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Autore: Mue    05/02/2010    2 recensioni
Sono passati anni dalla questione del Magazzino di Disincantamento e Smaltimento Magico di Ilkley Moor, anni che hanno lenito ferite e consolato i cuori.
Ma un rapporto deve ancora essere ricucito.
Può il quadro di uno squattrinato pittore che ritrae una ragazza sfigurata riconciliare due anime?
Spin-off di “Verderame”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Policromia'
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Prima di iniziare a leggere, un paio di avvisi.
Il primo è che questa storia è una spin-off di Verderame, la mia precedente fanfiction e se non l'avete letta, potreste rimanere piuttosto disorientati dalla situazione e da diversi riferimenti all'interno del testo.
Il secondo è che si tratta di una storia totalmente estemporanea perché stavo lavorando a tutt'altro fino a che sono inciampata nell'iniziativa di Carnevale di Fanworld e, come sempre, non ho resistito alla tentazione di partecipare.
Rimando ulteriori commenti al prossimo capitolo.
Ah, e un grazie particolarmente sentito alla mia beta, whateverhappened per essere sempre tanto disponibile con me.
Buona lettura!
Disclaimer: I personaggi e gli elementi creati da J.K. Rowling presenti in questa fanfiction sono suoi e solamente suoi, il resto della storia è tutto una mia invenzione. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
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Capitolo I







Diagon Alley, 6 febbraio

“Sentenza senza precedenti.”
Così la chiamava la Gazzetta del Profeta e i giornalisti di mezzo mondo magico.
Per Marietta Edgecombe, invece, erano solo una manciata di parole senza significato messe in bocca a un qualsiasi esponente del Wizengamot.
«La Nuova Moratoria non è una scorciatoia del Ministero per ridurre drasticamente il lavoro degli Auror, anzi!» ribadiva la voce del qualsiasi esponente in questione, ronzando le parole attraverso la vecchia radio sulla scrivania. «E’ un provvedimento a lungo discusso e ponderato dal Ministro, dal Wizengamot e dai responsabili della sicurezza magica inglese. A seguito di due condanne in tribunale rivelatesi errate in seguito, il Ministro vuole assicurarsi che la giustizia non si trasformi in autocrazia: la Costituzione Magica del 1654 dichiara esplicitamente che il Wizengamot fu creato per garantire la libertà di tutti e il rispetto di ciascuno, ma la condanna di due innocenti quali erano Earnest Kettleback e Clare Rufford ha dimostrato che la linea acquisita…»
Marietta spense la radio, seccata.
Aveva smesso di farsi coinvolgere emotivamente dalla politica del mondo magico molto tempo prima, ma sentir parlare un membro del Wizengamot di Earnest Kettleback e Clare Rufford come degli unici innocenti finiti ad Azkaban negli ultimi tempi la irritava profondamente.
Prese una busta dalla scrivania: era arrivata quella mattina dal Canada e Marietta l’aveva aperta senza nemmeno staccarla dalla zampa del gufo, tanto era impaziente.
Fissò la grafia sottile e spesso sbavata che la ricopriva: Roger Davies non era mai stato un gran calligrafo.
Non siamo stati anche io e te un Earnest Kettleback e una Clare Rufford, Roger?, si chiese silenziosamente. Non abbiamo passato nove mesi rinchiusi laggiù a scrutare il cielo fuori dalle sbarre di quelle fessure che i carcerieri chiamavano finestre?
Certo, dopo la Seconda Guerra Magica non c’erano più i Dissennatori a trasformare Azkaban in un inferno d’incubi e visioni, ma rimaneva comunque una prigione grigia, fredda e spoglia.
E solitaria, aggiunse Marietta, chiudendo gli occhi e ricordando il peso del silenzio. Roger era entrato ed era uscito da quella fortezza inaccessibile con lei, ma per il resto dei nove mesi non l’aveva più visto né sentito.
Duecentosettanta giorni sola con se stessa.
Forse, se prima del processo non si fosse riconciliata con il suo passato, accettando ciò che era stata e sarebbe diventata, non ce l’avrebbe fatta a superare quel lungo lasso di tempo senza impazzire. Ma c’era riuscita. E c’era riuscito anche Roger.
«Marietta!»
Marietta sobbalzò e si voltò di scatto: la vecchia stufa in ghisa nell’angolo del solaio in cui abitava si era messa a borbottare con una voce familiare.
«Oscar?» fece lei, riconoscendo il volto confuso tra le fiamme nello sportello della legna. «Cosa succede?»
Il viso del suo vecchio datore di lavoro fece una smorfia deformata dal fuoco morente. «Detesto parlare attraverso la tua stufa: è veramente stretta. Perché non ti trovi un posto dove vivere che abbia un camino?»
«Lo farò quando anche tu lascerai quella tua enorme cantina piena di umidità e puzza di tintura e ti troverai qualcosa di più salutare» rispose lei, ridacchiando e accoccolandosi di fronte alla stufa.
Oscar sospirò e un tizzone ardente rimbalzò sul pavimento di legno scheggiato. Marietta si affrettò a calpestarlo con un piede prima che appiccasse fuoco a tutta la stanza.
«In realtà temo che il momento in cui lascerò quel posto per qualcosa di meglio sia più vicino di quanto pensassi» disse mestamente il vecchio. «Peccato, perché mi ci ero affezionato.»
Marietta aggrottò la fronte. «Cosa intendi dire?»
Oscar fece un sorrisetto enigmatico e il suo viso già pieno di rughe s’increspò, facendo spiccare i suoi occhi limpidi. «Indovina!»
Marietta rifletté, perplessa. Oscar era un pittore e se un tempo, quando le famiglie Purosangue erano numerose e l’usanza di farsi ritrarre era diffusa, guadagnava parecchio, ora era povero in canna e aveva a malapena i soldi per pagare lei che gli faceva da assistente e tuttofare. Quindi come avrebbe potuto lasciare la cantina dove viveva per un altro posto, se di più economici non ne esistevano?
«E’ morto qualcuno che ti ha lasciato in eredità un appartamento? Dei soldi?» ipotizzò.
«No» fece il vecchio, gongolante. Sembrava divertirsi molto a farla provare a indovinare.
«Hai ricevuto qualche offerta allettante per un quadro?»
Oscar ci pensò un attimo su prima di rispondere. «Non ancora.»
Marietta sospirò. «Oscar, se è un altro dei tuoi voli pindarici di fantasia, non c’è da sperarci troppo perché…»
«Non è un volo pindarico di fantasia! Non mio, almeno» ribatté lui.
Marietta si accigliò. «E di chi, allora?»
«Vieni qui e te lo mostrerò. Non hai ancora letto la Gazzetta del Profeta, stamattina, vero?» chiese lui, eccitato.
Marietta alzò le spalle. «No, mi è bastata la radio. Perché?»
«Vieni e lo saprai» rispose Oscar, ridacchiando come un bambino che ha appena ricevuto in regalo il giocattolo che tanto desiderava. «Veloce!» aggiunse, e sparì, lasciandosi dietro solo informi fiammelle blu morenti.
Marietta sospirò, chiuse lo sportello della stufa e s’infilò il giaccone rattoppato, l’unico che possedesse. L’autorità ministeriale aveva sequestrato i suoi abiti e i suoi effetti personali quando era entrata ad Azkaban e alla sua uscita gliene erano stati restituiti solo la metà. Aveva provato a protestare, ma le era stato risposto che, a causa di un qualche disguido con le targhette numerate, tante delle sue cose erano state assegnate ad altri detenuti e non ci si poteva fare niente. Marietta se n’era andata rassegnata e determinata a non avere mai più a che fare con il Ministero della Magia per tutto il resto della sua vita.
Uscì dalla botola che costituiva l’ingresso al suo solaio, scese le scale della pensione fatiscente in cui abitava, evitò una vecchietta incartapecorita che abitava sotto di lei e che stava salendo in quel momento le scale con una borsa piena di uova di rospo dal cattivo odore e raggiunse l’atrio.
Fuori, lungo una delle vie meno prestigiose e più rintanate di Diagon Alley, il freddo la aggredì come gli artigli di un Avvincino: la nebbia era talmente fitta che persino l’insegna del pub di fronte era solo una macchia di colore poco distinguibile nel grigiore del mattino.
Si avviò sospirando lungo il selciato costellato di piante ed erbacce che affioravano dal terreno: gli addetti alla Manutenzione Cittadina passavano di lì solo una volta all’anno.
Dalla pensione dove abitava al casale in rovina dove si trovava la cantina di Oscar c’erano solo dieci minuti, ma bastarono a far contrarre a Marietta un raffreddore coi fiocchi.
Scese le scale di legno ed entrò nello scantinato starnutendo sonoramente.
«Finalmente! Pensavo non arrivassi più!» la accolse Oscar, impaziente. Quel giorno sembrava ancora più piccolo e curvo del solito, eppure sotto la vecchia redingote color melanzana pareva sprizzare entusiasmo da tutti i pori.
Marietta tirò su con il naso e si sfilò la giacca: là dentro era umido, certo, ma almeno il camino accanto a cui troneggiavano i numerosi cavalletti da lavoro di Oscar impediva alla stanza di assumere temperature polari. E pensare che erano già a febbraio, ma l’inverno non accennava ancora a diminuire la sua morsa sull’isola britannica.
«Che cos’è tutta questa impazienza?» chiese Marietta, perplessa. «Hai vinto alla Lotteria della Gazzetta del Profeta
«Meglio!» dichiarò Oscar. «Leggi!»
E le infilò in mano una copia della Gazzetta del Profeta di quel giorno, mostrandole un trafiletto sotto la sezione “Arte di Parte”, la rubrica sull’arte e la fotografia del giornale.
« “…La nuova mostra sulla storia delle scope…” » cominciò Marietta.
«No, non lì; sotto!» fece Oscar, indicandole la riga esatta.
« “…Un’opera sensazionale, di grande espressività e perizia pittorica; il chiaroscuro e le tinte blu, grigie e rosse utilizzate rivelano un’inventiva fuori dal comune e il soggetto emana dai difetti di superficie una bellezza interiore di rara fattura. Se dovessi fare una stima del valore della Vergine del fuoco, senza dubbio la collocherei tra i duemila e i tremila galeoni…” La Vergine del fuoco? Che cos’è?» chiese Marietta, perplessa.
Oscar fece un sorrisetto strano, la prese per una manica e la trascinò verso una tela coperta da un panno bianco. «Ricordi quando ti chiesi di provare a posare per un ritratto?»
«Sì, fin troppo bene. Non so nemmeno perché insistesti tanto, dato che non potrebbe esserci un soggetto peggiore di me per un quadro» rispose Marietta, sfiorandosi inconsapevolmente la grossa ustione che le apriva sul volto una macchia rossastra. «Non vedo, comunque, cosa c’entri con questo il quadro di cui parla il giornale.»
«C’entra perché il tuo ritratto è quel quadro» rispose Oscar, e scoprì la tela nascosta.
Marietta trattenne il fiato, sconvolta: dalla tela un viso serio dagli occhi grandi e intensi e i lunghi capelli ricci la scrutava con distacco, come se stesse fissando qualcosa di molto lontano. E quel viso era il suo, per quanto l’ustione fosse un po’ meno estesa della realtà.
«Che cosa…?» balbettò, frastornata.
«L’ho finito tre giorni fa e l’ho portato alla galleria di Nocturnal Square, quella dietro alla Gringott: il custode, Jacques, è un mio amico e l’ho convinto a lasciarmi esporlo lì con quello di altri artisti più famosi. Salvador Russian, il critico della Gazzetta del Profeta, l’ha visto e ne è rimasto così colpito che ha deciso di scriverci un articolo e di fargli una foto: guarda, c’è anche sul giornale. Vedi?»
Marietta abbassò lo sguardo sulla pagina e vide i propri occhi ricambiarle lo sguardo da una piccola foto a lato della colonna che non aveva nemmeno notato.
La didascalia, in piccolo, recitava: Vergine del fuoco, di Oscar Hugo. Modella anonima.
«Non ho dato loro il nome della modella, anche se hanno insistito per saperlo. Avrei dovuto?» chiese lui, preoccupato.
Marietta scosse il capo, ancora troppo sopraffatta per poter parlare.
«Tremila galeoni, Marietta» mormorò Oscar, esaltato. «Ti rendi conto di cosa significa?»
Marietta non rispose.
No, non se ne rendeva conto; o, perlomeno, non ci riusciva: un quadro con il suo viso stimato a quella cifra era qualcosa di impossibile da concepire.
Il suo viso, quello stesso viso che per anni aveva nascosto al mondo, che per anni aveva occultato, che aveva stravolto, sprofondandolo di proposito nella fiamma viva del Fuoco Draconiano. Il suo viso che odiava, che temeva, che disprezzava. Il suo viso, che Roger le aveva accarezzato una notte, senza saperne le reali fattezze. E che Ruben Armstrong le aveva curato con tutto l’amore della sua anima silenziosa e introversa.
Vergine del fuoco.
Marietta fissò il suo ritratto, che sedeva nel quadro con aria impassibile, come se ormai niente del mondo la riguardasse. Come se il fuoco che l’aveva toccata da così vicino avesse bruciato ogni tristezza, ogni paura, ogni traccia di rancore o di colpa. Come se l’avesse purificata.
Vergine del fuoco. Un titolo azzeccato.

   
 
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