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Autore: _Princess_    08/02/2010    22 recensioni
“Bitte, spring nicht!” la pregò Tom, ridendo, senza nemmeno alzarsi a sua volta.
Norja si voltò, le mani appoggiate alla ringhiera, e sollevò un sopracciglio:
“Come sarebbe a dire ‘Spring nicht’? Fino a due minuti fa volevi buttarmi giù tu!”
Tom finalmente si decise a tirarsi su e la raggiunse. In lontananza riuscivano a vedere la Porta di Brandeburgo, illuminata da potenti riflettori.
“È che mi sono appena reso conto che c’è la terrazza della mia suite, da questa parte.” Le rivelò, indicando il grande balcone che sporgeva un qualche metro sotto di loro. “Se cortesemente tu volessi buttarti dall’altro lato, potresti comodamente sfracellarti sulla terrazza della suite di Georg.”
Una folata di vento scompigliò i capelli di Norja mentre lei sollevava le braccia sopra la testa e si stiracchiava.
“Penso che andrò a buttarmi nel mio letto prima che accada l’irreparabile.” Dichiarò.
“Cioè prima che ci finisca io sfracellato sulla terrazza di Georg?” indovinò Tom.
“Prima che io mi innamori della tua brillante prontezza di spirito.” Rispose lei, e lui non capì se fosse seria o meno.
Probabilmente no.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Life & Troubles of a Guitar Hero' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Vattene
Cerca di dimenticarti di noi due
Riusciremo ad andare avanti
Solo se non ci vedremo più
Vattene
Vattene
I giorni passano
Senza essere qui…

 

***

 

 

“Ci siamo incontrati solo un paio di volte.”

“Siamo diventati amici, tutto qui.”

“Non ho avuto modo di conoscerla molto bene, ma mi è sembrata una bella persona.”

“No, non ci siamo più visti, da quella volta.”

“Purtroppo il mio lavoro mi impedisce di mantenere i contatti con tutta la gente nuova conosco, quindi non penso ci rivedremo.”

Tom aveva perso il conto delle volte che aveva ripetuto quelle frasi, davanti a giornalisti e intervistatori vari. Ormai era passato un anno da quando aveva conosciuto Norja, ed era diverso tempo che l’interesse mediatico verso il loro incontro era scemato, ma all’inizio, subito dopo che si erano separati, né lui né lei avevano avuto tregua, tra domande invadenti, supposizioni e congetture dilaganti, insorgere di fans inacidite dal sospetto che qualcuna potesse rubarsi il loro chitarrista preferito.

Tom aveva tentato di mettere le cose in chiaro, più e più volte, ed era certo che lo avesse fatto anche lei. Qualcuno aveva creduto alla storia del ‘solo amici’, qualcuno no, ma, in ogni caso, senza ulteriori prove che lui e Norja si frequentassero, alla fine il polverone si era diradato, fino a scomparire del tutto. L’unica cosa rimasta del loro incontro erano pochi scatti rubati di loro due che discutevano fuori dal Crimson e un paio di articoli insinuanti.

Nient’altro.

Tutto ciò che Tom sapeva di lei era quello che leggeva sulle riviste, vedeva in TV, sentiva dai pettegolezzi. Lei era stata a Los Angeles, negli ultimi mesi, a seguire le riprese del primo film dedicato ai suoi libri. Lui c’era stato due volte, a Los Angeles, in quel periodo, e, nonostante lo avesse sperato, non la aveva mai incontrata.

L’aveva cercata, però. In ogni ragazza che avesse dei capelli rosso vermiglio, o un abbigliamento poco consueto, o degli occhiali da sole che le nascondessero il viso come lei era solita nasconderselo dietro la sua maschera. Per quanto ci avesse provato, non l’aveva mai trovata. E le altre che aveva conosciuto gli erano più o meno piaciute, ma erano poche e il problema era sempre lo stesso: non c’era tempo per innamorarsi.

Per una aveva addirittura pensato di provare qualcosa, ma poi, come al solito, era arrivato il momento degli addii, e lui si era reso conto che non avrebbe sentito la sua mancanza come aveva voluto credere.

La mancanza di Norja, però, la sentiva ancora.

Era brutto essere di nuovo lì a Berlino, un anno esatto dopo averla incontrata per la prima volta, e dover fare tutto come se lei non fosse mai esistita. Aveva sorriso nel photoshoot che avevano fatto a Schloss Charlottenburg. Aveva sorriso all’intervista per MTV che era seguita. Aveva perfino sorriso alla manciata di fans raccomandate che avevano avuto accesso al set. Non era riuscito a sorridere quando Bill, Gustav e Georg lo avevano guardato con quell’aria compassionevole e nostalgica.

Ora se ne stava lì, seduto dietro a un tavolo all’ultimo piano dell’Europacenter, a firmare autografi su autografi per una fila infinita di fans che si accalcavano davanti a lui come insetti affamati su un brano di carne cruda.

Non aveva nemmeno idea di quanto tempo avesse passato a scarabocchiare quei maledetti poster, ma gli sembrava un’eternità. Probabilmente più tardi gli sarebbe toccata una strigliata per quel malumore che stava ostentando, ma non gli importava. Aveva solo voglia di alzarsi ed andarsene.

“Me la potresti fare una dedica personale?”

Non si degnò nemmeno di sollevare lo sguardo. L’ennesima fan pretenziosa che voleva qualcosa di speciale.

“Nome?” chiese in tono incolore, la punta del pennarello già pronta sul poster.

“Kels.”

Che cazzo di nome è Kels?, si domandò Tom, iniziando a scribacchiare distrattamente: ‘A Kels, Tom’.

“Sta per Kelly.” Lo informò la ragazza, come se gli avesse letto il pensiero.

Tom si gelò sul posto.

Non può essere, pensò, ma la sua testa stava già abbandonando il poster per sollevarsi sulla ragazza che aveva di fronte. Dapprima vide i jeans scuri, poi un maglione grigio piuttosto largo, un cappotto nero, poi una catena argentata, una voluminosa sciarpa rossa, infine un viso pallido. Erano castani i capelli che lo incorniciavano, ma gli occhi che lo illuminavano erano inconfondibilmente, intensamente, dolorosamente neri. E le sue labbra rosse sorridevano.

“Ucraina?”

Tom non riuscì a controllare il volume della propria voce. Molte teste si voltarono incuriosite, anche se di per sé quell’esclamazione aveva ben poco significato, per tutti loro. Bill, Gustav e Georg, invece, guardavano la ragazza a bocca aperta, del tutto dimentichi degli autografi.

“Vedo che non hai perso il senso dell’umorismo, SNF.”

Tom non era proprio sicurissimo di trovarsi in una scena reale. Era un’assurdità: lei non poteva essere lì, adesso, davanti a lui. No, non poteva essere. Lo aveva sperato troppe volte, e non era mai successo. Non poteva essere vero.

“Sei davvero tu!”

Le braccia conserte, Norja sollevò sarcasticamente un sopracciglio.

“Così pare.”

Era lei. Era lei davvero.

“Cosa cazzo ci fai qui?”

Altra alzata di sopracciglio:

“Non è chiaro?”

“No, intendo in mezzo a tutta questa folla!”

“Sono una fan, no?” fece lei con ovvietà. “Faccio la coda come tutti.”

Tom era esterrefatto. Lei, che come se nulla fosse, se ne andava tranquillamente a fare la coda per un autografo… Che senso aveva? Era come se lui si fosse messo in coda per farsi autografare un CD da Bill.

“Tu non dovevi fare nessuna coda, sarebbe bastato avvisarci!”

Lei distese le labbra in un sorriso rigido.

“E come? Telefonavo alla Universal e dicevo ‘Salve, sono un’emerita sconosciuta. Mi potrebbe fissare un appuntamento privato con i Tokio Hotel, per cortesia?’?”

“Tu non sei un’emerita sconosciuta!”

Norja si limitò a sorridere amaramente, scuotendo la testa. Tutt’intorno stava scoppiando il finimondo: la security non sapeva più come tenere a bada la folla di ragazze curiose, e le ragazze stesse erano esplose in un attacco di borbottii più o meno sommessi, cercando di capire cosa stesse succedendo e chi fosse quella sconosciuta con cui Tom stava parlando.

Tom, dal canto suo, era completamente estraneo a tutto ciò.

“Sei qui a Berlino?” domandò ansioso a Norja, quasi temendo che lei potesse smaterializzarglisi davanti da un momento all’altro.

“Solo per poco.”

“Alloggi ancora al –?”

“Tom, la prossima.” Lo esortò sgarbatamente uno dei bodyguard alle sue spalle.

A quel punto, Norja gli sfilò praticamente il poster dalle mani. Tom non ebbe nemmeno la prontezza di sollevare il pennarello dalla carta, così l’immagine fu sfigurata da una lunga riga di indelebile argentato.

“Ci vediamo, Tom.” Lo salutò Norja, come nulla fosse, e gli volse le spalle. Solo che Tom non era dell’idea di lasciar correre un’altra volta.

Col cavolo che mi molli così un’altra volta!

“No! Danimarca, aspetta!”

Saltò in piedi senza riflettere e fece per lanciarsi in avanti e trattenerla, ma le guardie del corpo furono più veloci e lo fermarono appena in tempo.

“Tom, dove credi di andare?”

Lei non si voltò nemmeno a guardarsi indietro, anche se lui era sicuro che lo avesse sentito chiamarla. Impotente, vincolato dalla salda presa dei due uomini, Tom fu costretto a desistere. Era il suo lavoro, dopotutto. Si accasciò quindi sulla sedia, svuotato bruscamente di ogni sensazione. Ci vollero diversi minuti prima che l’ordine all’interno della sala fosse ripristinato, ma alla fine la sessione di autografi riuscì a proseguire.

“Chi era quella?” ebbe il coraggio di domandargli qualche fan particolarmente sfacciata.

Lui non rispose.

Non l’avrebbe perdonata per questo suo scherzo.

No, questa volta non le avrebbe permesso di passarla liscia.

 

***

 

Era una cazzata, lo sapeva.

Erano già passate due ore da quando Norja aveva lasciato l’Europacenter e lasciato Tom con un palmo di naso in balia del proprio destino. Era davvero stupido pensare che lei fosse veramente lì al Ritz e ancora più stupido era illudersi che sarebbe riuscito a ottenere una conversazione decente con lei. Però valeva la pena di tentare.

Pagato il taxi, Tom scese dall’auto, trascinandosi dietro una cosa non di certo sua che però, in un modo o nell’altro, aveva con sé da ormai un anno. Entrò nella hall dell’hotel a passo sicuro, ma con un tale tumulto nascosto dentro che a stento si sentiva in grado di mettere insieme una frase di senso compito. Era nervoso, e arrabbiato, ed era tutta colpa di Norja.

Quando lo vide arrivare, l’uomo che stava al bancone della reception ebbe un fugace attimo di stupore, che mascherò rapidamente con un sorriso cordiale:

“Buonasera.”

“Salve.” Ricambiò Tom, indeciso sul da farsi. Non era riuscito ad elaborare un vero e proprio piano durante il tragitto dall’Europacenter a lì. Tutto quel che sapeva era che voleva trovare Norja.

“Ehm… Forse lei si ricorda di me. Sono Tom Kaulitz, alloggio spesso qui con la mia band. Un anno esatto fa eravamo qui.”

“Né io né il mio personale di pulizie lo abbiamo dimenticato.” Rispose l’uomo, con un bagliore ilare negli occhi.

“Senta, so che le sembrerà strano, ma… La vede questa?” Sollevò la cosa che teneva in mano per fargliela vedere bene. “È la stessa giacca che avevo con me l’anno scorso e dovrei proprio restituirla alla proprietaria.”

L’uomo assunse un’espressione incredula:

“Lei se ne va in giro da un anno con questa giacca e non è ancora riuscito a restituirla?”

“Lo so che può sembrare strano, ma è così.”

Stranamente, diversamente dall’anno prima, questa volta il direttore sembrava disposto a collaborare.

“Il nome della signorina, prego?”

“Kelly.” Rispose Tom, soddisfatto di conoscere finalmente la risposta giusta a quella maledetta domanda. “Kelly Devenpeck.”

L’uomo parve quasi dispiaciuto di sentire quel nome, come se fosse una conferma a un timore che già aveva.

“Mi dispiace, ma la signorina ha liberato la stanza due ore fa.”

Fu come se il mondo, da lucente e colorato e pieno di belle speranze, fosse improvvisamente precipitato nell’oscurità assoluta.

No, no, no, no, cazzo!, imprecò fra sé, già preso dal panico. Vaffanculo, brutta stronza!

“Ha detto di essere Tom Kaulitz?”

“Sì.” Boccheggiò Tom, a malapena conscio di ciò che gli era stato chiesto. Con una faccia seria, l’uomo si voltò verso la mensola dietro di sé e prese qualcosa.

“La signorina Devenpeck ha detto che probabilmente sarebbe passato.”

Tom restò immobile per un momento, letteralmente pietrificato. Non sapeva esattamente come si stesse sentendo, se più ferito, o offeso, o furioso, o deluso.

Tu lo sapevi, sbottò contro Norja. Sapevi che sarei venuto, e te ne sei andata lo stesso.

forse lo sapeva come si sentiva: preso in giro.

“Ha lasciato detto qualcosa?” domandò, la bocca insopportabilmente asciutta.

“Veramente no. Però mi ha pregato di darle questo.” E gli porse una busta bianca.

Perplesso e morbosamente curioso al tempo stesso, Tom, la mano tremante, afferrò il biglietto ripiegato in quattro e lo aprì.

Sei prevedibile, SNF. Spero che tu non ti sia fatto idee strane su stamattina. Volevo solo rivederti, nient’altro. Ammetto che ogni tanto mi manchi, ma il mio lavoro a maglia mi tiene abbastanza sana di mente (astieniti da commenti simpatici, per favore) da non farmi perdere la connessione con la realtà. Per quel che vale, mi dispiace davvero per come mi sono comportata con te, un anno fa. Che tu ci creda o meno, mi è sempre rimasto l’amaro del rimpianto in bocca, da allora. Grazie dell’autografo, a proposito, a te e al resto della banda Disney. Ah, piccola nota cultural-grammaticale: Kels si scrive senza H. Ad ogni modo, statemi bene tutti quanti. Magari ci si rivede, qualche volta.

Tom non seppe cosa lo trattenne dallo scoppiare. Aveva appena scoperto di essere in grado di provare una gamma di emozioni contrastanti infinitamente più vasta di quel che aveva sempre creduto.

“Tutto qui?”

L’occhio destro dell’uomo ebbe un fremito impaziente.

“Signore, questo è un hotel, non un’agenzia di pubbliche relazioni.”

Tom sospirò, chinando la testa impotente.

Sì, sì, ho capito…

“Ho sentito l’uomo che era con lei che parlava di qualche appuntamento ad Amburgo,” gli riferì una donna sulla settantina che sedeva a uno dei tavolini della hall con un caffè in mano, assieme ad un paio di amiche. “Ho avuto l’impressione che dovessero prendere un treno.”

Tom si rianimò in un attimo, ma la situazione non era poi migliorata di molto

Un treno. C’erano un’infinità di stazioni ferroviarie a Berlino. Non sarebbe mai riuscito a trovarla in tempo.

“Cazzo!”

“Non sia volgare, giovanotto!” lo rimproverò un’altra delle signore.

“Non sgridarlo, Gerta!” intervenne la terza. “Non vedi che il ragazzo è innamorato?”

Tom si sentì sbiancare, uno strano ronzio sordo nelle orecchie.

Cos’è che sono?

La donna si voltò verso di lui con un enorme sorriso rugoso.

“Ho sentito che dicevano al tassista di andare a Friedrichstraße, caro!”

Friedrichstraße… Non aveva la minima idea di dove fosse. O forse ce l’aveva ma non riusciva a ricordare. Ma non aveva importanza, avrebbe comunque preso un taxi per arrivarci.

Forse c’era ancora una speranza.

“Grazie!” disse alle signore, stritolandosi il foglio lasciato da Norja tra le dita.

“Però faresti meglio a sbrigarti,” lo avvertì la prima vecchietta. “Sono partiti un’ora fa!”

Merda!

 

***

 

Tom, nella sua scarsa lucidità, non aveva smesso un secondo di ripetere a se stesso che, una volta portata a termine quella pazzia, sarebbe stato consigliabile farsi internare in un ospedale psichiatrico, perché non sapeva bene nemmeno lui cosa diavolo stesse facendo e soprattutto perché.

Prima la corsa in taxi fino alla stazione ferroviaria di Friedrichstraße, poi la lotta contro il tempo per orientarsi in quel dannato labirinto di scale e binari, poi ancora l’individuazione del treno giusto e la corsa per saltarci sopra appena prima che le porte si chiedessero. O meglio, non era proprio sicuro che fosse proprio quello il treno giusto, ma era l’unico che partisse per Amburgo e dunque l’unico su cui avesse senso puntare.

Ovviamente non aveva avuto il tempo di comprare un biglietto, ma quello era l’ultimo dei suoi problemi. Stava risalendo il treno dall’ultima carrozza, perlustranolo palmo a palmo per cercare di individuare un volto noto. Sarebbe stato tutto molto più semplice se Norja avesse avuto ancora quegli assurdi capelli rosso fuoco. La gente non badava a lui, perché per fortuna erano quasi tutti professionisti che si spostavano per lavoro, ma, a giudicare dagli sguardi, qualcuno lo aveva senz’altro riconosciuto.

A metà del terzo vagone, il cellulare gli vibrò in tasca. Tom le recuperò automaticamente e se lo portò all’orecchio.

“Tom, dove cazzo sei?!” strillò la voce isterica di Bill, prima che lui potesse anche solo dire ‘Pronto?’.

“Ah,” Tom continuò ad avanzare attraverso i sedili, scandagliando speranzosamente ogni singolo passeggero. “Non ci crederesti.”

“Mettimi alla prova.”

Tom si leccò le labbra incerto.

“Su un treno per Amburgo.”

“Un cosa per dove?!” sbraitò Bill, dall’altra parte. “Tom, sei mi stai prendendo per il culo, io –”

“Sto cercando Norvegia Nera.” Sospirò Tom, continuando imperterrito a cercare.

“Lilli? Credevo fosse al Ritz.”

“Lo credevo anch’io, ma lo sai com’è fatta quella. Non è mai dove dovrebbe essere.”

“E adesso cosa pensi di fare?” chiese Bill, tutto eccitato.

“Non ne ho idea. Cioè, devo setacciare il treno, suppongo.”

“Come sai che è lì?”

Tom si morse un sorriso tra le labbra.
“È una lunga storia.”

“Oh, Tomi, è così romantico quello che stai facendo!”

“Lo vedrai come sarà romantico appena la trovo!” sbottò Tom, passando alla carrozza successiva. “È stata proprio una stronza a venire alla signing session e poi sparire così! Avrebbe almeno potuto –”

Il sangue di Tom defluì da ogni parte del suo corpo per concentrarsi tutto sul viso. La mano che reggeva il cellulare si abbassò inconsciamente e lo infilò in tasca, senza neanche chiudere la chiamata.

Un paio di occhi neri come il carbone lo fissavano sgranati da dietro ad un paio di occhiali rettangolari.

“Tom?”

Era lì.

Norja era lì, davanti a lui, seduta accanto al finestrino con un grosso libero in mano e la vaporosa sciarpa rossa della signing session avvolta attorno al collo.

“Scozia!”

Solo adesso che la aveva di fronte, Tom si rendeva conto di non aver mai creduto veramente che sarebbe riuscito a trovarla.

Lei sembrava incollata al sedile, il suo viso congelato in un’espressione sconvolta che Tom non sapeva come interpretare.

“Che cosa… Cosa diavolo ci fai tu qui?”

Suo malgrado, Tom le sorrise.
“Inseguo un Bianconiglio dispettoso.”

“Tu sei pazzo!”

“Ti ringrazio per averlo notato.” Tom si avvicinò e si sedette con noncuranza accanto a lei. “Scusa l’invadenza, mi rendo conto che venire a braccarti su un treno in corsa sia una mossa abbastanza estrema e scorretta, ma non mi hai lasciato scelta ed era un anno che aspettavo.”

“Sei pazzo!”

“Certo che sono pazzo. Una persona normale non sarebbe di certo qui, ti pare?”

“Come diavolo hai fatto a trovarmi?”
“Grazie a tre simpatiche vecchiette ficcanaso con un promettente futuro da spie che hanno origliato al Ritz.” Spiegò lui, compiaciuto. “Ti trovo ingrassata.” Aggiunse poi, dandole una rapida squadrata.

Norja, stranamente, non batté ciglio. Era proprio una statua di sale.

“Dov’è Julian?” insisté allora lui.

“A casa, dalla sua famiglia.” Balbettò lei. “Lui è di Berlino.”

“Meno male. Sai, quell’uomo mi irrita.”

Norja non accennava  a sciogliersi di una virgola. Sembrava non aver ancora compreso quello che stava accadendo.

“Il tizio dell’hotel non ti ha dato il mio biglietto?”

“Sì, certo.” Tom le mostrò la pallottola di carta stropicciata.

“E quello che ti ho scritto non era chiaro?
“Chiarissimo.”

“E allora?”

Imperturbabile, Tom distese accuratamente il foglio sulla propria gamba e lo lisciò per bene, poi lo porse a lei.
“Non hai firmato.”

Norja lo prese ma non fece altro che osservarlo e battere le ciglia perplessa.

“Ti spiacerebbe ripetere?”

“Non hai firmato il messaggio.” Spiegò pazientemente lui, indicandole il vuoto bianco alla fine del messaggio. “Tu il mio autografo ce l’hai, e non mi hai nemmeno lasciato il tuo.”

“Tu sei pazzo!” sbuffò ancora una volta lei, ma a Tom non sfuggì la minuscola e fugace arricciatura delle sue labbra scarlatte.

“La vuoi piantare di darmi del pazzo? Fino a due volte va bene, a tre diventa irritante.”

E da semplice arricciatura, la piega delle labbra di Norja divenne un sorriso vero.

“Oh, sta’ zitto!” gli disse con una gomitata.

Tom si concesse di contemplarla per qualche secondo mentre lei faceva lo stesso con il foglio sciupato: era carina, ma non bella in modo vistoso. Sicuramente non era come tutte quelle ragazze celebri con cui Tom era stato visto durante la sua carriera. Tom si sentì strano nel rendersi conto che, vedendola passare per strada, non si sarebbe mai accorto di lei. Se non avesse avuto modo di conoscerla, non si sarebbe mai interessato a una come lei, perché, sì, in fondo era l’aspetto che contava al primo impatto, e a lui le persone troppo stravaganti non erano mai andate giù. Un fratello così era più che sufficiente. Ma poi aveva incontrato lei, e con suo sommo stupore aveva scoperto che c’erano un bel po’ di modi a lui finora sconosciuti in cui una ragazza potesse piacere a un ragazzo, e da lì aveva capito tutto, o forse aveva cominciato a non capire più niente.

“L’ho fatto, sai?”

Norja lo guardò. Era buffa con quegli occhiali.

“Fatto cosa?”

“Ho provato una sedia a dondolo. A Natale, a casa dei miei nonni. È stato esattamente come avevi detto tu.”

“Tu hai provato una sedia a dondolo?” esclamò lei, incredula.

“Sì.” Rispose Tom, orgoglioso.

“E il vaporoso scialle di lana rosa?”

“Quello di mia nonna è verde e non molto vaporoso, ma, sì, ho provato anche quello. Certo, è stato interessante, poi, spiegare a mia madre la situazione, quando è entrata e mi ha trovato così, ma se sono qui vuol dire che ha creduto alla mia arringa in difesa della mia sanità mentale.”

Norja si portò entrambe le mani davanti alla bocca, ma questo non nascose il luccichio nel suo sguardo.

“Oh, mio dio.”

“Allora?” fece Tom, carico di aspettativa.

“Allora cosa?”

“Ma scusa, ti sono venuto a cercare in hotel; dall’hotel ti sono corso dietro fino alla stazione; dalla stazione sono saltato su un treno in partenza senza nemmeno essere sicuro che fosse veramente il tuo… Non sei nemmeno un po’ impressionata?”

Adesso che lo raccontava, gli sembrava ancora più assurdo. Lei, a giudicare dalla sua espressione, la pensava allo stesso modo.

“Non ricordo se ho già detto che sei pazzo…”

“Non fare la noiosa. Dai, sul serio… Non ti ho stupita nemmeno un pochino?”

“Più che stupita sono proprio incredula. Senza parole. Cosa ti è saltato in mente, si può sapere?”

Tom si fissava le mani, seduto scompostamente. Quella era la parte più difficile, per lui: parlare.

“Tu scappi sempre.” Mormorò. “Arrivi, sconvolgi tutto, poi prendi e te ne vai, e mi molli sempre con un palmo di naso. Hai idea di come sia pesante?”

Silenzio. Il visetto tondo di Norja era concentrato sulla carta, sulle parole che lei stessa aveva scritto.

“Com’è stato quest’ultimo anno, per te?” gli chiede a un tratto, atona.

“Come, scusa?”

La sua espressione si incupì leggermente, il suo sorriso si sciolse.

“No, perché, sai… Per me è stato abbastanza critico. Cioè, professionalmente è andato alla grande. Ho finito gli ultimi due libri della saga in sei mesi. Il mio editore stava per mettersi a piangere quando gli ho portato i manoscritti. E poi c’è stata la firma del contratto con la New Line per i film, e di conseguenza i miei impegni sono decuplicati… E a me andava più che bene, perché così non avevo tempo di fermarmi e pensare a un idiota molesto che ho incontrato lo scorso anno sul tetto di un albergo – sai, mi aveva rovinato le scarpe nuove – e a tutte le cavolate che ci eravamo detti. Ma lui…” Si interruppe, mordendosi il labbro, e si voltò verso di lui. “Lui… Mi mancava lo stesso, capisci?” Disse in un sussurro a stento udibile. “Mi mancava così tanto, certe volte, che quando ho scoperto che saremmo stati a Berlino lo stesso giorno, non ho potuto fare a meno di andare da lui. Solo per vedere come stava. Solo che poi…”

Tom deglutì il vuoto.
“Poi?”

Le dita sottili di Norja ebbero un lieve fremito, distese al di sopra del foglio che teneva appoggiato in grembo.
“Mentre lui mi firmava uno stupido poster, era come se la mia fredda razionalità cercasse di strappare i miei piedi da lì e trascinarmi via il più rapidamente possibile, mentre qualcosa giù nel profondo insisteva ad urlare ‘Lasciami qui! Non ho finito! Voglio restare!’… Ed è stato esattamente come un anno fa.”

“Un anno fa non vedevi l’ora che io me ne andassi.”

“No. Ti ho cacciato via, è diverso.”

Tom sbuffò, irritato.

“Diverso?”

No, non c’era niente di diverso. Un bel niente.

Norja, però, aveva un’aria mortalmente dispiaciuta.

“Tom, avevo quelli della New Line che mi aspettavano, dovevamo concordare gli ultimi dettagli di un contratto che mi avrebbe cambiato la vita, e l’ultima cosa di cui avevo bisogno era avere te lì nei paraggi a mandarmi in pappa il cervello!”

Il cervello di Tom, per quanto frastornato, impiegò relativamente poco a fare due più due ed elaborare i fatti sotto un punto di vista un bel po’ diverso dalla sua prima percezione.

“Avresti semplicemente potuto dirmelo.”

“Lo avrei fatto, se tu non mi avessi baciata a tradimento!”

Tom si era preparato a ribattere, ma questo era un colpo invincibile.

“Uffa, trovi sempre il modo di dare la colpa a me!”

“E vorrei ben vedere!”

“E non è cambiato niente in quest’anno in cui ci siamo persi di vista?” le chiese, incrociando mentalmente le dita.

“Dipende da quello che intendi.”

Tom sollevò le spalle.

“Sai, speravo che noi…”

“Non c’è mai stato nessun noi.”

“Ok, ma speravo che potesse esserci.”

“La vedo molto futuribile come cosa, ora che i miei libri diventeranno dei film e dovrò presenziare a prime, presentazioni e chissà che altro.” Berciò lei, acida. Acida, come sempre era stata. Come piaceva a lui.
“Non ti piacerebbe portarci quel gran pezzo di Tom SNF Kaulitz a tutte queste cose?” le suggerì languidamente, chino sul suo orecchio.

Norja, rabbrividendo, lo occhieggiò come se fosse stato un marziano:

“Eh?”

“Ho detto: non – ti – piacerebbe –”

“Ho sentito quello che hai detto!” chiarì lei, stizzita.

Tom iniziava ad acquisire fiducia. La sentiva ammorbidirsi lentamente ogni secondo che passava. Doveva solo giocare bene le sue carte.

“Dai, Irlanda, ce la diamo una possibilità?”

“Una possibilità?”

“Sì, insomma… Tu ti potresti benissimo presentare come Norja Schwartz e mantenere il tuo prezioso anonimato. Probabilmente innescheremmo una bomba mediatica di quelle epocali, ma… Potremmo anche provare a vedere come si incastrano le nostre vite, no?”

“Le nostre vite?”

“Hai finito di fare il pappagallo con quella faccia da pesce lesso?” fece Tom, spazientito. “Sto parlando seriamente.”

“Non ho capito l’avverbio, scusa.”

“Senti, io il mio impegno ce l’ho messo! Se non te ne frega niente, basta dirlo, me ne torno da dove sono venuto!”
“Non puoi tornare da dove sei venuto, siamo su un treno diretto.”

“Intendevo in senso figurato.”

“Tom, io…” La tentazione si rifletteva in ogni gesto di Norja, in ogni sua sillaba. “Io non posso. Passerei ogni giorno a chiedermi cose idiote come ‘Ma perché diavolo ha voluto me?’…”

“Perché mi fai ridere.”

“O ‘Come faccio a sapere che me lo merito?’…”

“Eri già cotta di me quando ero piccolo e sfigato.”

“Oppure ‘Quand’è che aprirà gli occhi e si accorgerà che può pretendere di più?...”

“Mai.”

Norja si portò una mano alla fronte con un sospiro disperato.

“Oh, Tom…”

Lui odiò quel tono: era il tono di chi sapeva esattamente cosa voleva ma insisteva a negarselo. Era il tono di qualcuno che non voleva scegliere. E lui ne aveva abbastanza.

“Norvegia, mi hai rotto, va bene?” tuonò, balzando in piedi. Era deluso, ma molto più in profondità di quanto non gli fosse mai capitato. “Sei patetica, tu e le tue paranoie da ragazzina complessata! Che palle! Posso avere il diritto di prendermi una sbandata per una tizia a caso che incontro sul tetto di un hotel? Posso avere la presunzione di sperare che lei possa contraccambiarmi, per una volta che mi interessa davvero? E, se non è troppo, ti spiacerebbe lasciar decidere a me cosa voglio, merito, eccetera? Ok, non sei bella come me, né ricca e famosa come me, e non sei nemmeno intelligente come me… Ma sono un tipo accomodante, sai? Qualche volta mi so accontentare, cosa credi?”

Gli altri tre passeggeri che condividevano il vagone con loro stavano seguendo la scena con una certa curiosità. Se non altro, si rallegrò Tom, probabilmente non capivano granché di quello che lui e Norja si stavano dicendo.

E lei, ancora affondata nel suo sedile, guardava in su verso di lui. Tom credette ce lo avrebbe aggredito da un momento all’altro. Quando Norja si levò in piedi minacciosa, infatti, arretrò istintivamente di un passo. Lei lo fronteggiò, scura in volto, e lui aspettava uno schiaffo, uno spintone, qualcosa di violento e liberatorio, ma tutto ciò che arrivò fu una strana risata simile a un singhiozzo.

“Quanto sei scemo.”

Tom non mosse un muscolo. Aveva paura che qualunque suo gesto avrebbe potuto infrangere quel delicatissimo filo di connessione che si era creato fra loro. L’istinto lo spingeva verso il contatto fisico, ma non fece niente, se non sforzarsi di apparire calmo e padrone dì sé:

“Allora? Vuoi che me ne vada o che resti?”

Norja scuoteva debolmente la testa fissandosi i piedi, e Tom aveva il terrore di sapere già cosa questo significasse.

“La mia testa mi sta supplicando di dire ‘Vattene’.” La udì mormorare. Eppure…

“Ma…?”

C’era un ‘Ma’ che lei aveva taciuto. C’era. Ci doveva essere. Tom lo sentiva.

“Ma…” Norja alzò lo sguardo. Era così bassa, rispetto a lui, che si ritrovò a fissargli il petto. “Porti ancora questa orribile maglietta?”

A Tom venne da ridere. Per tutta risposta, la costrinse a sollevare ulteriormente il viso, finché non fu in grado di guardarla negli occhi. E allora le sorrise.

“E tu porti ancora questo orribile rossetto?”

Lei strinse automaticamente le labbra tra loro.

“Starebbe male con qualunque tua maglietta.” Rispose tentennante. “Così vado sul sicuro.”

“Posso sempre togliermi la maglietta.” Replicò lui, scrollando le spalle.

“Bell’idea, a metà febbraio, in luogo pubblico.”

“Allora potresti toglierti tu il rossetto.”

Un semplice passo bastò ad avvicinarlo a lei quel tanto da permettergli di intrappolarla tra lui e il lato del sedile. Tom si perse nei suoi occhi. Per qualche motivo, aveva sempre pensato che gli occhi chiari – azzurri, verdi, grigi – fossero i più affascinanti, ma questo era stato prima che scoprisse quanto potessero essere belli e profondi degli occhi così straordinariamente neri.

“E se le mie labbra avessero freddo, senza?” azzardò Norja, la voce malferma, mentre lui le sfiorava la vita con le mani.

“A questo proposito,” le rispose, accostando le labbra alle sue con esasperante lentezza. “Ci sarebbe un’idea che vorrei illustrarti.”

E quando si chinò e Norja non si ritrasse, capì che l’idea – assieme a tutto il resto – era stata approvata.

 

***

 

Resta.

 

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Note: ebbene sì, è finita! ^^ Ringrazio di cuore tutti voi per aver letto e commentato questa storia, e avermi accompagnata lungo tutta la sua (lunghissssssima! XD) pubblicazione. Spero che anche per quest’ultimo capitolo vogliate lasciami due parole di impressioni e giudizi. ;)

Sto scrivendo una oneshot, al momento, e penso che la posterò a breve, quindi occhi aperti, mi raccomando! ;)

Alla prossima!

P.S. la canzone citata è la bellissima Geh, von Tokio Hotel.

   
 
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