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Autore: Lux lucis    10/02/2010    3 recensioni
Da sempre il diavolo è solo. assolutamente e irremediabilmente solo. Eppure, le cose potrebbero cambiare. Può il male avere una speranza di redenzione? antefatto di un, spero, futuro libro A.D. 2025
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premetto che sono cristiana e quindi credo nell’esistenza sia di angeli che di diavoli.

Questa shot è semplicemente un esperimento, il tentativo di dare un antefatto al secondo filone del mio libro (work in progress) e parte da un fatto accertato, la visione di Leone XIII del 25.04.1884 citata in libri come “Racconti di un esorcista” di Gabriele Amorth e “I misteri di Karol Wojtyla” di Antonio Socci. Da lì in poi, è esclusivamente frutto della mia immaginazione.

 

La visione di Satana e S. Michele è personale e Sara appartiene a me.

Buona lettura

 

 

 

 

 

TI ASPETTERÒ

 

 

“Ci sono persone che, quando le incontri, ti illuminano la vita per sempre”

                                                                                                             Giovanni XXIII

 

“… quelle persone capaci di scaldare il cuore di chi sta loro intorno”

                                                                                                                             Anonimo

 

Il 25 marzo 1884, il successore di Pietro, Leone XIII, durante la celebrazione della messa di ringraziamento, ebbe modo di ascoltare una conversazione decisamente particolare.

Si svolgeva tra il Figlio di Dio e l’avversario dello stesso; tra Cristo e Satana.

Tra la voce dolce del Cristo e quella traboccante d’arroganza del demonio.

“Se solo avessi il tempo e il potere per metterla alla prova, riuscirei a spazzare via la tua Chiesa!”

Ero sicuro di quel che dicevo: mai come allora avevo avuto a disposizione mezzi di ogni genere per corrompere l’umanità. I potenti erano già contro la Chiesa: dovevo limitarmi a dare la spinta finale per togliermi di torno quegli stramaledetti preti.

Però … non potevo agire liberamente, non fino a quel punto.

“Avrai il tempo che chiedi. Da ora al XXI secolo; circa cento anni. Sufficienti  direi”.

Eh? Diceva sul serio? Inaudito. Mi concedeva, quanto odiavo dover dipenderne così, del tempo per tentare di distruggere i suoi?

Benissimo, non chiedevo di meglio.

Almeno una battaglia importante avevo la possibilità di vincerla.

“Perfetto. Quand’è così, non ho più nulla da fare qui”.

“Non ho finito”.

Me ne stavo già andando e tornai indietro seccato. D’altra parte, se Lui comandava, io dovevo ancora obbedire.

“Che c’è ancora?! Altro che il tuo Vicario dovrebbe ascoltare?”

Mi ero accorto fin dall’inizio che aveva permesso al suo Papa di assistere al dialogo e la cosa mi seccava enormemente. Potevo attaccare la Chiesa ma il suo pastore ne era al corrente; sicuramente non sarebbe stato con le mani in mano.

“Ciò che lo riguardava è terminato. Nessun altro assisterà alla visione, perché non li riguarda”.

“ E a chi interessa allora?”

“Te”.

Va bene, se voleva lasciarmi senza parole c’era riuscito. La domanda era un’altra: perché mai?

Tutta la mia intelligenza e bastava una sillaba a non farmi capire più niente. Più lo guardavo, più risplendeva; più dovevo abbassare lo sguardo abbagliato. Più mi piegava e più l’odio cresceva … così tanto da non poter mai essere quantificato. Al pensare che una luce simile l’emettevo io … oltre alla rabbia veniva a galla qualcosa di pericolosamente simile al rimorso per troppe cose perse.

“Vuoi vederla?”

Insopportabile, veramente. Secondo Lui?! Certo che sì! Ovviamente, non avrei mai permesso di mostrarmi troppo interessato … anche se probabilmente sapeva da sé.

“Già che ci sono …”

 Che bugia pietosa … decisamente, non era giornata.  

“Allora guarda”.

“Che diamine …”

 

Mi zittii. Dove prima vedevo la Cappella Sistina (postaccio!) ora c’era la camera di una bambina, a occhio, piuttosto piccola. Eccola lì. Sui quattro anni, i capelli già piuttosto lunghi di un colore piacevole, una sorta di castano rossastro; i tipici occhioni dei marmocchi umani, incredibilmente profondi. Giocava con dei peluche  su una distesa di cuscini. Squillo d’allarme; io stavo sempre in mezzo ai cuscini. Strana coincidenza. E le coincidenze non esistono.

Non ho idea del perché, ma non riuscivo a scollarle lo sguardo di dosso.

E la cosa non mi piaceva assolutamente. Io gli umani li ho sempre detestati, sempre. Da prima che fossero creati. Questo batuffolo non doveva essere diverso.

Mentre ci pensavo, neanche mi accorsi che il “batuffolo” mi fissava con insistenza.

“Ciao”.

Ero visibile?!

“Chi sei?”

Ero visibile.

Mi voltai e Lo guardai malissimo. “Questo si chiama colpo basso” sibilai.

“Non essere assurdo. Rispondi, è educazione”.  E sembrava pure che divertirsi!

Quell’insulso affarino continuava a guardarmi; poi, d’un tratto, s’illuminò.

“Beelleee! Posso toccarne una, per favore?”

Oh, no.

No, no, no; ti prego no.

E invece sì: pure le ali si vedevano.

Mi accucciai per essere all’incirca alla sua altezza. Visto che le mostravo un po’ d’attenzione (non poteva sapere quanto fossi frastornato) si mise seduta tutta impettita e prese fiato.

“Ri-ciao. Io sono Sara. Tu chi sei?”

Sara.

Principessa, in ebraico.

La moglie di Abramo.

“Dopo questa, non ricorderai nessun’altra con quel nome”

“Ciao Sara. Sai cosa vuol dire il tuo nome?”

Che diamine stavo facendo?! Chiacchieravo con una bambina umana? E la trattavo pure bene?

Che qualcuno mi tirasse un pugno. Stavo davvero male.

“No. Tu sì?”

Annuii. “Principessa”.

Occhioni sempre più grandi in risposta “Davvero? Bello! Mi piace!” poi tornò all’attacco “E tu ce l’hai un nome?”. Che potevo fare? Solo sperare che, così piccola, non sapesse nulla di me.

Non mi andava di spaventarla. Strano …

“Davvero?”

“Silenzio”

“Più d’uno. Almeno tre”.

“Quali?”

“Hehel, Lucifero e Satana”.

Era perplessa. “Che nomi strani … l’ultimo mi fa paura. Posso chiamarti solo Lu?”

Senza parole. Annuii ancora, troppo sconvolto per parlare.

“Senti, mamma dice che gli angeli hanno le ali bianche. Perché le tue sono nere e grigie?”

Brutta domanda, questa.

“Perché non sono più un angelo”.

Tentò un paio di volte di salirmi in braccio e alla terza ci riuscì. Accoccolata tra le mie braccia mi guardò “E cosa sei?”.

Il momento della verità.

“Il diavolo”.

Tremò appena, poi mi tirò i capelli “Bugia. Il diavolo è brutto e cattivo, odia le persone e fa male a tutti. Tu sei gentile e non sei neanche brutto. Solo un po’ strano. Chi sei, davvero?”.

Perfetto, dico solo la verità e neanche mi credono. Poi, gentile, io?! Ma quando mai?

“Davvero, il diavolo” stavolta si limitò a fissarmi “Davvero, davvero?” “Sì”.

Sembrava che non avesse ancora deciso se avere paura o no.

“Se sei il diavolo hai sempre un sacco di cose da fare, cosa fai qui?”

“Non ne ho la minima idea; non l’ho deciso io di essere qua”.

 A questo punto fece l’unica cosa che mai avevo e avrei visto fare a un essere umano.

Mi abbracciò.

La prima reazione fu di irrigidirmi,  ma non durò a lungo.

“Sei tanto freddo, lo sai? Però le piume sono morbidissime” era contenta e non aveva neanche un briciolo di paura.

“Sara?”

“Sì?” si era rimessa seduta.

“Perché non hai paura?”

“Ho il mio angelo custode e Gesù” Custode che mi fissava in modo assolutamente ostile e annuì decisa mentre le restituivo l’occhiataccia “quindi, perché dovrei?”.

Argomentazione ineccepibile.

Acuta per avere solo quattro anni. Ma totalmente assurda.

“E tu perché sei cattivo se non sei nato così?”. Errore, pensai, io non sono nato; sono stato creato. C’è una bella differenza. Balenarono alcuni ricordi di prima della Caduta ma li scacciai rapidamente. Non c’era bisogno d’infierire ancora.

L’autolesionismo lasciamolo agli umani.

“Sei ancora piccola. Non capiresti molte cose” e l’ultima che volevo era ricordare.

Mi sorrise “Va bene. Però guarda che quando sono più grande me lo devi spiegare”.

Impossibile; voleva starmi tra i piedi anche in futuro. Ma, in fondo, perché no?

“Affare fatto. Solo quando avrai diciotto anni e sarai adulta,  però”. Un’anima come la sua, una volta cresciuta, mai e poi mai avrebbe fatto un’evocazione perciò avrei dovuto cercarla io.

La sua anima pura non si sarebbe macchiata con un simile veleno.

 

Qualcosa stava cambiando. Le pareti della camera, per esempio. Si dissolvevano, trasformandosi in quelle affrescate della Sistina. No, pensai angosciato, non così presto.

“Che stai facendo, maledizione?!”

“Una visione non può durare per molto”.

“È troppo presto!” anch’io cominciavo a sparire.

“No, è il momento giusto”.

“Non voglio! Ti è di troppo disturbo evitare di tormentarmi?!” lui non rispose più e io l’avevo appena sparata grossa: non era certo lui a tormentarmi, avevo fatto tutto da solo. Però ero furioso lo stesso. La bambina si era accorta che stavo andando via.

“Aspetta! Non andare via …” la voce si perdeva. Tese la mano per acciuffarmi almeno una piuma, gliela diedi prima di sparire definitivamente. Piangeva.

Un battito di cuore umano ed era di nuovo il 25 marzo 1884.

M’infuriai.

“Perché?! Maledizione, che bisogno c’era?!”

“T’ho già detto che era solo una visione . Per quanto piacevole, non poteva durare molto”.

“Stavo bene per la prima volta da quattro miliardi di anni, dannazione!”

“Non era il momento! Devi sempre ribattere? Non puoi fidarti, per una volta? ” mi morsi la lingua; se fosse stato solo un umano sarebbe stato decisamente arrabbiato. Poi si rabbonì “Lei non è ancora nata e tu non sei ancora disposto a permettere a qualcuno di sciogliere il ghiaccio, non sei pronto”.

“Non lo sarò mai per quello”.

Rise “Vedremo”.

Che nervi…

“Abbi pazienza”.

“La pazienza non abbonda a casa mia” replicai più seccato che furioso.

“Strano, pensavo che fosse una qualità innata nei predatori” ribatté imperturbabile lasciandomi perplesso. Stava forse facendo del sarcasmo? Quella era una mia “dote”, non sua.

Sentii la presenza di Astaroth, seppur distante “Mio signore? Potete venir via? Avremmo alcune questioni da sottoporvi” era nervoso e spaventato,  “Aspetta. Tieniti a distanza, non dovrei metterci molto”.

“Posso andarmene adesso? Devo distruggere la tua Chiesa … e cent’anni passano in fretta”.

“Va’ pure. Ho solo un’ultima cosa da dirti”. Sempre gentile, sempre disposto a rapportarsi con le sue creature, per quanto deviate. Disposto a dare la vita (quella di Dio!) per dei deboli mortali indegni di un simile amore, così facili da corrompere. Umani considerati e resi più importanti di creature perfette e spirituali come gli angeli, resi figli e non semplici creature. L’argomento migliore per farmi infuriare.

“Ossia?”

“Arriverà”.

Mi bloccai. Possibile che potessi veramente riavere la pace? E che a darmela fosse un umano?

A sentir lui, sì. E Lui, diversamente da me, non mentiva mai.

Cominciai ad andarmene, sentendo l’evidente sollievo del mio Generale.

Qualcosa però non andava, non mi sentivo a posto; come se dovessi aggiungere altro.

Mi venne in mente e mi feci precedere da lui nel ritorno all’inferno.

I diavoli possono vergognarsi? Sì, indubbiamente. Sono stupidi? Altrettanto sicuro, o almeno, lo ero io. Altrimenti non avrei mai fatto quello che feci.

“Grazie”

Poi, scappai. Un comportamento ridicolo, ma non avrei potuto fare altro.

 

 

Non tornai all’inferno. Andai piuttosto in un luogo abbastanza sperduto, nell’America del Nord. All’epoca era deserto, sconosciuto. Nessuno sentiva la necessità di recarsi in luogo così isolato per ammirare il cielo stellato dall’alto di un impressionante ponte naturale roccioso, tanto alto da farti sentire di nuovo parte di quel cielo, che ancora non mi era precluso. Erano infinite e splendevano imperturbabili, stupende. Vidi Venere, la “stella” a cui gli antichi avevano inconsciamente dato il mio nome. Meritava il titolo di portatrice di luce.

Sorrisi ironicamente. Avevo fatto un ottimo lavoro col genere umano. Alcuni di loro, studiando la meraviglia che contemplavo, avrebbero continuato a sostenere l’inesistenza di Dio e del sottoscritto.

Idioti. Le stelle più di altro erano la prova fisica della Sua esistenza. Nulla meno della perfezione avrebbe potuto creare uno spettacolo simile …

Mentre mi godevo la lontananza dall’inferno in un luogo che rifletteva pur minimamente la mia casa, mi accorsi che nell’aria aleggiava una melodia sommessa, malinconica e incredibilmente familiare.

Era la mia voce.

Dopo quasi quattro miliardi di anni di silenzio, cantavo.

Nulla in confronto a quand’ero la luce, ma abbastanza sublime da incantare ancora.      

 

Un'altra voce, perfettamente sincronizzata alla mia.

Michele.

C’era sempre stato un rapporto privilegiato, prima che iniziassimo a combatterci e, a quanto pareva,  sopravviveva ancora. Anche la sua canzone era triste. Sapeva di perdita, di sofferenza.  

Avrei anche potuto aggredirlo ma accantonai l’ipotesi. Non volevo combattere. E che se la ghignassero pure lassù, me ne infischiavo altamente.

La musica di Michele vibrò, diventando una risata soffocata “Non hai fatto niente da meritarsi ghigni” “Ti ho mai detto quanto odio che ascolti i miei pensieri privati?” ride di nuovo “Ma quale privato … a me pareva un messaggio lampeggiante”. Alzandomi, mi volto a guardarlo in quegli occhi così maledettamente azzurri, i capelli bianchi come i miei una volta, più corti e scompigliati “Cosa sei venuto a fare qui?” “Esattamente quello che sei venuto a fare tu. Pensare”. Lo fulmino, non me la conta tutta giusta “A che?”. Si avvicina e si siede di fianco a dov’ero prima, dandomi le spalle. Non si aspetta un attacco, si fida “Sei uno stupido” lo apostrofo, “mai fidarsi di me. È un lusso che non ti puoi più concedere, fratellino”. Sento che sorride “Chi dice stupido è stupido … e se avessi voluto attaccarmi l’avresti fatto appena ti sei accorto di me, fratellone”. Calca l’ultima parola. “Ho sempre sostenuto che i piccoli vengono viziati troppo” “A volte sono costretti a crescere di colpo, se i maggiori vengono a mancare” ribatte imperturbabile.

Continuiamo per ore senza accorgerci neanche che si avvicina l’alba.

Quando il cielo schiarisce, l’unica stella che ancora risplende tenace è Venere.

Siamo in due a fissarla, in un silenzio pieno di pace.

Mi alzo “E’ rilassante bisticciare con te. Ma ora ho da fare, devo distruggere quei preti cocciuti”

Mi imita “Ha parlato la creatura più testarda del creato. Io ti contrasterò in tutti i modi, tanto per cambiare. Potrebbe essere più originale la questione …” ghigno “Vuoi provare a darmi il cambio? Magari le ali nere non ti stanno poi così male …” “Oppure tu potresti tornare a usare i neuroni e tornare a casa con gli altri … ma fintanto che sei solo, mi sa che chiedo la Luna”.     

A questo non ribatto subito “Nutrite troppe speranze in quel batuffolo”.

Sorride sotto i baffi “No, non credo. Il Signore non si sbaglia mai”.

 

Spiega le ali  candide come le mie sono oscure e si alza in volo, per così dire, continuando a guardarmi.

“Ci vediamo, Hehel. Cent’anni sono brevi … non farci trafficare troppo!”

Sospira e scuote la testa, svanendo “La Speranza non muore mai!”

 

È ora che anch’io torni.

Rivedo il viso della bambina e mi imprimo a fuoco le Sue parole: Arriverà

Benissimo, vieni pure Sara.

 

Ti aspetterò.

 

  
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