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Autore: EffyBk    13/02/2010    1 recensioni
Che stupida, davvero credevo che un giorno lui mi avrebbe trovata? La testa mi diceva di non crederci, ma in fondo al cuore ci speravo. Vivere in un’illusione o morire davanti alla realtà? Questo era il mio dilemma.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: questa FF è completamente inventata. L'ho scritta un po' di tempo fa e non mi piace molto, però ho deciso di pubblicarla lo stesso. Il titolo è una citazione da una puntata (non ricordo quale) di Gossip Girl.


A volte il destino unisce due amanti solo per separarli

"Emma. Emma!”
Una voce mi riportò alla realtà, distraendomi dai miei pensieri.
“Emma, guardami in faccia!”
Alzai gli occhi e vidi quella donna bionda, che da settimane ero costretta a stare ad ascoltare per almeno mezz’ora al giorno, mentre mi parlava con quell’espressione di falsa simpatia.
“Ma mi stai ascoltando?”
Annuii lievemente con la vana speranza che, fingendo di partecipare, smettesse di gracchiare.
“Stavo dicendo, Emma, che non ha senso il tuo comportamento. Devi capire che continuando a isolarti in questo modo, continuando ad essere così testarda, non ne uscirai mai. Solo con un po’ di buona volontà potrai smettere di soffrire. E io e i tuoi genitori siamo qui per questo: siamo qui per aiutarti, Emma”.
Perché continuava a ripetere il mio nome? Era piuttosto irritante. Sentivo che stavo per perdere la pazienza.
“E devi anche capire che lui non è fatto per te, tu non sei fatta per lui. Siete troppo diversi, tu non appartieni al suo mondo, Emma. Non potrebbe mai funzionare tra voi. I tuoi genitori lo sanno bene e vogliono soltanto evitare che tu soffra e butti via la tua vita per nulla. Sei giovane, hai ancora 17 anni.”
“Tra due mesi 18” borbottai senza guardarla in faccia.
“Non importa, quello che sto cercando di dirti, Emma, è che chiuderti in te stessa e autodistruggerti in questo modo non è la soluzione. Non devi avercela con tua madre e tuo padre, loro pensano al tuo bene. Credi che valga la pena buttare via tutto quello che hai, per stare con un ragazzo che non tiene a te?”
La fulminai con lo sguardo. Come osava insinuare ciò?
“Sì, Emma, sii realista. Lui ti vede solo ed esclusivamente come un passatempo: quando non ha impegni viene qua e sta un po’ con te, quando si stufa va da un’altra e con ciascuna fa il carino, illudendo delle povere ragazzine infatuate. E’ meglio per te non vederlo mai più. Tanto sarebbe successo lo stesso, prima o poi non sarebbe più tornato e tu saresti stata peggio di ora. Non siete fatti per stare insieme, Emma, e per lui non conti più delle altre. Fattene una ragione” concluse sorridendomi con una gentilezza troppo finta.
Credeva di aiutarmi? Credeva che ascoltando quelle parole mi sarei sentita meglio? Credeva di apparire come un angelo venuto dal cielo solo per salvarmi?
No, no, no! Niente di tutto ciò, era l’esatto contrario. Quei discorsi peggioravano soltanto la situazione.
Dentro di me generavano solo dolore, sentendo parlare di lui, quell’infinito dolore che stavo cercando in ogni modo di tenere intrappolato in un angolo. Ma i ricordi tornavano prepotenti nella mia mente e io non potevo far altro che arrendermi a quella dolcezza velenosa.
E rabbia, immensa ed incontenibile rabbia per come quella donna parlava di lui, per come i miei genitori parlavano di lui. Lo dipingevano come fosse il cattivo e invece loro, i miei genitori e la psicologa, erano i santi e coraggiosi eroi. Sembrava che fosse lui la causa della mia lenta autodistruzione, sembrava che tutte le colpe fossero sue; se avessero potuto, credo che lo avrebbero fatto apparire come il responsabile di tutti i mali del mondo.
Ma la verità non era questa, era l’opposto. Se mi trovavo in quello stato era unicamente colpa di quei due mostri che dovevano essere mia madre e mio padre. La colpa era loro e di nessun altro. Erano stati loro a proibirmi di stare con lui, a togliermi ogni contatto con lui, ogni cosa che mi ricordasse lui.
Perché? Bè, non ne avevo idea; forse per principio, forse per paura di cosa potesse dire la gente, forse davvero perché avevano paura che soffrissi o forse semplicemente perché a loro andava così. Ma in questo modo mi avevano soltanto uccisa, ero diventata una sorta di vegetale.
Senza di lui non ero nulla, senza di lui niente aveva senso, senza di lui non riuscivo a vivere. E sapevo che anche lui stava come me, e questo non faceva che peggiorare le cose. L’unico mio desiderio era che lui fosse felice. Se mi avesse lasciata di sua spontanea volontà ci sarei stata male, non posso negarlo, forse mi sarei autodistrutta lo stesso; ma sapere che anche lui stava soffrendo, che anche lui era divorato da quel dolore che sentivo io, mi faceva letteralmente impazzire. Non sopportavo che lui stesse male.
Le lacrime mi riempirono gli occhi, il mio cuore si crepò un’altra volta e, quando la bionda gracchiante mi disse “Devi cancellarlo per sempre, come lui ha già fatto con te”, esplosi.
Mi alzai in pedi all’improvviso, facendo cadere la sedia e la guardai dritta in faccia, con un’espressione degna di un serial killer.
“Lei non sa niente!” sbraitai “Non sa assolutamente niente di me, di lui, di noi. Non ha il diritto di insinuare certe cose, e non è degna neanche di pronunciare il suo nome. Lei non sa NULLA. Mi capisce? Enne-u-elle-elle-a! Potete tenerci lontani, potete vietarci di vederci e di sentirci, ma non potete impedirci di amarci. Volete vedermi morire? Per me non c’è problema, tanto non ho niente da perdere se non ho più lui. Ma sa cosa non sopporto? E’ sapere che lui prova esattamente quello che sento io in questo momento. E’ sapere che anche lui si sta spegnendo dentro. E’ sapere che non è felice. E’ sapere quante lacrime preziose ha buttato via per un’ingiustizia.”
La donna mi guardò alzando entrambe le sopracciglia con aria scettica e io proseguii.
“Perché io lo sento. Anche se è lontano sento tutti i suoi sentimenti, siamo legati in un modo che nessuno può immaginare. In fondo non mi dispiacerebbe morire in fretta, perché quando morirò io, morirà anche lui e ci troveremo, qualunque cosa ci sia dopo, io e lui ci ritroveremo e potremo stare insieme. Per sempre”
“Non dire sciocchezze, Emma” mi ridacchiò in faccia con tono leggero.
Per un attimo fui accecata da un istinto omicida, ma cercai di calmarmi e risposi quasi sussurrando “Queste non sono sciocchezze. Piuttosto, per favore, la smetta lei di dire ca**ate, perché non può capire. Anche se ha una targhetta con scritto psicologa, non vuol dire che sia onnisciente. E non osi mai più dire davanti a me che per lui non sono importante e che sono una ragazzina infatuata. Se non conosce l’amore, mi dispiace per lei. Ma sa una cosa? Vedere lei, mia cara signora, mi consola: in fondo poteva andarmi peggio.”
Sputai acida l’ultima frase, afferrai la borsa e me ne andai sbattendo la porta dello studio.
In quella stessa circostanza la vera Emma si sarebbe sentita estremamente orgogliosa di sé stessa e probabilmente si sarebbe messa a ridere da sola come una scema. Ma da quel vegetale moribondo che ero diventata, scoppiai in lacrime silenziose e mi diressi camminando velocemente a testa bassa verso il parchetto vicino alla scuola, sicura che lì avrei potuto restare da sola.
Perché stavo piangendo? Non di certo per le parole della psicologa; della sua opinione, sinceramente, me ne importava ben poco. La verità è che urlando contro quella donna avevo riportato a galla due anni di ricordi con lui, che mi erano caduti addosso con una pesantezza insostenibile. Tutti i momenti della nostra storia mi passavano davanti agli occhi in continuazione, dalla prima volta in cui ci eravamo incontrati, al nostro primo bacio, a tutte quelle giornate passate soltanto io e lui, giocando e divertendoci insieme.
Arrivata al parco deserto, mi sedetti sull’unica altalena rimasta intatta e chiusi gli occhi per frenare quella tristezza, ma tutto quello che ottenni fu l'immagine di mia madre, livida per la rabbia, affiancata da mio padre, che urlava come un pazza.
«Tu non puoi stare con lui! Non puoi e basta, mi hai capito? Siete su due livelli diversi, vivete in due mondi separati. Lui non è il ragazzo giusto per te. E da oggi ti vietiamo di vederlo e sentirlo, ok? Hai un grande futuro davanti, non ti permetteremo di rovinarlo per colpa di quel... di quella specie di ragazzo!»
Scacciai quella scena dalla mia mente e cercai di pensare con razionalità. Cosa potevo fare? Tentare ancora di mettermi in contatto con lui? Era impossibile. I miei genitori mi avevano portato via tutto: numeri di telefono, indirizzi, email; avevamo cambiato casa e telefono, in modo che lui non potesse trovarmi; e come se non bastasse, mia madre aveva minacciato il suo manager dicendo che lo avrebbe denunciato se lui si fosse ancora fatto vedere. Ovviamente questo aveva segnato la fine di tutto.
Erano ormai quasi tre mesi e mezzo che non ci sentivamo né ci vedevamo più. Tre mesi e mezzo dall’inizio di quell’incubo che mi privava di lui. Tre mesi e mezzo. Era un’eternità.
Ok, a volte era capitato che non ci vedessimo per molto tempo, data la sua carriera di musicista che lo portava in giro per il mondo, ma in ogni caso ci sentivamo ogni giorno per telefono, via email, su Skype, in tutti i modi possibili insomma. Non sentire la sua voce, non avere sue notizie, non potergli raccontare quello che facevo, non poterlo guardare negli occhi, non sentire il suo profumo, non ascoltare il battito del suo cuore, era una tortura.
“Mi manchi tanto” sussurrai al vento, convinta che quelle parole gli sarebbero arrivate, dovunque si trovasse in quel momento.
“Emma!” sentii urlare il mio nome e il cuore sobbalzò nel mio petto.
Iniziai a respirare velocemente, sperando di voltarmi e trovare lui che mi correva incontro con il suo sorriso di sempre. Mi guardai intorno, impaziente, illudendomi che tutto potesse tornare come prima.
“Emma, stai attenta!”
Solo dopo qualche istante notai sul marciapiedi di fianco al parchetto un giovane uomo che rincorreva una bambina, lanciata in una corsa spericolata con una piccola bicicletta rosa.
“Non devi andare così veloce, tesoro. Il papà è vecchio, non riesce a starti dietro” disse di nuovo l’uomo, raggiungendo la bambina che si era fermata.
I due risero insieme e se ne
andarono senza badare a me.
Abbassai il viso, ridendo aspramente di me stessa e lasciando che altre lacrime mi bagnassero le guance. Che stupida, davvero credevo che un giorno lui mi avrebbe trovata? La testa mi diceva di non crederci, ma in fondo al cuore ci speravo. Vivere in un’illusione o morire davanti alla realtà? Questo era il mio dilemma.
Dato che non riuscivo ancora a trovare una risposta, decisi di tornare a casa, prima che mia madre mobilitasse polizia, carabinieri, guardia costiera e forestale perché credeva fossi scomparsa. Lasciai quel mio mondo isolato che era il piccolo parco, per inoltrarmi nell’affollato centro.
Camminavo lentamente, con lo sguardo basso, mentre la gente intorno a me passava veloce, ignara di tutto quello che stavo passando. Un po’ invidiavo quelle persone che potevano vivere, quelle persone che non dovevano soffrire come stavo facendo io, quelle persone che potevano stare con chi amavano. In quel momento mi sembrava quasi assurdo che il mondo potesse continuare a girare, che il tempo e la vita potessero andare avanti, quando a me sembrava che fosse tutto finito. Mi sentivo quasi in un film, staccata com’ero dalla terra e dalla realtà.
Sentii ancora qualcuno gridare il mio nome, ma non ci feci caso. Magari era ancora il signore di prima che rincorreva la figlia, o magari era qualcun altro; in fondo non ero mica l’unica al mondo a chiamarsi Emma. Quel qualcuno gridò ancora e ancora, ma proseguii per la mia strada.
All’improvviso sentii strattonarmi e spingermi, urtai varie persone ma non opposi resistenza, un po’ perché fui colta di sorpresa, un po’ perché non ne avevo la forza. Se fosse stato un maniaco assassino, l’avrei lasciato fare: mi avrebbe soltanto fatto un favore.
Mi ritrovai all’imbocco di una traversa della via che stavo percorrendo, lontana dalla folla e dal rumore. Ancora con il viso rivolto verso terra, notai che c’era qualcuno davanti a me. Lo osservai: quelle scarpe, quelle gambe, quei pantaloni, quella cintura, li conoscevo. E poi quel profumo… mi stavo ancora illudendo, però la speranza in me era grande.
No. Era impossibile. Decisi di non guardare in faccia la persona che avevo di fronte perché sarebbe stata solo un’altra delusione. Aspettai che mi dicesse cosa voleva, ma niente. Nessuno dei due si mosse, io fissavo ancora quelle scarpe che mi ricordavano così tanto lui.
“Emma…” sussurrò il tizio che stava davanti a me.
Sgranai gli occhi, nascondendogli ancora il mio volto: quella voce, l’avrei riconosciuta fra mille. Alzai velocemente lo sguardo e lo vidi. Non ci credevo, probabilmente stavo sognando.
Sì, doveva essere così perché di fronte a me c’era lui: altissimo e magrissimo, i capelli neri tirati indietro da quegli occhiali di Dior che odiavo e per cui lo prendevo sempre in giro, le orecchie un po’ a sventola che lo rendevano tanto dolce, la bocca leggermente aperta in un sorriso con quel neo in basso a destra, e gli occhi… oh, i suoi occhi un po’ allungati, color nocciola, contornati da una spessa linea nera che li faceva risaltare ancora di più.
Rimasi a fissarlo a bocca aperta per non so quanto, credendo davvero di trovarmi in un sogno. Anche lui mi guardava senza parlare; fece per sfiorarmi la mano con la sua, ma la ritirò in fretta, forse per paura di turbarmi. Io ero totalmente scossa, non capivo assolutamente niente.
Sollevai la mano destra e la posai sulla sua guancia. Lui chiuse gli occhi e una lacrima nera sfuggì al suo controllo, mentre io andavo in iperventilazione a sentire davvero il suo calore.
“Bill” dissi con voce soffocata.
Immediatamente mi tirò a sé e mi avvolse in un dolce abbraccio; anche io lo strinsi forte, appoggiando l’orecchio sul suo petto per ascoltare il suo cuore, come facevo sempre.
“Non ci posso credere” sospirai mentre lacrime di felicità sgorgavano dai miei occhi.
“Neanche io, amore mio” rispose lui baciandomi i capelli.
Restammo abbracciati a lungo senza dire niente, soltanto per recuperare i mesi di separazione. Quando ci staccammo, la domanda mi sorse spontanea.
“Cosa ci fai qui?”
“Ti cercavo, Emma. Ho convinto David a darmi qualche informazione e mi ha detto che ti eri trasferita qua, in questa città. Sono due settimane che vago sperando di incontrarti. Finalmente ti ho trovata, non sai quanto mi sei mancata” mi spiegò giocando con i miei capelli, come al solito.
Gli sorrisi raggiante, rendendomi finalmente conto che lui era lì, era tornato, l’incubo era finito.
Senza fiatare, mi alzai in punta di piedi, presi il suo viso tra le mani e lo baciai. Lui sorrise sulle mie labbra e, cingendomi la vita, ricambiò il bacio. Mi allontanai qualche centimetro e parlai piano.
“Non mi lasci più, vero?”
“Mai più. Te lo prometto, tornerà tutto come prima. Vedrai, ci dimenticheremo di questo incubo.”
Il mio sorriso svanì lentamente non appena pensai che non potevamo più stare insieme, i miei genitori non avevano cambiato idea riguardo a quella storia. Lacrime di delusione ricominciarono a scivolare sulle mie guance e vidi l’espressione di Bill farsi preoccupata.
“Hey, cosa succede ora? Non sei felice?”
“No.. cioè, sì sono felice, ma finirà. I miei genitori non si arrenderanno, ci separeranno ancora”
“No, Emma, non succederà. E sai perché? Perché io ti amo e ti ho già persa una volta. Staremo insieme, costi quello che costi! Lo faremo di nascosto se è necessario, ok?”
“Ma Bill, ragiona: se i miei ci scoprono, hanno detto che ti denunciano e questo intralcerà il tuo lavoro. Non voglio causarti problemi” abbassai lo sguardo.
Lui rise e quel suono fu per me una boccata d’aria fresca.
“Sciocchina! Ma quali problemi? Io non posso vivere senza di te, questo sarebbe un problema”
Mi baciò ancora con tenerezza e restammo ancora un po’ abbracciati.
Era passata forse un’ora quando mi lasciò andare. Mi diede un cellulare e mi disse di tenerlo nascosto, perché con quello ci saremmo sentiti e nessuno l’avrebbe saputo.
“Dai, vai a casa, si sta facendo tardi. Ti accompagnerei, ma sarebbe rischioso” mi disse spostandomi un ciuffo di capelli dal viso.
“No, non voglio. Voglio stare ancora con te!” piagnucolai con l’espressione triste.
“Non fare i capricci” ridacchiò “Ci vedremo presto”
“Quanto presto?”
“Prestissimo, te lo prometto. Domani devo tornare a casa perché poi devo andare in America con i ragazzi. Ma ti chiamerò tutti i giorni, ti manderò tanti messaggi e non ti sentirai mai sola.”
“Mi mancherai lo stesso, lo sai?” lo abbracciai.
“Anche tu mi mancherai, ma almeno potrò ricominciare a sorridere, dopo questi mesi terribili”
“Hai ragione. Da oggi posso ricominciare a vivere” annuii.
“Ti prometto che un giorno saremo liberi di stare insieme” mi bisbigliò all’orecchio.
“Sì, un giorno…” risposi sorridendo.
Mi baciò e poi sciolse l’abbraccio. “Dai, amore, vai a casa. Ti chiamo appena posso”
“Ti amo, Bill”
“Ti amo anch’io, Emma”
Ci voltammo nello stesso momento e iniziai a camminare verso casa. Lui andò nella direzione opposta e non ci girammo più per salutarci.
Quando ci saremmo rivisti? Non mi importava. Ora eravamo di nuovo vicini, anche se lontani. Non sarebbe più stato come prima, anche se Bill aveva detto di sì; però sarebbe stato bello lo stesso, mi bastava così, non desideravo di più.
Camminavo a testa alta, con l’espressione serena: tutto il dolore era scomparso e sembrava ormai solo un ricordo lontano. Potevo ricominciare a respirare, potevo ricominciare a sognare, potevo ricominciare a sperare in un futuro insieme a lui.
  
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