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Autore: Pichichi    08/02/2010    5 recensioni
La mia ragazza – adoravo chiamarla così – aveva deciso che quella sera, per comprare le scarpe e farmi un regalo, saremmo andate in un paese distante quaranta minuti di viaggio.
-Dai, così passiamo una serata a fare shopping.
Quella voleva essere una proposta allettante?
Be’, avrebbe potuto proporre di meglio.
-Urrà- commentai accendendo il motore.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Se avessi avuto il vizio del fumo, probabilmente quello sarebbe stato il momento perfetto per sfogare la mia rabbia su di una sigaretta.

Purtroppo non fumavo e perciò dovevo sfogarmi in qualche altro modo; c’era stato un periodo in cui, assieme alle parole che buttavo fuori quando mi arrabbiavo, mi era necessario esternare la rabbia anche a livello fisico, accompagnando i gesti alle parole.
Appurato che quel comportamento poco si addiceva ad una ragazza, mi ero sforzata di reprimere la voglia di assalire a pugni il mio interlocutore.
Infine, avevo concluso che mangiare del gelato a novembre mi aiutava a raffreddare gli animi, e rendeva la mia mente più calma e lucida.
Per quello ero seduta ad un tavolino esterno di un bar con una brioche ripiena di gelato in mano, e la stavo aggredendo a morsi.
Non avevo alcun motivo di prendermela con questa, ma se ripensavo alla litigata di prima e a quanto mi irritassero i comportamenti della mia ragazza, non potevo fare a meno di mordere con più foga la brioche, ritraendomi bruscamente l’attimo dopo per via del contatto dei miei denti col gelato.
Stavo proprio massaggiandomi la gengiva dopo un morso particolarmente violento, che mi sentii chiamare.
Alzai lo sguardo e vidi una ragazza più grande sedersi davanti a me e sorridermi.
            -Ciao! Si può sapere che caspita ci fai qui?
            -Mhm, volevo buttare all’aria un pomeriggio nella maniera più stupida possibile, ed eccomi qua- risposi, corrugando la fronte.
            -Dov’è lei?
            -Lei chi?
            -Lei, la tua ragazza!
            -Boh.
            -Che vuol dire boh?
            -Vuol dire che non me ne fo**e un ca**o.
Questa fu l’educata e gentile risposta che diedi alla mia amica, la quale mi guardò con cipiglio divertito, consapevole che il mio linguaggio volgare era dovuto unicamente al fatto che ero arrabbiata.
            -Vediamo, abbiamo te seduta ad un bar da sola, lei che non c’è e tu che ne parli come se non desiderassi altro che la sua morte, e una brioche piena di gelato azzannata. Mhm...- la mia amica mise una mano sotto il mento con finta aria pensosa, poi concluse – direi che avete litigato-
Alzai un sopracciglio, riprendendo a mangiare il gelato, e chiesi:
            -Da cosa l’hai capito?
            -Dalla brioche, ovviamente.
            -Ovviamente, il premio per detective è tuo- commentai, ingoiando l’ennesimo cucchiaio di gelato.
            -E perché avete litigato?- mi domandò, curiosa.
            -Perché mi irrita. È l’essere più superficiale e costruito che conosca, inoltre è ipocrita, falsa e ambigua. La odio con tutto il mio cuore, con tutta la mia mente e con tutta la mia anima- risposi, battendo il pugno sul tavolino, di riflesso.
            -E così avete litigato per questo?
            -Sì.
Lei mi guardò un attimo, poi esalò un respiro seccato e commentò:
            -Ancora? Possibile che ogni santa volta che andate a fare compere assieme finite sempre per scatenare la seconda guerra mondiale?
Restai per un momento senza risposta, poi dissi:
            -Be’ sì, non la posso soffrire.
            -Molto coerente, un giorno amarla e un giorno odiarla a morte.
            -Non ci posso fare niente, non riesco proprio a sopportarla quando fa così. E stavolta ha esagerato.
            -Ah sì?
            -Oh sì. Mi ha ripetuto in continuazione di essere più bella di me, ha ucciso la mia già scarsa autostima e tutto perché non le ho dato il permesso di comprarsi uno stupido paio di scarpe!
La mia amica dapprima seguì le mie ragioni con aria interessata, poi quando terminai alzò un sopracciglio e domandò:
            -E perché non le hai fatto comprare quelle scarpe?
            -Perché costavano troppo.
            -La solita tirchia- commentò lei, sorridendomi.
Scossi la testa, capendo che non mi avrebbe mai dato ragione, e terminai la brioche con gran sollievo dei miei denti.
            -Oh va bene, fa’ pure l’offesa, tanto sei più testarda di un mulo- così dicendo si sporse per darmi un bacio sulla guancia.
            -Ci vediamo domani!
            -Ciao...- risposi, senza tanto entusiasmo.
Terminata la brioche, non mi restava nient’altro su cui sfogare la mia insoddisfazione, così sedendomi più scomposta sulla sedia cominciai a battere le dita sul tavolino, sempre più velocemente finché non arrivai a tirarci sopra un altro pugno.
Infilai le mani nella tasca del cappotto per cercare degli spiccioli, lasciarli sul tavolo e alzarmi, desiderando solo essere a casa.
Così ora ero da sola, al freddo, senza un soldo e per giunta in una città che iniziavo a detestare. Non sapevo dove andare, conoscevo a malapena l’ora e sul cellulare non compariva nessuna sua chiamata.
Mi odiai per questo pensiero, mi odiai per aver desiderato che mi parlasse di nuovo.
Dovevo ricordarmi che avevamo pur sempre litigato, e dovevo convincermi che avevo fatto benissimo ad arrabbiarmi con lei, perché ne avevo tutto il diritto.
Sbuffai fuori una nuvoletta di vapore e, unica soluzione possibile, m’incamminai verso la macchina.
Questa, per fortuna, era lì ad aspettarmi così come l’avevo lasciata, immobile nello spazio buio sotto il palazzo.
            -Alla buon’ora.
La voce sarcastica che arrivò alle mie orecchie non poteva che corrispondere ad una persona.
La mia ragazza era lì ferma, appoggiata al muro e con delle buste ai piedi, che mi guardava a braccia conserte, piuttosto impaziente.
            -Te la potevi dare una mossa.
            -Oh abbassa la cresta, nessuno ha detto che ti accompagno a casa io.
In realtà non pensavo veramente di lasciarla lì a piedi solo perché avevamo litigato, forse ero cinica e strafottente, ma non cattiva.
            -Nessun problema, posso farmi venire a prendere da una mia amica- mi rispose prontamente, cacciando il telefonino fuori dalla tasca.
            -Bugiarda del cavolo, lo sai meglio di me che nessuna delle tue amichette ti verrebbe a prendere qui in questo stupido paese, altrimenti non mi avresti aspettato.
La mia risposta evidentemente aveva colto nel segno, perché lei non replicò nulla  ma si limitò a guardarmi corrucciata.
Mi avvicinai all’auto, in procinto di schiacciare il pulsante e far aprire le portiere, quando notai un’altra busta accanto a quella delle sue scarpe.
Aggrottai le sopracciglia e feci un cenno col capo in quella direzione.
            -Che roba è?
            -Che te ne frega? Roba mia- mi rispose, prendendola in mano.
Lessi di sfuggita sulla busta il nome di un noto negozio, immaginando che lei, testarda, avesse comprato lo stesso il suo giubbino.
Non le sfuggì la brutta occhiata che avevo fatto alla seconda busta, e per qualche motivo imbarazzata la tirò indietro fuori dal mio campo visivo.
            -Ca**o guardi, ti ho detto che è roba mia, pagata con i miei soldi, tranquilla!
Infastidita delle sue insinuazioni, salii in macchina e aspettando che lei facesse altrettanto ribattei:
            -Non avevo alcuna intenzione di fare commenti sul modo in cui spendi i tuoi soldi, tanto per chiarire.
            -Bene, in ogni caso se mai vorrò scrivere un saggio dal titolo “i 100 modi perfetti per non spendere il tuo denaro” chiederò consiglio a te, la massima esperta.
            -Tante grazie per la considerazione.
            -Prego, non c’è di che.
Entrambe imbronciate ci sedemmo sui sedili anteriori, allacciammo le cinture e tenemmo lo sguardo dritto davanti a noi.
Lei per i primi dieci minuti stette in un silenzio offeso, ma non appena superata la prima galleria tornò a parlare.
            -Sarebbe colpa mia poi...- borbottò, e io sbuffai silenziosamente perché ero sicura che stesse per intraprendere una nuova polemica -... se a te importa più del tuo reddito mensile che non di me?-
            -Non è questo il punto.
            -Ah no?
            -No.
            -E allora illuminami, genio.
            -Senti- nuovamente sentii la rabbia crescere veloce in me, e preferii avvertirla fin da subito - ti avviso da adesso: sto guidando, e se mi fai incavolare quando guido non lo so che faccio, okay?-  Quando m’arrabbiavo, come in quel caso, gesticolavo senza accorgermene.
-Quindi se devi dirne una delle tue aspetta che arriviamo a casa, così possiamo litigare per bene senza il rischio di fare incidenti- conclusi.
La mia ragazza si ammutolì per un secondo, poi le sfuggì:
            -A te quando guidi dovrebbero controllare il tasso di rabbia, non di alcool.
Rinunciai a replicare, preferendo concentrarmi su qualche altro pensiero; in questa maniera riuscii ad ignorarla per buona parte del viaggio, quasi dimenticando che eravamo arrabbiate.
Accesi la radio, dirottando la frequenza su una trasmissione sportiva in modo da potermi informare sul risultato della partita che avrei desiderato vedere.
Quando alzai leggermente il volume vidi la mia ragazza voltarsi verso di me, come incuriosita del mio movimento.
Lo speaker della radio annunciò la sconfitta della mia squadra, decantando le lodi dell’avversaria e mostrando tutti i difetti dell’altra. Ascoltai per circa cinque minuti, poi infastidita di tutti quei commenti negativi spensi l’aggeggio.
Lei guardò la mia mano premere il pulsante con stizza, poi incapace di trattenersi ghignò in maniera complice e disse:
            -Questa è la terza volta su tre che perdete.
Dovetti violentare le mie labbra per impedire che si allargassero in un sorriso, ma riuscii ad ignorare il suo commento.
A dir la verità, un po’ mi dispiaceva averla messa da parte a quella maniera, ma non me la sentivo di fare io il primo passo e chiederle scusa.
Maledizione, pensai dentro di me. Ecco, come sempre mi ero fatta corrompere e ora stavo anche pensando di chiederle scusa.
Ebbene, mi imposi di non fare il primo passo, ma di attendere che fosse lei a scusarsi per prima del suo comportamento.
Così arrivammo fino a casa, e lei si comportò come se nulla fosse accaduto fra noi: preparò da mangiare normalmente, non fece obiezioni quando mi misi sdraiata sul divano per vedere un film, non si lamentò come faceva sempre del disordine nella mia parte di camera. Svolgeva tutte le sue mansioni normalmente, solo non ci parlavamo.
Evidentemente anche lei aspettava che fossi io a fare il primo passo.
 
Qualche ora più tardi, mentre me ne stavo sdraiata fra le lenzuola al caldo a leggere un libro, si presentò sulla soglia della camera.
Ci guardammo per un lungo attimo, poi io tornai a leggere e lei raccolse le buste da terra. Con aria noncurante estrasse la scatola di scarpe nuove e ripiegò la plastica, poi salì sul letto facendo dondolare il materasso e mi guardò con aria curiosa.
Era incapace di essere coerente anche quando litigava, difatti sospettavo che stesse solo cercando una scusa per parlarmi di nuovo.
Lei si sdraiò a pancia in giù reggendosi sui gomiti e mi domandò:
            -Che leggi?
Più che compiaciuta della sua domanda posta con un tono tranquillo, sogghignai e risposi:
            -“I 100 modi perfetti per lasciare la tua ragazza”.
La vidi storcere il naso e accigliarsi, poi fece un gran sospiro e si voltò a pancia in su.
Indossava una leggera camicia da notte, di cui non coglievo l’utilità in un periodo dell’anno freddo come novembre.
Lentamente, fingendo di ignorarmi, alzò il tessuto sottile di cui era vestita fino ad oltrepassare il ventre e scoprire il piccolo piercing che si era fatta quella mattina.
Lo sfiorò con un dito, esaminandolo con aria critica.
            -Forse è stata veramente una spesa inutile- esordì ad un tratto – tanto più che la moda delle pance di fuori è passata e nessuno lo noterà-
            -Direi-
Non riuscii a trattenere quel commento, ma non le concessi nemmeno uno sguardo, continuando a guardare il mio libro.
Sapevo che lei in quel momento si stava scervellando su come attirare la mia attenzione, e per questo ero ancora più decisa ad ignorare i suoi tentativi.
Per farsi perdonare stavolta avrebbe dovuto veramente fare uno sforzo in più.
La mia ragazza fece un sospiro e si infilò sotto le coperte, guardandomi a lungo; allora io abbassai il libro per incontrare i suoi occhi e domandai:
            -Sì, hai qualcosa da dirmi?
            -No, nulla- mi rispose subito, quasi forzata.
            -Bene.
Tornai a leggere e potei sentirla sbuffare impercettibilmente, cosa che per poco non mi provocò delle risate poco gentili nei suoi confronti.
            -Senti...- cominciò poi, tormentandosi le mani.
            -Dimmi tutto.
Adoravo prenderla in giro, e così feci.
            -...er... i soldi...-
            -Che soldi?
            -I soldi del piercing. Te li ho messi nel portafoglio.
            -Ah, d’accordo.
Nuovamente ripresi la mia lettura, e per la seconda volta dovetti trattenere la risata che minacciava di uscire dalle mie labbra.
Di proposito chiuse la lampada alla cui luce stavo leggendo e si voltò a pancia in giù, abbracciando il cuscino con le mani.
            -Non dimentichi qualcosa?- le domandai, posando il libro sul comodino e scivolando a mia volta fra le lenzuola.
            -Ti odio. Va’ al diavolo.
            -Almeno lì non dovrò ascoltare i tuoi capricci- risposi stancamente, facendo un sospiro e poggiando la nuca sulle mani.
L’unica cosa buona era che per quella sera ero riuscita a non cedere e restare arrabbiata con lei, prendendomi qualche piccola soddisfazione, ma non sapevo quanto avrei potuto durare.
 
La mattina dopo, quando schiusi leggermente le palpebre, la prima cosa che percepii attraverso i sensi fu la spalla destra indolenzita e il pigiama sudato.
Mi voltai a destra, per incontrare il calore tiepido di un corpo abbracciato al mio; sulle prime, ancora addormentata, non obiettai e anzi ricambiai il suo abbraccio, sfregandomi contro il suo collo.
Poi però ricordai di essere ancora arrabbiata e come se avessi preso la scossa mi staccai, sedendomi sul letto.
Lei, infastidita dal mio brusco movimento, sussultò e aprì gli occhi, guardandomi confusa.
            -Mhm...- gemette, spostandosi i capelli che le cadevano davanti agli occhi – buongiorno –
Oh no, pensai dentro di me, se credeva che fosse così facile ottenere il mio perdono, che bastasse un abbraccio affettuoso e un buongiorno, si sbagliava di grosso.
Non risposi al suo saluto e testarda scesi dal letto, ignorandola.
Sentivo su di me il suo sguardo, sapevo che si stava tormentando per la mia indifferenza, e ne ero estremamente felice. Entrai nel bagno per farmi una doccia con l’acqua fredda, lasciando che questa mi svegliasse bruscamente.
Mentre le goccioline congelate scorrevano su tutto il mio corpo, mi domandai se per caso non fosse un po’ infantile continuare ad ignorare i suoi, pur se deboli, tentativi di rappacificamento.
Non si poteva dire che si fosse sforzata, però a modo suo c’aveva provato.
Per questo una volta uscita dal box doccia, tutta tremante e bagnata fino al midollo, avevo l’intenzione di seppellire l’ascia di guerra.
Tornando in camera da letto la trovai ancora stesa, che si tormentava le mani con aria crucciata, e non appena avvertì la mia presenza alzò lo sguardo.
            -Hai fatto la doccia- disse solo, atona.
            -Sì.
Indossavo solamente la biancheria intima e avevo i capelli bagnati, perciò avevo premura di trovare al più presto un asciugamano.
Notai, poco prima di voltarmi verso lo specchio e pettinarmi le ciocche, che il suo sguardo si era fatto stranamente vacuo.
Poi sentii due braccia che da dietro mi abbracciavano e un mento posarsi sulla mia spalla, indice che lei s’era degnata di fare il primo passo.
Non disse nulla, semplicemente mi guardò attraverso il riflesso e mi diede un bacio sulla guancia.
            -Io non voglio che tu mi ripeta in continuazione che sono bella- disse in un mormorio molto flebile.
            -E allora cosa vuoi?- domandai, smettendo di pettinarmi.
Lei sembrò pensarci su per un po’ di tempo, poi rispose:
            -Da te, niente.
Non potei fare a meno di allargarmi in un sorriso entusiasta, udendo quelle parole; pensai che le avesse pronunciate apposta, poiché il giorno prima l’avevo più volte rimproverata di essere superficiale e approfittatrice.
            -È solo che, insomma... lo so che quello che mi dici sempre quando litighiamo lo dici perché vuoi che corregga tutti quei comportamenti che non ti piacciono. Però... è difficile.
            -Be’, nessuno ha mai detto che fosse facile.
            -Voglio dire che non posso fare a meno di arrabbiarmi, quando mi dici quelle cose. Sai, non ci sono abituata...
            -Sì, lo so che infondo sei una deficiente ingenua e...- lei mi guardò corrucciata, sfidandomi a continuare la sfilza di aggettivi.
            -Ingenua e vanitosa- mi limitai a dire, facendole un bel sorriso.
Non le piaceva affatto che la mettessi di fronte ai suoi difetti, poiché di tutte le persone che conosceva io ero l’unica a rimproverarla e ad arrabbiarmi per questo.
            -Sono stufa di litigare ogni singola volta che usciamo a fare spese- concluse lei, sbadigliando.
            -La soluzione è semplice- feci io, terminando di sfregarmi i capelli con l’asciugamano.
            -Non provare a dire ‘non usciamo più’ perché t’arriva un pugno dritto in faccia- minacciò con un sorriso.
Purtroppo era proprio quello che avevo in mente di dire, ma per non suscitare la sua ira mi limitai a scrollare le spalle.
            -Si potrebbe fare un compromesso- proposi, mettendo su una faccia pensosa.
            -Cioè?
            -Be’, la prossima volta che usciamo io prometto di non arrabbiarmi più e di farti comprare tutto quello che ti pare.
            -Bene, perfetto!
Lei batté le mani e sciolse l’abbraccio che ci teneva legate, per poi ridere quando le rivolsi un’occhiata scettica. Credeva mica che i compromessi si facessero singolarmente?
            -Okay...- si mise un dito sotto il mento, fingendo di pensarci su – io... mi impegnerò a...-
            -A fare cosa?
Io adoravo, assieme alle sue maglie a camiciola, anche le camicie da notte corte che amava indossare per puro vezzo. Erano più di otto ore che non ci scambiavamo una minima carezza e non ci davamo il più piccolo bacio, e non avevo intenzione di restare un altro po’ di tempo senza prendermi ciò che di diritto mi apparteneva.
Per questo, mentre lei rideva e non opponeva resistenza, la presi per i fianchi e la stesi di forza sul materasso.
            -A fare cosa?- ripetei, mentre cercavo freneticamente di imprimerle più baci possibili alla base del collo, riuscendo solamente a farla ridere per il solletico.
            -Io mi impegnerò ad essere meno me stessa- disse infine, lasciando che infilassi le mani sotto la camicia da notte.
Il siparietto stava per concludersi nel modo più ovvio possibile, con una bella rappacificazione, quando lei di scatto si mise a sedere, facendomi sbattere a terra.
            -Oh, ho dimenticato di dirti una cosa!
Avevo male al labbro poiché aveva deciso di alzarsi proprio mentre avevo cacciato la testa sotto la sua veste, e in questa maniera avevo sbattuto la bocca contro il suo ginocchio.
            -Mmm...- trattenni un’imprecazione ma le rivolsi un’occhiataccia, massaggiandomi la parte colpita.
Lei mi tirò a sedere sul letto, si piazzò sopra di me e disse con un sorriso:
            -Ho fatto una cosa per cui sicuramente ti arrabbierai.
            -E sarebbe?
La mia ragazza rise divertita e poi mi indicò col capo la busta che la sera precedente avevo adocchiato con sospetto. Aggrottai le sopracciglia senza capire, così lei la afferrò e la trascinò sul letto.
            -Apri- mi disse.
Sospettosa e con molta cautela infilai una mano al suo interno, per poi cavarne fuori una gonna nera, corta e dalla cintura brillante.
Rimasi per un po’ di tempo senza dire nulla, semplicemente osservandola indecisa fra il ridere e il piangere.
Non potevo credere che avesse comprato per davvero quella gonna che avevo misurato, non mi sembrava una cosa da lei. Lei non era il tipo da regali post-litigata, non era suo solito farsi perdonare con un gesto carino nei miei confronti.
Solitamente, i suoi massimi picchi di gentilezza erano rappresentati da frasi melense che mi rifilava quando era sicura che nessuno di sua conoscenza potesse ascoltarla.
            -Si può sapere cosa hai fatto?- le domandai, non poco scioccata.
            -Ho pensato di aver fatto male, ieri sera, a dirti che stava meglio a me questa- la prese e la ripose nella busta.
            -Era questa la busta che non volevi farmi vedere ieri?- chiesi sogghignando compiaciuta.
Lei non rispose, ma arrossì e fece finta di non aver sentito.
            -Ora che te l’ho comprata mettitela, per favore! Non frega a nessuno della cicatrice che hai sulla gamba!
            -Sì invece.
            -A me non importa, tu mi piaci lo stesso.
Caspita, quella mattina dovevano averle somministrato una dose di gentilezza piuttosto potente, pensai dentro di me, comunque soddisfatta per quelle parole.
            -Cos’è, hai bisogno di soldi?- domandai, alzando un sopracciglio.
            -No! Perché?
            -Perché mi stai facendo la corte come non hai mai fatto e per di più sei tutta gentile e adorabile... insomma, cosa c’è sotto?
Lei incrociò le braccia, guardandomi dritta negli occhi.
            -Ma perché pensi sempre che debba avere un secondo fine?
            -L’esperienza insegna, lo sai.
Invece di arrabbiarsi, come mi sarei aspettata, mi sorrise complice e mormorò piano:
            -Quanti sabati sono che litighiamo?
            -Un bel po’, direi. E altrettante sono le mattine in cui facciamo pace.
            -Mi piace fare pace.
            -Oh, anche a me.
Restammo per un po’ di tempo a guardarci negli occhi con un’espressione che io avrei definito decisamente da idioti, finché lei non alzò lo sguardo su un punto imprecisato del soffitto e buttò lì con fare noncurante:
            -Mhm, mi piacerebbe tanto che tu adesso mi preparassi un bel caffè, con un cornetto caldo appena uscito dal forno, e dentro la marmellata. O forse sarebbe meglio della cioccolata, di prima mattina?
            -Per me, non c’è problema... 
            -Certo però la crema non mi dispiacerebbe nemmeno-
            -...ma non abbiamo ancora fatto pace.
Lei poggiò l’indice contro il mento con aria pensosa, poi leggermente confusa domandò:
            -Non abbiamo fatto pace? Mi pareva di sì.
            -Non esattamente.
Mise su una faccia stupita e aggrottò le sopracciglia.
            -E cos’altro devo fare per farmi perdonare?
            -Eh, non ti viene in mente nulla?
            -No...- fece una faccia quasi dispiaciuta, come delusa della mia mancata indulgenza.
Alzai un sopracciglio e feci un sorriso divertito, sospirando e chiedendomi cosa mai avesse in quella testolina che la distogliesse da quel pensiero.
Eppure non era certo restia a quel tipo di perdono che intendevo, anzi ne era piuttosto entusiasta, di solito.
La guardai negli occhi con espressione invitante per qualche secondo, poi lei arrossì e spalancò gli occhi, capendo ciò che volevo comunicarle.
            -Oh...- disse ad un tratto, arrossendo – ho capito –
Si lasciò docilmente baciare e tirare sul letto, lasciando che almeno conquistassi la mia rivincita per la disastrosa serata precedente.
In seguito tuttavia fui costretta a prepararle la colazione con tanto di cornetto alla marmellata, al cioccolato e alla crema.
E così, eravamo a posto anche per quella settimana.
Almeno, fino al prossimo sabato.
 




Note dell'autrice:

L'ho postato secoli fa il capitolo precedente, e notandolo mi sono imposta di trovare il tempo di pubblicare la fine, così da non avere più il pensiero dell'aggiornamento. Be', che dire, non avevo intenzione di scrivere un romanzo, questo è un racconto e sono felice che l'abbiate trovato divertente.
Mille grazie a chi ha messo la storia nei preferiti, a chi l'ha seguita, a chi avrà la bontà di leggerla anche se è passato mezzo mese dall'ultimo aggiornamento, e a chi l'ha recensita: Emmaps3 ( forse hai una diversa concezione dello shopping, ma in ogni caso c'è sempre l'altra faccia della medaglia, no? E per me è una gran seccatura... Oh sì che hanno fatto pace), Mizar19 ( nonostante B sia la persona più superficiale del mondo, non credo che A sia esente da colpe. Conoscendole bene, direi che B è vanitosa, A è irascibile, tuttavia si prendono), hacky87 (giusto! Anche io ho sempre pensato che lo shopping faccia male. Come puoi leggere hanno fatto pace), the angelus (mi fa piacere che ti abbia divertito, per quanto riguarda i caratteri. si può arrivare ad un compromesso.... grazie per la recensione, mi ha fatto molto piacere).


 
   
 
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