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Autore: RiceGrain    27/02/2010    4 recensioni
"..because the only people for me are the mad ones, the ones who are mad to live, mad to talk, mad to be saved, desirous of everything at the same time, the ones that never yawn or say a commonplace thing, but burn, burn, burn..." - Jack Kerouac
E' esattamente così che si sente Mallory ogni volta che, alzando lo sguardo incontra quello blu elettrico di River, folle e squilibrato, musicista nell'animo. Perchè l'importante non è trovare quello che si cerca, ma continuare a cercare, perchè è quando smetti di andare avanti e ti accontenti che hai perso per davvero, perchè quando c'è quella scintilla ad illuminarti la strada tu la devi seguire.
E la parte più difficile è che devi fidarti di lei.
Genere: Malinconico, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sapevo che quella sarebbe stata una giornata no da come la birra mi si era simpaticamente rovesciata addosso di prima mattina

1.

 

Sapevo che quella sarebbe stata una giornata diversa da come la birra mi si era rovesciata addosso di prima mattina.

A me non succedeva mai.

Chiamarla prima mattina poi era azzardato, visto e considerato che l’orologio appoggiato alla mensola e che per puro miracolo ancora non rotolava giù, segnava le 03.45 p.m.

-Mallory, mi spieghi che cazzo fai?-

Sbuffai infastidita.

Perché d’accordo essere una rockstar, d’accordo devastarsi ogni sera con alcohol, fumo e chi più ne ha più ne metta, ma dormire fino alle 04.00 del fottuto pomeriggio e incazzarsi perché sei stato accidentalmente svegliato dalla tua ragazza che si rovescia la birra addosso, è davvero troppo.

-Passami una lattina- continuò con voce assonnata, passandosi una mano fra i capelli e scompigliandoli all’inverosimile.

Johnny River Peabody era quanto di più simile all’idea di rock ‘n roll avessi nella mia testa.

Bello come un Dio, libero come il vento e pazzo all’inverosimile.

Inutile dire che mi ero innamorata di lui l’istante successivo a che l’avevo visto sul palco della House of Blues a L.A.

Con quel basso fra le mani e i capelli neri e sudati sulla fronte.

River era semplicemente da infarto e nel corso di quegli anni me ne aveva procurati tanti e nei più svariati modi per giunta.

Quando la mattina me lo ritrovavo nel mezzo del tour bus con solo le mutande addosso, tanto per citare qualche esempio.

O quando così improvvisamente nel cuore della notte si alzava prendendo la sua vecchia Fender Strat verde acqua e si metteva a comporre ed io mi svegliavo con quel suono nelle orecchie, aprivo gli occhi e me lo vedevo lì nella penombra del bus con la musica nello sguardo e nient’altro.

O quando nel corso di un concerto si voltava verso il backstage e mi strizzava l’occhio, facendomi sentire la donna più felice del sistema solare.

Beh, River era la mia eclissi, nel vero senso della parola. Da quando era arrivato lui nella mia vita, non c’era stato più posto per altro. Niente, spazzato tutto via nella frazione di secondo in cui i nostri occhi si erano incrociati.

-Ho voglia di andarmene- alzai gli occhi su di lui e lo vidi guardarmi con il suo solito sguardo sprezzante, di quelli che sai che potrebbero fare a botte con il mondo in qualunque momento.

-Fanculo il tour. Fanculo la band. Fanculo tutto. Andiamocene, Mallory. Io e te-

Lo amavo.

Dio se lo amavo.

-Non puoi mandare affanculo il tour, River.-

ero l’unica a chiamarlo con il suo secondo nome, ed ero fiera di esserlo. In quel modo era come se fosse solo ed esclusivamente mio. E lui lo adorava. Lo sentivo che era così.

-Ma sì che posso. A chi vuoi che freghi?-

-A Luke, per esempio- il suo migliore amico Luke. Quello che lo raccattava tutte le volte che andava in pezzi. Quello che lo riportava a casa dopo le sbronze e che lo allontanava dalle risse.

Sbuffò e roteò gli occhi al cielo. Un gesto che faceva quando sapeva che erano gli altri ad avere ragione, e a lui dava sui nervi. Il fatto di non avere ragione.

River era una di quelle persone che hanno capito che le cose la maggiorparte delle volte vanno proprio come pensi tu, e gli altri non ci hanno capito un cazzo.

-Devo restare per Luke? È questo che mi stai dicendo?-

Stavolta fui io a sbuffare.

-Dovrebbe mandarti a fare in culo, lo sai? Sei uno stronzo.-

Non rispose, si alzò dalla cuccetta e si diresse in bagno, sbattendo la porta.

Avevo un’improvvisa voglia di vomitare.

Non perché mi sentissi veramente male, fisicamente intendo.

Era tutta quella situazione a darmi la nausea.

Eppure non avrei saputo vivere altrimenti.

Chiusi gli occhi e aspettai che quella sensazione passasse, come sempre succedeva.

E quando lo fece, mi accesi una sigaretta.

Detestavo l’odore del fumo, per assurdo che fosse.

Lo detestavo e per quello non riuscivo a farne a meno.

Fumavo quando ero arrabbiata, felice, depressa, fumavo per darmi un contegno o semplicemente per smettere di pensare.

-Hey Mal. In piedi a quest’ora?- mi voltai al suono della voce di Skye, la tipa di Luke, che entrava nel tour bus sbattendosi la porta alle spalle.

Le feci un semplice cenno col capo, e tornai a concentrarmi sulle spirali di fumo della mia sigaretta, che si disperdevano nell’aria in effimeri cerchi di bianco.

-Dovresti smetterla di avvelenarti. Non arriverai ai 30 anni se continui così-

Skye era la classica ragazza salutista. Filosofa new age, vegana fino al midollo, e un fisico da schianto dovuto alle interminabili ore che dedicava alla corsa ogni santissimo giorno.

Non avevo voglia di risponderle e lasciai correre, tanto c’era abituata.

-Domani ce ne andiamo- continuò a chiacchierare lei imperterrita.

-Luke è eccitato all’idea del Tennessee…sinceramente non so come farò a resistere senza l’aria della California.-

Sistemò la spesa nel piccolo frigo, addossato alla parete e sospirò quando constatò per l’ennesima volta lo stato pietoso nel quale riversava il nostro piccolo ed unico elettrodomestico.

-Nessuno pulisce come al solito, eh?- scosse la testa e poi richiuse lo sportello, facendo finta di non aver visto niente.

Era brava a fare finta.

River lo diceva sempre che Skye era una che fingeva parecchio.

Soprattutto a letto.

Erano andati insieme qualche volta prima che io entrassi nella sua vita e che lui smettesse di scoparsi qualsiasi essere vivente per concentrarsi solo su me.

-E’ un grande cambiamento- mi aveva detto una volta Luke, guardandomi fisso negli occhi e sorridendo come se chissà quale miracolo fosse successo.

-Johnny è fottuto-

-Più che altro sono io quella che si è fottuta qui- avevo puntualizzato io, guardandolo con sarcasmo.

-Lui può scaricarmi sul ciglio della strada senza tanti complimenti e cavarsela comunque, io morirei se dovessi lasciarlo.-

Che schifo, quel pensiero mi acuiva la nausea a livelli insopportabili. Però per qualche strana ragione mi faceva sentire bene, anche.

Il mio cervello era davvero scombinato, perché non c’era niente al mondo che fosse semplice e lineare per me. No, ogni cosa doveva sempre avere due lati, esattamente opposti.

Come diceva Ejzenštejn riferendosi al colore giallo che per una popolazione di cui non ricordo mai il nome significa sia tenerezza che gelosia.

-Noi non veniamo- mi accorsi di avere parlato solo quando l’occhiata stupita di Skye mi colpì per la forza della sua sorpresa.

-Sì, in Tennessee intendo. Io e River non veniamo.-

Solo dopo averlo detto mi resi conto di come in fondo l’avessi sempre saputo, forse da ancora prima che lo dicesse River.

Io e lui avremmo preso un’altra direzione e chi lo sa dove ci avrebbe condotto. Chi lo sa se alla fine di quella deviazione saremmo stati sempre insieme o se qualche inevitabile ostacolo ci avrebbe resi due completi estranei.

In qualche modo, sapevo che era giusto scoprirlo.

-Che vuol dire che non venite?- Skye si morse il labbro involontariamente e si mise a sedere accanto a me.

-Non veniamo.- continuai, spegnendo la sigaretta e voltandomi a fissarla, quasi infastidita dalla sua reticenza a capire.

-Ma…Johnny…il tour.- era praticamente sconvolta.

Sospirai e poi sbuffai e mi alzai, incapace di sostenere quella conversazione un momento di più.

-Cosa vuoi che ti dica? Mi dispiace.-

-E’ un’idea di quella testa di cazzo, non è così?- ecco che cominciava ad alterarsi. Il pensiero di River la inquietava sempre e la rendeva nervosa.

Glielo leggevo negli occhi che la sua presenza non l’avrebbe mai lasciata indifferente, d’altra parte River era una di quelle persone che ti segnano a fondo.

Dentro l’anima. E non te la lasciano mai più intatta come prima del loro passaggio.

I suoi occhi erano un chiaro ammonimento di quello che sarebbe avvenuto poi, e tu potevi decidere se farti stravolgere la vita da lui e da tutto quello che si celava dietro quelle lastre di ghiaccio bollenti, o andartene via.

Ma chi volevo prendere in giro?

Andarsene era impossibile. Nessuno l’avrebbe mai potuto fare.

Perché lui era semplicemente irresistibile.

Perché lui ti incatenava a sé senza neanche rendersene conto.

 

 

 

La pioggia sferzava il cappuccio nero sulla mia testa e la punta delle Converse nere di River.

Il marciapiede sul quale ci trovavamo poteva essere un qualsiasi marciapiede di una qualsiasi cittadina dimenticata da Dio degli States, ma per qualche strana ragione non era affatto così.

Io lo sentivo e lui lo sentiva. Le mani in tasca lo dicevano chiaramente che da qualche parte dentro di sé temeva quel momento che così tanto aveva voluto far arrivare.

Partire, dire addio e lasciare indietro posti, persone e abitudini.

Non che River avesse mai avuto un’abitudine in vita sua, ma anche il semplice fatto di mangiare al The Grill per tre giorni di fila, bastava a renderlo insofferente.

Ed ora ci trovavamo su quello sputo di cemento ad aspettare un greyhound per la prima destinazione possibile.

Madison, il caso aveva voluto che fosse proprio quella la prima destinazione possibile e c’eravamo semplicemente affidati ad esso.

Io non c’ero mai stata, River sì e aveva detto che era un posto come un altro per cominciare.

-Ma cominciare cosa?- avevo chiesto io, buttando tre stracci nello zaino.

-Cominciare-

Poteva significare tutto e niente.

Con River ogni cosa era sempre anche il suo esatto contrario e almeno in quello eravamo dannatamente simili.

Per quello mi ero limitata a scuotere la testa e a domandarmi se davvero invece non fosse il caso di tornare a casa, dai miei genitori.

-Non c’è più tempo- mi aveva chiuso la zip dello zaino con un movimento repentino, quasi aggressivo e la risposta alla mia domanda silenziosa era apparsa chiara davanti ai miei occhi.

Ma quale casa?

Io non ce l’avevo più una casa.

Non da quando la mia essenza si era mescolata a quella di River.

Poi lo stridio dei freni del Greyhound allo sporgersi del braccio di River, caldo, condizionatore rotto, sorrisi finti, musica dalle cuffie di qualcuno, un ciccione con la camicia hawaiiana addormentato con la fronte contro il finestrino, sapore di America e di strada mescolato a quello della pioggia, sapore di addio, tristezza e gioia insieme, sapore di una California che rimaneva lì con il sole e le giornate allegre, con Venice Beach e Laurel Canyon.

Voglia di buttarsi sulla strada.

 

 

 

 

Non so onestamente cosa verrà fuori da questa storia ma è tutto ciò che risiede nel mio cervello, senza filtro. Ho deciso di sedermi e lasciare che le parole fluiscano liberamente, facendo il loro corso.

Non so chi sia Mallory, né tantomeno River, ma in qualche modo dovevano essere presenti dentro di me.

Beh adesso che li ho conosciuti devo dire che mi piacciono e spero di tirare fuori qualcosa di decente che possa magari interessare qualcuno.

Ultima cosa, il titolo della fanfiction è un omaggio al grande Syd Barrett e al suo primo album solista.

Ringrazio anticipatamente tutti quelli che mi seguiranno in questa follia.

 

Keep rockin’

 

 

   
 
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