Autore:
slice.
Titolo: “Di piani, sakè e risse”.
Genere:
commedia, romantico.
Rating: giallo.
Avvertimenti: shonen ai, what
if?, one-shot.
Presentazione: “Non so cosa cucinare e non ho
più voglia di pensarci,” lo interruppe Sasuke, facendo
spallucce.
Naruto pensò che magari la fortuna stesse
improvvisamente girando dalla sua parte, o che forse il suo piano
stesse funzionando, oppure, ed era l'opzione più realistica,
che Sasuke fosse davvero ridotto male se gli chiedeva di cenare
insieme. Oh, ma dopotutto chi era lui per giudicare!
Note: mi
rendo conto che ho una visione particolare dei due esseri che ho
trattato maggiormente in questa ff, ma l'ic stranamente non è
la cosa che mi fa dannare di più questa volta. Mi preoccupa
molto il tema, invece: credo di essere andata fuori tema. Beh se non
altro ti farai due risate, spero.
Non lo hai richiesto, ma io ce
lo scrivo lo stesso, anche se probabilmente te lo ricordi: la mia è
la legge 10.
Di piani, sakè e risse
di slice
Sasuke avrebbe
sempre pensato a quel periodo, anche molti anni a venire, come al più
frustrante nella sua drammatica esistenza e il fatto che avesse
superato in fastidio anche tutta la situazione passata, tra la
vendetta, la morte del fratello e la scoperta di certe scomode
verità, non gli permetteva di dimenticarsene mai del
tutto.
Naruto era tutto sudato e camminava avanti e indietro come
se quel movimento lo facesse rimanere lucido, o addirittura vivo.
Fin
qui, poteva anche asserire che la cosa non fosse di rilevante
importanza, per non dire che non gliene fregava assolutamente una
mazza, ma il fatto che l'idiota fosse a casa sua e soprattutto che
gli fosse piombato tra capo e collo alle cinque del mattino, beh,
diciamo che quei particolari lo indispettivano in modo
particolare.
“Dobe,” lo chiamò, seguendo di
mala voglia quell'incessante movimento a pendolo, pensando di usare
l'eventuale reazione del biondo per sondare la gravità della
faccenda: se gli avesse sbraitato contro di non chiamarlo in quel
modo, di sicuro se ne sarebbe tornato a dormire.
Quello che invece
successe lo mandò in una lieve e assolutamente non gradita
crisi: Naruto si fermò e, dopo quasi un quarto d'ora di
chilometri macinati in su e in giù nel suo soggiorno in un
completo e terrificante silenzio, parlò.
“Sì,”
constatò semplicemente, mentre allargava le braccia ed
incurvava le sopracciglia chiare, “lo sono.” Gli occhi
fissi davanti a lui non incrociarono quelli scuri del padrone di casa
e, anzi, gli diede velocemente le spalle cominciando a farfugliare in
Dobiano, o Dobiese che dir si voglia, e gesticolando come un
folle.
L'Uchiha, dalla sua postazione comodamente a debita
distanza dal cretino, fece un eloquente colpo di tosse. Era ovvio che
qualcosa preoccupasse davvero il jinchuuriki, ma sarebbe stato un
enorme passo avanti solo capire quel che diceva, così magari
avrebbe potuto mandarlo al diavolo e tornarsene a letto. Col tempo
aveva ormai rinunciato a pensare che l'altro se ne sarebbe andato da
casa sua solo dietro sua richiesta.
“...è una cosa
devastante, guarda, non hai idea di come mi senta male. E c'è
chi dice che è la cosa più bella del mondo. Io non
capisco, dov'è che mi sono preso questa malattia? Perché
è chiaro che c'è qualcosa che non va in me. Dovrei
chiedere a Sakura-chan, ma mi vergogno troppo.” Naruto si fermò
improvvisamente con lo sguardo fisso a terra, mordicchiandosi
l'unghia del pollice, pensieroso.
“Dobe,” riprovò
Sasuke, questa volta passandosi una mano nei capelli, infastidito,
“Che cosa potrebbe risultare più vergognoso di essere
te?”
Il silenzio che si protese dopo la sua
affermazione non gli piacque affatto, tanto meno l'espressione
addolorata che vide dipingersi sul viso del suo interlocutore.
Ma
un momento dopo Naruto aveva già ripreso a gesticolare ed era
ripartito con frasi sconclusionate che sembravano parlare di Suna o
di qualcosa che veniva da lì, al che l'Uchiha si accigliò:
essere svegliato alle cinque del mattino da quel... quel... coso
biondo e iperattivo poteva essere frustante ed incredibilmente
snervante, oltre che inutile, ma essere svegliati dal suddetto coso
biondo alle cinque del mattino per parlare di Suna, questo non poteva
proprio accettarlo. Suna poi, si poteva essere più
insignificanti?
“Cosa c'entra Suna adesso? Posso saperlo
anch'io? Se volevi parlare da solo potevi rimanertene a casa,
usuratonkachi, non mi sarei offeso.”
Quello, ora nuovamente
di spalle, fece un gran sospiro e rilassò i muscoli con
rassegnazione, mentre una vena di panico latente gli faceva tremare
leggermente la mano sinistra.
“Sas'ké! Mi sono
innamorato di Gaara!” esclamò il biondo, voltandosi a
fissare il ritrovato migliore amico, e se non fosse stato realmente
sconvolto si sarebbe messo a ridere, con tanto di lacrime agli occhi,
per l'espressione inorridita che aveva il Teme in quel
momento.
Sasuke da parte sua trovò sorprendente solo
l'essere riuscito a deglutire.
In uno sprazzo di lucidità
pensò che Naruto lo stava facendo davvero inquietare e questo
era, se possibile, ancora più preoccupante. Deglutì
ancora, cercando di riprendere un controllo che sentiva scivolare via
ad ogni secondo che passava.
“Ti rendi conto?” incalzò
Naruto cercando di non pensare all'eventualità che Sasuke
potesse ripudiarlo, o scappare di nuovo, o implodere anche. “Non
so davvero come possa essere successa una cosa così, ma Sai mi
ha aperto gli occhi. Non credevo, ma sono incredibilmente ben scritti
quei libri che si legge.”
Perfetto, pensò Sasuke,
c'era sempre quello di mezzo. Sai: Superfluo Anemico
Irritante.
Poi la parte pregnante del blaterare di Naruto tornò
a farsi sentire, scoppiando in un epico mal di testa.
Si alzò
dal divano. Prese il Dobe per un polso e, facendo perno col braccio,
lo lanciò fuori un attimo dopo aver aperto la porta
d'ingresso.
“Ma Sas'ké...” protestò
l'impiastro, indignato.
“Non venire mai più a
svegliarmi ad un'ora del genere per queste tue idiozie. Mi rallegro
solo...” e chiuse il portone facendo sì che la voce
arrivasse ovattata, scemando anche mentre il genio si allontanava
dall'entrata, “...di non essere nei panni del
Kazekage.”
Naruto, solo, nel mezzo di un quartiere così
desolato da non annoverare nemmeno la presenza di qualche animale, si
grattò la testa, indeciso sul da farsi per una manciata di
secondi. Poi, i rumori di un villaggio che si risvegliava attirarono
la sua mente dai meccanismi fin troppo semplici e si diresse verso la
colazione, verso l'Ichiraku.
“Ma dai, non
ci credo,” stava dicendo Ino a Sakura. Le due amiche
parlottavano tra loro, tutte prese a scambiarsi gli ultimi
pettegolezzi, incuranti del fatto che fossero solo le otto di
mattina.
“Giuro! Me lo ha detto Sai e, credimi, ci ho messo
un po' anch'io prima di abituarmi all'idea.”
“Ci hai
messo un po'? Non ci hai messo nemmeno dodici ore, te lo ha detto
ieri sera!” ridacchiò la Yamanaka.
“Beh, ho
dormito poco, la cosa mi ha tenuta sveglia quasi tutta la notte!”
“Ci
credo... Uhm...” mugolò la bionda a labbra strette,
senza concludere la frase.
Sakura, perplessa, capì perché
l'amica si era interrotta solo quando udì il campanellino
della porta del negozio.
“Buongiorno Shikamaru!”
trillò Ino ad un volume esageratamente alto.
“Buongiorno
Shikamaru!” quasi gridò anche Sakura per non destare
sospetti.
Ovviamente tutto questo ebbe l'effetto opposto ed il
giovane Nara si ritrovò ben più lucido di quanto
avrebbe voluto essere alle otto di mattina.
Il nuovo arrivato alzò
gli occhi al cielo e, dopo aver squadrato le due, sbuffò,
detestando sua madre e la sua convinzione che se lei non dormiva non
dovessero farlo neanche gli altri.
“Buongiorno,”
bofonchiò infine, poco convinto di voler scambiare anche un
semplice saluto, per quanto innocuo fosse, con quelle
due.
Contrariamente alle sue aspettative però non ci furono
frasette sussurrate e risolini mal trattenuti, non ci fu nemmeno uno
scambio di battute con scuse degne di Kakashi-sensei, da parte di
Sakura, per dileguarsi. Niente, non notò nemmeno un gioco di
sguardi. I casi erano due: o stavano migliorando, o si erano già
dette tutto.
Oh che peccato, era arrivato tardi, gioì
Shikamaru mentalmente.
In quel preciso istante, proprio mentre
addirittura un sorriso rilassato si stava formando sulle labbra del
chuunin, il campanello suonò ancora.
“Buongiorno
Sas'ke-kun!” quasi urlarono, in sincrono, le due
matte.
Sas'ke-kun, che si era accorto di quel negozio solo
perché gli era strettamente necessario - un Uchiha non va a
cogliere fiori in un prato, ma li compra perché può
permetterselo - e non perché era un edificio di una certa
imponenza, abbassò in quel momento il suo sguardo
impenetrabile per incontrare quello delle due ritardate, quelle che
ancora non avevano afferrato quanto lui odiasse l'inizio di un nuovo
giorno.
“Nh,” mugugnò infatti.
Shikamaru
ruotò gli occhi, più annoiato della noia stessa,
trovando piuttosto ridicolo che quelle due, nonostante fossero ottime
jounin, a volte fossero perspicaci quanto il figlio di
Kurenai-sensei, di appena diciotto mesi.
“I soliti due gigli
Sas'ke-kun?” miagolò Ino, facendo sbuffare il tediato
Nara.
Sasuke annuì, rivolgendo poi lo sguardo sul chuunin e
guardandolo con compassione, prima di alzare un sopracciglio. Non
aveva preso cosa c'era in corso prima che lui entrasse, ma qualunque
cosa fosse a lui non interessava, e in genere il suo sguardo rendeva
questo pensiero abbastanza palese.
La Yamanaka, che aveva fatto il
giro del bancone, prese due gigli dal loro vaso e glieli porse.
“Li
segno,” disse senza formulare una domanda, e senza aspettarsi
alcuna risposta.
Sasuke biascicò un grazie ed uscì
come era entrato, assorto nei suoi personalissimi cazzi.
“Pensi
che sappia qualcosa?” bisbigliò Sakura, senza
distogliere gli occhi dalla porta.
“Anche se lo ha saputo,
lo avrà rimosso. Oppure come al solito trova incredibilmente
più rilevante la punta del suo mignolo sinistro.”
“Guarda
che qualunque cosa lui affermi, in fondo ci tiene a Naruto. È
il suo migliore amico.”
Shikamaru tossì e le due
sussultarono, per poco dimentiche della sua presenza. La Yamanaka si
sporse dal bancone munita di spolverino per darlo in testa al
compagno di squadra.
“Fatti picchiare che vi assomigliate
anche. Con la differenza che tu stai qui a prendere polvere mentre
questo la toglie.”
Nara sbuffò, evitando per un
soffio una piuma dello spolverino in un occhio.
Vedere persone
afflitte dalla perdita di un parente o conoscente di solito lo
allietava, un minimo, s'intende, dal momento che stava comunque
passando un altro stupido giorno su quella insopportabile terra.
Entrando nel cimitero direttamente dalla parte dedicata al suo
quartiere, non incontrava poi così tante persone, anche se
quelle poche che usavano quel passaggio come scorciatoia di solito
bastavano, invece quella mattina era iniziata talmente male da
privarlo anche di quelle piccole soddisfazioni. Tutta colpa del
deficiente.
Si inginocchiò davanti alla tomba della madre e
depositò un giglio vicino ai kanji del suo nome.
Quel posto
avrebbe dovuto suscitare tensione, tristezza, rimpianti, forse una
pesante malinconia, ma a lui faceva solo piacere andare lì. Si
sentiva in mezzo a loro, capito e amato, nonostante non ci
fosse più nessuno, si sentiva a casa; più di quanto non
lo fosse tra le quattro mura della sua effettiva dimora.
Itachi
era seppellito vicino alla madre, per sua richiesta, quindi si alzò
per accucciarsi poco più in là.
La sola cosa che
avrebbe voluto, e dovuto, dire al fratello era un grazie. Ma lo aveva
sprecato con la bambinetta dai capelli rosa, la stessa che poco tempo
prima gli aveva salvato la vita, quando finalmente Naruto era
riuscito a trascinarlo fino al villaggio, più malconcio di
lui.
Le sue labbra si arcuarono leggermente in su e d'istinto
chinò la testa, come per proteggere da occhi indiscreti quella
sua debolezza. Sciocco, non c'era nessuno ad osservarlo, ed il
leggero sorriso si ampliò a questa sua constatazione.
Di
una cosa era sicuro, anche mentre poggiava l'altro giglio sulla tomba
del fratello: non avrebbe mai saputo come avesse fatto Itachi a
sopportare tutto quello. Questo pensiero lo aveva sempre rabbuiato,
perché non saperlo era come non conoscere una parte di Itachi,
una parte così rilevante da averlo tenuto in vita durante
quegli ultimi esasperanti anni della sua breve esistenza.
Venne
distratto da un uccellino che si posò poco lontano da lui; lo
osservò zampettare su un'altra tomba, spiccare un breve volo e
atterrare su quella che ricordava essere l'ultima dimora di
quell'esagitato di Shisui.
Forse, aver saputo di più di suo
fratello sarebbe stato più doloroso di quanto potesse credere.
Il solo immaginarlo non lo faceva stare bene: pensare a quanto aveva
amato tutti loro, Shisui che era stato il primo, ma anche ad altri
cugini ed amici, zii, e poi i loro genitori. Quanta pena gli
procuravano quei pensieri, eppure quanto, realizzava solo in quel
momento, non gli sembravano dolorosi come quando era in casa sua,
solo.
Quel cimitero lo sollevava. Assurdo, pensò, ma lo
faceva sentire meno pesante, meno vuoto.
Lasciò vagare lo
sguardo per tutto il perimetro, come se volesse salutare tutti con
quell'unico gesto. Non erano stati tutti innocenti, ma allora lui era
troppo piccolo per riconoscere movenze da golpe in un parente. Così
non faceva distinzioni, tranne che per un'unica persona: Fugaku
Uchiha.
Quell'uomo non solo aveva istigato tutto il clan contro
Konoha, ma aveva anche trattato sempre tutti come suoi sottoposti.
Aveva posto sulle spalle del suo aniki tredicenne qualcosa più
grosso persino della sua divisa da ANBU, era stato lui a spogliare il
clan e suo fratello del loro onore, era stato sempre lui a decidere
per tutti la strada di una guerra civile prima e di uno sterminio
dopo.
Anche sua madre sapeva ovviamente, ma Sasuke
ricordava gli atteggiamenti di Mikoto con suo padre, ricordava il suo
sguardo deluso quando quell'uomo la metteva a tacere e le ricordava
di stare al suo posto, rigido e severo anche con quel fiore
delicato.
Suo padre non era cattivo con lei, era
semplicemente fatto così e, come sua madre gli aveva detto una
volta, “le persone non si cambiano, si scelgono e si
accettano, altrimenti continuiamo a cercare”.
Era una
frase così semplice e all'apparenza banale da sembrare
scontata, ma le persone cercavano di cambiarlo tanto spesso da fargli
trovare quel concetto più chiaro di molti altri.
Un giorno
forse sarebbe riuscito a portare un giglio anche a suo padre, un
giorno probabilmente lo avrebbe in qualche modo perdonato. Perché
era suo padre, perché era morto, perché per anni aveva
voluto la sua attenzione su di sé, perché per anni
aveva voluto poterlo riabbracciare.
Perché forse perdonarlo
sarebbe stato come abbracciarlo e gli avrebbe sciolto qualcosa dentro
come facevano gli abbracci, assolutamente non richiesti, del
Dobe.
Sbuffò, si era dimenticato del Dobe.
Si alzò
e tornò sui suoi passi, le mani in tasca e il cuore un po' più
leggero, come gli succedeva ogni volta in cui lasciava quel luogo.
Sarebbe stato logico
pensare che quella fosse una giornata come tutte le altre. O almeno
lo sarebbe stato se Naruto non fosse stato in procinto di sputare un
polmone per aver corso, da Oto probabilmente, incontro a Gaara con un
fiore in mano. Tutto questo proprio davanti ai suoi stupendi occhi
neri.
Il Re del villaggio degli sfigati aveva ovviamente con sé
gli insignificanti fratelli in visita a Konoha, che si arrestarono
non appena Naruto berciò il nome del più giovane.
Ora,
poteva ampiamente evitare il tutto prendendo semplicemente un'altra
direzione ma, per quanto Sasuke si ripetesse che la cosa non gli
sarebbe interessata nemmeno se l’avesse riguardato
personalmente, non riusciva comunque ad andarsene.
Forse era
quella stupida e ridicola sensazione, quel sentirsi in dovere di
aiutare Naruto a non finire sempre nei peggio guai, o forse era solo
una profonda e devastante noia. Non si capacitava di come, da quando
era tornato, il cretino biondo riempisse le sue giornate, e
soprattutto di come lui - anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta
voce - gli permettesse di farlo. Fatto stava che il suo istinto gli
intimava di supervisionare le mosse del Dobe.
L'idiota si era
fermato ansimante, con le mani sulle ginocchia, davanti agli insipidi
esseri di Nullalandia, e i tre avevano riscoperto in fretta che
quello era l'usuale volume del jinchuuriki e non era alto per via
della distanza che li separava pochi istanti prima.
Cazzi loro,
pensò allora Sasuke, sbuffando mentre sceglieva di imboccare
un'altra stradina, meno frequentata ma ugualmente utile per
tornarsene a casa.
“Sas'ké vieni qui e saluta i
nostri ospiti!” sbraitò Naruto imbronciato, prima di
tornare a sorridere al Kazekage.
“Porco Madara, che palle,”
biascicò Sasuke, avvicinandosi alla comitiva.
“Uchiha,”
salutò Kankuro, mentre Temari faceva un cenno con la
testa.
“Sono contento che tu abbia fatto in tempo a tornare
Uchiha-kun, Naruto ce l'ha messa tutta: era giusto premiarlo.”
disse Gaara con quel suo tono lento e pacato, con quella sua voce
profonda...
Sasuke aprì bocca, ma la gomitata di Naruto ed
il suo sibilo gli fecero dimenticare le cattive maniere.
“Se
dici qualcosa di sgarbato sarò io a premiare te, Teme,”
disse a denti stretti il caro e buono jinchuuriki,
sorridendo.
L'Uchiha lo guardò abbastanza male da fargli
spostare altrove lo sguardo, poi si rivolse al Kage con un incolore
“Piacere di rivedervi”.
Senza aspettare oltre,
l'Uzumaki prese l'ospite sottobraccio e si incamminò in
direzione del palazzo degli Hokage.
“Vieni Gaara, ti
accompagno io da Baachan!”
“Dobe, ci è già
stato ed è l'edificio più imponente del
villaggio...”
“Teme non hai qualche parente morto da
odiare, tu?”
Che colpo basso. Che stronzo.
Sasuke sorrise
e Naruto tremò. Davvero. Di paura.
“Va bene. Ci
vediamo testa quadra.” scandì mellifluo, prima di
imboccare la strada verso casa.
“Ehm, sì.”
rispose incerto Naruto quando l'altro era già ormai troppo
lontano.
“Non credi di esagerare?”
La voce di Gaara
lo fece sussultare, dimentico della vicinanza gli lasciò il
braccio, sorridendo imbarazzato.
“Ah scusa.”
Gaara
non aveva avuto un esperienza tale nei rapporti umani da capire
sempre tutto, ma proprio per questo certe cose si evidenziavano
davanti ai suoi occhi, risultando più anomale a lui che ad
altri. C'era inoltre da dire che Temari era indubbiamente una
pettegola, anche se ci teneva ad affermare il contrario, e lui aveva
quindi ottimi resoconti a sua disposizione.
“No Naruto, mi
riferivo alla cattiveria che hai messo in quella frase. Va bene che
devi sembrare infastidito dalla sua presenza, ma un conto è
allontanarlo e un conto è attirarsi le sue ire. Chiudi bene a
chiave stanotte.” Detto questo, Sabaku si avviò verso il
palazzo e lasciò l'amico lì, in mezzo alla strada, con
ancora il fiore in mano, come il cretino che era.
Il locale era quasi
pieno e c'era un sacco di confusione, lo sfrigolare delle piastre su
cui cuoceva la carne poi aumentava il frastuono. Ino si udiva bene
ovunque, però.
“Che bello, quanto sono
carini!”
“Chi?” le chiese Chouji, a bocca
piena.
“Naruto e il Kazekage, no?”
L'Akimichi si
strozzò con un pezzo di carne e Nara si vide costretto a
battere una mano sulla schiena del compagno di squadra.
“Cosa...
Che succede tra Naruto... e il Kazekage?” piagnucolò
Chouji, cercando anche di respirare, nel frattempo.
“Ma come
Cho, non lo sai? Si sono innamorati!” trillò Ino, persa
nel suo solito mondo di cuoricini e rose rosse.
Shikamaru sbuffò.
“Io credevo che fosse Naruto quello innamorato di Gaara, ma non
ricordavo di aver sentito fosse ricambiato,” disse, beccandosi
una bacchetta sulla fronte.
“Sei il solito
ammazza-romanticismo! E’ ovvio che Gaara lo ricambi! E poi,
sono così belli insieme: cromaticamente parlando sono
favolosi.”
“A me sembrano più un cazzotto in un
occhio.” borbottò Nara, guardando i due interessati
parlare in strada attraverso la grande vetrata del locale.
“Come
questo?” chiese Ino, concretizzando le parole del chuunin e
tirandogli un pugno leggero su un occhio.
“...Ino,”
brontolò Shikamaru, massaggiandosi la parte lesa, “Non
ho detto che non staranno mai insieme, ho fatto notare che Sai ha
riferito a Sakura solo che Naruto si è invaghito del
Kazekage, e non il contrario. Poi, cosa ti interessa se è un
amore ricambiato o no? Saranno affari loro.”
Per un momento
aveva sperato di non essere stato lui a dire tutte quelle cose, ma
subito la sua illusione venne sbriciolata.
“Nara corri a
dargli una mano, e vergognati! Naruto è un tuo amico. Se ti
sento ancora dire che non te ne importa... vado a prendere lo
spolverino!”
Chouji tossì ancora, paonazzo e incerto,
per la prima volta nella sua vita, se continuare a mangiare o meno,
dal momento che probabilmente si sarebbe strozzato molto presto.
Nara
alzò le mani in segno di resa, e si mobilitò di
malavoglia per raggiungere Naruto con passo strascicato.
“Cho,
ora ne vedremo delle belle!” sorrise la Yamanaka mentre batteva
la manina smaltata sulle possenti spalle dell'onnivoro compagno di
squadra.
L'annoiato chuunin, uscito dal locale, si avvicinò
cautamente all'amico, rimasto solo, che se ne stava fermo con aria
pensierosa giusto in mezzo alla strada.
“Uhm,”
incerto, si passò una mano sulla testa, accarezzando la coda
alta mentre si voltava per vedere Ino che lo insultava al di là
di un fragile vetro. “Come andiamo?” provò infine,
ignorando la compagna di team che spezzava eloquentemente una
bacchetta davanti al viso, con aria truce.
“Eh?”
Naruto si riscosse in quel momento, voltandosi finalmente a guardarlo
in faccia, “Che?”
Nara si sentì molto stanco e
anche molto stressato, ma cercò di non darlo a vedere mentre
sbuffava sonoramente e roteava gli occhi.
“Come va la tua
conquista Naruto?” Scandì a rallentatore, conoscendo i
lenti meccanismi di una mente come quella del biondo, atrofizzata da
un numero indefinito di micidiali pugni rosa.
“Quale
conquista?”
Lenti, lentissimi meccanismi. Quasi fermi,
diciamo immobili, facciamo statici.
“Gaara, stiamo parlando
di Gaara. Suppongo.”
“Ah! Sì, cioè... va
bene! Dovrebbe. Credo.”
Una folata di vento passò tra
i due e una piccola balla d'erba secca catturò i loro occhi
per qualche attimo.
“Vieni,” sbuffò Shikamaru,
che sapeva giocare a quel gioco, “andiamo da Teuchi, ti offro
un ramen.”
Inutile dire che Naruto si illuminò tutto
e annuì vigorosamente già sulla n di ramen.
Sasuke, arrivato
sulla soglia di casa, si guardò indietro.
Immediatamente
davanti a lui c'era un giardino, bello, ma incolto. C'erano un
ciliegio ed un acquitrinio che una volta ricordava pieno di pesci e
splendide ninfee.
Poco più avanti la terra si faceva un po'
arida e il vento portava con sé della polvere bianca; la
strada era costeggiata da case abbandonate e, per la maggior parte,
diroccate. Alcuni ventagli bianchi e rossi comparivano, ormai
scoloriti, sulle mura portanti di quelle vuote dimore.
Due
rappresentazioni di quello stesso simbolo, sbiadito sui muri come
nella memoria del mondo, apparivano in dimensioni considerevoli sulle
porte del quartiere.
Per tanto tempo Sasuke aveva ricordato quelle
vie piene di persone, parenti e amici, e quelle stesse porte varcate
da volti conosciuti e ormai andati persi nell'oblio. A lungo aveva
continuato a rammentare quel quartiere vivo, anche quando non lo era
più da tempo, anche quando le sere d'estate vedeva in cielo i
fuochi d'artificio e sentiva il fragore della festa in lontananza, al
villaggio.
Poi se ne era andato, inseguendo qualcosa che pesava
sulle sue spalle di dodicenne, che pesava tanto da oscurare nella sua
mente tutto il resto. Gli incubi erano rimasti, così come
l'odio, la solitudine ed il suo orgoglio, ma non c'era più un
quartiere. Solo covi umidi, stretti e poco illuminati. Anonimi. Non
suoi.
Fino a poco tempo addietro non avrebbe mai creduto di poter
rivedere quei luoghi, il quartiere Uchiha, che essendo così in
disparte era anche scampato alla voragine creata da Pein. Ironia
della sorte.
Il giorno in cui era potuto tornare a casa,
dall'ospedale, pioveva. Tanto per.
Si era seduto nel portico,
aveva aspettato la notte, immobile, osservando tutto quello che gli
era mancato, tutto ciò che rimaneva del suo clan, della sua
famiglia.
Lo aveva osservato nei minimi dettagli, senza avvilirsi
o deprimersi in alcun modo, aveva solo posato gli occhi su quello che
aveva davanti, come per prendere atto di ciò che ne era
rimasto.
Non aveva dormito quella notte e quando la mattina un
ANBU era saltato sul muro di cinta per controllare la situazione, per
un breve istante la sua mente stanca aveva immaginato Itachi,
lasciandolo scosso più di ogni altra cosa.
Alle nove di
mattina era apparso Naruto e da allora, tutti i giorni, la voce del
compagno lo aveva come cullato, impedendogli di pensare ad altro. Da
allora, tutte le mattine alle nove Naruto aveva continuato a varcare
quelle porte logore ed a trovare il malinconico padrone di quella
landa desolata seduto in quel portico, assorto. Da allora, Sasuke
aveva preso sempre più ad associare quelle porte all'arrivo
del jinchuuriki, trovando un inaspettato beneficio in quella routine,
in quella promessa implicita, in quell'amicizia ritrovata.
Il
vento gli passò tra i capelli, si insinuò nella divisa
e lo costrinse a rabbrividire.
Si voltò verso l'ingresso e
scosse le spalle come per lasciare fuori casa quei pensieri, cercando
di non considerare che avrebbe fatto meglio a guardarsi indietro
molto tempo prima, invece di correre in avanti come bendato.
La
porta sbatté violentemente dietro di lui, probabilmente aveva
lasciato una finestra aperta e si era creata corrente.
Non poteva
nemmeno prendersela con qualcuno per questo. Non poteva essere stato
nessun altro, non c'era nessuno per centinaia di metri.
Si voltò,
aprì la porta e tornò al villaggio.
“Quindi non è
Gaara,” ruppe il silenzio, Shikamaru.
“Cosa?”
riuscì a chiedere Naruto a bocca piena, senza aver capito il
nesso.
“Sì, insomma, se con del ramen ti passa tutto
vuol dire che Gaara sta solo dando una mano a forzare
l'attenzione di qualcun altro su di te,” argomentò
innocentemente Nara, prima di sbadigliare.
Il jinchuriki
sputacchiò cibo ovunque cercando di non strozzarsi.
“Oggi
sarebbe meglio che tu e Chouji non veniste interrotti mentre
mangiate,” sbuffò il chuunin, battendo qualche colpo
sulle spalle dell'amico.
“Come fai a sapere che...? Chi te
lo ha detto?” annaspò Naruto, schiarendosi la gola.
“Tu.
Adesso.” sorrise Shikamaru, mentre Naruto impallidiva.
In
quel preciso momento fece la sua comparsa un altro fondamentale pezzo
del quadro: Sai, non a caso.
“Ciao. Allora P.P., come
procede?” chiese il ninja d'elite con il suo solito sorrisino
sulle labbra.
“Sono ad un punto morto e sia Shikamaru che
Gaara mi hanno scoperto. Mi chiedo quanto ci metterà Sas'ké,”
spiegò Naruto, sporgendosi per ricevere l'ennesima ciotola
fumante da Teuchi.
“Gaara non lo sapeva?” cominciò
Shikamaru perplesso, “non era più facile metterlo al
corrente?”
“Uhm... forse, ma... vai tu a dire ad uno
dei tuoi migliori amici che sei gay,” rispose il jinchuuriki
con metà spaghetti che penzolavano fuori dalla bocca.
“Ma
a Sas'ke lo hai detto?” Sai iniziava ad appassionarsi a quel
genere di cose: molte persone riuscivano a mettere insieme delle
espressioni impagabili a certe rivelazioni o argomenti caldi,
come li chiamava Ino, inoltre era divertente farsi i fatti degli
altri.
“Sì, sì, ho dovuto! Era nel piano,”
disse Naruto prima di scolarsi il brodo, producendo così un
rumore poco carino.
“Un momento,” rifletté a
voce alta Shikamaru, ottenendo tutta l'attenzione dei due shinobi,
“per cosa starebbe P.P.?”
“Pene Piccolo.”
Sai fuggì prima che Naruto collegasse il tutto ed esplodesse
in un ruggito traducibile anche con un: “Ora ti ci bastono,
così la smetti!”
Hinata che passava di lì,
svenne, così, a priori, senza sapere di cosa
parlavano.
Sasuke, seduto su una panchina poco distante, non si
preoccupò di sorreggere la Hyuuga e invece cercò, con
un incredibile distacco e ben poco sforzo, di pensare a cosa
cucinarsi per cena.
“Teme, tu non eri andato a casa?”
bofonchiò Naruto mentre raccoglieva la kunoichi, che una volta
aperti gli occhi perse nuovamente i sensi per essersi trovata il
biondo così vicino.
“Che cosa ha fatto Sai questa
volta? Pensavo che voi stesse sempre assieme, non so, tu, lui e i
suoi libri,” osservò l'Uchiha, neutro.
“Ma cosa
dici? Sai è un'irritante spina nel fianco che prima o poi mi
farà venire un esaurimento nervoso, e ha anche un nome di
merda,” disse il jinchuuriki mentre poggiava Hinata sulla
stessa panchina su cui stava l'arcigno pessimista corvaccio.
“Nh.”
Sasuke preferì tenersi per sé che avrebbe potuto dire
le stesse identiche parole se gli avessero chiesto di lui. “Come
va con Gaara?” Non che gliene fregasse qualcosa, ovviamente, ma
non aveva voglia di mangiare da solo anche quella sera; tutto era
meglio di quel polveroso e morto nulla di casa sua, persino
l'impiastro. E parlando del Kage di
non-so-dove-ma-c'è-anche-un-villaggio avrebbe potuto distrarre
l'imbecille dal fatto che gli chiedeva di mangiare con lui.
“Bene,”
rispose l'Uzumaki vago, falso come il sorriso di Sai, “il mio
fiore gli è piaciuto!” Ma il suo sorriso si spense
quando il Teme abbassò la testa senza riuscire a reprimere a
sua volta un inquietante stirarsi di labbra.
“Perché
non sa ancora quale dei tuoi fiori vuoi dargli,”
borbottò senza guardarlo, “Mangi fuori stasera testa
quadra?” chiese infine, senza lasciargli il tempo di
metabolizzare, alzando testa e tono di voce.
Aveva bisogno di
raggirarlo con una scusa qualsiasi, ma non avrebbe di certo parlato
di Gaara fino alla nausea. Per la noia e per evitare che al Dobe
venissero in testa strane idee.
Già gli piombava in casa
tutte le mattine alle nove - quando non ci andava alle cinque - non
c'era motivo di fargli anche solo lontanamente pensare che potesse
interessargli la sua ridicola vita privata.
Naruto rimase immobile
per una manciata di secondi, continuando a rincorrere con la mente il
significato delle parole del suo, in teoria, migliore amico, poi aprì
bocca per dire una qualsiasi cosa tanto per non rimanere come un
pesce, muto e a bocca aperta.
“Credevo odiassi mangiare
fuori. E la gente, e le posate, e il cibo, e la sera, e il tuo
stomaco, e...”
“Non so cosa cucinare e non ho più
voglia di pensarci,” lo interruppe Sasuke, facendo
spallucce.
Naruto pensò che magari la fortuna stesse
improvvisamente girando dalla sua parte, o che forse il suo piano
stesse funzionando, oppure, ed era l'opzione più realistica,
che Sasuke fosse davvero ridotto male se gli chiedeva di cenare
insieme. Oh, ma dopotutto chi era lui per giudicare!
Sasuke doveva
ammettere che, in quel suo farneticare, Naruto era coerente
nell'essere sempre e comunque incoerente.
In quel momento stava
blaterando nuovamente di Sabbia, e sebbene questo potesse bastare a
definire il concetto d'inutilità che permeava su quella gente,
il biondo sembrava deciso a ridicolizzarli ulteriormente raccontando
a gran voce cosa aveva fatto un Kankuro sbronzo l'ultima volta che
lui era andato là in missione con Nara, per questioni
burocratiche. Altra cosa inutile che non si abbassava a considerare,
e in questo Kakashi era stato un ottimo maestro.
Benché si
estraniasse con facilità, Sasuke stentava a credere che per
brevi tratti avesse anche seguito i discorsi del Dobe.
“Insomma,
lui se ne stava lì, bello come sempre, perché cazzo è
bellissimo, stronzo ma bellissimo, e... Dio era un'infinità di
tempo che non lo vedevo, e avrei voluto abbracciarlo e stringerlo
forte, fregandomene se non avrebbe affatto approvato.” Naruto
prese un altro sorso di sakè, sentendosi più idiota ad
ogni parola che pronunciava, con l'avanzare di tutta quella farsa e
con la sua stupida convinzione che Sasuke potesse essere gay e -
magia! - scoprirsi innamorato proprio di lui. “Però,
anche se non l'ho fatto, avrei tanto voluto abbracciarlo. Magari solo
da amici ecco.” terminò, guardando fisso in un punto a
caso che non fosse il taciturno ex-nukenin, mentre finiva di
bere.
Parlare di Sasuke a Sasuke, fingendo di parlare di Gaara,
non era liberatorio come pensava, anzi. Inoltre lo stronzo lì
accanto nemmeno lo ascoltava, e probabilmente non solo in quel
momento.
Si alzò, barcollando lievemente, e si frugò
in tasca.
“Dove vai Usuratonkachi?”
“A pagare
Teme!” Gli fece schifo udire la sua stessa voce così
sconsolata anche nell'offenderlo, forse perché era l'unica
cosa che potesse fare con lui: prendersi a parolacce e spintoni.
“Almeno sono libero di pagarti la cena.” buttò lì,
frastornato e decisamente sottotono.
“Vedi che poi ti
deprimi idiota? Non bere se non lo reggi.” rispose Sasuke, che
evitava di alzarsi per non barcollare clamorosamente anche
lui.
Naruto si voltò per rispondergli male e questa volta
senza sembrare spento, ma le parole gli morirono in bocca quando posò
lo sguardo sul viso dell'Uchiha.
Aveva la pelle bianca del viso
macchiata da un tenue rossore, ondeggiava leggermente, e teneva gli
occhi lucidi socchiusi mentre osservava vacuo un punto imprecisato
del tavolo.
Magari stava facendo il punto della situazione: da
bravo genio si preoccupava di quante cadute in meno avrebbe potuto
fare se avesse preso una strada piuttosto che un'altra, oppure non
pensava assolutamente a niente e fissava il vuoto, lasciando che
l'alcool gli annebbiasse tutti i brutti ricordi e le cose oscene che
aveva dovuto sopportare. Non importava cosa stesse facendo, Sasuke
era davvero bello. E lo era ancora di più così, assorto
e rallentato, forse perché non lo aveva mai visto alticcio, o
ubriaco che fosse.
Quando la sua mente gli suggerì che
l'amico con ogni probabilità era già nella fase in cui
non si sarebbe ricordato un eventuale bacio il giorno dopo, Naruto si
riscosse, riuscendo anche a distogliere lo sguardo dal profilo
elegante dell'Uchiha, e cercando di pensare a quanto tempo era che
non vedeva l'Ero-sennin. O ad una qualsiasi cosa che fosse
diametralmente opposta alle labbra di Sasuke.
Quando uscirono dal
locale, l'aria fredda li colse alla sprovvista facendoli rabbrividire
e stringere nelle divise.
Mentre lo accompagnava a casa
sorreggendolo per un fianco, Naruto si maledisse domandandosi perché
non gli piaceva davvero Gaara, o perché non si era innamorato
di una persona più semplice, o anche più complicata, ma
che non fosse Sasuke Uchiha.
Quando avvertì la testa del
suddetto poggiarsi sulla sua spalla, non riuscì però a
non gioire.
“Teme, poi sarei io quello che non lo regge,”
sorrise mentre lo stomaco gli si chiudeva.
“Se lo dici a
qualcuno ti rinchiudo in un genjutsu a vita, ti farò rifiutare
da Gaara in loop per sempre.”
“Certo, certo!”
concesse Naruto, come se stesse parlando con un folle, “guarda,
maniaco depressivo, siamo arrivati. Ce la fai a reggerti in piedi
mentre apro? Dammi le chiavi.” Dopo averlo appoggiato ad una
colonna del suo portico, Naruto aprì la mano davanti al petto
del genio.
“Non essere ridicolo Dobe, non chiudo a chiave,
chi vuoi che ci venga qui?”
“Nessuno, perché
sei troppo acido!”
“Ora te ne sputo un po' addosso, di
acido, magari è la volta buona che mi libero di te.”
“Puoi
sempre dormire qui, se vuoi!”
“Tsk, come se non
sapessi fare le scale di casa mia,” obiettò Sasuke,
discostandosi dalla solida colonna per avventurarsi in un mare di
figure ondeggianti. “Idiota,” concluse, entrando a
tastoni dopo aver sbattuto la porta, tanto non aveva vicini
rompiscatole.
Naruto, rimasto fuori, appoggiò la testa al
legno vecchio della porta dietro la quale era sparito il genio e si
odiò perché non ne aveva mai abbastanza di quegli occhi
neri.
Quando Sasuke aprì
gli occhi, il sole era abbastanza basso da fargli realizzare che
aveva dormito quasi un giorno intero, quindi si mise supino,
sentendosi stranamente di buon umore.
Nonostante questo, non
appena nella mente gli si delinearono tutti gli avvenimenti del
giorno precedente - e in particolar modo la sbronza che si era preso
con quell'altro -, chiuse gli occhi e avvertì il mal di
testa intensificarsi.
Si alzò senza preoccuparsi di mettere
qualcosa addosso e si diresse in cucina, a torso nudo e con una mano
sugli occhi.
Prese una tazza, poggiandola sul tavolo, ed iniziò
a farsi un tè, forse l'unica cosa che poteva trattenere il suo
stomaco, mentre numerosi pensieri gli vorticavano in
testa.
Quell'idiota lo aveva assillato con le sue scemate e quella
stupida ed indecorosa cotta per il Kage del niente, come se lui non
avesse già i suoi problemi a cui pensare.
In un attimo di
sconforto, mentre si versava il tè nella tazza, pensò
che lo scemo sarebbe dovuto andare a cena con Sabaku invece di
annoiarlo, ignorando totalmente la vocina che gli diceva che era
stato lui ad invitare l'ebete.
Non aveva nessun senso che Naruto
continuasse a ronzargli d'intorno se era interessato a qualcun altro,
ma soprattutto non aveva senso per lui pensare a quelle scemenze. Si
accigliò mentre sorseggiava la bevanda calda.
Invitarlo a
cena era stato uno sbaglio per vari motivi, primo fra tutti che il
jinchuuriki gli aveva riempito la testa con le sue idiozie e, non per
ultimo, che anche la sua sola presenza era sempre e comunque
nociva.
In quel preciso istante bussarono alla porta, e subito
Sasuke immaginò chi potesse essere.
“Non sapevo che
le tue visite si spostassero alle nove di sera se la mattina
hai da fare, Usuratonkachi,” disse aprendo la porta con ancora
la tazza in mano e il petto nudo. Ma quello che il moro non si era
aspettato, era di trovarsi di fronte lui.
“Buongiorno
Uchiha,” disse Gaara, mentre cercava di immaginarsi il seminudo
padrone di casa completamente bardato.
“Ah, Sabaku,”
commentò Sasuke incolore, “a cosa devo questo piacere?”
Non si curò di essere particolarmente educato: senza Naruto,
avrebbe potuto essere scortese quanto voleva.
“A Naruto. Non
mi fai entrare?”
“No, i miei sono già in
pigiama, sai com'è.”
“Già, immagino.
Nonostante noi non abbiamo niente da spartire...”
Per
fortuna, pensò Sasuke sempre più di buon umore dopo
l'ultima affermazione del fiammifero vivente che aveva davanti.
“...abbiamo un amico in comune, e sono sicuro che ha
aiutato entrambi più di quanto potremo mai fare noi con lui,”
proseguì Gaara, in risposta al sopracciglio alzato
dell'altro.
“Sei venuto fin qui per parlare del Dobe, e già
questo la dice lunga, ma ancora non ho afferrato il succo del
discorso,” constatò Sasuke, massaggiandosi gli occhi con
il pollice e l'indice.
“Vedi Uchiha,” continuò
impassibile il Kazekage, senza davvero prestar attenzione al suo
interlocutore, ma sentendo ugualmente l'irritazione crescere a
dismisura, “Naruto ha sviluppato nel tempo una particolare
affezione nei tuoi confronti e, siccome io non ho il tempo materiale
di consolarlo tutte le volte che lo maltratti come solo un cafone
come te può fare, potresti risolvermi i problemi alla base se
evitassi di comportarti da stronzo nove volte su dieci. Inoltre, mi
farebbe oltremodo comodo che aprissi quegli splendidi occhioni
neri che ti ritrovi e spingessi il tuo regale sguardo
oltre il tuo perfetto nasino, cercando di vedere quello che ti
accade intorno con aristocratico rispetto per chi ti ha salvato il
culo più di una volta. Buona serata.”
Sasuke sbatté
le ciglia un paio di volte, mentre la schiena del Nulla no Kage,
prova che il villaggio della Foglia non era l'unico ad essere pieno
di idioti, si allontanava, prima di chiudere con forza la porta, a
dimostrazione del suo sommo fastidio. Come solo un cafone come lui
poteva fare.
Nei giorni di convalescenza passati all'ospedale
quando era stato salvato, in attesa del processo, aveva avuto la
sensazione di essersi dimenticato qualcosa: non erano Juugo, Suigetsu
e Karin, ora ne era certo, bensì la distruzione di
Suna-inutile-Gakure. D'altra parte, era comprensibile essersela
dimenticata, persino per lui.
“Gaara!
Gaara!” chiamò il contenitore del Kyuubi, ancora una
volta di corsa, “Che fai? Ritorni già a casa?”
chiese con un filo di panico nella voce.
Sabaku si fermò ad
osservare l’amico per un momento.
Naruto era cresciuto -
come tutti loro, del resto - ma forse, come a volte succedeva anche a
lui, di tanto in tanto aveva bisogno di essere rassicurato, di una
spinta. Era ancora lo stesso, lo stesso bambino-adulto che aveva
conosciuto anni prima, ed egoisticamente una parte di lui sperava che
non sarebbe mai cambiato.
“Sta' tranquillo Naruto, non ti
servo io, ti serve coraggio. E quello non ti manca.”
“Che
cos...? No no, mi servi tu!” quasi urlò il ninja biondo
con voce stridula.
Gaara sorrise, composto e calmo come l'acqua di
un lago, posando una mano sulla spalla di Naruto per attirare la sua
attenzione.
“A me non da fastidio, se era quello che temevi.
Avevo già immaginato qualcosa del genere e non mi ha mai
infastidito. Io sono tuo amico Naruto, ma non posso né voglio
stare in mezzo.”
Con quegli occhi azzurri spalancati,
l'Uzumaki fece sorridere ancora il Kazekage.
Naruto con gli anni
aveva maturato la convinzione che l'amicizia tra lui e Gaara non
avrebbe mai potuto essere forte come quella con Sasuke,
principalmente perché vivevano in due mondi diversi, separati
da giorni di cammino, ma l’udire quelle parole aveva giovato al
suo spirito e lo aveva fatto sentire uno stupido per aver pensato che
quel legame potesse essere qualcosa di così fragile e
mutevole.
“Hai ragione,” rispose infine, avvertendo il
petto leggero e il suo intero essere meno teso.
“Sai dove mi
trovo,” fece presente il Kage, sottintendendo che poteva
andarlo a trovare quando voleva, convinto di aver già detto
troppo.
Infatti Naruto annuì, prima di regalargli uno dei
suoi abbaglianti sorrisi mentre guardava l'amico raggiungere i suoi
fratelli e tutti e tre salutarlo con la mano, per poi voltarsi e
mettersi in cammino.
Quando scomparvero alla vista, il jinchuuriki
sospirò, rilassando le spalle.
“E ora che diavolo
faccio?”
Si guardò in giro cercando aiuto e scorse
subito la sua vittima: “Shikamaru! Shikamaru!” si mise ad
urlare, proprio come aveva fatto con Gaara.
“...se ne
stava lì, bello come sempre... stronzo ma bellissimo... era
un'infinità di tempo che non lo vedevo... avrei voluto
abbracciarlo... fregandomene se non avrebbe affatto approvato..”
“Almeno sono libero di pagarti la cena.”
“...Naruto
ha sviluppato nel tempo una particolare affezione nei tuoi
confronti... mi farebbe oltremodo comodo che aprissi quegli splendidi
occhioni neri... cercando quindi di vedere quello che ti accade
intorno con aristocratico rispetto per chi ti ha salvato il culo più
di una volta.”
Sasuke continuava a chiedersi come
potesse non aver voglia di vomitare.
Già quel campo di
battaglia che era il suo stomaco dopo quantità immani di cibo
e sakè non era nelle migliori condizioni, poi scopriva anche
che il Dobe aveva messo su una specie di piano per attirare la sua
attenzione.
Sì, perché le ultime notizie gli avevano
reso il quadro fin troppo chiaro.
Aprì uno sportello in
basso e ci frugò dentro.
Prese la bottiglia di sakè
che stava sul fondo e cominciò a bere, lì, sul
pavimento.
Se prima era convinto di odiare tutto e tutti, in quel
momento era sicuro di poter anche uccidere chiunque. Ma al tempo
stesso, non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui si era
sentito così rilassato, in cui aveva avuto mal di stomaco per
la felicità.
Non era proprio un mal di stomaco, forse non
aveva digerito o forse era solo tutto l'alcool del giorno precedente,
ma aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco che non
sapeva come interpretare. Intuiva che non fosse del tutto sgradevole,
ma proprio questo pensiero gliela rendeva incredibilmente
spiacevole.
Scosse la testa, spesso era davvero fastidioso essere
umani, specialmente per uno perfetto come lui. Essere preda di certe
complicate ed estenuanti reazioni faceva davvero schifo.
Trasse un
paio di grosse sorsate dalla bottiglia, inclinandola verso il
basso.
Da una parte c'erano quegli stupidi occhi azzurri, e
dall'altra c'era l'umiliazione che gli dava il solo considerare
quegli stupidi occhi azzurri in modo diverso.
Insomma, lui trovava
le ragazze quasi sempre antipatiche e fastidiose, ma tutto sommato
gli piacevano.
Hinata era molto bella. Poi la Hyuuga era così
innocua e, se non avesse stonato profondamente con tutto il suo
essere, avrebbe aggiunto anche tenera che, a pensarci bene, avrebbe
anche potuto dormire in sua presenza. Non il dormiveglia agitato e
pieno di incubi degli ultimi anni, e nemmeno un sonno leggero come
quello che aveva da bambino, quando si svegliava se qualcuno,
dall'altra parte della terra del Fuoco, tossiva, ma un vero e proprio
riposo, perché Hinata in un qualche modo sapeva di mamma. Una
mamma apprensiva che sveniva spesso.
Ino era carina, frivola e un
po' matta, ma aveva dalla sua due stupidi occhi azzurri! Non era
malaccio, ed era anche un medic ninja.
Tenten... chi era
Tenten?
Sakura aveva fascino, con quegli occhioni verdi e quei
capelli rosa. Era intelligente, abile e potente, e lo amava da
sempre. Avrebbe avuto delle certezze nella sua vita matrimoniale e
probabilmente la sua compagna di team non gli avrebbe negato tutti i
figli che gli occorrevano per ripopolare il clan.
Ecco, non poteva
essere omosessuale, doveva riportare il suo clan agli antichi
splendori e poteva farlo solo con una donna.
Abbassò lo
sguardo sull'etichetta della bottiglia senza realmente vederla.
Quel
cretino... non era nemmeno una donna. Totalmente inutile su tutti
i fronti. Lo odiava a morte. E gli avrebbe spaccato la faccia.
Poi
sarebbe toccato a quel Kazekage che aveva un granello al posto della
materia grigia.
Era tutta colpa loro. E infatti li avrebbe anche
aggrovigliati fra di loro, così avrebbero potuto stare insieme
tutto il tempo che volevano, uno a sbraitare cazzate e l'altro a
consolarlo.
Sì, pensò mentre riprendeva a
sorseggiare il liquido amaro, li avrebbe massacrati di botte.
L'indomani mattina, però.
Naruto bussò
alla porta di Sasuke alle nove spaccate.
La porta si aprì,
cigolando come sempre, e il biondo schiuse le labbra per urlare il
suo buongiorno, ma non ebbe tempo di dire niente che una pioggia di
shuriken cercò di colpirlo.
“Ti odio, maledetto
cretino,” gli diede il suo buongiorno l'Uchiha, iroso.
Il
jinchuuriki, che si era scansato in tempo per non essere ferito, ma
che era rimasto inshurikato ad una delle colonne del portico,
si ripromise di non richiamare il chackra del Kyuubi per così
poco.
“Buongiorno anche a te, bastardo, vedo che siamo di
ottimo umore. Che cosa ho fatto questa volta?” chiese,
scansandosi in tempo per evitare il pugno che incrinò la
colonna.
“Esisti,” ringhiò Sasuke, balzando al
suo inseguimento, senza lasciargli il tempo di pensare.
Naruto
riuscì ad evitare il secondo colpo dell'Uchiha per un soffio,
inciampando però l'attimo dopo. Un kunai si piantò
nella terra arida dove un istante prima c'era il suo cuore.
“Sei
impazzito Teme? Tutta la tua boria ti ha dato alla testa?”
prese tempo Naruto, cercando di non cedere e di non colpirlo. “Vuoi
almeno degnarti di farmi sapere perché mi vuoi morto?”
chiese infine, sempre meno retorico.
Sasuke gli fu addosso in un
attimo e riuscì anche ad infilargli un kunai nella spalla,
digrignando i denti, bellicoso.
“Prima ti squarto, poi te lo
dico,” urlò, furioso, a carponi sull'Uzumaki.
Da così
vicino e da quella posizione, Naruto poté vedere quegli occhi
neri brillare di rabbia, ma c'era anche qualcosa che probabilmente
chiunque altro, che non lo conosceva come lui, non avrebbe notato.
Era forse confusione?
“Che cosa è successo?”
chiese improvvisamente calmo e col tono incrinato dalla
preoccupazione, tanto che fece rallentare per un momento anche il suo
aggressore.
“Niente, sei solo il solito imbecille,”
sibilò alla fine il genio, affondando il kunai ancora un
po'.
Naruto emise un verso strozzato e lo prese per la maglia per
rifilargli una testata, liberandosi così dalla stretta e da
quella posizione piuttosto imbarazzante.
Sasuke fece per colpirlo
di nuovo, ma quando si voltò non trovò nessuno dietro
di sé e il suo Chidori sfrigolò nell'aria, a
vuoto.
“Credo tu stia esagerando,” commentò il
jinchuuriki serio, dal tetto di una delle abitazioni diroccate, “non
possiamo parlarne?”
Ma l'attimo dopo Naruto si ritrovò
immobilizzato e il clone di Sasuke in strada si dissolse in una
nuvola di fumo.
“Come ti sei permesso di venire qui ogni
santo giorno? Come hai potuto?” gli urlò Sasuke in un
orecchio, indignato.
Era davvero fuori di sé e dalla sua
voce traspariva anche qualcosa che il biondo avrebbe definito
disperazione, se non l’avesse creduto quasi
impossibile.
“Aspetta Sas'ke! Mi stai facendo male,
parliamone,” guaì Naruto alle strette, “andiamo,
non può essere così terribile,” disse, cercando
di farlo ragionare, mentre tentava di liberarsi con degli
strattoni.
Passarono diversi secondi e non vi fu risposta, mentre
la stretta si faceva sempre più ferrea.
“Sai cos'è
terribile? Che se Gaara non fosse venuto a casa mia ieri sera, non mi
sarei mai accorto di niente, non avrei mai saputo niente, tanto meno
lo avrei capito dal tuo patetico piano.”
Naruto smise di
divincolarsi, sentendosi improvvisamente pesante. Il cuore prese a
martellargli ancora più forte di quanto non avesse fatto
durante il breve scontro.
Avvertì le mani sudare e la
salivazione scendere a zero, mentre lo stomaco gli si chiudeva
dolorosamente.
Sasuke lo lasciò andare, spingendolo perché
si voltasse a guardarlo in faccia, ma l'usuratonkachi tenne gli occhi
bassi.
“Beh, mi... mi dispiace,” balbettò, con
le guance arrossate per l'imbarazzo e per l'affanno, “non è
facile... e con te lo è ancora meno,” puntualizzò,
risentito.
“Tutto qui, ritardato? È tutto quello che
hai da dire?” scattò Sasuke, irrigidendosi,
nervoso.
Naruto alzò finalmente gli occhi su quelli
dell'altro e serrò i pugni, sentendo il sangue ribollire nelle
vene.
“Che cosa devo dirti Sas'ke? Guardati! Non c'è
spazio intorno a te, non ti si può dire niente. Ho avuto
paura, va bene? Tanta.” Naruto strinse i denti per un momento,
preferendo essere ovunque tranne che lì. “Ma hai
ragione, come sempre, avrei dovuto dirtelo, così, su due
piedi, con le prime parole che mi venivano in mente, perché
tanto non potresti ignorarmi più di quel che fai già.
Sono io che vengo a trovarti, io che ti trascino fuori da quella
maledetta casa, e sono sempre io che ti penso tutto il giorno. A te
interessa solo fare lo stronzo. Adesso, infatti, ti ho dato
l'opportunità di ridere di qualcosa che mi farà male.
Non sei contento?”chiese Naruto, con le pupille allungate e
l'iride rossastra, una punta di isteria nella voce.
Rimasero fermi
ad ansimare nella brezza mattutina, per un momento che si dilatò
a dismisura nella percezione del ninja biondo, sembrandogli lungo più
o meno una settimana.
In quell’istante, Sasuke lo avrebbe
preso e sbatacchiato ovunque, fino ad aprirgli quella testaccia
bionda e a capire che cavolo c'era all'interno. Ma poi, lo sapeva,
maledizione, che gli sarebbe mancato quell'idiota.
“Sei un
coglione con la C maiuscola e ti odio da matti,” esplose
Sasuke, prima di prenderlo per il bavero e tirarselo contro, premendo
le labbra sulle sue.
Magari lo avrebbe ucciso un'altra volta.
Pochi tetti più
avanti un gatto sbadigliò e Shikamaru, nascosto poco distante,
si sentì obbligato a fare altrettanto. Sai accanto a lui
sorrise, come se non lo avesse mai fatto.
“Ti verrà
una paresi,” lo avvertì Nara, flemmatico.
“Sei
un bravo consigliere,” disse Sai, ignorandolo
completamente.
“Ma se non ha fatto nulla di quel che gli ho
detto...” si accigliò Nara, mettendo il ninja d'elite
davanti all'evidenza.
“Beh, ma ha funzionato
comunque,”
Shikamaru corrugò la fronte, trovando
impossibile rispondere alle sciocchezze di Sai.
“Certo. Ora
posso tornare a dormire sul mio stupendo ed etero prato, per
cortesia?”
Owari
suni cacchio, questa storia è stata un parto e farà ugualmente schifo, senza contare che quasi sicuramente è fuori tema. Non ho saputo farla meglio, quindi per favore non squalificarmi che ci ho messo un eternità e il SasuNaru non è esattamente fatto su misura per me. Spero ti piaccia un pochino, che poi è la cosa più importante, almeno al di là del contest.
I luoghi ed i personaggi non mi appartengono, e non c'è lucro.