Colpevoli
amanti
Stefano sospirò ancora una volta mentre, seduto ad un
tavolino, fissava la porta della toilette per le donne.
Ma che fine aveva fatto?
Alzò gli occhi al cielo e iniziò a picchiettare con le
dita sul tavolo, impaziente. Odiava quella situazione: odiava dover starsene lì
ad aspettare che la sua ragazza uscisse dal bagno in cui era entrata tipo tre
ore prima e che la sorella della sua ragazza si decidesse ad arrivare.
Non che non gli andasse di conoscerla, era stato lui ad
insistere anzi: “mi dovrai pur iniziare a
presentare ai membri della tua famiglia” così aveva detto.
Ed eccolo lì ora, sconsolato ed assetato, ad un tavolo di
un bar universitario, pieno zeppo di ragazzi più o meno ubriachi.
Uno scampanellio lo avvisò che era appena entrato qualcuno
di nuovo.
Alzò appena lo sguardo e vide una ragazza: la prima
impressione fu quella di una fatina, tipo quelle dei film.
Aveva i capelli rossi, lunghi e mossi. Era alta, gli
arrivava forse al mento, contando anche i tacchi degli stivali che portava
però.
Indossava dei jeans blu scuri ed un piumino verde che
sebbene gonfio, non riusciva a nascondere le belle
forme di quel giovane corpo.
Non riuscì a vedere di più perché subito una folla di
giovani, per lo più ragazzi la circondò.
Le avevano dato a mala pena il tempo di entrare nel
locale. Ed ora era lì, nel bel mezzo di quell’ammucchiata, baciata e
abbracciata da ogni parte.
Stefano scosse la testa, non gli piacevano le ragazze di
quel tipo: poteva anche ricordargli una fatina, ma dal modo in cui era stata
accolta da quel gregge di ragazzi in calore, probabilmente non era certo
l’emblema della castità.
A distrarlo dai suoi pensieri fu una mano che gli si era
poggiata sulla spalla, alzò la testa e incrociò lo sguardo di Viviana.
La prese per mano e la fece sedere al suo fianco:
- Finalmente! Mi stavo preoccupando: ero in procinto di
mandare una spedizione di ricerca, Vivi.-
Viviana ignorò il sarcasmo, contenta
che lui fosse ancora lì invece di essere scappato a gambe levate alla prima
occasione.
Non riusciva a credere che davvero si stesse sforzando di
rimanere calmo e tranquillo, nonostante Elisa avesse ormai quasi un quarto
d’ora di ritardo.
Gli strinse di più la mano e guardandolo negli occhi,
sorrise:
- Non è ancora arrivata? -
Lui si trattenne a stento dall’emettere un suono
gutturale di protesta, e con voce il più possibile pacata e gentile rispose:
- Io non la vedo, tu? -
Viviana fece per avvicinarglisi
e baciarlo, quando con la coda dell’occhio scorse una testa familiare nel
mezzo di una mischia.
Deviò improvvisamente la traiettoria del viso, lasciando
Stefano davanti a lei a bocc’asciutta, e
alzatasi in piedi gridò il nome della sorella.
Stefano si voltò per guardare nel punto in cui scrutava
anche Viviana e con sua grande sorpresa si accorse che a girarsi al richiamo fu
proprio la fatina.
La testa dalla chioma ramata infatti
emerse improvvisamente dal gruppo in cui era seppellita e con pochi agili
movimenti riuscì a liberarsi ed uscire indenne dalla folla, avvicinandosi al
loro tavolo. Continuò a seguirla a bocca aperta finché non fu Viviana, con un
risolino, a chiudergli le labbra:
- Che c’è? Visto che era arrivata? -
Viviana si allungò sul tavolo per dare un leggero bacio
sulla guancia alla sorella, in segno di saluto.
Poi entrambe presero posto: una al suo fianco,
l’altra di fronte a lui.
Sforzandosi di smettere di fissare la nuova arrivata, si
girò di lato, cercando inutilmente di attirare ancora una volta
l’attenzione di uno dei tanti camerieri, che per l’ennesima volta
lo ignorò tranquillamente: comportandosi esattamente come se non esistesse,
forse troppo vecchio e mascolino per essere attraente e quindi degno di essere
servito.
Fu di nuovo la voce di Viviana, a farlo tornare con i
piedi per terra, dimentico del suo desiderio di afferrare il successivo
cameriere per il collo minacciando di strozzarlo nel caso non si fosse concesso
di ascoltarlo.
- Allora, ora che finalmente ci siamo tutti: Stefano, lei
è mia sorella Elisa. Elisa, lui è Stefano, il mio ragazzo -
Disse lei con aria allegra e gongolante, un sorriso che le
andava da un orecchio all’altro e gli occhi brillanti.
Eppure Stefano percepì che qualcosa non andava,
chiamiamolo sesto senso o in qualsiasi altro modo, ma sentiva che la ragazza
nascondeva qualcosa.
Non ebbe il tempo di approfondire la questione che
l’altra parlò: mormorato un tanto breve quanto scocciato “Piacere
di conoscerti” rivolto a lui, infatti, si rivolse alla sorella,
ignorandolo sfacciatamente.
- Potevi anche evitare di farmi notare il leggero ritardo,
Vivi.-
Viviana al suo fianco le rivolse un’occhiata di
fuoco e scosse alacremente la testa:
- Ma che dici? Non l’ho fatto! Eli
tu sei paranoica! -
- Ah no? “Ora che finalmente ci siamo
tutti”…-
Elisa aveva imitato con una smorfia la voce della sorella,
calcando su una parola in particolare, come aveva fatto prima, forse
incoscientemente, Viviana.
Stefano sorrise involontariamente: l’aveva rifatta
davvero bene.
Viviana al suo fianco sobbalzò, e gli affibbiò una
gomitata nelle costole, guardandolo con aria accusatoria:
- Ma che fai? Ridi?! Stefano! -
Stefano si fece immediatamente
sparire il sorriso dalle labbra, scambiando uno sguardo contrito con la
ragazza, ma lo sguardo durò ben poco: questa volta a farlo trasalire fu
un’altra voce, maschile:
- Ehy, Eli! Posso portarti
qualcosa? Stamattina non ti sei fatta vedere! Abbiamo sentito la tua mancanza! -
Stefano si voltò di scatto, fissando con aria incredula il
cameriere che gli dava le spalle: quello che aveva occhi solo per Elisa.
Uno dei tanti che non lo aveva miseramente calcolato e che
ora era miracolosamente apparso al nulla, senza essere nemmeno chiamato!
- Roberto! Certo, grazie: un caffè. E lascia stare guarda:
stamane avevo Gargianti, ti lascio immaginare come
stavo -
Aggiunse lei tutta sorridente, con voce dolce: una voce
completamente diversa da quella che aveva usato poco prima con la sorella.
Il cameriere annuì e tutto felice se ne andò, gridando ai
giovani dietro il bancone di preparare “il solito per Eli!”
Stefano si passò una mano sulla
faccia, tentando di controllare l’impulso di rincorrere il ragazzo e
sbatterlo al muro per poi sibilargli a denti stretti: “Amico, sto morendo
di sete! Ti
decidi a portarmi qualcosa, diamine?!”
Viviana al suo fianco saltò improvvisamente sul posto, avvicinandoglisi con la sedia. La vide mettersi una
mano nella tasca del giubbino e tirarne fuori un cercapersone.
- Oddio, ragazzi! Mi dispiace… io devo correre in
ospedale! -
Stefano la guardò con tanto d’occhi: non era
possibile!
Vide la ragazza alzarsi rapida e guardarli entrambi con
aria furba, allora capì: non doveva andare, voleva andare.
Era forse impazzita? Cosa credeva di ottenere così?
Scosse la testa, compatendo Viviana e le sue assurde
aspettative: se sperava che lasciandoli soli avrebbero
potuto fare amicizia si sbagliava, e di grosso.
Compativa anche Elisa, che poverina non era ancora
arrivata alle sue tragiche conclusioni.
E più di tutto compativa se stesso, costretto in quella
pazza situazione.
Osservò Viviana uscire dal bar alla velocità della luce,
senza nemmeno dar loro il tempo di aprire bocca, così come guardò la tazza che
era stata appena posata al centro del tavolo: un’enorme tazza strapiena
di caffè fumante.
Con un movimento veloce, afferrò la bevanda, sotto lo sguardo stupita della ragazza seduta davanti a lui, e
bevve un lungo sorso.
Subito dopo iniziò a tossire convulsamente, fissando gli
occhi in quelli chiaramente divertiti di Elisa.
- Ma cosa? E’ un caffè corretto! -
Gridò senza pensarci, appena riuscì di nuovo a parlare,
con la gola bruciante e la testa che gli girava leggermente.
Lei sorrise e gli strappò di mano il caffè, poi scuotendo
la testa ne bevve quasi la metà, senza poi tossire né diventare livida come era
successo a lui.
- Sì, ma urlalo più forte, per favore: forse qualcuno
dall’altro capo del locale non ti ha sentito bene -
Disse lei sarcastica, prima di prendere un nuovo sorso.
Stefano si passò una mano fra i capelli, a disagio: non
sapeva come comportarsi e non gli capitava spesso.
Era una sensazione nuova, come di impotenza.
Elisa era completamente diversa da Viviana: era come una
ventata di aria fresca, capace di risollevarlo ma al tempo stesso anche
chiaramente in grado di fargli perdere qualunque punto di riferimento,
scaraventandolo lontano, del tutto in suo potere.
La osservò mentre sorseggiava l’ultima goccia di
caffè, fece per parlare ma lei lo interruppe, più veloce.
- Senti, allora io vado. Ho da fare: Dante mi aspetta -
Era già in piedi quando lui parlò, bloccandola:
- Perché non ti piaccio? -
Elisa si voltò a guardarlo, con un sopracciglio inarcato
ed un lieve sorriso sulle labbra
- Cosa? -
- Per quale motivo non ti piaccio? -
Stefano se ne era accorto, così come probabilmente se ne
sarebbe accorto chiunque.
Non si era comportata proprio gentilmente, è vero, ma non
le sembrava nemmeno di essere stata troppo sgarbata.
Che pretendeva in fondo?
Che rimanessero lì, a chiacchierare amabilmente, anche ora
che l’unico motivo per cui si era presentata all’appuntamento se ne
era andato? No, era fuori discussione.
Elisa non rispose nemmeno, dandogli di nuovo le spalle e
muovendo la mano in segno di saluto, ma Stefano non
era tipo da arrendersi facilmente:
- Quelle come te proprio non le sopporto, sai? -
Era bastata quell’unica frase, appena bisbigliata,
eppure chiaramente udibile, a farla fermare di nuovo.
Stefano sorrise soddisfatto: adorava riuscire a tenere in
pugno gli altri.
Ma certo non si aspettava che Elisa si girasse verso di
lui, con sguardo furente e si avvicinasse lentamente al tavolo, piegandosi
verso di lui, arrivando quasi a toccargli il viso con le labbra:
- Come prego? -
Stefano arretrò, poggiando la schiena alla sedia ed
incrociando le braccia al petto:
- Quelle come te: quelle che si credono chissà chi, che
credono di sapere tutto, di avere il mondo ai loro piedi… quelle
che… -
Ma Elisa non lo lasciò continuare, sbattendo la mano sul
tavolo e riprendendo brutalmente posto davanti a lui:
- Ma come ti permetti?! Quelle
come me, dice lui! Ma sentitelo! Io crederei di sapere tutto! Ma parla per te,
brutto deficiente! Pensi di essere stato l’unico a capire che Viviana non
doveva veramente andare? E che il suo scopo era di farci restare assieme! O mio
Dio! Ma chi ti credi di essere? Tu, con la tua fottuta aria da fighetto, con il
tuo giubbino di pelle, la tua moto e la tua sigaretta! Tu che…-
Aveva detto tutto senza prendere fiato, sconvolta
dall’affronto che quell’imbecille aveva osato farle, lì, nel
suo bar, davanti a tutti i suoi amici.
Stefano si rese solo vagamente conto del fatto che attorno
a loro fosse calato il silenzio, che tutto il bar sembrava concentrato
unicamente sulla loro conversazione.
La sua attenzione era fissa sulle parole dure e taglienti
di lei, che si permise di interrompere alla prima occasione, con un tono
tutt’altro che dolce o appagante:
- Io fighetto? O Cristo! Ma sentitela! A parte che come
vedi non sto fumando, per colpa tua ci terrei a sottolineare… al mio fumo
controbatto con il tuo molto salutare solito caffè corretto! -
Elisa strinse i pugni, e quasi sputò le parole successive:
- Un caffè corretto con pochi millilitri di alcool non lo
ritengo paragonabile al fumo, tesoro. Se permetti il mio non è un
orribile vizio, che mi porterà a morire di cancro ai polmoni e che fa male a
chiunque ti si avvicina mentre con aria strafottente ti fumi le tue…
dieci? Sigarette giornaliere! -
Stefano si morse il labbro inferiore con i denti, cercando
di mantenere un minimo controllo, ma poi incontrò lo sguardo di lei: uno
sguardo di sfida e decise di rispondere ancora. Non gliela avrebbe data vinta.
- Sei. Sei sigarette giornaliere. Io non fumo con
aria strafottente, e sempre io non mi credo Dio. Avrò anche un giubbino di
pelle e una moto ma almeno non flirto con tutti i ragazzi che respirano! Almeno
io mantengo una certa dignità! Non come certe altre persone che non appena
entrano in un bar vengono assalite da una folla di maschi con gli ormoni
impazziti -
Elisa sorrise, accogliendo la sfacciata provocazione di
lui:
- Il fatto che dei maschi con gli ormoni impazziti mi
accolgano calorosamente non sta necessariamente a significare che io la dia a
tutti, giovane. -
- Non sei stata con la maggior parte dei qui presenti, dolcezza?
-
- Non ho detto questo, brutto figlio di…-
Stefano non sentì il resto della frase, per quanto non
fosse difficile da intuire.
La voce di Elisa fu infatti
coperta da una specie di ovazione proveniente dalla folla che si era ormai
riunita attorno a loro: il bar fu invaso da applausi e fischi, tutti per la
loro piccola esibizione.
Roberto, dopo aver emesso un lungo e penetrante fischio,
si piegò sul tavolo sbattendovi violentemente il pugno sopra:
- Fine primo round! -
Gridò con espressione divertita, per poi continuare a voce
più bassa:
- Calmiamoci un po’ ragazzi, eh? Non volevo
intervenire ma temevo rischiaste di arrivare alle mani -
Stefano continuava a studiare l’espressione di
Elisa, che lo fissava con aria frustata e ferita.
L’aveva offesa? No, non lo credeva possibile.
Il sorriso che lei gli rivolse poco dopo confermò la sua
sicurezza: era più che altro un ghigno, che non prometteva niente di buono.
- E’ stato un piacere Stefano -
Disse lei alzandosi e aprendosi un passaggio fra la folla
che le intralciava la strada fino all’uscita.
Lui sorrise in risposta e alzando la voce ribattè:
- Piacere tutto mio! A presto Eli -
L’ultima sua frase si
confuse con lo scampanellio della porta ma Stefano riuscì ugualmente a
sentirla: in fondo quasi se la aspettava.
- Va al diavolo, fighetto -
*