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Autore: Cicciolgeiri    22/02/2010    15 recensioni
(Amabili resti di Alice Sebold)
Eccolo lì il mio Paradiso, pensai. Il mio Paradiso era il posto più bello del mondo.
Casa.
Una One-shot dedicata a Jack Salmon, che dopo la morte torna a vivere e ritrova il suo tesoro più grande.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla veneranda età di ottantasei anni io, Jack Salmon, potevo considerarmi un uomo vecchio e felice. Avevo la casa costantemente assediata da nipoti che mi adoravano ed i miei figli, ormai diventati grandi, si prendevano cura di me come un tempo facevo io con loro.
Lindsey, la mia bellissima bambina, aveva avuto tre figlie: Abigail Suzanne (per tutti Susie), Lynn (la mezzana), ed Alice, la più piccola, di appena sei anni.
Buck invece, “il mio ometto affascinante” come lo chiamava qualche volta mia moglie Abigail, di figli ne aveva avuti quattro; Jack, Samuel e due gemelli: Hal e Susan.
Furono proprio loro a trovarmi, un assolato pomeriggio di Marzo, sulla mia poltrona.
Mi ero sdraiato lì per schiacciare un attimo un pisolino e, al mio risveglio, la poltrona non c’era più. Non c’era più nulla, solo un mare di lucine fluttuanti.
Scivolavo, era quella la sensazione, ma non avevo paura. Ad un certo punto atterrai in un prato; era talmente sconfinato da stendersi in tutte le direzioni fino all’orizzonte. Era da quando avevo dodici anni e mio padre mi portava a caccia con lui che non vedevo un prato del genere.
Un’immensa coperta verde stesa sulla Terra.
Ma quella non era la Terra e me ne accorsi presto; ogni stelo d’erba brillava come un filo di luce verde, e l’aria aveva un profumo al tempo stesso sconosciuto e familiare.
Mi guardai attorno e notai con sorpresa che la mia vista era diventata più acuta; mossi un passo, poi un altro. Non avevo più il bastone e sentivo le gambe stabili e forti. Presi a camminare dapprima lentamente, poi sempre più veloce, e corsi, corsi a perdifiato per il campo. Man mano che avanzavo, il paesaggio mutava intorno a me; dall’erba sbocciarono una moltitudine di giunchiglie gialle, luminose come centinaia di piccoli soli, il terreno sprofondò e iniziò a trasudare acqua. Improvvisamente mi ritrovai a costeggiare la riva di un enorme lago. Smisi di correre e ammirai quello spettacolo singolare, le acque che scintillavano placide sotto al sole.
Me ne resi conto all’improvviso, come se un soffio d’aria fredda mi fosse passato accanto, come se un bagliore improvviso avesse illuminato una zona d’ombra. Ero morto.
Ero morto eppure al tempo stesso non lo ero, perché avevo coscienza di me e vedevo, sentivo, annusavo. Sospinte dalla brezza del lago, attorno a me volavano voci e sagome; era la mia famiglia, coloro a cui avevo voluto bene sulla Terra. Parlavano di me, del funerale che avrebbero dovuto organizzare. Qualcuno piangeva, qualcuno aveva pianto.
Con passo incerto mi diressi verso il lago, mi inginocchiai sulla riva e mi specchiai. Il riflesso che l’acqua rimandò mi fece restare a bocca aperta.
Dal turbine fluttuante di volti e voci udii quella di mia figlia Lindsey.
<< Papà era molto vecchio >> disse, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto.
Ma non era vero! Non ero più un vecchio!
Sfiorai l’acqua con le dita e mi portai una mano al viso: ero giovane, avevo la stessa età di quando era successo e avevo perso metà del mio cuore, esattamente come allora.
Alzai lo sguardo verso il centro del lago, la mia vista era impeccabile e, se in vita ero ormai quasi cieco, adesso potevo di nuovo guardare lontano. L’acqua iniziò a ribollire, a schiudersi come petali di rosa, e dalle profondità del lago emerse un piccolo gazebo di legno. Il sole picchiava forte ed il riverbero dell’acqua rendeva impossibile scorgere i dettagli, ma vidi comunque che all’interno del gazebo c’erano un cane ed una bambina.
<< Papà, dov’è il nonno? >> udii chiedere a mia nipote Alice.
<< Adesso è con zia Susie, piccola >> rispose Samuel abbracciando la sua bambina. << Lo vedi? E’ lassù, in cielo. >>
Mi misi in piedi e portai una mano alla fronte per riparare gli occhi dal sole e vedere meglio.
La ragazzina nel gazebo stava accarezzando distrattamente il cagnone bianco, ma era girata di spalle, non poteva accorgersi di me. Io scorgevo i suoi capelli color miele di castagna fluttuarle attorno alle scapole, catturando i raggi del sole come un’aureola bizzarra. Un angelo, ecco cos’era. Il mio cuore ringiovanito perse svariati colpi; se solo si fosse voltata ne avrei avuto la certezza … Iniziai a correre lungo la riva, ma il lago era troppo immenso per essere aggirato. Per farla voltare dovevo chiamarla, ma non ci riuscivo, nonostante avessi da sempre custodito il suo nome nella metà di cuore che mi era rimasta.
<< Susie >> mormorai. Mossi appena le labbra, ma il mio sussurro volò alto nel cielo come un uccellino di fumo e giunse sino a lei. Il cane abbaiò forte protendendosi verso di me, ed infine anche la ragazzina si voltò, facendo mulinare la lunga chioma.
Fui abbagliato dai suoi occhi.
Gli occhi di mia figlia brillavano così tanto da farmi mancare il respiro; nonostante avessi sempre conservato gelosamente il ricordo di lei, solo in quel momento mi rendevo davvero conto che ciò a cui mi ero aggrappato per tutti quegli anni non era altro che un’immagine sbiadita. Nei suoi occhi risplendeva tutto il firmamento e tutte le luci del mondo.
Quegli occhi azzurri mi trapassarono come lame ed io scoppiai a piangere.
<< Susie! Susie! >> urlai. << SUSIE! >>
Il volto della mia bambina si illuminò, lei trattenne il respiro sporgendosi oltre il gazebo per vedere se fossi veramente io.
<< Papà … >> lo sussurrò, ma poi anche lei iniziò a gridare come me. << PAPA’! >>
Ci buttammo in acqua nel medesimo istante, Holiday abbaiava a squarciagola, mentre dal lago sbocciavano fiori tutt’attorno a noi. Correvo velocissimo, come non facevo ormai da anni, allargai le braccia pronto ad accogliere il pezzo di cuore che mi era stato strappato via.
<< Susie! >>
Lei rideva e piangeva al tempo stesso.
<< Papà! >>
E poi fu tra le mie braccia, fu di nuovo tra le mie braccia dopo tutto quel tempo. Ed era viva, e calda, e piangeva forte, mentre rideva e mi abbracciava.
<< Papà sei proprio tu! >> si lasciò sfuggire un singhiozzo sonoro, prendendomi il volto tra le mani. << Il mio papà … >>
<< Susie! Susie … Susie … la mia Susie … la mia bambina >> ripetevo il suo nome e la baciavo sulle guancie, sulla fronte, sui capelli. Ripetevo il suo nome e volevo ripeterlo per tutte le volte che mi era stato negato in vita, volevo chiamarla per sempre e sentire per sempre il suono e il sapore del suo nome. Susie! Susie! La mia metà di cuore di nuovo con me.
<< Papà mi sei mancato tanto! >> Susie mi abbracciò forte.
Io la sollevai da terra con la mia schiena rinvigorita e la feci girare in aria, nel cielo. Il suono della sua risata, quella risata che credevo non avrei udito mai più, riecheggiò dappertutto, facendo levare dal mare di fiori milioni e milioni di farfalle multicolori.
<< Amore mio … anche tu mi sei mancata, più di tutti, più di tutto il mondo! >> la tenni stretta a me, lei tremava come una foglia. << Pensavo di averti persa per sempre. >>
Piansi, piansi forte, e risi altrettanto forte. Risi di una gioia che non assaporavo da troppo tempo. Tutto questo con lei, abbracciato al mio tesoro più grande.
Le farfalle volavano attorno a noi come uno stormo di foglie impazzite. Una si posò sul naso di Susie e lei incrociò gli occhi come quando era bambina per osservarla.
Ad un tratto arrivò anche Holiday, letteralmente al galoppo, nuotando tra i fiori. Ci travolse ed io e mia figlia finimmo lunghi distesi, mentre lui ci leccava la faccia abbaiando felicemente.
<< Holiday, sacco di pelo, ci sei anche tu! >> affondai il viso nella sua pelliccia morbida, stringendolo a me.
Susie rise forte. << Ci siamo tutti, papà! >> esclamò tendendo le braccia verso il cielo luminoso. << Ci siamo proprio tutti! >>
Io mi guardai attorno, cercando di scorgere qualcos’altro oltre il muso felice di Holiday, e vidi una casa bellissima sorgere proprio dinnanzi a noi come un’enorme bocciolo di legno. Una casa a metà tra quella dei miei genitori e la mia, con le finestre Bovindi che piacevano tanto a Samuel. E sulla soglia, ad aspettarci sorridenti, c’erano mio padre e mia madre, cinquantenni e radiosi, e Lynn, con in mano un bicchierino di brandy e una sigaretta fumante nell’altra.
<< Avete intenzione di stare lì a rotolarvi ancora per molto? >> ci urlò dalla veranda.
<< Abbiamo preparato i biscotti, ragazzi! >> disse mia madre facendoci cenno con la mano affinché li raggiungessimo.
<< Biscotti! >> gridò Susie tutta contenta. Io scoppiai a ridere, poi la presi per mano e ci incamminammo verso la grande casa meravigliosa con Holiday che trotterellava al nostro seguito.
Eccolo lì il mio Paradiso, pensai. Il mio Paradiso era il posto più bello del mondo.
Casa.
  
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