Il sole era ormai alto nel cielo del mattino; ma nonostante la parvenza di estate, di tanto in tanto una folata di vento più fredda, che scuoteva le foglie dorate sugli alberi, ricordava l’avanzare dell’autunno.
Gli abitanti di Minas Tirith, intenti alle loro faccende quotidiane, si fermavano stupiti nel vedere un viandante avvolto in un grigio mantello, che risaliva lentamente la strada tortuosa che conduce alla Cittadella.
Nella piazza di fronte alla fontana, due giovani si esercitavano con la spada. La somiglianza dei loro volti li indicava senza possibili dubbi come fratelli; sui loro abiti era ricamato lo stemma del Sovrintendente di Gondor. Si muovevano con una disinvoltura e una sicurezza che denotavano un lungo addestramento nell’uso delle armi; la pari abilità di entrambi i contendenti rendeva difficile indovinare l’esito del duello.
Gandalf, entrando dalla Porta della Cittadella, si fermò ad osservare il combattimento con uno sguardo divertito nei suoi occhi grigi. Le spade lucenti risuonavano brevemente l’una contro l’altra, per poi separarsi di nuovo, guidate dalla destrezza delle mani che le impugnavano.
D’improvviso quello che pareva il più giovane dei due saltò agilmente sul bordo in pietra della fontana, e con una mossa fulminea riuscì a penetrare la difesa dell’avversario, puntandogli la spada alla gola. Rise, abbassando il braccio: “Per una volta sono riuscito a coglierti di sorpresa, fratello!”
L’altro, asciugandosi la fronte con la manica della sua tunica di velluto, sorrise. “Non sperare che si ripeta di nuovo! Ed ora scendi di lì, se ne hai il coraggio”. Si interruppe un attimo, notando la presenza di Gandalf. “A quanto pare abbiamo visite, fratellino. Non vai ad accogliere il tuo amico stregone?”
Il giovane si volse, esclamando: “Mithrandir!”, e gli corse incontro, seguito con maggior calma dal fratello. Gandalf sorrise bonariamente: “Faramir, Boromir, sono lieto di rivedervi. Ho avuto notizia del vostro valore di soldati, e di come vostro padre sia orgoglioso di voi”.
Faramir scosse la testa, ridendo. “Boromir è molto più abile di me. Non è vero, mio Capitano?”, disse rivolgendosi scherzosamente al fratello. Quello rispose con un’amichevole pacca sulla spalla, poi si rivolse a Gandalf: “Come mai da queste parti, Mithrandir? Sbaglio, o è la biblioteca della città a condurti ancora una volta fra queste mura?”
“Non sbagli, mio caro Boromir. Ho urgente bisogno di consultare alcuni antichi testi, e la biblioteca di tuo padre è l’unico luogo in cui possa trovarli. Faramir, vorresti darmi una mano nella mia ricerca?”
Boromir rise. “Sono certo che non desidera altro. E immagino che troverà anche il tempo di farsi raccontare una delle sue amate storie elfiche. Non è vero, fratellino?”.
“Tu mi conosci fin troppo bene, Boromir. Mithrandir, posso accompagnarti da mio padre?” Si allontanò insieme allo stregone, mentre Boromir scuoteva la testa, e sembrava divertito.
La sera già sfumava indistinta verso la notte, quando Gandalf lasciò la città di Minas Tirith. Ancora molte peregrinazioni e molte fatiche lo attendevano, prima che il suo compito giungesse a termine. Curiosamente, gli ritornò alla mente una delle canzoni del suo vecchio amico Bilbo, e iniziò a canticchiarla sottovoce:
The Road goes ever on
and on
Down from the door where
it began.
Now far ahead the Road
has gone,
And I must follow, if
I can,
Pursuing it with weary
feet,
Until it joins some
larger way,
Where many paths and
errands meet.
And wither then? I
cannot say.