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Autore: ISI    18/02/2010    3 recensioni
“Quella è la mia anima.”
Il detective alzò sconcertato il suo sguardo d’acciaio su di me, lo riportò sulla piccola gemma celeste e poi di nuovo verso di me, guardandomi come avrebbe guardato un psicopatico schizofrenico appena evaso di manicomio, al che non potei non scoppiare a ridere.

Spero solo di non essere sconfinata troppo nell'OOC... voi che ne pensate?
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: OOC, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Compleanno - Anima d’acquamarina

Compleanno - Anima d’acquamarina

 

 

Alzò accigliato gli occhi dal piatto della sua colazione quando gliela posi innanzi e gli chiesi:

“Che cosa crede che sia?”

Holmes posò con lentezza forchetta e coltello sul bordo del piatto ed allungata una mano verso la mia vi lasciò scivolare delicatamente la finissima catenina d’oro bianco e la piccola pietra che vi era assicurata per mezzo di un gancetto.

“Una gemma grezza, vede, ci sono persino dei residui di semplice pietra calcarea lì...” mi fece notare lisciandosi il mento “Un’acquamarina ad esser precisi, ma niente di prezioso o d’inestimabile... forse l’ha persa qualche piccolo furfante dopo averla rubata  in un negozio di bigiotterie e paccottiglie simil o magari la buttata di sua sponte: il cassiere del banco dei pegni deve essergli scoppiato a ridere in faccia. Piuttosto, dove l’ha...”

“Holmes...” lo interruppi con un’espressione affatto stupita in volto che sicuramente contribuì a zittirlo più di quanto non avrebbe potuto fare qualsiasi mio altro richiamo alla sua attenzione “Quella è la mia anima.”

Il detective alzò sconcertato il suo sguardo d’acciaio su di me, lo riportò sulla piccola gemma celeste e poi di nuovo verso di me, guardandomi come avrebbe guardato un psicopatico schizofrenico appena evaso di manicomio, al che non potei non scoppiare a ridere.

“Watson, non è che lei ha fatto uso della mia soluzione al sette per cento, vero?” mi chiese, sulla faccia un’espressione tanto allibita che neppure la modernità di una foto avrebbe saputo davvero descrivere al meglio.

“Faceva un caldo terribile e ad ogni passo che muovevo credevo che la mia pelle si sarebbe sciolta come la cera di una candela.

A ripensarci adesso, però, la sabbia era ancora peggio: ti s’infilava dappertutto, sotto gli abiti, negli occhi fino a farti lacrimare, a scricchiolarti in bocca... deve essere per questo che mi altero tanto quando Mrs. Hudosn non lava bene le verdure.

Era come avere un immenso oceano dorato tutt’intorno con i serpenti a sonagli e gli scorpioni a fare la parte dei pesci, un oceano tanto bello quanto pericoloso che sa logorarti fuori e dentro fino a lasciarti sfibrato, fino a che non diventi polvere anche tu e non ti perdi nel vento.

Da allora non mi lamentai più dell’eterno maltempo della mia patria.

Ah, e poi c’era anche il soldato semplice Benjamin Hardley, due metri di genuina simpatia e competenza, ma fu il primo di noi a perdere i sensi e dovemmo portarcelo sulla schiena a turno...

La tempesta di sabbia che aveva disperso il nostro già di per sé esiguo plotone ci aveva portato fuori rotta e stavamo per fumarci l’ultima sigaretta assieme, tanto ormai le riserve d’acqua erano finite e le borracce tristemente vuote, quand’ecco che la luce scarlatta di un sole morente delineò i contorni della civiltà.

C’erano casupole e baracche sparse qua e là e al centro del villaggio ardeva un enorme fuoco che avrebbe riscaldato la notte e attorno al quale uomini e donne delle più svariate età stavano inginocchiati e scioglievano al vento una nenia che, per l’atmosfera e per le poche parole indigene da me conosciute, riuscì a riconoscere come una preghiera.

‘Salva la piccola anima!’ fu l’unica frase intera che mi riuscì di cogliere e capì subito di cosa si trattava...”

“Un bambino.” intuì senza difficoltà alcuna Holmes prestando allora più attenzione alle mie parole di quanto non credo avesse mai fatto in vita sua.

Annuì e tornai alla mai narrazione.

“Era uno di quei non pochi villaggi così piccoli e sperduti da non aver udito neppure gli ultimi e più flebili echi della guerra. Non sapevano chi fossimo, non provarono orrore alla vista delle nostre divise nemiche, ormai lacere, non ci attaccarono, né ci furono ostili in alcun modo e, nonostante stessero officiando quel sacro rito per loro così importante, ci accolsero e ci dettero acqua, latta di cocco e la linfa dolciastra che estraevano dalla radici delle poche piante presenti in quel luogo dimenticato da Dio.

Gli onori di casa li fece un vecchio dalla pelle bruna, tesa come cuoio su di un corpo inscheletrito 1 dal sole e dagli anni.

Appena riuscii a poter parlare, dopo aver bevuto,  gli chiesi di poter vedere la piccola anima per la quale stavano pregando.

L’uomo allora mi prese per mano come fossi stato un bambino smarrito e mi guidò in quella che doveva essere la più grande tra le capanne di tutto quel minuscolo agglomerato umano, un rifugio fatto di fango e sassi, coperto dalle fronde alte delle palme e da altro fango e da altri sassi.

Nel mezzo della primordiale struttura giaceva agonizzante, disteso su di una sottile stuoia, un bambino che non dimostrava più di sei, sette anni; gli stava accanto una giovane donna, senz’ombra di dubbio sua madre, che piangeva sommessamente e che si spaventò quando mi vide.

Pensava che fossi l’angelo della morte venuto per strapparle il figlio.

Ci volle più di un po’ prima che riuscissi a spiegar loro che volevo provare a curare il piccolo, ma alla fine ci riuscì: lo ubriacammo e cominciai ad incidere che il sole era appena sprofondato in seno al deserto cosicché furono le luci delle fiaccole ad illuminare la mia prima e spero anche ultima appendicectomia 2.

Quando fermai l’ultimo punto di sutura era già l’alba, ma la preghiera che avevo udito non appena messo piede in quel luogo non si era ancora spenta, e languiva lenta e bassa come le braci di un fuoco che prima avesse arso vivo e vigoroso.

Vista la pacatezza dei nostri salvatori fu semplice per me convincere gli altri a rimanere in quel villaggio, almeno fintantoché non fossi stato sicuro che la piccola anima si fosse effettivamente ripresa...”

“Sopravvisse?” mi domandò Holmes con una sorta di ansia nella voce che mi lasciò stupito per un attimo.

“Sì, incredibilmente riuscì a superare le ventiquattr’ore posteriori l’intervento e sette giorni dopo, con l’energia che solo i bambini possono avere, me lo ritrovai che saltava già da una parte all’altra del villaggio, mostrando fiero il taglio non ancora cicatrizzato del tutto con la stessa fierezza con la quale avrebbe mostrato una ferita che si fosse procurato combattendo contro una tigre.

Prima che ce ne andassimo e che lasciassimo lì Benjamin, innamorato perso di una delle ragazze che vi abitavano, lo stesso vecchio che ci aveva accolto, e che nel frattempo avevo scoperto essere nientemeno che il capo villaggio di quella tribù, mi riportò nella capanna in cui avevo salvato il piccolo e li mi donò quel frammento di acquamarina.

‘Ha il colore della tua anima.’ mi spiegò.

In alcune civiltà gli uomini, prima di morire, affidano la propria anima a qualcosa che pensano possa preservarla affinché essa non vada perduta assieme al corpo: me la donò come ricompensa questa gemma, perché rimanessi vigile al consumarsi dei secoli, all’avvicendarsi dei millenni.

L’immortalità… il premio più ambito.

Ma ho compreso che l’eternità è ben poca cosa se mi dovesse far sopravvivere a ciò che amo.

A chi amo.

Ed per questo che ora, con tutto quello che questa pietra contiene, per quanto poco possa valere, voglio che l’abbia lei.

Potrà farne ciò che più desidera.

Può accettarla adesso e metterla in una tasca di qualche giacca e dimenticarsela lì per poi ritrovarla un giorno, senza più memoria alcuna del significato di questo sassolino.

Può accettarla adesso e vedere se è buona per qualcuno dei suoi esperimenti chimici... magari nell’acido citrico si scioglie e lei non lo sa.

Può accettarla adesso e perderla in una stazione di passaggio, mentre rincorre uno degli scagnozzi di Moriarty o lasciarla cadere inavvertitamente in una pozzanghera, mentre dà istruzione all’ispettore Lestrade su come disporre i suoi uomini.

Oppure può accettarla adesso e lasciarla semplicemente giacere sul suo petto, accarezzarla di tanto in tanto quando se ne ricorda, stringerla forte tra le dita quando il mondo si fa atrocemente nero ed io non le sono accanto, accostarvi le labbra piano e farmi sussultare come un bambino cui innanzi agli occhi si schiuda di colpo un fiore.

Se potrà guadagnare anche solo un paio di spiccioli di felicità dalla mia anima, mi creda, sarò felice oltremisura…”

Vidi le sue iridi di acciaio dilatarsi, le labbra fine tremare leggermente e gli sorrisi.

“Buon compleanno, Holmes.”

 

 

 

Note:

1 Vi prego, passatemi il neologismo ché mi piace da morire!

2 Secondo i dati forniti da Wikipedia e da internet in generale “La prima appendicectomia di cui si ha una sicura datazione fu eseguita da un medico militare inglese nel 1735, la procedura si consolidò solo alla fine del 19° secolo” quindi ci può stare più o meno che Watson abbia seguito le orme del suo collega in carne ed ossa, no?

 

Di sicuro sono sconfinata nell’OOC, ma fa niente, così romantica è uscita e così rimarrà, perché questo Watson logorroico ed innamorato perso con una storia che l’ha segnato non poco da raccontare così urgentemente, questo villaggio dal candore di pensiero, parola ed azione ed infine questo Holmes che una volta tanto rimane sconcertato mi piacciono assai.

Spero che anche a voi abbiano fatto lo stesso effetto, almeno un pochetto.

 

ISI.

  
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