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Autore: Valaus    26/02/2010    4 recensioni
Mi avvicino lentamente allo specchio, per potermi osservare meglio. Come se guardandomi più da vicino riuscissi a trovare le risposte a tutte le mie domande, ai miei interrogativi, ai miei dubbi.Come se quella superficie riflettente potesse aiutarmi a scrutare il fondo della mia anima. [Glee]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! ^__^
Una piccolissima introduzione prima della Fict vera e propria...
Non sono nuova a questo tipo di storie ma questa è forse la prima che finalmente mi decido a pubblicare su questo sito. Tutte le idee che avevo avuto in passato mi erano sempre sembrate inadatte...
Non che questa sia la Fan Fiction del secolo o cosa. Anzi, devo ammettere di non esserne particolarmente soddisfatta, quando ho iniziato ad idearla era ben diversa. Forse nella mia testa era persino migliore.
Devo anche dire, però, in mia difesa, che per quanto sia un vero fenomeno a farmi filmini mentali, mettere questo tipo di ragionamenti per iscritto è ben più arduo. Voglio dire, non ho mai nemmeno tenuto un diario segreto proprio per questo! :P
E' la primissima Fict introspettiva che scrivo, e devo ammettere che non è nemmeno il mio genere preferito. Tuttavia, adoro Glee e penso che il personaggio di Kurt sia qualcosa di assolutamente GENIALE, e da tutto ciò è inspiegabilmente nata in me la malsana voglia di scrivere e pubblicare questa storia.
Forse perchè finora nella serie non è stato dato eccessivo spazio ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti. O quantomeno, non quello che gli avrei dato io.
Mi è venuto spontaneo chiedermi cosa potesse provare dentro di sè una persona come lui... e da tutto ciò è nata questa storia.
Avrei voluto che risultasse un tantino migliore di quello che effettivamente è, ma ad ogni modo spero che possa comunque piacervi. Almeno un pochino :)
Che altro dire? Buona lettura!


P.s. Giusto per mettere le mani avanti, la mia non vuole essere una presa di posizione di alcun genere nè una denuncia nè nulla di simile. E' semplicemente un tentativo di immedesimazione in un personaggio, perciò ho esposto quelli che, a mio parere, potrebbero essere i suoi pensieri.
Chiunque è liberissimo di pensarla diversamente e non deve per questo eventualmente sentirsi offeso da ciò che ho scritto. ;)







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< Io vado Kurt, ci vediamo stasera!> mi urla mio padre mentre esce dalla porta di casa.
Gli faccio eco, salutandolo a mia volta dal secondo piano.
Io vado Kurt.
Tre semplici parole, che per me hanno però un significato ben preciso.
Via libera.
Aspetto di sentire la porta d’ingresso chiudersi alle sue spalle, poi raggiungo la mia scrivania con la velocità di un ghepardo, cosa che solitamente non mi appartiene affatto, e premo il pulsante PLAY del mio I-pod.
Solo pochi secondi, ed ecco che tutta la stanza si riempie di musica. E che musica, signori.
La divina. L’unica ed inimitabile.
Beyonce.
L’adoro, semplicemente.
Sorrido, mentre il mio corpo comincia ad abbandonarsi a quella melodia meravigliosa, quasi come ipnotizzato. E’ qualcosa d’irresistibile, ben più forte di me e della mia volontà. Anche se, effettivamente, faccio ben poco per oppormi al richiamo della musica.
Mentre Beyonce, come un’ammaliante incantatrice, tenta il suo immaginario interlocutore promettendogli che “stanotte sarà la sua ragazza birichina”, io mi lascio andare in una danza che di virile ha ben poco, complice l’assoluta solitudine.
Non che debba nascondere nulla a mio padre. E’ ben consapevole di quale sia la mia situazione personale, e in ogni caso la mia omosessualità è più lampante di un faro in una notte oscura.
Ma questo non significa comunque che si senta particolarmente a suo agio nel vedere il suo unico figlio sculettare come una cheerleader. E ad essere onesti, la cosa non entusiasma neanche me.
Non sono certo la classica checca stereotipata ed esibizionista, la riproduzione della ridicola immagine che i mass media danno di noi gay.
Sono solo un... ragazzo particolare, diciamo.
Amo la musica, amo ballare, so vestirmi bene e mi piace. Ma questo non fa di me un’oca starnazzante che approfitta di ogni paio d’occhi si ritrovi davanti per esibirsi in una qualche patetica testimonianza di femminilità.
Mi lascio andare solo quando sono immerso nella pacifica solitudine della mia stanza. Solo qui posso sentirmi libero di fare ciò che voglio e di essere chi desidero, senza per questo rischiare di essere buttato nel cassonetto dei rifiuti da un paio di stupidi energumeni.
Chiamano me effeminato. Eppure io li vedo negli spogliatoi, ad ungersi il corpo di creme su creme, ad usare chili di gel per sistemarsi la chioma, ad agghindarsi con magliette e jeans all’ultima moda. A pavoneggiarsi davanti allo specchio, facendo bella mostra dei loro muscoli e della loro espressione più “acchiappa femmine”.
E poi sarei io la checca?
Continuo a ballare nella mia stanza, ad occhi chiusi, seguendo solo il ritmo proveniente dalle casse acustiche. Completamente abbandonato, finalmente libero.
< Ahi!>
Sapevo che il mio viaggio alla cieca sarebbe durato poco.
Riapro gli occhi per fissare lo sguardo sulla causa di quell’improvviso dolore al ginocchio.
< Stupido coso> borbotto contro lo spigolo del cassettone.
Mi chino leggermente per massaggiarmi la gamba.
Il dolore ormai è già passato, resta solo la scocciatura per essere stato bloccato sul più bello.
La musica cambia improvvisamente. Una nuova voce sostituisce quella di Beyonce, una melodia diversa risuona tra le pareti della mia stanza. Christina Aguilera inizia a cantare la sua “Reflection”, con quella voce acuta e potente che la contraddistingue.
Alzo lo sguardo, e vedo il mio riflesso sullo specchio di fronte a me.
Guarda caso.
Guardami. Puoi pensare che stai vedendo chi sono realmente, ma non mi conoscerai mai.
Come ti capisco, cara Christina.
Ti capisco eccome.
Sollevo la schiena, rimanendo in posizione eretta. Lo sguardo fisso allo specchio qualche metro più in là, tutto il resto del corpo immobile.
Lui, lo specchio. L’amico su cui ogni giorno faccio affidamento. L’unico del cui giudizio mi fidi.
Il complice silenzioso dei miei innumerevoli cambi d’abito per trovare la mise perfetta, dei miei spettacolini di danza e canto. Il giudice supremo del mio look.
Eppure anche lui, come tutti gli altri, non mi conosce.
Vede solo la superficie esterna, l’involucro.
Ma non conosce il vero Kurt Hummel. Non sa cosa si agiti nella sua anima, cosa vortica irrefrenabilmente nel suo cervello, cosa fa battere il suo cuore.
Come tutti gli altri, pensa di conoscermi solo perché vede ciò che mostro al mondo.
Ma la maschera che tutti vedono non è ciò che io sono.
Sospiro, sistemandomi una ciocca di capelli che mi era scivolata davanti agli occhi.
Già, chi sono io?
Forse è questo il problema principale, forse questo è il motivo per cui nessuno conosce il vero me.
Perché fondamentalmente non lo conosco nemmeno io.
Non posso farmene una colpa. Dopotutto, sono solo un adolescente in piena crisi esistenziale.
E’ come se il mio presente ed il mio futuro fossero avvolti da una nuvola nera, che mi impedisce di vedere. Non ho idea di cosa mi aspetti negli anni a venire, chi diventerò, quali cambiamenti subirà la mia vita. Quale sarà il mio destino.
Non so neanche cosa mi potrà succedere da una settimana a questa parte.
E non so chi sono adesso. Cosa sono diventato, se sono diverso da ciò che ero qualche tempo fa.
Forse sono sempre lo stesso ragazzino che si rinchiudeva in camera per sfogliare “Vogue”, mentre il padre lo credeva intento a giocare a qualche stupido videogioco di lotta.
Forse sono ancora quel bambino che accampava ogni volta una scusa diversa per non giocare a calcio con tutti gli altri maschietti del vicinato, e preferiva osservare le bambine e le incredibili avventure che mettevano in piedi con le loro bambole, tentato di unirmi a loro e frenato solo dalla consapevolezza che mio padre poteva uscire di casa da un momento all’altro e scoprirmi.
Non ho idea di chi io sia.
So che questo tipo di crisi tocca almeno un buon 50/60 per cento di tutti i ragazzi della mia età. E’ normale, il futuro spaventa, e la crescita è un qualcosa di così improvviso ed ingestibile che nessuno sa bene come fronteggiarla.
Ma la mia “estrosità”, chiamiamola così, non fa altro che creare ulteriore confusione.
Mi avvicino lentamente allo specchio, per potermi osservare meglio. Come se guardandomi più da vicino riuscissi a trovare le risposte a tutte le mie domande, ai miei interrogativi, ai miei dubbi.
Come se quella superficie riflettente potesse aiutarmi a scrutare il fondo della mia anima.
Ma non è così.
Il vetro mostra solo ciò che vedo tutti i giorni. Quel viso che conosco fin troppo bene.
Ma non mi aiuta a capire cosa ci sia dietro di esso.
C’è solo una cosa che so per certo di me stesso.
Kathy Bates nel film “Pomodori verdi fritti” si definiva “troppo giovane per essere vecchia e troppo vecchia per essere giovane”.
Ecco ciò che io sono, ciò che sono sicuro di essere.
Troppo donna per essere uomo, troppo uomo per essere donna.
Non vi è definizione per uno come me.
Perché le mie sembianze maschili m’impediscono di essere definito “ragazza”. Ma sono decisamente troppo effeminato perché i miei compagni mi considerino un uomo.
Le mie labbra si contraggono inconsapevolmente.
Dannazione, perché effeminato poi?
A me piacciono i ragazzi, ok. Potete considerarlo sbagliato, deviato, malato, quello che vi pare. Questione di punti di vista. Per me è la normalità. Per me è l’inevitabilità. Il mio gusto personale mi spinge verso i maschi. E a mio parere, non c’è nulla di sbagliato. Né di corretto.
La libertà dopotutto è questo, no? E’ scegliere ciò che si preferisce, ciò che ci piace. Anche se non sappiamo perché ci piace. E nemmeno siamo costretti a saperlo, spesso è qualcosa d’irrazionale ed incontrollabile. Anzi, lo è sempre.
Chi ha detto che gli uomini devono amare le donne e viceversa? C’è forse qualche regola scritta, qualche legge?
Gesù Cristo invitava ad “amare il prossimo tuo come te stesso”. Genericamente. Non diceva “tu donna ama il prossimo tuo uomo e tu uomo ama il prossimo tuo donna”.
L’amore può assumere qualunque forma, sempre amore resta. E come tale, non va condannato.
Uhm, forse mi sono spinto un po’ troppo in là coi miei ragionamenti... non volevo sciorinare una difesa a favore dell’omosessualità. Non mi sento in dovere di difenderla, semplicemente perché non andrebbe attaccata.
Ad ogni modo, io sono così.
Sono un ragazzo a cui piacciono i ragazzi.
Punto.
Ma perché definirmi “effeminato”? Perché additare le mie inclinazioni femminili come un insulto?
Io non scimmiotto le ragazze, non vado in giro indossando minigonne e tacchi, squittendo come un topolino ed imbottendomi il reggiseno di carta igienica per simulare due protuberanze che non possiedo.
Sono solo un comune ragazzo che ha interessi atipici rispetto agli altri.
Eppure, non sono l’unico a far parte del Glee Club. Non sono il solo che balla e canta, indossando costumi di scena e dimenando i fianchi.
Anche Puck e Finn lo fanno. E loro sono due machi, tecnicamente parlando.
E non mi pare che gli altri ragazzi siano sciatti, trascurati e poco concentrati sul proprio aspetto esteriore. Anzi, proprio gli stessi energumeni che ogni giorno mi sollevano di peso per gettarmi in mezzo alla spazzatura sono estremamente più vanesi di quanto sia io.
Sorrido al mio riflesso. Sorrido al mio vecchio amico specchio.
Mi sbagliavo su di lui, prima.
Lui non è come tutti gli altri. Lui sa esattamente chi sono.
E me lo sta mostrando proprio in questo momento.
Sono un ragazzo come tutti, solo più estroso.
Sono un omosessuale, e non me ne vergogno.
Sono Kurt Hummel. E mi va benissimo così.
Sono ciò che sono. E non vorrei essere nulla di diverso.
L’orologio sul comodino mi segnala che devo incamminarmi verso scuola, se non voglio arrivare tardi.
Senza che il sorriso abbandoni le mie labbra, mi dirigo verso la scrivania, stacco l’I-pod dalle casse e vi collego gli auricolari, che poi mi porto prontamente alle orecchie, per non perdere neanche un secondo del brano di Lady Gaga che è appena partito.
Raccolgo lo zaino da terra e mi avvio verso la porta della mia stanza.
Prima di varcarla, lancio un’ultima occhiata allo specchio.
Mi scruto con attenzione, facendo un giro su me stesso.
Semplicemente perfetto.
Faccio l’occhiolino al mio doppio, che dalla superficie riflettente ricambia a sua volta.
< Ciao amico!> esclamo, prima di scendere le scale ed immergermi in una nuova giornata.
Un’ennesima giornata da Kurt.
E non potrei chiedere di meglio.

   
 
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