a lungo, ripensando anche allo strano
comportamento che aveva avuto
quella mattina.
“Durante una mia eventuale assenza, assicurati che le vada
tutto bene.”
Girò seccatamene gli occhi verso Renji che intanto era
rimasto quasi incantato
a guardarla.
“…ma non osare altro.” gli
minacciò con tono alto.
Renji sgranò gli occhi e si agitò
nell’udire una simile frase.
“EH?! M-ma certo, ovvio! Cosa pensi che
io…cioè che lei a me…noi,
cioè io..?
Ah, ah..! Che dite?” scosse la testa e cercò di
formulare una frase con senso
compiuto. “E-ehm, state sicuro. Mi occuperò della
sua salvaguardia.”
“Sarà meglio per te.” rispose aspramente
e si divise da Renji che rimase senza
parole, terribilmente a disagio.
[…]
Quando Byakuya
Kuchiki fu finalmente convocato
dal comandante Yamamoto, era completamente da solo.
Intuì facilmente il perchè.
Era raro che i capitani fossero mandati in spedizioni simili e se si
fosse
saputo in giro si sarebbe scatenato il panico. Specie se ad essere
mandato
fosse il capitano della sesta compagnia, addetta alla sicurezza urbana.
Dunque
era molto meglio se la sua partenza fosse avvenuta nella discrezione
più
assoluta.
Non appena fu dentro, immediatamente il luogotenente Chojiro Sasakibe
gli si
avvicinò e con fare elegante lo fece accomodare.
“Capitano Kuchiki, il comandante Yamamoto attendeva il suo
arrivo.” Disse con
voce cordiale.
Byakuya annuì ed entrò. Il comandante generale di
tutte le gotei della Soul
Society era un uomo dall’apparenza molto stanca, ed era anche
decisamente
anziano. Spesso capitava che nel gotei qualcuno dubitasse di lui o
fosse
perplesso su molte sue decisioni, ma alla fine si era sempre rivelato
un uomo
la cui freddezza e indifferenza era soltanto una maschera per poter
trasmettere
l'autorità che lo contraddistingueva.
Il giovane capitano della sesta compagnia fece per richiamare la sua
attenzione, ma Yamamoto lo bloccò cominciando a parlare
distrattamente.
“Nonostante sia passato già un mese,
c’è ancora tanto da fare. La distruzione
è
il segno che rimarrà indelebile nella Soul
Society.”
“Tutta la gotei si sta dando molto da fare per ripristinare
tutto al suo
stato…”
“Una distruzione non solo fisica, ragazzo.” Lo
interruppe guardandolo negli
occhi. “Le conseguenze sono anche nell’anima della
Soul Society e di chi ci
vive. Un qualcosa che è accaduto non solo per colpa di
eventi imprevedibili.”
L’anziano comandante rimase fermo a guardare il panorama per
una manciata di
secondi, poi si avvicino a Byakuya.
“Byakuya Kuchiki. Normalmente non dovrei permettere che il
capitano della
compagnia addetta alla sicurezza della Soul Society abbandoni la sua
postazione, ma non possiamo permetterci di mandare così
tanti shinigami a
discapito del personale. Specie in questo periodo.”
Sospirò, poi proseguì.
“Abbiamo bisogno sia di chi aiuta a ripristinare la
città, che di chi la
difende. Fortunatamente qui abbiamo guerrieri e volontari pronti a
difendere
“Quindi meglio pochi guerrieri e buoni, dico bene?”
dedusse il capitano
Kuchiki. Yamamoto si sorprese dell’affermazione del giovane.
“Mandando te a Karakura permetterò ad almeno
quindici shinigami di tornare qui
e dare manodopera. Dunque è come dici tu.” assunse
improvvisamente un tono più
colloquiale. “Sei d’accordo, capitano Byakuya
Kuchiki?”
“Quello che il comandante Yamamoto ordina.” Byakuya
fece un lieve inchino e si
congedò.
Il comandante sorrise soddisfatto.
‘Sei d’accordo,
capitano
Byakuya Kuchiki?’
Mentre
raggiungeva la caserma
della sua brigata, gli tornarono in mente le parole del comandante
Yamamoto.
Byakuya non si era mai chiesto, nemmeno quella volta, se lui fosse
veramente
d’accordo o meno con le decisioni dei suoi superiori. O con
ciò che gli
imponevano i suoi doveri.
Le regole erano le regole. Andavano rispettate.
Pensava fosse giusto così. Era stato abituato a pensarla
così.
Però, In effetti, il suo rapporto con esse era stato sempre
del tutto
esclusivo.
Per così tanto tempo si era impegnato a rispettarle senza
mai porre alcuna
obbiezione, ma allo stesso tempo a lottarci contro.
Quindi dire quanto tenesse al rispetto di esse era difficile.
Superficialmente molto. Eppure aveva già messo in
discussione quel sistema ai
suoi occhi indiscutibile, un tempo. Per questo, sempre più
spesso, non sapeva
più come comportarsi.
Soprattutto adesso che le cose erano profondamente cambiate alla Soul
Society.
Dove gli eventi accaduti pochi mesi prima gli avevano dimostrato quanto
tutto
il suo mondo fosse così fragile in realtà
…
Cosa aveva veramente la priorità per lui, adesso?
Scosse la testa.
Sapeva che il suo dovere era quello di ristabilire l’ordine e
quindi questo
aveva la priorità assoluta, al momento. Inutile pensare ad
altro.
Le sue risposte sarebbero venute, un giorno.
[…]