Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Kalie    15/02/2010    3 recensioni
"Perché quando lavori in ospedale e sei un’infermiera, non puoi fare a meno di affezionarti ai tuoi pazienti. Specialmente se lavori in un reparto per bambini malati di AIDS". Aurora è un'infermiera preparata e gentile. Sa che deve mantenere le distanze dai suoi pazienti, ma cosa succede quando incontri un bambino come Daniele, i cui occhi non riescono mai a perdere la speranza? una storia triste più che drammatica, che viene illuminata dai visi di bambini coraggiosi, forse più degli adulti.
Genere: Generale, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Avevo ventisei anni all’epoca. Ero ancora ingenua e credevo molto in me stessa e nel mio lavoro; lo facevo con passione, mi sentivo completa ed appagata. Sicuramente, non si può considerare una professione semplice la mia, si ha a che fare con la morte praticamente tutti i giorni; perché se non è imminente, sai che aleggia nell’aria in continuazione. Ero una ragazza felice, e a dir la verità lo sono tutt’ora, ma non sapevo mi potesse capitare una cosa del genere, ero troppo preparata, ero sinceramente pronta a mantenere il distacco da tutti, seppur con gentilezza. Era quello uno dei miei compiti dopotutto, rimanere distaccata, non era poi tanto difficile. Stronzate. Decisamente stronzate. Perché quando lavori in ospedale e sei un’infermiera, non puoi fare a meno di affezionarti ai tuoi pazienti. Specialmente se lavori in un reparto per bambini malati di AIDS.

Lavoravo li già da tre anni, ho cominciato subito dopo la laurea in Infermieristica Pediatrica, e mi sono trovata bene da subito: Infermieri simpatici, Dottori umili… tutto il personale era disponibile. Naturalmente non è stato facile sin dall’inizio, in un reparto del genere di dolore ne senti tanto, una malattia del genere non è facile per i grandi, non lo è persino per chi se l’è quasi cercata, figuriamoci quando a subire i danni sono degli innocenti. Gli occhi pieni di dolore dei genitori, non erano nulla in confronto a quelli dei bambini. Nonostante tutto, andavo avanti con la mia vita, i bambini purtroppo andavano e venivano, ma ero forte, riuscivo a sopportare tutto.

Un giorno la porta del reparto si spalancò ed entrò una figura minuta, seguita da una donna così bella che persino i capelli legati con un mollettone avevano una certa poesia. I suoi occhi verdi erano perfettamente riprodotti nel viso della figura, che si guardava intorno con aria curiosa, con quei suoi occhi… quegli occhi non li dimenticherò mai. L’accompagnai io stessa al suo nuovo lettino, con le decorazioni di aeroplanini e barche a vela, che l’attendeva già da qualche ora, bello stirato. Guardò la madre con aria felice, e allora mi chiesi se per caso non sapesse il motivo della sua presenza in quel posto; fu l’unica volta che lo feci.

“Mamma qui mi piace! Sono certo che guarirò!”

Un sorriso così spiazzante, che dovetti uscire dalla stanza di corsa, portandomi la mano sul viso, e lasciandoli a sistemare le poche cose del mio nuovo paziente. Non saprei spiegarvi quello che lessi negli occhi verdi della donna quando uscì e mi sorrise, posso solo dirvi che piangeva. Più avanti mi avrebbe detto che sapeva che quelle frasi non erano certo per rincuorare se stesso, ma per rincuorare la madre stessa.

Non posso dirvi il suo vero nome, perciò lo chiameremo Daniele. Era un ragazzino come tutti gli altri, amava giocare, amava guardare i cartoni animati, sognava di diventare tante cose. Primo tra tutti astronauta; sognava quei cieli come se fossero biscotti, guardava le stelle con la stessa golosità con cui si guarda un biscotto particolarmente grande e ben riuscito. In poco tempo ci affezionammo l’uno all’altra, era l’unico a rimanere così tanto tempo. Passarono parecchi mesi e lui riusciva sempre a sorprendermi, aveva dieci anni ma era molto sveglio; aveva dieci anni e sapeva della sua malattia. Sapeva che sarebbe morto eppure aveva quel sorriso abbagliante stampato sul viso. Daniele era gentile, allegro, sognatore e diceva cose incredibili. Era pallido, smunto, ma pimpante. Chiunque l’abbia conosciuto non potrà mai dimenticare i suoi occhi verdi, così pieni di dolore… così pieni di speranza. Aveva una parola buona per tutti i suoi parenti, e non riesco neanche a ricordare quando cominciò a dirne qualcuna anche a me, forse quando una mattina mi aveva trovata in lacrime davanti al suo lettino.

 

*-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-*

 

“Wendy?” amava chiamarmi così, solo perché adorava la storia di Peter Pan, e mi vedeva bene come racconta storie, infondo lavoravo con i bambini sperduti. Così li chiamava. “Sai che stamattina ho visto un uccellino sulla finestra? Penso che mi porterà fortuna! Starò bene presto!” non seppi mai se l’avesse visto davvero. Daniele inventava spesso cose da raccontare, la sua vita era tutta una storia. Quando si dice che i bambini parlano di cose incredibili è proprio vero, lui non faceva che raccontare di mondi fantastici e dire cose che non sembravano uscire da un ragazzino di soli dieci anni.

“Quando vedo gli occhi della mamma, mi sembra di vedere un prato fiorito, ma non per il verde!”

“Ah no?” lo guardai con un sorrisetto mentre mi tendeva la mano alla ricerca di una carezza da regalare.

“Nei suoi occhi sbocciano sempre tanti fiori quando mi guarda! Sembra che li faccia crescere solo per me, e sono felice!”

“Certo che li fa crescere per te! Sei la cosa più preziosa al mondo per lei!” gli carezzai i capelli, facendo finta di rimetterli a posto.

“Nei tuoi occhi vedo le stelle Wendy” si sedette sul letto, per mettere il suo viso al pari del mio. Lo guardai con curiosità.

“Sì! Le regali a tutti. Brillano quando sorridi, accecano quando sei felice” annuì con un mezzo sorriso.

“E’ una cosa bella allora” risi divertita, non capivo perché mi stesse dicendo quelle cose, ma lo assecondai.

“Perché quando sei sola, le tue stelle si spengono, Wendy?”

Quel bambino mi aveva capita più di chiunque altro in vita mia.

 

*-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-*

 

Passavano i mesi e lui rimaneva nello stesso lettino, con la stessa speranza negli occhi smeraldini. Nessuno si chiederebbe più perché verde speranza se avessero visto il viso di Daniele. Sarebbe bastato un solo sguardo, un solo sorriso, una semplice richiesta di carezza, e tutto il mondo sarebbe cambiato. Sono sempre le cose pure a rimetterci, perché io so, che se avesse avuto la possibilità, lui avrebbe cambiato il mondo.

“Wendy, sai perché il cielo ha così tanti colori?” mi guardò per un solo istante, prima di tornare affacciato alla finestra. Era mezzogiorno.

“La Terra gira intorno al suo asse, perciò il Sole non è sempre li ad illuminarlo” alzai le spalle, come se fossi stata una professoressa e lui un alunno curioso.

“Secondo me c’è di più… secondo me è per rendere diversi momenti del giorno speciali!” anche lui mi rispose con semplicità. “Se per esempio il cielo fosse sempre celeste, non vedremmo le stelle, e se fosse sempre blu, non potremmo indovinare le forme delle nuvole!”

“Forse hai ragione tu, sai? Quando si è grandi minimizziamo il tutto alle nostre conoscenze. Quando si sa qualcosa, si accantona la propria fantasia. È la conoscenza a distruggerla” quel ragazzino mi stupiva giorno dopo giorno, la sua forza era fonte di speranza anche per me.

“E se esistessero due bambini?” mi chiese all’improvviso.

“Beh, ne esistono più di due! Lo sai benissimo!” ridacchiai, non capendo appieno le sue parole; rise anche lui, per gentilezza.

“No, Wendy! Intendevo nel cielo! Se esistesse un bambino del giorno e un bambino della notte! Immagina che il primo faccia rotolare il Sole, per creare i giochi di luce dei raggi e per regalare al mondo l’arcobaleno quando piove, e che invece il secondo salti di stella in stella, riaccendendole quando diventano troppo fioche! Non sarebbe bello?” mi guardò con quegli occhi brillanti, così accesi da accecarmi e non riuscii a far altro che annuire e sorridergli con delicatezza per almeno dieci secondi.

“Come vogliamo chiamarli?” gli chiesi curiosa, quando lui raccontava qualcosa era sempre totalmente inaspettata.

“Eromyl e Mejiastick! Giorno e Notte! Sì… però loro due sarebbero tristi!” per un secondo solo vidi il suo sguardo velarsi di tristezza.

“Cosa? E perché?” lo guardai così stupefatta e sconvolta, che lui torno immediatamente sorridente.

“Prova ad immaginare di non poter mai giocare con il tuo migliore amico, Wendy! Come ti sentiresti?” nuovamente lo guardai incuriosita: quel bambino aveva creato una storia tutta sua. Da quanto ci pensava? L’aveva sognata? Immaginava di avere un amico? E soprattutto, si considerava il bambino della notte o del giorno?

“Sarei molto triste, Daniele” gli carezzai la testa “per me la mia migliore amica è importantissima. Tutti gli amici lo sono”. Tornai a sorridergli ancora una volta, mentre lui spostò lo sguardo verso il cielo.

“Io sono certo che il cielo farebbe loro un regalo!”

“Che genere di regalo?” chiesi, non riuscivo proprio ad avere la sua stessa immaginazione.

“Un momento solo per loro, un istante unico, in cui Eromyl e Mejiastick possano giocare liberamente tra di loro, per passare la giornata seguente in piena felicità, nell’attesa del nuovo incontro! Un momento in cui il cielo regala ai due bambini mille colori diversi!” esclamò con tanta euforia che sentii gli occhi riempirsi di lacrime, ma le trattenni.

“Oh, sarebbe stupendo! Anche se per breve tempo, i due bambini sarebbero pieni di felicità!” gli fissai la nuca, mentre guardava l’edificio davanti.

“Tu ti chiami Aurora, come quel magnifico momento, ma stavolta vorrei che tu fossi il Cielo, Wendy!” sbuffai una risatina.

“Che vuoi dire?”

“Regalami l’aurora… porta me e Mejiastick in giardino!” allora lui era il giorno, chissà perché la cosa non mi stupì affatto. Amava le stelle, ma dovevano rimanere irraggiungibili per lui.

“Ti porto sempre in giardino! Specie se ci sono belle giornate come questa!” lo rassicurai, preparando un giacchino per lui.

“Ma Mejiastick non esce mai!” esclamò, e per la prima volta vidi quella bambina.

 

*-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-**-.__.-*

 

Ogni volta che avevamo il turno insieme di pomeriggio, io e Matteo portavamo i due bambini a giocare in giardino. Non ci aspettavamo di certo che i due si guardassero in continuazione alla ricerca l’uno dell’altra, di un compagno di giochi. Daniele non sapeva che il suo Majiestick in realtà fosse una bambina, lo scoprì solamente quando lei si presentò come Eleonora (nome falso, naturalmente). Non fu difficile convincere Peter, come lo soprannominò Daniele, a passare con noi alcuni pomeriggi, anche lui era affezionato ad Eleonora quanto io lo ero a quel bambino dagli occhi vispi; proprio come fu naturale per i due ormai undicenni, chiamarsi continuamente Eromyl e Majiestick, come due supereroi imbattibili, convinti fino in fondo di poter combattere ognuno la propria malattia.

Peter mi raccontò che Eleonora era malata di leucemia. Abbassai lo sguardo e piansi per la prima volta davanti a qualcuno. Lo sapevo ma non volevo crederci, finchè non me l’avesse detto qualcuno, finchè non avessi sbattuto la testa contro la realtà. Gli occhi azzurri della bambina erano talmente familiari da farmi paura: la stessa speranza, la stessa vivacità, lo stesso maledetto sorriso rivolto a chi ha paura per lei. Le lacrime mai scese dai volti di quei bambini, rigavano il mio volto, e sentii le manine di Daniele posarsi sulle mie ginocchia, senza dire neanche una parola.

I giorni dell’estate passavano felici e noi quattro non facevamo altro che giocare, sognando di essere al mare, a fare castelli di sabbia, oppure di stare sul cielo, a giocare con le nuvole durante l’Aurora. Ma come dopo ogni favoloso sogno, ci si risveglia, ogni volta troppo presto. Ricordo solamente che le ultime parole che mi rivolse furono ancora una volta per me. Solo per me.

“Wendy, mi ricordi come si va all’Isola Che Non C’è?” disse in un sibilo, mentre usava tutte le sue forze per carezzare i capelli non più perfetti della madre.

“Seconda stella a destra… e poi dritti fino al mattino. Quando incontri la tua Mejiestick all’aurora, saprai di essere arrivato” avevo gli occhi lucidi ancora una volta. Un mese fa Eleonora era morta, devastando tutti e tre. Ancora una volta il più forte si era dimostrato Daniele. Mi sorrise.

“Wendy… grazie per questi due anni insieme. Ti voglio bene. Ti chiami Aurora, ma sei stata il mio Cielo” solo quelle parole. Solo quelle. Mi alzai e lo guardai con aria triste, ma gli sorrisi.

“Buonanotte Eromyl. Ti voglio bene anche io” lo lasciai con i genitori, il padre sembrava talmente spento da farmi paura. La madre era così bella, che mi fece rimpiangere di aver criticato i suoi capelli. Era bella perché lo guardava. Sarebbe potuta essere la donna più brutta del mondo, ma chi potrebbe mai criticare chi ha generato una persona tanto meravigliosa qual era Daniele?

Uscii dalla stanza e non lo vidi mai più. Vedo spesso i genitori del mio Eromyl, che oggi sono il padrino e la madrina di mio figlio, che ha gli stessi occhi di Matteo, mio marito Peter. Due angeli ci hanno unito. Due angeli hanno lasciato il vuoto nel nostro cuore, ma sappiamo dove sono. Sono lassù, a far rotolare il Sole, a illuminare le stelle. A sorridere di speranza a tutti i bambini che ogni giorno rischiano la loro vita con forza.
Oggi aspetto un altro bambino. Daniele non vede l’ora, e vorrebbe essere lui il primo a raccontare la storia di Eromyl e Mejiastick. Sorrido ogni giorno grazie a chi ha donato il nome a mio figlio. E sorriderò il doppio quando mia figlia verrà alla luce e si chiamerà Eleonora. Un giorno incontreranno qualcuno a cui donare il loro sorriso, proprio come qualcuno l’ha regalato a me.

Una vita di lavoro non ti regala tanto, i soldi non comprano la speranza. Un sorriso può far nascere un intero cielo.

 

A tutti i bambini malati,
sani, felici, tristi…
Sono loro a regalarci ancora
la fantasia.

 

----------------

Salve a tutti!
Ok, ancora una volta scrivo una storia triste. Mi stupisco di me stessa, perché in genere non scrivo cose così, ma devo dire che mi piace. ^^ mi ha reso molto triste però scrivere la storia di Aurora e Daniele, visto che li ho sognati stanotte, e mi hanno lasciato un vuoto immenso dentro. Non è una storia vera, ve l’assicuro. Qualcuno di voi sa che lavoro in ospedale, ma sono in quel genere di reparto, per fortuna e per sfortuna. Vorrei far aprire gli occhi a chiunque legga la storia, facendo notare la purezza infinita dei bambini, che spesso viene sporcata da colpe di genitori sciocchi, o di gente malvagia. I bambini sono magici. I bambini sono vita. Proteggiamoli insieme.

Ad ogni modo, grazie a tutti per aver letto questa storia ^^ speriamo che i nostri angioletti ci proteggano mentre fanno rotolare il sole e illuminano le stelle! I nomi Eromyl e Mejiastick sono stati inventati da me, proprio come la storia del cielo e dell’aurora, vi prego di non rubarla, a meno che non me lo chiediate ^^ mi farebbe piacere vederla in un’altra storia, sempre sotto permesso!

Un saluto a tutti e grazie a chi legge le mie altre fic ^___^ un bacio!

*-._Kalie_.-*

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Kalie