Capitolo 32
Potevano essere circa le sei del
pomeriggio quando
Robert vide entrare Barbara nella stanza. Aveva indosso la camicia da
notte e
la vestaglia, i bei capelli sciolti le ricadevano come un manto ad
incorniciarle il viso pallidissimo dove spiccavano gli occhi arrossati
dal
pianto.
Si avvicinò alla culla e
guardò la bambina ancora
immersa in un sonno così profondo da sembrare quasi un
letargo. Sotto lo
sguardo preoccupato del marito, la prese in braccio e andò a
sedersi su una
poltrona. Scoprendosi il seno, provò a farla attaccare, ma
inutilmente. La
piccina neanche si riscosse un po’ al contatto delle labbra
con il capezzolo.
Nel silenzio rotto solo dal ticchettio dell’orologio a
pendolo, rimasero
entrambi muti fino a quando la donna, vista
l’inutilità di ogni tentativo, con
un sospiro si ricoprì e posò di nuovo
delicatamente la figlia nella culla,
rimboccandole la copertina con un gesto di enorme amore.
- Dov’è
Charles? – chiese al marito.
- Ho dato il pomeriggio libero a
quella povera piccina
di Nunzia e lei lo
ha voluto portare con
sé. Andavano in casa di amici di Luigi. Sono delle brave
persone, anch’io li
conosco e poi hanno dei bambini della sua età. Ho pensato
che un po’ di
distrazione non avrebbe fatto male a nessuno dei due. Ho sbagliato?
- No, hai fatto benissimo.
L’ha coperto bene? Fa
freddo ed è già buio.
- Sì, gli ha messo la
mantellina pesante.
- E il cappellino di lana?
È importante, sai, Charles
sta mettendo gli ultimi molari ed un colpo di freddo in questi casi non
è
l’ideale.
Aveva parlato con una voce molto
triste e strana, come
se quelle parole non venissero davvero da lei, ma da
un’estranea la quale
fingeva che tutto fosse normale. Robert ne ebbe una gran pena.
- Mi pare di sì.
Sta’ tranquilla e torna un po’ a riposare
– le sussurrò. Si sentiva struggere dalla
tenerezza ed avrebbe voluto
abbracciarla forte per consolarla. Ma anche così non avrebbe
potuto
rassicurarla e si trattenne.
Barbara si allontanò, ma
verso mezzanotte tornò di
nuovo nella stanza. Vide il marito che aveva la figlioletta in braccio
e quasi
lanciò un grido.
- Robert, cosa è
successo!
- Nulla, nulla, stai tranquilla,
l’ho presa un po’ in
braccio perché in questo modo mi sembrava di tenerla
più calda.
In effetti la minuscola neonata tra
le sue braccia
forti sembrava davvero protetta ed al calduccio. Lui aveva
un’espressione così
dolce e buona sul viso mentre la stringeva con una tenerezza smisurata
che
Barbara si sentì stravolgere dall’emozione.
Non riuscì
più a controllarsi.
- Dovrei essere io a riscaldarla,
non tu! – proruppe -
Ma forse è meglio che sia tu a farlo, io sono stata buona
solo a detestarla in
tutti questi mesi, a sentirla come una cosa estranea che mi cresceva
dentro, a
desiderare che non ci fosse … - dovette interrompersi tanto
era scossa dai
singhiozzi ma poi mormorò, ancora
tra le lacrime – È colpa mia. Non sono stata una
brava madre e me ne
rendo conto solo adesso che la sto
perdendo!
Il giovane posò la bimba
nella culla e le si avvicinò,
questa volta prendendola tra le braccia.
- Smettila, smettila. Non
è vero! – le disse
carezzandole i capelli mentre lei si era abbandonata a piangere con il
viso
posato sulla sua spalla.
- Sì, è vero,
tu neanche l’immagini quanto l’ho
odiata, ma io non la conoscevo ancora… ora vorrei…
-
Non è colpa
tua, semmai la colpa è mia che ti ho messo in questa
situazione e non avrei
dovuto farlo. Era me che odiavi, ed a ragione anche, non lei.
Barbara lo guardò. I
suoi begli occhi
ora erano gonfi e sciupati dalle troppe
lacrime.
- Non dovevo farlo comunque - gli
disse - la mia
creatura era innocente e non c’entrava
affatto con i nostri errori.
- È proprio
perché è innocente che il suo destino non
dipende da noi e dalle nostre colpe.
La giovane stava per replicare
qualcosa, ma la porta
di comunicazione con la stanza di Charles si aprì e questi
apparve sulla
soglia. Le loro voci l’avevano svegliato e già da
troppi giorni con tutta
quella strana confusione in casa, il povero bimbo, sensibile
com’era, si era
sentito sbandato e triste. Ora con i piedini nudi e solo con la
camicina da
notte addosso, piangeva silenziosamente e guardava i genitori con le
labbra
tremanti come ad implorare la loro protezione ed il loro conforto.
Barbara si precipitò da
lui e lo prese in braccio. Solo
allora il piccolo scoppiò in un pianto dirotto.
- Che c’è,
amore, perché fai cosi? – gli chiese
stringendogli forte il capo e baciandogli la guancia bagnata di lacrime.
- Ha paura, cara, e solo tu puoi
calmarlo. Mettilo nel
letto accanto a te e fagli mettere le manine tra i tuoi capelli. Vedrai
che si
addormenterà tranquillo e perlomeno lui sarà
sereno stanotte – le disse il
marito con un sorriso triste e dolcissimo.
- Ma io non posso, io devo stare
con Neve.
- Ci sarò io, la
veglierò tutta la notte e continuerò
a darle la medicina. Vai cara, cerca di dormire un po’ anche
tu, sei ancora
così debole!
- Non posso lasciarti solo, non
stanotte, non con la
mia bambina che potrebbe…
- Ti chiamerò se ci
saranno novità e poi …è mia
figlia, nessuno più di me potrà vegliarla con
amore. Va’ a riposare, sei
distrutta e Charles ha bisogno di te.
Alla fine lei
acconsentì, un po’ per il bambino che le
si stringeva contro tutto tremante, un po’ perché
l’angoscia dell’attesa
l’avrebbe uccisa e si ritirò in camera sua.
Come aveva previsto Robert, dopo un
po’ il bimbo si
addormentò. Barbara lo tenne stretto, traendo conforto da
quel corpicino di cui
percepiva il tepore. Il pensiero però correva sempre
nell’altra stanza, al
padre e alla figlia che lottavano insieme contro la morte. Si pentiva
di aver
ritenuto che un figlio appartenesse solo alla madre, ora certamente non
avrebbe
più potuto crederlo. A tratti un sonno agitato la travolgeva
ed i sogni con
esso. A volte erano incubi, a volte invece vedeva la bambina star bene,
muoversi, strillare. Si sentiva piena di gioia, ma poi la
consapevolezza che si
trattava solo di un sogno la faceva svegliare bruscamente riportandola
alla
realtà.
Durante quella notte terribile, più volte si alzò
dal letto e, silenziosa, si
avvicinò all’ uscio da sotto il quale filtrava la
luce. Accostato l’orecchio
per percepire i suoni nell’altra stanza, udiva
però solo un silenzio innaturale
che le toglieva ogni speranza. Allora se ne tornava a letto, incapace
di
trovare il coraggio di scoprire che tutto era già finito.
Riuscì a resistere solo fino alle prime luci
dell’alba. Stava male, aveva la
testa che le scoppiava ed il cuore che batteva all’impazzata,
ma non poteva più
sottrarsi, doveva sapere. Robert le aveva sì promesso di
venirla a chiamare se
fosse successo qualcosa, ma forse non aveva avuto l’animo di
farlo. Era venuto
il momento di affrontare la pena.
Così come aveva fatto oramai tante volte dalla sera
precedente, si avvicinò
alla porta ma questa volta fu colpita dal suono della voce di lui che
stava
pronunciando versetti scherzosi, di quelli usati con i bambini piccoli
per
farli giocare. In preda ad un'ansia senza fine spalancò
l’ uscio e
l’uomo, sobbalzando, sollevò a guardarla gli
occhi cerchiati dalla stanchezza, ma pieni di felicità.
Teneva in mano un
piedino di Neve sbucato fuori dalle fasce disfatte e stava giocando con
lei che
aveva aperto gli occhietti ed un po’ si lamentava. Ad un
tratto il lamento si
trasformò in un vero pianto di protesta.
- Meno male, ti sei decisa a
venire! – scherzò allora con
un tono allegro che sottolineò ancora di più la
gioia sul suo volto
– Credo che abbia fame. A farla
mangiare però, mi dispiace, ma devi
provvedere tu.
Senza farselo dire ancora, Barbara
si precipitò a
prendere la bambina in
braccio e le
offrì il seno. La neonata si attaccò subito e
cominciò a succhiare, se non
proprio avidamente, almeno con una certa lena. Intanto Robert aveva
accostato
la sedia alla poltrona della moglie e carezzandole le guance con
tenerezza,
cominciò ad asciugarle le lacrime perché lei non
poteva farlo, occupata com’era
a tenere la bimba.
- Vedrai, starà bene la
nostra piccola – le sussurrò
dolcemente - E forse anche noi potremo essere felici.
Lei lo osservò. Gli occhi chiari nella penombra della stanza
gli brillavano di
commozione e le mani che la carezzavano avevano un tepore confortante.
Barbara
non sapeva se davvero sarebbero stati felici in futuro. Di una cosa era
certa, però:
anche se quell’uomo non era davvero il
suo sposo, di sicuro sarebbe stato il compagno fidato con cui
affrontare le
prove della vita.
***************************************************************************************************
Ed
ecco finita la prima parte di questa storia. Presumo che
abbiate consumato intere scatole di Kleenex (a proposito, devo sempre
proporre a
quest’ultima di sponsorizzarmi) ma che tutto sommato
l’abbiate gradita. Come
avete visto, alla fine non solo Neve si è salvata ma anche
sui suoi genitori è
calata una luce di speranza e di gioia. Ho notato che qualcuna di voi
ha
parteggiato per Robert, altre per Barbara e ciò mi fa
piacere perché io non
volevo creare “eroi” o “eroine”
ma personaggi veri nella loro umanità, di
quelli che talvolta ti fanno venire la voglia di prenderli a schiaffi
perché sono
cocciuti e pieni di difetti. I vostri commenti mi hanno detto che ci
sono
riuscita.
Ringrazio
tutte coloro che mi hanno recensita, in particolar
modo la banda delle “fedelissime” a cui va tutta la
mia immensa gratitudine e
le persone che hanno messo questo romanzo tra i seguiti o i preferiti
perché
anche fare ciò è un tacito segno di
apprezzamento. Ma come non ringraziare
ugualmente poi tutte quelle che
hanno avuto il coraggio di sorbirsela tutta pur senza esprimere nessuna
opinione? Non nego però che mi avrebbe fatto piacere
conoscere un parere, anche
sintetico, di
ognuna delle mie lettrici e
questo non per la pretensione di ricevere molte recensioni ma solo per sapere se sono riuscita
nel mio intento di
emozionarvi, intrigarvi, divertirvi.
Dopo
una breve pausa, comincerò a postare anche la seconda parte
di questo mio “romanzo” che, ve lo prometto,
sarà meno drammatica e più varia
nell’intreccio. Che aggiungere? Spero di avervi fatto venire
la voglia di
continuare a leggere di Barbara e di Robert, non solo per vedere come
andrà a
finire il loro amore ma anche per continuare a vivere insieme ad essi
le
romantiche atmosfere di un’epoca ormai lontana e di luoghi
magici quali
dovevano essere le
miniere della Sardegna.
Ma questo potrete dirmelo solo voi.