Libri > La ragazza con l'orecchino di perla
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Autore: The_Cow    02/03/2010    4 recensioni
E' la prima che ho scritto in vita mia, quindi spero sia venuta bene e soprattutto spero che vi piaccia. Ho preso spunto da un libro che ho letto tempo fa, "La ragazza con l'orecchino di perla" di Tracy Chevalier, per chi non sapesse di cosa parla, praticamente il succo è che la scrittrice ha immaginato un amore impossibile, platonico tra i 2 protagonisti, Griet e il pittore Johnnes Vermeer, ecco io ho immaginato molto di più..
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello era uno dei tanti giorni in cui il signore mi condusse nel sottotetto, attraverso la scala a pioli, anche quel giorno avrei dovuto lavorare per lui, macinare i colori che gli servivano per le sue tele.
Arrivati in cima mi fece sedere al tavolino di pietra come tutte le altre volte, aprì dei cassetti e cominciò a preparare quello che mi sarebbe servito.
-Oggi Griet, avrei bisogno che mi preparassi del colore rosso- mi disse allungandomi un bastoncino -devi fare attenzione, questo materiale è molto pregiato e non ne va sprecato nemmeno un po’- lo presi dalle sue mani e come ogni volta il solo sfiorare la sua, mi fece provare degli strani fervori in tutto il corpo
-Va bene signore, come lei desidera- e come al solito, mi fece vedere come dovevo fare con il pestello, e come dovevo diluire le sostanze.
Lui tornò giù nel suo atelier e mi lasciò sola, con i colori e i pestelli.
Da dove mi trovavo potevo a malapena vederlo, negli ultimi giorni aveva spostato di poco la tela a cui stava lavorando, non so se lo avesse fatto apposta perché sapeva che lo guardavo, mentre eseguivo i doveri che mi aveva assegnato, ma prima lavorava accanto alle grandi finestre, per la luce diceva, negli ultimi giorni invece si era spostato verso la scala.
Attraverso quello scorcio, potevo seguire i movimenti delle sue mani, e immaginavo le pennellate leggere e poi decise che dava alla tela, dando vita alla sua opera d’arte.
Ogni tanto dei lievi turbamenti si impossessavano di me, e allora tornavo a concentrarmi sul mio lavoro, sui bastoncini, le polveri, i diluenti, finché non mi passavano e tornavo a osservarlo.
Quel giorno c’era un bellissimo sole a Delft e Tanneke aveva portato le bambine in centro, mentre la signora Maria Thins con la figlia erano andate in giro per acquisti.
Sapere di essere sola in casa con lui non mi creava mai dei fastidi, tranne quando dilungava la sua presenza al mio cospetto, perché la mia mente si lasciava trasportare da delle strane fantasie, a cui non sapevo dare uno segnale di arresto e avevo sempre paura che lui se ne accorgesse, magari guardandomi negli occhi o semplicemente vedendo il mio viso cambiare colore.
Mentre mi stavo perdendo nelle mie consuete congetture, mi accorsi che il colore carminio che stavo preparando, si era espanso sulle mie mani, ne era uscito un pochino dall’incavo in pietra, e si stava facendo strada sul tavolino di pietra.
Interruppi immediatamente di rimestare, e mi alzai di scatto per cercare di rimediare al danno che avevo fatto, nel sottotetto non c’era la presenza di uno straccio, sarei dovuta scendere nell’atelier, ma se l’avessi fatto lui avrebbe sicuramente notato il colore sulle mie mani e si sarebbe certamente chiesto per quale motivo ero scesa.
L’unica cosa che mi rimaneva da fare era usare un mio indumento, il grembiule sarebbe stato troppo evidente, avrei potuto usare la mia cuffia, dopo avrei potuto legare di nuovo i miei capelli avvolgendo la parte sporca all’interno.
Cominciai a sfasciarmi la testa, i miei lunghi capelli rossi mi caddero sulle spalle, non ero abituata a portarli così e a sentirmeli addosso, cominciai a fregare sul tavolino con forza, e questi ricaddero davanti coprendomi il viso per metà.
-Griet?- ad un tratto sentì la sua voce alle mie spalle, con un balzo scattai indietro e la cuffia mi cadde dalle mani, non lo avevo sentito arrivare, il suo sguardo non era arrabbiato, almeno in apparenza, ma mi guardava con un’espressione interrogativa
-Mi scusi signore, mi sono distratta un attimo e il colore…-
-Le tue mani, sono tutte rosse- parlava delle mie mani, ma fissava il mio volto e i miei capelli, era l’unico uomo oltre mio padre e mio fratello, ad averli visti sciolti.
-Chiedo scusa signore, adesso pulirò tutto- abbassai lo sguardo verso la mia cuffietta caduta a terra, mi chinai appena per prenderla, ma lui fu più veloce di me, la prese tra le mani e me la porse, ma io non avevo il coraggio di prenderla, la sua vicinanza mi accendeva, sentivo il profumo della sua pelle e il suo alito caldo.
Risollevandosi sfiorò a malapena i miei capelli e un brivido violento invase il mio corpo.
Posò la mia cuffia sul tavolino e con l’altra mano sfiorò il mio volto -Griet- sussurrò, io deglutì al suo tocco e mi voltai completamente verso di lui, piano piano fece scivolare le sue mani fino al mento e poi sul collo, le sue dita delicate sfiorarono il bordo del mio vestito e io immaginai di essere una sua tela, dove lui posava le sue mani per creare un’opera d’arte.
Chiusi gli occhi per immaginarmi cosa avrebbe potuto fare sul mio corpo e sentii le sue mani prendere le mie, per poggiarle sul suo petto, li riaprii all’improvviso.
Lui mi guardava insistentemente e io volevo non finisse mai di sfiorami, anche se sapevo che quelli che stavo facendo erano pensieri impuri.
Avvicinò il suo volto al mio e fece sfiorare le nostre labbra, sicuramente se avesse voluto fare una qualunque cosa, l’avrebbe fatta e basta, ma io per fargli capire che ero argilla nelle sue mani socchiusi a malapena la mia, lui mi fissò a distanza ravvicinata per qualche secondo e poi fece ricombaciare le nostre labbra, sentii insinuarsi la sua lingua nella mia, la muoveva delicatamente, insieme danzavano come fossero abituate l’una all’altra, le mie mani si strinsero al suo petto prese dalla foga e lui ricambiò passando le sue sul mio sedere, mentre continuavamo a baciarci le sentivo muoversi con intensità sulle mie vesti, mi strinse a se’ tutto d’un tratto e i nostri bacini si incontrarono, sentii tutta la sua eccitazione contro il mio corpo.
Lo guardai sorpresa, avevo immaginato mille volte il suo corpo, il suo corpo contro il mio, il suo corpo sopra il mio, e adesso…
Mi sollevò appena, le sue braccia gracili non potevano fare di più con il mio peso, ma fecero abbastanza, mi girò contro il tavolino e mi ci fece sedere sopra, sentivo le varie scodelle di terracotta spostarsi e ribaltarsi dietro di me.
Riprese nuovamente a baciarmi mentre sentivo le sue mani posarsi sulle mie gambe per allargarle dolcemente, cercò gli orli più in basso per poterli tirare su, gli strati che avevo addosso erano tanti tra il vestito e le sottovesti, mi venne spontaneo porre le mie mani sulle sue per aiutarlo nella sua impresa, lui si staccò nuovamente dalla mia bocca per fissarmi, poi fissò le mie mani, pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato, di troppo magari, ma ero tutta un fremito in quel momento che i miei pensieri non giravano nel verso giusto.
Ad un tratto lui si abbassò, vidi il suo volto sparire tra le mie vesti, sentivo le mani che si facevano strada tra i mie capi, raggiungendo la sottana, la abbassò e il contatto tra la sua lingua e la mia natura mi fece provare cose inimmaginabili, ogni parte del mio corpo era attraversata da una scossa, e il piacere sembrava farmi gioire e impazzire allo stesso tempo, strinsi le mani ai suoi polsi che facevano presa alle mie ginocchia e con gli occhi chiusi e la testa all’indietro, gemetti il suo nome -Oh… Johannes…- lui si fermò, e mi accorsi solo dopo qualche istante che era riemerso dalle mie vesti e mi fissava sconcertato oltre che eccitato, io non sapevo cosa dire o pensare, avevo sbagliato di nuovo? Ma in quel momento non ero io che pensavo o decidevo, ma era il mio corpo!
Lui si avvicinò mettendosi tra le mie gambe, ormai gli strati di vestiti li avevo tutti arrotolati in grembo, mi prese il viso tra le mani e mi disse -Dillo di nuovo- io non capivo
-Cosa signore?-
-Il mio nome, ripeti di nuovo il mio nome-
-Johannes- lo dissi senza capirne il perché, lui si avventò nuovamente sulle mie labbra con foga ed eccitamento, una sua mano scese sui suoi pantaloni per aprirne una fessura, accadde tutto velocemente, lui era dentro di me e si muoveva prima con movimenti lenti che andavano via via aumentando, io avvinghiai le mie gambe nude attorno al suo corpo, una sua mano spingeva il mio bacino a ritmo contro il suo, l’altra mi teneva la schiena, le mie labbra erano a contatto con il suo orecchio, dove io gemevo e ansimavo ininterrottamente.
Quello che provai quel giorno non credevo potesse esistere, quando i suoi movimenti cominciarono a diventare più rapidi sentii il mio corpo attraversato da milioni di brividi, la mia mente vagava completamente per conto suo fino al punto in cui non capì più niente, e sentii un piacere assoluto tra le mie cosce e per tutto il resto del corpo, anche la mia voce esplose in un lampo di piacere e il suo nome lo urlai stavolta, dopo qualche secondo, mentre il mio corpo era ancora invaso da piccole scosse sentii un secondo piacere esplodere dentro di me e invadermi completamente.
Lui non disse niente, lo sentivo solo ansimare sul mio collo dove affondò la sua testa per qualche istante, rallentando i suoi movimenti fino a fermarsi completamente.
Rimanemmo abbracciati per qualche minuto i nostri corpi erano caldi e i cuori stavano riprendendo una velocità normale, i nostri petti si sfioravano assecondando i battiti.
Dal piano di sotto cominciai a sentire delle voci che riempivano la casa, Tanneke era tornata con le bambine, lui lasciò andare le mie gambe, che erano ancora avvolte al suo bacino, si richiuse i pantaloni scostandosi da me e senza guardarmi un momento in più mi disse -Rassetta tutto Griet- e scese dalla scala a pioli dalla quale era salito.
Io mi sistemai le vesti come dovevano essere, mi tirai su i capelli e mi rassettai la cuffia, facendo in modo che nessuna ciocca ne uscisse, poi cominciai a sistemare il tavolino di pietra, che poco tempo prima era occupato dal mio corpo.
Lavoravo in silenzio, la mia testa non produceva nessun tipo di pensiero, non mi aspettavo niente di più di quello che era successo, lui era il mio padrone e io la sua serva.
Dopo un po’ lo sentii rientrare nell’atelier e richiudere la porta, pensavo si rimettesse a lavorare di nuovo alla sua tela, invece lo vidi sbucare nel sottotetto, lo sguardo impassibile, io avevo ripreso a macinare i bastoncini per i suoi colori, non lo guardai, non dissi niente, e poco mi importava ormai che il colore rosso si era disperso in minima parte sulle mie mani e sul tavolino.
Lui si avvicinò al mio fianco, con la coda dell’occhio vidi che allungava una mano verso di me, sfiorò la mia cuffia, forse immaginando i miei lunghi capelli sciolti di prima e poi abbassandosi al mio orecchio mi sussurrò -Domani prepareremo del colore nero- io non risposi, lo osservai solo scendere di nuovo per tornare a dipingere, ma i miei pensieri avevano cominciato a viaggiare da soli, e con il sorriso sulle labbra immaginai a tutti i colori che io e il mio signore potevamo creare ogni giorno.

  
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