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Autore: slice    20/02/2010    8 recensioni
“Non so cosa cucinare e non ho più voglia di pensarci,” lo interruppe Sasuke, facendo spallucce.
Naruto pensò che magari la fortuna stesse improvvisamente girando dalla sua parte, o che forse il suo piano stesse funzionando, oppure, ed era l'opzione più realistica, che Sasuke fosse davvero ridotto male se gli chiedeva di cenare insieme. Oh, ma dopotutto chi era lui per giudicare!
Questa shot ha partecipato al contest "La legge di Murphy", indetto da suni, arrivando quinta.
Ho modificato il carattere perché risultava troppo piccolo e fastidioso. Grazie a crazyapple per avermi avvisata.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: slice.
Titolo: “Di piani, sakè e risse”.
Genere: commedia, romantico.
Rating: giallo.
Avvertimenti: shonen ai, what if?, one-shot.
Presentazione: “Non so cosa cucinare e non ho più voglia di pensarci,” lo interruppe Sasuke, facendo spallucce.
Naruto pensò che magari la fortuna stesse improvvisamente girando dalla sua parte, o che forse il suo piano stesse funzionando, oppure, ed era l'opzione più realistica, che Sasuke fosse davvero ridotto male se gli chiedeva di cenare insieme. Oh, ma dopotutto chi era lui per giudicare!
Note: mi rendo conto che ho una visione particolare dei due esseri che ho trattato maggiormente in questa ff, ma l'ic stranamente non è la cosa che mi fa dannare di più questa volta. Mi preoccupa molto il tema, invece: credo di essere andata fuori tema. Beh se non altro ti farai due risate, spero.
Non lo hai richiesto, ma io ce lo scrivo lo stesso, anche se probabilmente te lo ricordi: la mia è la legge 10.







Di piani, sakè e risse

di slice



Sasuke avrebbe sempre pensato a quel periodo, anche molti anni a venire, come al più frustrante nella sua drammatica esistenza e il fatto che avesse superato in fastidio anche tutta la situazione passata, tra la vendetta, la morte del fratello e la scoperta di certe scomode verità, non gli permetteva di dimenticarsene mai del tutto.
Naruto era tutto sudato e camminava avanti e indietro come se quel movimento lo facesse rimanere lucido, o addirittura vivo.
Fin qui, poteva anche asserire che la cosa non fosse di rilevante importanza, per non dire che non gliene fregava assolutamente una mazza, ma il fatto che l'idiota fosse a casa sua e soprattutto che gli fosse piombato tra capo e collo alle cinque del mattino, beh, diciamo che quei particolari lo indispettivano in modo particolare.
“Dobe,” lo chiamò, seguendo di mala voglia quell'incessante movimento a pendolo, pensando di usare l'eventuale reazione del biondo per sondare la gravità della faccenda: se gli avesse sbraitato contro di non chiamarlo in quel modo, di sicuro se ne sarebbe tornato a dormire.
Quello che invece successe lo mandò in una lieve e assolutamente non gradita crisi: Naruto si fermò e, dopo quasi un quarto d'ora di chilometri macinati in su e in giù nel suo soggiorno in un completo e terrificante silenzio, parlò.
“Sì,” constatò semplicemente, mentre allargava le braccia ed incurvava le sopracciglia chiare, “lo sono.” Gli occhi fissi davanti a lui non incrociarono quelli scuri del padrone di casa e, anzi, gli diede velocemente le spalle cominciando a farfugliare in Dobiano, o Dobiese che dir si voglia, e gesticolando come un folle.
L'Uchiha, dalla sua postazione comodamente a debita distanza dal cretino, fece un eloquente colpo di tosse. Era ovvio che qualcosa preoccupasse davvero il jinchuuriki, ma sarebbe stato un enorme passo avanti solo capire quel che diceva, così magari avrebbe potuto mandarlo al diavolo e tornarsene a letto. Col tempo aveva ormai rinunciato a pensare che l'altro se ne sarebbe andato da casa sua solo dietro sua richiesta.
“...è una cosa devastante, guarda, non hai idea di come mi senta male. E c'è chi dice che è la cosa più bella del mondo. Io non capisco, dov'è che mi sono preso questa malattia? Perché è chiaro che c'è qualcosa che non va in me. Dovrei chiedere a Sakura-chan, ma mi vergogno troppo.” Naruto si fermò improvvisamente con lo sguardo fisso a terra, mordicchiandosi l'unghia del pollice, pensieroso.
“Dobe,” riprovò Sasuke, questa volta passandosi una mano nei capelli, infastidito, “Che cosa potrebbe risultare più vergognoso di essere te?”
Il silenzio che si protese dopo la sua affermazione non gli piacque affatto, tanto meno l'espressione addolorata che vide dipingersi sul viso del suo interlocutore.
Ma un momento dopo Naruto aveva già ripreso a gesticolare ed era ripartito con frasi sconclusionate che sembravano parlare di Suna o di qualcosa che veniva da lì, al che l'Uchiha si accigliò: essere svegliato alle cinque del mattino da quel... quel... coso biondo e iperattivo poteva essere frustante ed incredibilmente snervante, oltre che inutile, ma essere svegliati dal suddetto coso biondo alle cinque del mattino per parlare di Suna, questo non poteva proprio accettarlo. Suna poi, si poteva essere più insignificanti?
“Cosa c'entra Suna adesso? Posso saperlo anch'io? Se volevi parlare da solo potevi rimanertene a casa, usuratonkachi, non mi sarei offeso.”
Quello, ora nuovamente di spalle, fece un gran sospiro e rilassò i muscoli con rassegnazione, mentre una vena di panico latente gli faceva tremare leggermente la mano sinistra.
“Sas'ké! Mi sono innamorato di Gaara!” esclamò il biondo, voltandosi a fissare il ritrovato migliore amico, e se non fosse stato realmente sconvolto si sarebbe messo a ridere, con tanto di lacrime agli occhi, per l'espressione inorridita che aveva il Teme in quel momento.
Sasuke da parte sua trovò sorprendente solo l'essere riuscito a deglutire.
In uno sprazzo di lucidità pensò che Naruto lo stava facendo davvero inquietare e questo era, se possibile, ancora più preoccupante. Deglutì ancora, cercando di riprendere un controllo che sentiva scivolare via ad ogni secondo che passava.
“Ti rendi conto?” incalzò Naruto cercando di non pensare all'eventualità che Sasuke potesse ripudiarlo, o scappare di nuovo, o implodere anche. “Non so davvero come possa essere successa una cosa così, ma Sai mi ha aperto gli occhi. Non credevo, ma sono incredibilmente ben scritti quei libri che si legge.”
Perfetto, pensò Sasuke, c'era sempre quello di mezzo. Sai: Superfluo Anemico Irritante.
Poi la parte pregnante del blaterare di Naruto tornò a farsi sentire, scoppiando in un epico mal di testa.
Si alzò dal divano. Prese il Dobe per un polso e, facendo perno col braccio, lo lanciò fuori un attimo dopo aver aperto la porta d'ingresso.
“Ma Sas'ké...” protestò l'impiastro, indignato.
“Non venire mai più a svegliarmi ad un'ora del genere per queste tue idiozie. Mi rallegro solo...” e chiuse il portone facendo sì che la voce arrivasse ovattata, scemando anche mentre il genio si allontanava dall'entrata, “...di non essere nei panni del Kazekage.”
Naruto, solo, nel mezzo di un quartiere così desolato da non annoverare nemmeno la presenza di qualche animale, si grattò la testa, indeciso sul da farsi per una manciata di secondi. Poi, i rumori di un villaggio che si risvegliava attirarono la sua mente dai meccanismi fin troppo semplici e si diresse verso la colazione, verso l'Ichiraku.



Ma dai, non ci credo,” stava dicendo Ino a Sakura. Le due amiche parlottavano tra loro, tutte prese a scambiarsi gli ultimi pettegolezzi, incuranti del fatto che fossero solo le otto di mattina.
“Giuro! Me lo ha detto Sai e, credimi, ci ho messo un po' anch'io prima di abituarmi all'idea.”
“Ci hai messo un po'? Non ci hai messo nemmeno dodici ore, te lo ha detto ieri sera!” ridacchiò la Yamanaka.
“Beh, ho dormito poco, la cosa mi ha tenuta sveglia quasi tutta la notte!”
“Ci credo... Uhm...” mugolò la bionda a labbra strette, senza concludere la frase.
Sakura, perplessa, capì perché l'amica si era interrotta solo quando udì il campanellino della porta del negozio.
“Buongiorno Shikamaru!” trillò Ino ad un volume esageratamente alto.
“Buongiorno Shikamaru!” quasi gridò anche Sakura per non destare sospetti.
Ovviamente tutto questo ebbe l'effetto opposto ed il giovane Nara si ritrovò ben più lucido di quanto avrebbe voluto essere alle otto di mattina.
Il nuovo arrivato alzò gli occhi al cielo e, dopo aver squadrato le due, sbuffò, detestando sua madre e la sua convinzione che se lei non dormiva non dovessero farlo neanche gli altri.
“Buongiorno,” bofonchiò infine, poco convinto di voler scambiare anche un semplice saluto, per quanto innocuo fosse, con quelle due.
Contrariamente alle sue aspettative però non ci furono frasette sussurrate e risolini mal trattenuti, non ci fu nemmeno uno scambio di battute con scuse degne di Kakashi-sensei, da parte di Sakura, per dileguarsi. Niente, non notò nemmeno un gioco di sguardi. I casi erano due: o stavano migliorando, o si erano già dette tutto.
Oh che peccato, era arrivato tardi, gioì Shikamaru mentalmente.
In quel preciso istante, proprio mentre addirittura un sorriso rilassato si stava formando sulle labbra del chuunin, il campanello suonò ancora.
“Buongiorno Sas'ke-kun!” quasi urlarono, in sincrono, le due matte.
Sas'ke-kun, che si era accorto di quel negozio solo perché gli era strettamente necessario - un Uchiha non va a cogliere fiori in un prato, ma li compra perché può permetterselo - e non perché era un edificio di una certa imponenza, abbassò in quel momento il suo sguardo impenetrabile per incontrare quello delle due ritardate, quelle che ancora non avevano afferrato quanto lui odiasse l'inizio di un nuovo giorno.
“Nh,” mugugnò infatti.
Shikamaru ruotò gli occhi, più annoiato della noia stessa, trovando piuttosto ridicolo che quelle due, nonostante fossero ottime jounin, a volte fossero perspicaci quanto il figlio di Kurenai-sensei, di appena diciotto mesi.
“I soliti due gigli Sas'ke-kun?” miagolò Ino, facendo sbuffare il tediato Nara.
Sasuke annuì, rivolgendo poi lo sguardo sul chuunin e guardandolo con compassione, prima di alzare un sopracciglio. Non aveva preso cosa c'era in corso prima che lui entrasse, ma qualunque cosa fosse a lui non interessava, e in genere il suo sguardo rendeva questo pensiero abbastanza palese.
La Yamanaka, che aveva fatto il giro del bancone, prese due gigli dal loro vaso e glieli porse.
“Li segno,” disse senza formulare una domanda, e senza aspettarsi alcuna risposta.
Sasuke biascicò un grazie ed uscì come era entrato, assorto nei suoi personalissimi cazzi.
“Pensi che sappia qualcosa?” bisbigliò Sakura, senza distogliere gli occhi dalla porta.
“Anche se lo ha saputo, lo avrà rimosso. Oppure come al solito trova incredibilmente più rilevante la punta del suo mignolo sinistro.”
“Guarda che qualunque cosa lui affermi, in fondo ci tiene a Naruto. È il suo migliore amico.”
Shikamaru tossì e le due sussultarono, per poco dimentiche della sua presenza. La Yamanaka si sporse dal bancone munita di spolverino per darlo in testa al compagno di squadra.
“Fatti picchiare che vi assomigliate anche. Con la differenza che tu stai qui a prendere polvere mentre questo la toglie.”
Nara sbuffò, evitando per un soffio una piuma dello spolverino in un occhio.



Vedere persone afflitte dalla perdita di un parente o conoscente di solito lo allietava, un minimo, s'intende, dal momento che stava comunque passando un altro stupido giorno su quella insopportabile terra. Entrando nel cimitero direttamente dalla parte dedicata al suo quartiere, non incontrava poi così tante persone, anche se quelle poche che usavano quel passaggio come scorciatoia di solito bastavano, invece quella mattina era iniziata talmente male da privarlo anche di quelle piccole soddisfazioni. Tutta colpa del deficiente.
Si inginocchiò davanti alla tomba della madre e depositò un giglio vicino ai kanji del suo nome.
Quel posto avrebbe dovuto suscitare tensione, tristezza, rimpianti, forse una pesante malinconia, ma a lui faceva solo piacere andare lì. Si sentiva in mezzo a loro, capito e amato, nonostante non ci fosse più nessuno, si sentiva a casa; più di quanto non lo fosse tra le quattro mura della sua effettiva dimora.
Itachi era seppellito vicino alla madre, per sua richiesta, quindi si alzò per accucciarsi poco più in là.
La sola cosa che avrebbe voluto, e dovuto, dire al fratello era un grazie. Ma lo aveva sprecato con la bambinetta dai capelli rosa, la stessa che poco tempo prima gli aveva salvato la vita, quando finalmente Naruto era riuscito a trascinarlo fino al villaggio, più malconcio di lui.
Le sue labbra si arcuarono leggermente in su e d'istinto chinò la testa, come per proteggere da occhi indiscreti quella sua debolezza. Sciocco, non c'era nessuno ad osservarlo, ed il leggero sorriso si ampliò a questa sua constatazione.
Di una cosa era sicuro, anche mentre poggiava l'altro giglio sulla tomba del fratello: non avrebbe mai saputo come avesse fatto Itachi a sopportare tutto quello. Questo pensiero lo aveva sempre rabbuiato, perché non saperlo era come non conoscere una parte di Itachi, una parte così rilevante da averlo tenuto in vita durante quegli ultimi esasperanti anni della sua breve esistenza.
Venne distratto da un uccellino che si posò poco lontano da lui; lo osservò zampettare su un'altra tomba, spiccare un breve volo e atterrare su quella che ricordava essere l'ultima dimora di quell'esagitato di Shisui.
Forse, aver saputo di più di suo fratello sarebbe stato più doloroso di quanto potesse credere. Il solo immaginarlo non lo faceva stare bene: pensare a quanto aveva amato tutti loro, Shisui che era stato il primo, ma anche ad altri cugini ed amici, zii, e poi i loro genitori. Quanta pena gli procuravano quei pensieri, eppure quanto, realizzava solo in quel momento, non gli sembravano dolorosi come quando era in casa sua, solo.
Quel cimitero lo sollevava. Assurdo, pensò, ma lo faceva sentire meno pesante, meno vuoto.
Lasciò vagare lo sguardo per tutto il perimetro, come se volesse salutare tutti con quell'unico gesto. Non erano stati tutti innocenti, ma allora lui era troppo piccolo per riconoscere movenze da golpe in un parente. Così non faceva distinzioni, tranne che per un'unica persona: Fugaku Uchiha.
Quell'uomo non solo aveva istigato tutto il clan contro Konoha, ma aveva anche trattato sempre tutti come suoi sottoposti. Aveva posto sulle spalle del suo aniki tredicenne qualcosa più grosso persino della sua divisa da ANBU, era stato lui a spogliare il clan e suo fratello del loro onore, era stato sempre lui a decidere per tutti la strada di una guerra civile prima e di uno sterminio dopo.
Anche sua madre sapeva ovviamente, ma Sasuke ricordava gli atteggiamenti di Mikoto con suo padre, ricordava il suo sguardo deluso quando quell'uomo la metteva a tacere e le ricordava di stare al suo posto, rigido e severo anche con quel fiore delicato.
Suo padre non era cattivo con lei, era semplicemente fatto così e, come sua madre gli aveva detto una volta, “le persone non si cambiano, si scelgono e si accettano, altrimenti continuiamo a cercare”.
Era una frase così semplice e all'apparenza banale da sembrare scontata, ma le persone cercavano di cambiarlo tanto spesso da fargli trovare quel concetto più chiaro di molti altri.
Un giorno forse sarebbe riuscito a portare un giglio anche a suo padre, un giorno probabilmente lo avrebbe in qualche modo perdonato. Perché era suo padre, perché era morto, perché per anni aveva voluto la sua attenzione su di sé, perché per anni aveva voluto poterlo riabbracciare.
Perché forse perdonarlo sarebbe stato come abbracciarlo e gli avrebbe sciolto qualcosa dentro come facevano gli abbracci, assolutamente non richiesti, del Dobe.
Sbuffò, si era dimenticato del Dobe.
Si alzò e tornò sui suoi passi, le mani in tasca e il cuore un po' più leggero, come gli succedeva ogni volta in cui lasciava quel luogo.



Sarebbe stato logico pensare che quella fosse una giornata come tutte le altre. O almeno lo sarebbe stato se Naruto non fosse stato in procinto di sputare un polmone per aver corso, da Oto probabilmente, incontro a Gaara con un fiore in mano. Tutto questo proprio davanti ai suoi stupendi occhi neri.
Il Re del villaggio degli sfigati aveva ovviamente con sé gli insignificanti fratelli in visita a Konoha, che si arrestarono non appena Naruto berciò il nome del più giovane.
Ora, poteva ampiamente evitare il tutto prendendo semplicemente un'altra direzione ma, per quanto Sasuke si ripetesse che la cosa non gli sarebbe interessata nemmeno se l’avesse riguardato personalmente, non riusciva comunque ad andarsene.
Forse era quella stupida e ridicola sensazione, quel sentirsi in dovere di aiutare Naruto a non finire sempre nei peggio guai, o forse era solo una profonda e devastante noia. Non si capacitava di come, da quando era tornato, il cretino biondo riempisse le sue giornate, e soprattutto di come lui - anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce - gli permettesse di farlo. Fatto stava che il suo istinto gli intimava di supervisionare le mosse del Dobe.
L'idiota si era fermato ansimante, con le mani sulle ginocchia, davanti agli insipidi esseri di Nullalandia, e i tre avevano riscoperto in fretta che quello era l'usuale volume del jinchuuriki e non era alto per via della distanza che li separava pochi istanti prima.
Cazzi loro, pensò allora Sasuke, sbuffando mentre sceglieva di imboccare un'altra stradina, meno frequentata ma ugualmente utile per tornarsene a casa.
“Sas'ké vieni qui e saluta i nostri ospiti!” sbraitò Naruto imbronciato, prima di tornare a sorridere al Kazekage.
“Porco Madara, che palle,” biascicò Sasuke, avvicinandosi alla comitiva.
“Uchiha,” salutò Kankuro, mentre Temari faceva un cenno con la testa.
“Sono contento che tu abbia fatto in tempo a tornare Uchiha-kun, Naruto ce l'ha messa tutta: era giusto premiarlo.” disse Gaara con quel suo tono lento e pacato, con quella sua voce profonda...
Sasuke aprì bocca, ma la gomitata di Naruto ed il suo sibilo gli fecero dimenticare le cattive maniere.
“Se dici qualcosa di sgarbato sarò io a premiare te, Teme,” disse a denti stretti il caro e buono jinchuuriki, sorridendo.
L'Uchiha lo guardò abbastanza male da fargli spostare altrove lo sguardo, poi si rivolse al Kage con un incolore “Piacere di rivedervi”.
Senza aspettare oltre, l'Uzumaki prese l'ospite sottobraccio e si incamminò in direzione del palazzo degli Hokage.
“Vieni Gaara, ti accompagno io da Baachan!”
“Dobe, ci è già stato ed è l'edificio più imponente del villaggio...”
“Teme non hai qualche parente morto da odiare, tu?”
Che colpo basso. Che stronzo.
Sasuke sorrise e Naruto tremò. Davvero. Di paura.
“Va bene. Ci vediamo testa quadra.” scandì mellifluo, prima di imboccare la strada verso casa.
“Ehm, sì.” rispose incerto Naruto quando l'altro era già ormai troppo lontano.
“Non credi di esagerare?”
La voce di Gaara lo fece sussultare, dimentico della vicinanza gli lasciò il braccio, sorridendo imbarazzato.
“Ah scusa.”
Gaara non aveva avuto un esperienza tale nei rapporti umani da capire sempre tutto, ma proprio per questo certe cose si evidenziavano davanti ai suoi occhi, risultando più anomale a lui che ad altri. C'era inoltre da dire che Temari era indubbiamente una pettegola, anche se ci teneva ad affermare il contrario, e lui aveva quindi ottimi resoconti a sua disposizione.
“No Naruto, mi riferivo alla cattiveria che hai messo in quella frase. Va bene che devi sembrare infastidito dalla sua presenza, ma un conto è allontanarlo e un conto è attirarsi le sue ire. Chiudi bene a chiave stanotte.” Detto questo, Sabaku si avviò verso il palazzo e lasciò l'amico lì, in mezzo alla strada, con ancora il fiore in mano, come il cretino che era.



Il locale era quasi pieno e c'era un sacco di confusione, lo sfrigolare delle piastre su cui cuoceva la carne poi aumentava il frastuono. Ino si udiva bene ovunque, però.
“Che bello, quanto sono carini!”
“Chi?” le chiese Chouji, a bocca piena.
“Naruto e il Kazekage, no?”
L'Akimichi si strozzò con un pezzo di carne e Nara si vide costretto a battere una mano sulla schiena del compagno di squadra.
“Cosa... Che succede tra Naruto... e il Kazekage?” piagnucolò Chouji, cercando anche di respirare, nel frattempo.
“Ma come Cho, non lo sai? Si sono innamorati!” trillò Ino, persa nel suo solito mondo di cuoricini e rose rosse.
Shikamaru sbuffò. “Io credevo che fosse Naruto quello innamorato di Gaara, ma non ricordavo di aver sentito fosse ricambiato,” disse, beccandosi una bacchetta sulla fronte.
“Sei il solito ammazza-romanticismo! E’ ovvio che Gaara lo ricambi! E poi, sono così belli insieme: cromaticamente parlando sono favolosi.”
“A me sembrano più un cazzotto in un occhio.” borbottò Nara, guardando i due interessati parlare in strada attraverso la grande vetrata del locale.
“Come questo?” chiese Ino, concretizzando le parole del chuunin e tirandogli un pugno leggero su un occhio.
“...Ino,” brontolò Shikamaru, massaggiandosi la parte lesa, “Non ho detto che non staranno mai insieme, ho fatto notare che Sai ha riferito a Sakura solo che Naruto si è invaghito del Kazekage, e non il contrario. Poi, cosa ti interessa se è un amore ricambiato o no? Saranno affari loro.”
Per un momento aveva sperato di non essere stato lui a dire tutte quelle cose, ma subito la sua illusione venne sbriciolata.
“Nara corri a dargli una mano, e vergognati! Naruto è un tuo amico. Se ti sento ancora dire che non te ne importa... vado a prendere lo spolverino!”
Chouji tossì ancora, paonazzo e incerto, per la prima volta nella sua vita, se continuare a mangiare o meno, dal momento che probabilmente si sarebbe strozzato molto presto.
Nara alzò le mani in segno di resa, e si mobilitò di malavoglia per raggiungere Naruto con passo strascicato.
“Cho, ora ne vedremo delle belle!” sorrise la Yamanaka mentre batteva la manina smaltata sulle possenti spalle dell'onnivoro compagno di squadra.
L'annoiato chuunin, uscito dal locale, si avvicinò cautamente all'amico, rimasto solo, che se ne stava fermo con aria pensierosa giusto in mezzo alla strada.
“Uhm,” incerto, si passò una mano sulla testa, accarezzando la coda alta mentre si voltava per vedere Ino che lo insultava al di là di un fragile vetro. “Come andiamo?” provò infine, ignorando la compagna di team che spezzava eloquentemente una bacchetta davanti al viso, con aria truce.
“Eh?” Naruto si riscosse in quel momento, voltandosi finalmente a guardarlo in faccia, “Che?”
Nara si sentì molto stanco e anche molto stressato, ma cercò di non darlo a vedere mentre sbuffava sonoramente e roteava gli occhi.
“Come va la tua conquista Naruto?” Scandì a rallentatore, conoscendo i lenti meccanismi di una mente come quella del biondo, atrofizzata da un numero indefinito di micidiali pugni rosa.
“Quale conquista?”
Lenti, lentissimi meccanismi. Quasi fermi, diciamo immobili, facciamo statici.
“Gaara, stiamo parlando di Gaara. Suppongo.”
“Ah! Sì, cioè... va bene! Dovrebbe. Credo.”
Una folata di vento passò tra i due e una piccola balla d'erba secca catturò i loro occhi per qualche attimo.
“Vieni,” sbuffò Shikamaru, che sapeva giocare a quel gioco, “andiamo da Teuchi, ti offro un ramen.”
Inutile dire che Naruto si illuminò tutto e annuì vigorosamente già sulla n di ramen.



Sasuke, arrivato sulla soglia di casa, si guardò indietro.
Immediatamente davanti a lui c'era un giardino, bello, ma incolto. C'erano un ciliegio ed un acquitrinio che una volta ricordava pieno di pesci e splendide ninfee.
Poco più avanti la terra si faceva un po' arida e il vento portava con sé della polvere bianca; la strada era costeggiata da case abbandonate e, per la maggior parte, diroccate. Alcuni ventagli bianchi e rossi comparivano, ormai scoloriti, sulle mura portanti di quelle vuote dimore.
Due rappresentazioni di quello stesso simbolo, sbiadito sui muri come nella memoria del mondo, apparivano in dimensioni considerevoli sulle porte del quartiere.
Per tanto tempo Sasuke aveva ricordato quelle vie piene di persone, parenti e amici, e quelle stesse porte varcate da volti conosciuti e ormai andati persi nell'oblio. A lungo aveva continuato a rammentare quel quartiere vivo, anche quando non lo era più da tempo, anche quando le sere d'estate vedeva in cielo i fuochi d'artificio e sentiva il fragore della festa in lontananza, al villaggio.
Poi se ne era andato, inseguendo qualcosa che pesava sulle sue spalle di dodicenne, che pesava tanto da oscurare nella sua mente tutto il resto. Gli incubi erano rimasti, così come l'odio, la solitudine ed il suo orgoglio, ma non c'era più un quartiere. Solo covi umidi, stretti e poco illuminati. Anonimi. Non suoi.
Fino a poco tempo addietro non avrebbe mai creduto di poter rivedere quei luoghi, il quartiere Uchiha, che essendo così in disparte era anche scampato alla voragine creata da Pein. Ironia della sorte.
Il giorno in cui era potuto tornare a casa, dall'ospedale, pioveva. Tanto per.
Si era seduto nel portico, aveva aspettato la notte, immobile, osservando tutto quello che gli era mancato, tutto ciò che rimaneva del suo clan, della sua famiglia.
Lo aveva osservato nei minimi dettagli, senza avvilirsi o deprimersi in alcun modo, aveva solo posato gli occhi su quello che aveva davanti, come per prendere atto di ciò che ne era rimasto.
Non aveva dormito quella notte e quando la mattina un ANBU era saltato sul muro di cinta per controllare la situazione, per un breve istante la sua mente stanca aveva immaginato Itachi, lasciandolo scosso più di ogni altra cosa.
Alle nove di mattina era apparso Naruto e da allora, tutti i giorni, la voce del compagno lo aveva come cullato, impedendogli di pensare ad altro. Da allora, tutte le mattine alle nove Naruto aveva continuato a varcare quelle porte logore ed a trovare il malinconico padrone di quella landa desolata seduto in quel portico, assorto. Da allora, Sasuke aveva preso sempre più ad associare quelle porte all'arrivo del jinchuuriki, trovando un inaspettato beneficio in quella routine, in quella promessa implicita, in quell'amicizia ritrovata.
Il vento gli passò tra i capelli, si insinuò nella divisa e lo costrinse a rabbrividire.
Si voltò verso l'ingresso e scosse le spalle come per lasciare fuori casa quei pensieri, cercando di non considerare che avrebbe fatto meglio a guardarsi indietro molto tempo prima, invece di correre in avanti come bendato.
La porta sbatté violentemente dietro di lui, probabilmente aveva lasciato una finestra aperta e si era creata corrente.
Non poteva nemmeno prendersela con qualcuno per questo. Non poteva essere stato nessun altro, non c'era nessuno per centinaia di metri.
Si voltò, aprì la porta e tornò al villaggio.



Quindi non è Gaara,” ruppe il silenzio, Shikamaru.
“Cosa?” riuscì a chiedere Naruto a bocca piena, senza aver capito il nesso.
“Sì, insomma, se con del ramen ti passa tutto vuol dire che Gaara sta solo dando una mano a forzare l'attenzione di qualcun altro su di te,” argomentò innocentemente Nara, prima di sbadigliare.
Il jinchuriki sputacchiò cibo ovunque cercando di non strozzarsi.
“Oggi sarebbe meglio che tu e Chouji non veniste interrotti mentre mangiate,” sbuffò il chuunin, battendo qualche colpo sulle spalle dell'amico.
“Come fai a sapere che...? Chi te lo ha detto?” annaspò Naruto, schiarendosi la gola.
“Tu. Adesso.” sorrise Shikamaru, mentre Naruto impallidiva.
In quel preciso momento fece la sua comparsa un altro fondamentale pezzo del quadro: Sai, non a caso.
“Ciao. Allora P.P., come procede?” chiese il ninja d'elite con il suo solito sorrisino sulle labbra.
“Sono ad un punto morto e sia Shikamaru che Gaara mi hanno scoperto. Mi chiedo quanto ci metterà Sas'ké,” spiegò Naruto, sporgendosi per ricevere l'ennesima ciotola fumante da Teuchi.
“Gaara non lo sapeva?” cominciò Shikamaru perplesso, “non era più facile metterlo al corrente?”
“Uhm... forse, ma... vai tu a dire ad uno dei tuoi migliori amici che sei gay,” rispose il jinchuuriki con metà spaghetti che penzolavano fuori dalla bocca.
“Ma a Sas'ke lo hai detto?” Sai iniziava ad appassionarsi a quel genere di cose: molte persone riuscivano a mettere insieme delle espressioni impagabili a certe rivelazioni o argomenti caldi, come li chiamava Ino, inoltre era divertente farsi i fatti degli altri.
“Sì, sì, ho dovuto! Era nel piano,” disse Naruto prima di scolarsi il brodo, producendo così un rumore poco carino.
“Un momento,” rifletté a voce alta Shikamaru, ottenendo tutta l'attenzione dei due shinobi, “per cosa starebbe P.P.?”
“Pene Piccolo.” Sai fuggì prima che Naruto collegasse il tutto ed esplodesse in un ruggito traducibile anche con un: “Ora ti ci bastono, così la smetti!”
Hinata che passava di lì, svenne, così, a priori, senza sapere di cosa parlavano.
Sasuke, seduto su una panchina poco distante, non si preoccupò di sorreggere la Hyuuga e invece cercò, con un incredibile distacco e ben poco sforzo, di pensare a cosa cucinarsi per cena.
“Teme, tu non eri andato a casa?” bofonchiò Naruto mentre raccoglieva la kunoichi, che una volta aperti gli occhi perse nuovamente i sensi per essersi trovata il biondo così vicino.
“Che cosa ha fatto Sai questa volta? Pensavo che voi stesse sempre assieme, non so, tu, lui e i suoi libri,” osservò l'Uchiha, neutro.
“Ma cosa dici? Sai è un'irritante spina nel fianco che prima o poi mi farà venire un esaurimento nervoso, e ha anche un nome di merda,” disse il jinchuuriki mentre poggiava Hinata sulla stessa panchina su cui stava l'arcigno pessimista corvaccio.
“Nh.” Sasuke preferì tenersi per sé che avrebbe potuto dire le stesse identiche parole se gli avessero chiesto di lui. “Come va con Gaara?” Non che gliene fregasse qualcosa, ovviamente, ma non aveva voglia di mangiare da solo anche quella sera; tutto era meglio di quel polveroso e morto nulla di casa sua, persino l'impiastro. E parlando del Kage di non-so-dove-ma-c'è-anche-un-villaggio avrebbe potuto distrarre l'imbecille dal fatto che gli chiedeva di mangiare con lui.
“Bene,” rispose l'Uzumaki vago, falso come il sorriso di Sai, “il mio fiore gli è piaciuto!” Ma il suo sorriso si spense quando il Teme abbassò la testa senza riuscire a reprimere a sua volta un inquietante stirarsi di labbra.
“Perché non sa ancora quale dei tuoi fiori vuoi dargli,” borbottò senza guardarlo, “Mangi fuori stasera testa quadra?” chiese infine, senza lasciargli il tempo di metabolizzare, alzando testa e tono di voce.
Aveva bisogno di raggirarlo con una scusa qualsiasi, ma non avrebbe di certo parlato di Gaara fino alla nausea. Per la noia e per evitare che al Dobe venissero in testa strane idee.
Già gli piombava in casa tutte le mattine alle nove - quando non ci andava alle cinque - non c'era motivo di fargli anche solo lontanamente pensare che potesse interessargli la sua ridicola vita privata.
Naruto rimase immobile per una manciata di secondi, continuando a rincorrere con la mente il significato delle parole del suo, in teoria, migliore amico, poi aprì bocca per dire una qualsiasi cosa tanto per non rimanere come un pesce, muto e a bocca aperta.
“Credevo odiassi mangiare fuori. E la gente, e le posate, e il cibo, e la sera, e il tuo stomaco, e...”
“Non so cosa cucinare e non ho più voglia di pensarci,” lo interruppe Sasuke, facendo spallucce.
Naruto pensò che magari la fortuna stesse improvvisamente girando dalla sua parte, o che forse il suo piano stesse funzionando, oppure, ed era l'opzione più realistica, che Sasuke fosse davvero ridotto male se gli chiedeva di cenare insieme. Oh, ma dopotutto chi era lui per giudicare!



Sasuke doveva ammettere che, in quel suo farneticare, Naruto era coerente nell'essere sempre e comunque incoerente.
In quel momento stava blaterando nuovamente di Sabbia, e sebbene questo potesse bastare a definire il concetto d'inutilità che permeava su quella gente, il biondo sembrava deciso a ridicolizzarli ulteriormente raccontando a gran voce cosa aveva fatto un Kankuro sbronzo l'ultima volta che lui era andato là in missione con Nara, per questioni burocratiche. Altra cosa inutile che non si abbassava a considerare, e in questo Kakashi era stato un ottimo maestro.
Benché si estraniasse con facilità, Sasuke stentava a credere che per brevi tratti avesse anche seguito i discorsi del Dobe.
“Insomma, lui se ne stava lì, bello come sempre, perché cazzo è bellissimo, stronzo ma bellissimo, e... Dio era un'infinità di tempo che non lo vedevo, e avrei voluto abbracciarlo e stringerlo forte, fregandomene se non avrebbe affatto approvato.” Naruto prese un altro sorso di sakè, sentendosi più idiota ad ogni parola che pronunciava, con l'avanzare di tutta quella farsa e con la sua stupida convinzione che Sasuke potesse essere gay e - magia! - scoprirsi innamorato proprio di lui. “Però, anche se non l'ho fatto, avrei tanto voluto abbracciarlo. Magari solo da amici ecco.” terminò, guardando fisso in un punto a caso che non fosse il taciturno ex-nukenin, mentre finiva di bere.
Parlare di Sasuke a Sasuke, fingendo di parlare di Gaara, non era liberatorio come pensava, anzi. Inoltre lo stronzo lì accanto nemmeno lo ascoltava, e probabilmente non solo in quel momento.
Si alzò, barcollando lievemente, e si frugò in tasca.
“Dove vai Usuratonkachi?”
“A pagare Teme!” Gli fece schifo udire la sua stessa voce così sconsolata anche nell'offenderlo, forse perché era l'unica cosa che potesse fare con lui: prendersi a parolacce e spintoni. “Almeno sono libero di pagarti la cena.” buttò lì, frastornato e decisamente sottotono.
“Vedi che poi ti deprimi idiota? Non bere se non lo reggi.” rispose Sasuke, che evitava di alzarsi per non barcollare clamorosamente anche lui.
Naruto si voltò per rispondergli male e questa volta senza sembrare spento, ma le parole gli morirono in bocca quando posò lo sguardo sul viso dell'Uchiha.
Aveva la pelle bianca del viso macchiata da un tenue rossore, ondeggiava leggermente, e teneva gli occhi lucidi socchiusi mentre osservava vacuo un punto imprecisato del tavolo.
Magari stava facendo il punto della situazione: da bravo genio si preoccupava di quante cadute in meno avrebbe potuto fare se avesse preso una strada piuttosto che un'altra, oppure non pensava assolutamente a niente e fissava il vuoto, lasciando che l'alcool gli annebbiasse tutti i brutti ricordi e le cose oscene che aveva dovuto sopportare. Non importava cosa stesse facendo, Sasuke era davvero bello. E lo era ancora di più così, assorto e rallentato, forse perché non lo aveva mai visto alticcio, o ubriaco che fosse.
Quando la sua mente gli suggerì che l'amico con ogni probabilità era già nella fase in cui non si sarebbe ricordato un eventuale bacio il giorno dopo, Naruto si riscosse, riuscendo anche a distogliere lo sguardo dal profilo elegante dell'Uchiha, e cercando di pensare a quanto tempo era che non vedeva l'Ero-sennin. O ad una qualsiasi cosa che fosse diametralmente opposta alle labbra di Sasuke.
Quando uscirono dal locale, l'aria fredda li colse alla sprovvista facendoli rabbrividire e stringere nelle divise.
Mentre lo accompagnava a casa sorreggendolo per un fianco, Naruto si maledisse domandandosi perché non gli piaceva davvero Gaara, o perché non si era innamorato di una persona più semplice, o anche più complicata, ma che non fosse Sasuke Uchiha.
Quando avvertì la testa del suddetto poggiarsi sulla sua spalla, non riuscì però a non gioire.
“Teme, poi sarei io quello che non lo regge,” sorrise mentre lo stomaco gli si chiudeva.
“Se lo dici a qualcuno ti rinchiudo in un genjutsu a vita, ti farò rifiutare da Gaara in loop per sempre.”
“Certo, certo!” concesse Naruto, come se stesse parlando con un folle, “guarda, maniaco depressivo, siamo arrivati. Ce la fai a reggerti in piedi mentre apro? Dammi le chiavi.” Dopo averlo appoggiato ad una colonna del suo portico, Naruto aprì la mano davanti al petto del genio.
“Non essere ridicolo Dobe, non chiudo a chiave, chi vuoi che ci venga qui?”
“Nessuno, perché sei troppo acido!”
“Ora te ne sputo un po' addosso, di acido, magari è la volta buona che mi libero di te.”
“Puoi sempre dormire qui, se vuoi!”
“Tsk, come se non sapessi fare le scale di casa mia,” obiettò Sasuke, discostandosi dalla solida colonna per avventurarsi in un mare di figure ondeggianti. “Idiota,” concluse, entrando a tastoni dopo aver sbattuto la porta, tanto non aveva vicini rompiscatole.
Naruto, rimasto fuori, appoggiò la testa al legno vecchio della porta dietro la quale era sparito il genio e si odiò perché non ne aveva mai abbastanza di quegli occhi neri.



Quando Sasuke aprì gli occhi, il sole era abbastanza basso da fargli realizzare che aveva dormito quasi un giorno intero, quindi si mise supino, sentendosi stranamente di buon umore.
Nonostante questo, non appena nella mente gli si delinearono tutti gli avvenimenti del giorno precedente - e in particolar modo la sbronza che si era preso con quell'altro -, chiuse gli occhi e avvertì il mal di testa intensificarsi.
Si alzò senza preoccuparsi di mettere qualcosa addosso e si diresse in cucina, a torso nudo e con una mano sugli occhi.
Prese una tazza, poggiandola sul tavolo, ed iniziò a farsi un tè, forse l'unica cosa che poteva trattenere il suo stomaco, mentre numerosi pensieri gli vorticavano in testa.
Quell'idiota lo aveva assillato con le sue scemate e quella stupida ed indecorosa cotta per il Kage del niente, come se lui non avesse già i suoi problemi a cui pensare.
In un attimo di sconforto, mentre si versava il tè nella tazza, pensò che lo scemo sarebbe dovuto andare a cena con Sabaku invece di annoiarlo, ignorando totalmente la vocina che gli diceva che era stato lui ad invitare l'ebete.
Non aveva nessun senso che Naruto continuasse a ronzargli d'intorno se era interessato a qualcun altro, ma soprattutto non aveva senso per lui pensare a quelle scemenze. Si accigliò mentre sorseggiava la bevanda calda.
Invitarlo a cena era stato uno sbaglio per vari motivi, primo fra tutti che il jinchuuriki gli aveva riempito la testa con le sue idiozie e, non per ultimo, che anche la sua sola presenza era sempre e comunque nociva.
In quel preciso istante bussarono alla porta, e subito Sasuke immaginò chi potesse essere.
“Non sapevo che le tue visite si spostassero alle nove di sera se la mattina hai da fare, Usuratonkachi,” disse aprendo la porta con ancora la tazza in mano e il petto nudo. Ma quello che il moro non si era aspettato, era di trovarsi di fronte lui.
“Buongiorno Uchiha,” disse Gaara, mentre cercava di immaginarsi il seminudo padrone di casa completamente bardato.
“Ah, Sabaku,” commentò Sasuke incolore, “a cosa devo questo piacere?” Non si curò di essere particolarmente educato: senza Naruto, avrebbe potuto essere scortese quanto voleva.
“A Naruto. Non mi fai entrare?”
“No, i miei sono già in pigiama, sai com'è.”
“Già, immagino. Nonostante noi non abbiamo niente da spartire...”
Per fortuna, pensò Sasuke sempre più di buon umore dopo l'ultima affermazione del fiammifero vivente che aveva davanti.
“...abbiamo un amico in comune, e sono sicuro che ha aiutato entrambi più di quanto potremo mai fare noi con lui,” proseguì Gaara, in risposta al sopracciglio alzato dell'altro.
“Sei venuto fin qui per parlare del Dobe, e già questo la dice lunga, ma ancora non ho afferrato il succo del discorso,” constatò Sasuke, massaggiandosi gli occhi con il pollice e l'indice.
“Vedi Uchiha,” continuò impassibile il Kazekage, senza davvero prestar attenzione al suo interlocutore, ma sentendo ugualmente l'irritazione crescere a dismisura, “Naruto ha sviluppato nel tempo una particolare affezione nei tuoi confronti e, siccome io non ho il tempo materiale di consolarlo tutte le volte che lo maltratti come solo un cafone come te può fare, potresti risolvermi i problemi alla base se evitassi di comportarti da stronzo nove volte su dieci. Inoltre, mi farebbe oltremodo comodo che aprissi quegli splendidi occhioni neri che ti ritrovi e spingessi il tuo regale sguardo oltre il tuo perfetto nasino, cercando di vedere quello che ti accade intorno con aristocratico rispetto per chi ti ha salvato il culo più di una volta. Buona serata.”
Sasuke sbatté le ciglia un paio di volte, mentre la schiena del Nulla no Kage, prova che il villaggio della Foglia non era l'unico ad essere pieno di idioti, si allontanava, prima di chiudere con forza la porta, a dimostrazione del suo sommo fastidio. Come solo un cafone come lui poteva fare.
Nei giorni di convalescenza passati all'ospedale quando era stato salvato, in attesa del processo, aveva avuto la sensazione di essersi dimenticato qualcosa: non erano Juugo, Suigetsu e Karin, ora ne era certo, bensì la distruzione di Suna-inutile-Gakure. D'altra parte, era comprensibile essersela dimenticata, persino per lui.



Gaara! Gaara!” chiamò il contenitore del Kyuubi, ancora una volta di corsa, “Che fai? Ritorni già a casa?” chiese con un filo di panico nella voce.
Sabaku si fermò ad osservare l’amico per un momento.
Naruto era cresciuto - come tutti loro, del resto - ma forse, come a volte succedeva anche a lui, di tanto in tanto aveva bisogno di essere rassicurato, di una spinta. Era ancora lo stesso, lo stesso bambino-adulto che aveva conosciuto anni prima, ed egoisticamente una parte di lui sperava che non sarebbe mai cambiato.
“Sta' tranquillo Naruto, non ti servo io, ti serve coraggio. E quello non ti manca.”
“Che cos...? No no, mi servi tu!” quasi urlò il ninja biondo con voce stridula.
Gaara sorrise, composto e calmo come l'acqua di un lago, posando una mano sulla spalla di Naruto per attirare la sua attenzione.
“A me non da fastidio, se era quello che temevi. Avevo già immaginato qualcosa del genere e non mi ha mai infastidito. Io sono tuo amico Naruto, ma non posso né voglio stare in mezzo.”
Con quegli occhi azzurri spalancati, l'Uzumaki fece sorridere ancora il Kazekage.
Naruto con gli anni aveva maturato la convinzione che l'amicizia tra lui e Gaara non avrebbe mai potuto essere forte come quella con Sasuke, principalmente perché vivevano in due mondi diversi, separati da giorni di cammino, ma l’udire quelle parole aveva giovato al suo spirito e lo aveva fatto sentire uno stupido per aver pensato che quel legame potesse essere qualcosa di così fragile e mutevole.
“Hai ragione,” rispose infine, avvertendo il petto leggero e il suo intero essere meno teso.
“Sai dove mi trovo,” fece presente il Kage, sottintendendo che poteva andarlo a trovare quando voleva, convinto di aver già detto troppo.
Infatti Naruto annuì, prima di regalargli uno dei suoi abbaglianti sorrisi mentre guardava l'amico raggiungere i suoi fratelli e tutti e tre salutarlo con la mano, per poi voltarsi e mettersi in cammino.
Quando scomparvero alla vista, il jinchuuriki sospirò, rilassando le spalle.
“E ora che diavolo faccio?”
Si guardò in giro cercando aiuto e scorse subito la sua vittima: “Shikamaru! Shikamaru!” si mise ad urlare, proprio come aveva fatto con Gaara.



...se ne stava lì, bello come sempre... stronzo ma bellissimo... era un'infinità di tempo che non lo vedevo... avrei voluto abbracciarlo... fregandomene se non avrebbe affatto approvato..” “Almeno sono libero di pagarti la cena.”
“...Naruto ha sviluppato nel tempo una particolare affezione nei tuoi confronti... mi farebbe oltremodo comodo che aprissi quegli splendidi occhioni neri... cercando quindi di vedere quello che ti accade intorno con aristocratico rispetto per chi ti ha salvato il culo più di una volta.”

Sasuke continuava a chiedersi come potesse non aver voglia di vomitare.
Già quel campo di battaglia che era il suo stomaco dopo quantità immani di cibo e sakè non era nelle migliori condizioni, poi scopriva anche che il Dobe aveva messo su una specie di piano per attirare la sua attenzione.
Sì, perché le ultime notizie gli avevano reso il quadro fin troppo chiaro.
Aprì uno sportello in basso e ci frugò dentro.
Prese la bottiglia di sakè che stava sul fondo e cominciò a bere, lì, sul pavimento.
Se prima era convinto di odiare tutto e tutti, in quel momento era sicuro di poter anche uccidere chiunque. Ma al tempo stesso, non riusciva a ricordare l’ultima volta in cui si era sentito così rilassato, in cui aveva avuto mal di stomaco per la felicità.
Non era proprio un mal di stomaco, forse non aveva digerito o forse era solo tutto l'alcool del giorno precedente, ma aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco che non sapeva come interpretare. Intuiva che non fosse del tutto sgradevole, ma proprio questo pensiero gliela rendeva incredibilmente spiacevole.
Scosse la testa, spesso era davvero fastidioso essere umani, specialmente per uno perfetto come lui. Essere preda di certe complicate ed estenuanti reazioni faceva davvero schifo.
Trasse un paio di grosse sorsate dalla bottiglia, inclinandola verso il basso.
Da una parte c'erano quegli stupidi occhi azzurri, e dall'altra c'era l'umiliazione che gli dava il solo considerare quegli stupidi occhi azzurri in modo diverso.
Insomma, lui trovava le ragazze quasi sempre antipatiche e fastidiose, ma tutto sommato gli piacevano.
Hinata era molto bella. Poi la Hyuuga era così innocua e, se non avesse stonato profondamente con tutto il suo essere, avrebbe aggiunto anche tenera che, a pensarci bene, avrebbe anche potuto dormire in sua presenza. Non il dormiveglia agitato e pieno di incubi degli ultimi anni, e nemmeno un sonno leggero come quello che aveva da bambino, quando si svegliava se qualcuno, dall'altra parte della terra del Fuoco, tossiva, ma un vero e proprio riposo, perché Hinata in un qualche modo sapeva di mamma. Una mamma apprensiva che sveniva spesso.
Ino era carina, frivola e un po' matta, ma aveva dalla sua due stupidi occhi azzurri! Non era malaccio, ed era anche un medic ninja.
Tenten... chi era Tenten?
Sakura aveva fascino, con quegli occhioni verdi e quei capelli rosa. Era intelligente, abile e potente, e lo amava da sempre. Avrebbe avuto delle certezze nella sua vita matrimoniale e probabilmente la sua compagna di team non gli avrebbe negato tutti i figli che gli occorrevano per ripopolare il clan.
Ecco, non poteva essere omosessuale, doveva riportare il suo clan agli antichi splendori e poteva farlo solo con una donna.
Abbassò lo sguardo sull'etichetta della bottiglia senza realmente vederla.
Quel cretino... non era nemmeno una donna. Totalmente inutile su tutti i fronti. Lo odiava a morte. E gli avrebbe spaccato la faccia.
Poi sarebbe toccato a quel Kazekage che aveva un granello al posto della materia grigia.
Era tutta colpa loro. E infatti li avrebbe anche aggrovigliati fra di loro, così avrebbero potuto stare insieme tutto il tempo che volevano, uno a sbraitare cazzate e l'altro a consolarlo.
Sì, pensò mentre riprendeva a sorseggiare il liquido amaro, li avrebbe massacrati di botte. L'indomani mattina, però.



Naruto bussò alla porta di Sasuke alle nove spaccate.
La porta si aprì, cigolando come sempre, e il biondo schiuse le labbra per urlare il suo buongiorno, ma non ebbe tempo di dire niente che una pioggia di shuriken cercò di colpirlo.
“Ti odio, maledetto cretino,” gli diede il suo buongiorno l'Uchiha, iroso.
Il jinchuuriki, che si era scansato in tempo per non essere ferito, ma che era rimasto inshurikato ad una delle colonne del portico, si ripromise di non richiamare il chackra del Kyuubi per così poco.
“Buongiorno anche a te, bastardo, vedo che siamo di ottimo umore. Che cosa ho fatto questa volta?” chiese, scansandosi in tempo per evitare il pugno che incrinò la colonna.
“Esisti,” ringhiò Sasuke, balzando al suo inseguimento, senza lasciargli il tempo di pensare.
Naruto riuscì ad evitare il secondo colpo dell'Uchiha per un soffio, inciampando però l'attimo dopo. Un kunai si piantò nella terra arida dove un istante prima c'era il suo cuore.
“Sei impazzito Teme? Tutta la tua boria ti ha dato alla testa?” prese tempo Naruto, cercando di non cedere e di non colpirlo. “Vuoi almeno degnarti di farmi sapere perché mi vuoi morto?” chiese infine, sempre meno retorico.
Sasuke gli fu addosso in un attimo e riuscì anche ad infilargli un kunai nella spalla, digrignando i denti, bellicoso.
“Prima ti squarto, poi te lo dico,” urlò, furioso, a carponi sull'Uzumaki.
Da così vicino e da quella posizione, Naruto poté vedere quegli occhi neri brillare di rabbia, ma c'era anche qualcosa che probabilmente chiunque altro, che non lo conosceva come lui, non avrebbe notato. Era forse confusione?
“Che cosa è successo?” chiese improvvisamente calmo e col tono incrinato dalla preoccupazione, tanto che fece rallentare per un momento anche il suo aggressore.
“Niente, sei solo il solito imbecille,” sibilò alla fine il genio, affondando il kunai ancora un po'.
Naruto emise un verso strozzato e lo prese per la maglia per rifilargli una testata, liberandosi così dalla stretta e da quella posizione piuttosto imbarazzante.
Sasuke fece per colpirlo di nuovo, ma quando si voltò non trovò nessuno dietro di sé e il suo Chidori sfrigolò nell'aria, a vuoto.
“Credo tu stia esagerando,” commentò il jinchuuriki serio, dal tetto di una delle abitazioni diroccate, “non possiamo parlarne?”
Ma l'attimo dopo Naruto si ritrovò immobilizzato e il clone di Sasuke in strada si dissolse in una nuvola di fumo.
“Come ti sei permesso di venire qui ogni santo giorno? Come hai potuto?” gli urlò Sasuke in un orecchio, indignato.
Era davvero fuori di sé e dalla sua voce traspariva anche qualcosa che il biondo avrebbe definito disperazione, se non l’avesse creduto quasi impossibile.
“Aspetta Sas'ke! Mi stai facendo male, parliamone,” guaì Naruto alle strette, “andiamo, non può essere così terribile,” disse, cercando di farlo ragionare, mentre tentava di liberarsi con degli strattoni.
Passarono diversi secondi e non vi fu risposta, mentre la stretta si faceva sempre più ferrea.
“Sai cos'è terribile? Che se Gaara non fosse venuto a casa mia ieri sera, non mi sarei mai accorto di niente, non avrei mai saputo niente, tanto meno lo avrei capito dal tuo patetico piano.”
Naruto smise di divincolarsi, sentendosi improvvisamente pesante. Il cuore prese a martellargli ancora più forte di quanto non avesse fatto durante il breve scontro.
Avvertì le mani sudare e la salivazione scendere a zero, mentre lo stomaco gli si chiudeva dolorosamente.
Sasuke lo lasciò andare, spingendolo perché si voltasse a guardarlo in faccia, ma l'usuratonkachi tenne gli occhi bassi.
“Beh, mi... mi dispiace,” balbettò, con le guance arrossate per l'imbarazzo e per l'affanno, “non è facile... e con te lo è ancora meno,” puntualizzò, risentito.
“Tutto qui, ritardato? È tutto quello che hai da dire?” scattò Sasuke, irrigidendosi, nervoso.
Naruto alzò finalmente gli occhi su quelli dell'altro e serrò i pugni, sentendo il sangue ribollire nelle vene.
“Che cosa devo dirti Sas'ke? Guardati! Non c'è spazio intorno a te, non ti si può dire niente. Ho avuto paura, va bene? Tanta.” Naruto strinse i denti per un momento, preferendo essere ovunque tranne che lì. “Ma hai ragione, come sempre, avrei dovuto dirtelo, così, su due piedi, con le prime parole che mi venivano in mente, perché tanto non potresti ignorarmi più di quel che fai già. Sono io che vengo a trovarti, io che ti trascino fuori da quella maledetta casa, e sono sempre io che ti penso tutto il giorno. A te interessa solo fare lo stronzo. Adesso, infatti, ti ho dato l'opportunità di ridere di qualcosa che mi farà male. Non sei contento?”chiese Naruto, con le pupille allungate e l'iride rossastra, una punta di isteria nella voce.
Rimasero fermi ad ansimare nella brezza mattutina, per un momento che si dilatò a dismisura nella percezione del ninja biondo, sembrandogli lungo più o meno una settimana.
In quell’istante, Sasuke lo avrebbe preso e sbatacchiato ovunque, fino ad aprirgli quella testaccia bionda e a capire che cavolo c'era all'interno. Ma poi, lo sapeva, maledizione, che gli sarebbe mancato quell'idiota.
“Sei un coglione con la C maiuscola e ti odio da matti,” esplose Sasuke, prima di prenderlo per il bavero e tirarselo contro, premendo le labbra sulle sue.
Magari lo avrebbe ucciso un'altra volta.



Pochi tetti più avanti un gatto sbadigliò e Shikamaru, nascosto poco distante, si sentì obbligato a fare altrettanto. Sai accanto a lui sorrise, come se non lo avesse mai fatto.
“Ti verrà una paresi,” lo avvertì Nara, flemmatico.
“Sei un bravo consigliere,” disse Sai, ignorandolo completamente.
“Ma se non ha fatto nulla di quel che gli ho detto...” si accigliò Nara, mettendo il ninja d'elite davanti all'evidenza.
“Beh, ma ha funzionato comunque,”
Shikamaru corrugò la fronte, trovando impossibile rispondere alle sciocchezze di Sai.
“Certo. Ora posso tornare a dormire sul mio stupendo ed etero prato, per cortesia?”





Owari





suni cacchio, questa storia è stata un parto e farà ugualmente schifo, senza contare che quasi sicuramente è fuori tema. Non ho saputo farla meglio, quindi per favore non squalificarmi che ci ho messo un eternità e il SasuNaru non è esattamente fatto su misura per me. Spero ti piaccia un pochino, che poi è la cosa più importante, almeno al di là del contest.

I luoghi ed i personaggi non mi appartengono, e non c'è lucro.



  
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