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Autore: Miyan    17/07/2005    3 recensioni
Vita quotidiana... beh se siete curiosi leggete...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

Il cielo era limpido, di un azzurro tenue, poche striature biancastre, la luce del sole appena sorto che feriva gli occhi. Freddo, il gelo sembrava aver fermato tutte le cose, come se il tempo fosse stato sospeso. Era normale, l’inverno era nel pieno e la distesa pianeggiante dei campi era ricoperta di brina.

Il pullman aveva un’andatura lenta e altalenante, che cullava i passeggeri che di primo mattino dovevano raggiungere la città. Molti occhi erano chiusi nel tentativo di riprendere il sonno, altre palpebre appena appoggiate che si rifiutavano di svegliarsi completamente.

Il lungo piumino nero abbottonato fino al collo, la sciarpa di lana, i guanti anch’essi scuri infilati sulle mani strette al corpo per riscaldarsi. Gli occhi color caramello erano rivolti al finestrino, lo sguardo perso sul paesaggio che scorreva davanti ai suoi occhi. Gli auricolari nelle orecchie, il lettore appoggiato sulle gambe, la musica a basso volume che fluiva come lo scorrere dell’acqua in un rigagnolo.

Dopo circa tre quarti d’ora era giunta a destinazione. Aveva riposto il lettore spento nel suo zaino e aveva passato le mani nei lunghi riccioli sanguigni scuotendoli. Scesa dal pullman, mani in tasca, vide le sue amiche che l’attendevano pochi metri più avanti.

"Ciao ragazze…"

sorrise.

Nel vederla arrivare le due ragazze si affiancarono a lei e la salutarono.

"Ciao Molly."

Poi proseguirono con il discorso che stavano facendo ancora prima che lei giungesse. La ragazza ascoltava senza proferire una parola, mentre si dirigevano verso l’edificio della loro facoltà. Strada conosciuta, passi automatici, movimenti istintivi, noti. Mano a mano che avanzavano altri ragazzi come loro si dirigevano nella loro direzione.

Varcato il portone si diressero verso la stanza delle macchinette automatiche, la ragazza prese la chiavetta da una tasca dello zaino. Le sue amiche come al solito presero del caffè, lei invece non ne beveva e selezionò il tasto del tè.

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Era un periodo strano per lei… forse non troppo. Molti avrebbero potuto dire che era lunatica, ma in cuor suo sapeva che tale parola non evidenziava efficacemente quello che era. Si sentiva malinconica. Sentiva uno strano peso che le opprimeva il petto, che quasi le impediva di respirare, di vivere. In quei giorni era come se si guardasse dall’esterno e vedesse solo una marionetta che si muoveva meccanicamente, ma che non era viva. Lei sopravviveva.

Sopravvivere. Quante volte si era domandata se viveva o meno la sua vita. E la maggior parte delle volte si rispondeva che lei non viveva per sé stessa. Era piuttosto gentile con tutti, sempre disponibile ad aiutare chiunque glielo avesse chiesto, rigida nei suoi doveri, nei suoi divieti. Vincoli che si era imposta lei stessa, per non deludere i suoi genitori e chi le voleva almeno un po’ di bene. Vincoli che ormai erano come una voce dentro di lei, separata da lei, che la guidava senza che lei si ponesse più domande.

Lei viveva per gli altri, non faceva niente per sé. Era come se lei fosse nata per non permettere che qualcuno fosse solo. E se anche lei fosse stata sola cosa importava? I suoi problemi non erano altro che schegge al confronto con i massi che affliggevano gli altri.

Altri giorni invece sentiva che le cose le scivolavano addosso senza ferirla e danneggiarla, sempre con un timido sorriso sulle labbra, sempre vedendo il bello nelle cose semplici. Dolori e dispiaceri che in quel momento non la scalfivano ma che si nascondevano cautamente in una scatola della sua mente per riaffiorare nei giorni no. E quando ciò accadeva era come se una tenebra fitta calasse sul suo cuore.

Ed eccola lì, che sedeva di fianco alle sue amiche Susan e Liv, con le mani nelle tasche del piumino e la sensazione di essere stanca di esistere. Il tè caldo fluiva lentamente nel suo corpo. Sembrava che esso tentasse di ridestarla da un sogno.

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Raggiunsero l’aula in cui dovevano seguire la lezione. Alcuni ragazzi erano già presenti. Nell’entrare salutò un ragazzo dai gentili occhi azzurri e si sedette nel centro della fila, Susan accanto a lei e Liv vicino al giovane, il suo ragazzo.

Dopo essersi tolta il giaccone uscì dalla stanza raggiungendo il bagno. Aprì l’acqua del rubinetto per lavarsi le mani e alzando lo sguardo si vide riflessa nello specchio. I lunghi riccioli rossi erano luminosi come al solito, ma gli occhi sembravano spenti, come se fossero pronti a versare una lacrima da un momento all’altro. Si sforzò di fare un sorriso e vide le sue labbra incresparsi leggermente senza esprimere la gioia che un gesto del genere doveva fornire. Chiuse l’acqua maledicendosi mentalmente.

Nel rientrare in aula vide subito gli occhi azzurri dell’amico che le sorridevano sfacciati… lei riconobbe subito il significato di quel gesto. Scostando lo sguardo sul posto che lei avrebbe occupato vide accanto ad esso un ragazzo dagli occhi ed i capelli scuri che la osservava mentre si avvicinava.

Fece spostare gli amici per poter entrare nella fila, nel passare davanti al giovane dagli occhi azzurri lo sentì sussurrare divertito

"Questa volta non l’hai scampata…"

"Piantala adesso Ethan, mi sto scocciando di questa storia."

La voce rivelava la freddezza delle sue parole. L’amico la guardò incredulo mentre si sedeva accanto all’altro giovane che abbozzava un sorriso.

"Che ho fatto di male?"

si domandò tra sé e sé la ragazza mentre attendeva che il suo vicino cominciasse con i soliti racconti…

Fortunatamente poco dopo la professoressa entrò in aula e la lezione concentrò tutta la sua attenzione.

--------

Quando finalmente le lezioni erano terminate il cielo stava già imbrunendo. Salutò alcuni suoi compagni di corso e si incamminò verso l’uscita con le sue amiche ed Ethan.

"Corro a prendere un cioccolatino…"

disse Liv mentre si allontanava correndo verso la stanza delle macchinette automatiche.

"Vado anche io!"

affermò anche Susan raggiungendo l’amica.

Molly ed Ethan invece uscirono dall’edificio dirigendosi verso il parcheggio dove il ragazzo era solito lasciare la macchina. Camminavano in silenzio, fianco a fianco.

"Molly…"

la ragazza si voltò verso l’amico osservandolo.

"Dimmi."

"Sei arrabbiata con me forse?"

la ragazza aspettò un po’ prima di rispondergli, pensando tra sé, indecisa su cosa dire.

"Perché dovrei?"

Ethan la guardò serio.

"Da stamattina hai spiccicato poco più di tre parole con me. E poi quando sei rientrata in classe e ti ho fatto quella battuta su Alan mi hai risposto seccamente."

La giovane camminava ascoltando il ragazzo ma non guardandolo in volto, lo sguardo era fisso davanti a lei.

"E secondo te perché?"

Un sorriso di rabbia apparve sulle labbra della giovane.

"Non ti sarai offesa per la storia di Alan? Io ti faccio le battute perché mi diverte la tua reazione, e perché di solito noi due ci comportiamo così!"

Allora la ragazza si fermò. Il giovane, accorgendosene, si fermò anch’esso voltandosi verso di lei.

"Certo, anche a me piace farti le battute… ma non mi sembra di calcare la mano. Sai bene che a me Alan non interessa e che non è vero che lui ci prova con me. È solo fatto così, e mi da fastidio dover stare attenta a come mi comporto con lui perché mi sento sempre addosso i tuoi occhi, pronto a prendermi in giro."

"Ma…"

"Ma un bel niente. Lo sai come sono fatta, sai che sono permalosa… e quindi cerca di capire quando è il momento di piantarla!"

"Non volevo farti arrabbiare!"

"Lo spero bene!"

"Facciamo pace?"

la ragazza assunse un finto sguardo arrabbiato.

"Vediamo…"

Il giovane capì che era pace fatta, ormai la conosceva abbastanza bene. In quel momento li raggiunsero le altre due ragazze affiancandosi a loro.

--------

Quella sera la palestra era sovraffollata. Molly entrò nella sala seguendo Liv e Susan. Aveva la bottiglietta dell’acqua e una salvietta in mano. Ethan era già alla cyclette per il riscaldamento. Le macchine erano quasi tutte occupate. Liv stava occupando in quel momento il tapis-roulante. Molly si guardò attorno sperando che in quei pochi secondi qualcosa si fosse liberato. Vide che un tappetino era libero. Fece segno a Susan di seguirla. Occuparono il tappetino in due stringendosi. Il ragazzo sul tappetino accanto si scostò un poco facendo loro un po’ di spazio. Ringraziarono sorridendo.

Incominciò a fare gli addominali, inspirava ed espirava profondamente andando a ritmo, seguendo i suoi movimenti. Ogni tanto rispondeva a Susan che stava chiacchierando come al solito, raccontandole le sue vicende.

Dopo circa un’ora aveva finito i suoi esercizi. Passò lo sguardo sui presenti cercando i suoi amici. Liv e Susan stavano facendo alcuni pesi occupando una panca in due, come al solito per risparmiare spazio e tempo. Ethan invece stava sdraiato su un’altra panca lontana da quella delle due, mentre sollevava pesi che erano almeno quattro volte superiori a quelli delle ragazze. Stava facendo gli incroci, esercizio che odiava, e Molly non resistette alla tentazione di andare a disturbarlo.

"Siamo sicuri che le fai tutte le ripetizioni o meno?"

"Ah, ah, simpatica. Vorrei vedere te al mio posto!"

la ragazza era in piedi dietro di lui e gli sorrise divertita.

"A me non serve fare i pettorali! Su lavora!"

"Se mi disturbi mi fai perdere il conto!"

"Indovina un po’… non lo sapevo!"

La risata della ragazza si alzò cristallina.

"Io ho finito, vado a prepararmi. A dopo."

Lo salutò facendogli una linguaccia. Nell’alzare il volto da quello dell’amico vide che il ragazzo accanto ad Ethan li stava osservando. Aveva i capelli biondo scuro un po’ lunghi legati in una coda, i chiari occhi azzurri la seguirono al suo passaggio.

"Ethan…"

"Dimmi Kevin"

"Ma chi è quella?"

"Molly, una delle mie compagne di università di cui ti dicevo."

Entrata nello spogliatoio andò a lavarsi e si cambiò. Poco dopo lei e gli amici erano sulla macchina del ragazzo che attraversava la città. Arrivati a destinazione, cioè alla fermata dell’autobus, Ethan parcheggiò lì vicino. La radio accesa mandava una canzone dance… a Molly non piaceva…

Osservava fuori dal finestrino le macchine che passavano non molto distante da dove era lei. Le luci della città sapevano essere belle… ma i rumori e gli odori non ne erano all’altezza. Sentiva i suoi amici che chiacchieravano. Guardò l’ora all’orologio che portava al polso. Poi si voltò verso Susan.

"Andiamo?"

Susan fece un cenno di assenso. Nello scendere dalla macchina salutarono Ethan.

"Ciao ci vediamo domani in uni…"

Lasciarono un po’ i due morosi da soli. L’aria fredda sferzava le guance accaldate delle ragazze. Dopo qualche minuto Liv le raggiunse. Molly si voltò verso la macchina di Ethan che se ne andava e lo salutò con la mano. Lui rispose al saluto.

Finalmente l’autobus arrivò alla loro fermata. Come al solito era mezzo vuoto, in fondo c’erano alcuni extracomunitari. Si sedettero abbastanza davanti con le poche persone italiane presenti.

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La motocicletta correva sull’asfalto. Sembrava scivolare su di esso come sospinta dall’aria. Zigzagava tra le automobili che invece erano costrette a rimanere in coda. La città era così, soprattutto ad un certo orario, zeppa di rumori e di traffico.

Appena fu riuscito a lasciare il centro si era avviato verso nord. I grattacieli si erano trasformati in condomini e successivamente in case, poi era subentrato il marrone dei campi e la pianura era diventata via via un rincorrersi di salite e discese, di tornanti, di pareti rocciose e di dirupi.

Altra gente delle sue zone lasciava la città, luogo di lavoro e di studio, e ritornava a casa, la sera. Le strade erano trafficate, anche se non al pari degli imbottigliamenti della città. Il cielo era già scuro quando aveva lasciato la palestra, il sole era tramontato ormai da molto tempo e all’orizzonte non si scorgeva nemmeno un bagliore rossastro di luce. Quante volte percorreva quella strada, da solo, i suoi pensieri come unica compagnia, nemmeno un po’ di musica, solo il rumore del potente motore della sua motocicletta, rumore che per lui era musica allo stato puro, una musica che trasmetteva energia e liberazione.

Si piegò seguendo la motocicletta, quasi lambendo l’asfalto, ancora quell’ultima curva e avrebbe raggiunto la sua cittadina. In realtà era poco più di un paese, dove tutti conoscevano tutti e si facevano gli affari di tutti. Ma a lui non importava niente, che sparlassero pure di lui, tanto ci aveva fatto il callo. E poi, a dire la verità, si divertiva a sentire la gente bisbigliare alle sue spalle l’ultima bravata che aveva compiuto… peccato che quello che sentiva fosse completamente diverso da quello che era realmente accaduto. Un sorriso amaro comparve sulle labbra del ragazzo. Fortunatamente non erano tutti così. Aveva fatto amicizia, se così si poteva dire, con qualche ragazzo. Erano tutti dei tipi a posto, che non si impicciavano degli affari suoi. Persone come piacevano a lui.

Il motore stava perdendo giri lentamente. Si fermò davanti al cancello di casa sua, lo aprì con le chiavi e portò la motocicletta nel garage. Poi tornò al cancello per chiuderlo. Una macchina stava arrivando proprio in quel momento ed entrava nel cortile della villetta accanto alla sua. Il conducente si fermò accanto a lui abbassando il vetro del finestrino.

"Sei arrivato prima di me!"

il ragazzo osservò l’altro e sorrise.

"Io non dovevo accompagnare delle ragazze a casa."

Anche il conducente rispose ridendo all’amico.

"Oh, no. Per fortuna le ho portate solo alla fermata dell’autobus. Abitano parecchio lontano!"

con un gesto della mano si salutarono e il ragazzo si diresse verso la porta d’entrata della sua casa. Prese il mazzo di chiavi che aveva in mano e cercò quella giusta, l’inserì nella toppa e a un minimo giro della chiave la porta si aprì.

"Mia sorella è già a casa"

pensò tra sé il ragazzo mentre appendeva il giubbotto all’attaccapanni nell’ingresso. Infatti il cappotto di lana della sorella era già appeso al suo posto.

"Tess, sono a casa!"

disse ad alta voce mentre attraversava il corridoio dirigendosi verso la sua camera da letto.

"Ok, ben arrivato"

gli rispose una voce dietro di lui, mentre il viso allegro della sorella maggiore faceva capolino sulla porta della stanza.

Il ragazzo prese i vestiti di ricambio ed entrò in bagno. La stanza era calda, aprì l’acqua della doccia, e dopo essersi spogliato, vi entrò.



Ciao a tutti... mi piacerebbe sapere cosa ne pensate... anche commenti cattivi e costruttivi... l'ho messa in rete proprio per questo!
Vi ringrazio
Miyan
  
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