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Autore: _Breath    04/03/2010    4 recensioni
[...]Erano due normali ragazzi di città, fidanzati innamorati, che camminavano scherzando. Ma la loro storia, avrebbe avuto un finale alternativo. Perché quando stavano attraversando la strada, Lisa prese a correre per sfuggire dalla grinfie di lui. -Ti ho detto di no!Il gelato è mio e non te lo faccio assaggiare!- cantinellò lei, come una bambina capricciosa facendogli la linguaccia. - E dai!- lui prese a correre con lei- io ti faccio assaggiare il mio, ok?- -NO- - Ma su, che ti costa!- - Mi costa che è mio, punto!- - Ma Lisa…- lei iniziò a camminare all’indietro incurante del traffico che passava. - Dai, solo un assaggio.- -No.- -Lisa …- -No- -Lisa!- -Ho detto di no, sei cocciuto?- urlò lei, sempre voltata nel camminare all’indietro per guardare il ragazzo negli occhi. -Lisa stai attenta …- intimò lui accortosi che il traffico si sbloccava e che motorini passavano feroci per la strada[...]
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Gelato Alla Fragola*

Il cielo era burrascoso, nero, nella sua eterna morte continua.

Il sole, in quella giornata di fine Agosto, aveva segnato la sua morte dietro un sipario di nuvole oscure.

Tuoni invisibili laceravano l’aria, facendo bramare la terra sotto il suo gentil tocco frenetico.

Scia d’arancio, per quella mattinata così fredda in un mese tanto caldo, rifletteva su una lapide bianca.

Piccola nella sua dimensione letale, essa, sembrava risplendere di sola in quel luogo oscuro che era il cimitero.

Tra il carattere bianco di quella superficie fresca, vi si rispecchiava una foto.

Nella sua rotondità, l’immagine, era circondata da una cornice battuta in oro dove un ragazzo sorrideva al mondo esterno.

Tra le mani, un arancione pallone da basket che, perfettamente eretto, girava sul suo indice affusolato.

Il ragazzo, nonostante il suo affascinante gioco con il pallone, continuava a guardare avanti.

I capelli  biondi in tutte le direzioni, mossi dal vento primaverile, davano alla sua immagine l’aria di eterno ragazzo … l’eterno ragazzo che sarebbe rimasto in eterno.

Il sole, alla sue spalle, splendeva alto nel cielo come da giorni non accadeva più nella buia città di Firenze.

In quella tiepida giornata di fine mese, infatti, tutto sembrava morto con lui.

Con quel ragazzo che ora sotto terra giaceva, e in foto rideva spensierato, la vita nel mondo sembrava essere morta.

Via, via dal mondo il sorriso non sfiorava più le labbra di nessuno tra i presenti a quel funerale.

Solo lacrime, lacrime trattenute e lacrime non lasciate.

Lacrime.

Verdi, gialle e bianche, esse, scendevano tra le gote delle persone, il capo sulla spalla del proprio partner, cercava di chiudere gli occhi per abbandonarsi la sofferenza alle spalle.

Una donna, poco più dietro del prete e della tomba, si disperava in silenzio.

Con il capo macchiato di rosso,il rosso della disperazione, Silvia Giuridieri piangeva il figlio morto prematuramente.

Senza il ritegno umano, urlava e scalciava come un bambino dispettoso e prepotentemente viziato desideroso dell’ultima novità.

Come se torturata, si contorceva nel suo dolore, crogiolando in esso.

Dopo uno sguardo triste e anche vagamente offeso del prete, il rituale fu ripreso con uno squarcio nel cielo.

Altro rombo di motore, lampi e tuoni, rombavano per aria.

-Ricordiamo con amore questo ragazzo morto in giovane età. Ricordiamo il suo essere allegro e positivi. Rammentiamo la sua gioia del signore,il suo premuroso gioir con gli amici e i nemici. Rendiamogli onore nella speranza che il paradiso, il portone della vita eterna, per sempre gli mostri innanzi.-Il prete con voce rotta di dolore anch’egli, si voltò a guardare la foto di quel giovane ragazzo dietro di se, poi, con la tunica bianca del suo mestiere, chiuse il breviario e sotto braccio se lo pose.

Invano cercò di consolare la madre del giovane ragazzo, che per sempre a diciassette anni sarebbe restato, immune al suo dolore s’allontanò il pastore lentamente.

Firenze fu squarciata da un altro rombo di motore.

Poco distante da tutto,una ragazza guardava tutto avvolta nel suo velo nero sottile che le copriva la vista.

I capelli legati in una crocchia severa, erano stretti sulle sue tempie.

I suoi occhi di ghiaccio non trapelavano emozione.

La testa era poggiata contro il tronco d’albero consumato, la schiena che perfettamente aderiva con esso.

Rimase per molto, lì Lisa Fulvo, con i capelli mori che si confondevano nella corteccia.

Il suo sguardo lacrimato vagava per la lapide bianca dove  giaceva quel povera bel ragazzo per poi giungere sulla madre di lui.

Con un passo veloce, la giovane, si decise a staccarsi dall’albero.

-Buongiorno signora!-annunciò avvicinandosi alla donna che con il capo sulla spalla del marito chiedeva pietà-condoglianze.-

-Grazie.-fu sfocata la parole della donna, quasi inesistente ma Lisa la sentì lo stesso.

Non aveva mai avuti buoni rapporti la giovane Fulvo con Silvia Giuridieri in quanto la donna aveva sempre manifestato inappropriata la sua amicizia con il figlio.

Secondo Silvia, infatti suo figlio Antonio meritava di meglio.

-TU!-ruggì infatti la donna, quando alzando lo sguardo incontrò quella della ragazza- come osi venire, qui? Come osi,rispondimi! E tutta colpa tua!Tua! Se mio figlio ora è cibo per lombrichi lo devo solo a te!Sgualdrina!- il tono della voce della donna era forte, ritmicamente prepotente mentre le sue mani si stringevano a  pugno.

Egoisticamente parlando  Lisa considerò l’ipotesi che ben presto,se qualcuno non avesse fermato la donna, sarebbe andata presto a far compagnia ad Antonio sotto il terreno umido.

Ma questo la ragazza non lo disse.

Spostandosi il velo dagli occhi la giovane se lo tolse porgendolo alla donna.

-Che ci devo fare con questo?-scaraventandolo a terra la donna lo fece cadere nel fango circostante creatosi nella notte con la pioggia.

A quel gesto,Lisa sussultò.

Rimase per molto a fissare quel velo cadere sempre di più nello scuro letame partorito dal cielo.

Rimase a molto, occhi sgranati e offesi, a trattenere la sua ira.

-Scompari da questo posto. Via dalla mia vita!Via dalla sua vita! Lascialo riposare in pace, almeno quello!-prima ancora che la ragazza potesse parlare, la donna la precedette.

Spaventata, poi, dal suo sguardo ferito, Lisa si fece da parte lasciandola passare e senza dire più nulla abbassò il capo.

-Scusatemi tanto- disse solo, quando la donna le fu accanto in un soffio di vento.

-Non me faccio nulla delle tue scuse, bambina!- e senza dire più nulla, forti come lame taglienti, il cuore le perforarono radiose.

 

 

A distanza di una sola ora, Lisa sedeva sul soffice terreno castano di quel cimitero.

Aveva sempre avuto paura dei cimiteri perché era lì che riposava il vecchio.

In quello spazio si nascondevano tutti i dolori di una vita e i fantasmi dell’ingiustizia vagavano in eterna.

Nel cimitero.

Luogo tanto santo quando oscuro.

Quante persona per bene vi riposavano, quante malvagie e crudeli?

Lei non lo sapeva ma lo poteva immaginare.

Rabbrividendo,la giovane prese a giocare con il velo raccolto precedentemente dal terreno.

Era lievemente consumato,questo, sporcato dal fango ma ancora per lei così importante.

Era di un lieve e consumato strato nero  candido che avrebbe consumato fino la morte; lo sapeva.

Anche se quel terreno di cimitero la spaventava enormemente, Lisa non si sforzò ad alzarsi ma anzi rimase ferma innanzi la lapide di Antonio.

Antonio.

Lacrime prima trattenute le perforarono prepotenti gli occhi.

Una sua mano chiara di carnagione andò a sfiorare la foto di quel gentile ragazzo che ore la sorrideva.

La sua mano candida,bianca quanto una mozzarella, sfiorò il viso ridente di lui per poi fermarsi sulle sue labbra.

Labbra.

Quante volte quelle labbra l’avevano schernita, per quelle stesse mani?

 

 

Lisa sedeva comodamente sulla sue sedia a sdraio nel soleggiato giardino.

Gli occhiali da sole sulle iridi ben oscurate dalle lenti, guardava ridendo quel ragazzo davanti a lei.

Antonio, con il suo immancabile pallone da basket in mano, le sedeva accanto ben e comodamente posizionato poco più avanti a lei.

Stavano a casa di lei, nella sua grande villa a due piani a prendere il sole in quella giornata di fine Luglio.

-Lo sai che certe volte sei proprio noiosa?- la schernì lei.

- E perché mai?- senza togliere gli occhi dal suo prezioso libri,Lisa gli rivolse la parola.

-Perché io,il tuo adorabile ragazzo, vengo a farti una visitina a casa tua e tu, odiabile ragazza, mi ignori così bellamente.- fece lui vantandosi da divo con ampi movimenti della mano.

- Ma io necessito di sole. Mi devo abbronzare io!- disse lei, come se la cosa fosse di vitale importanza.

Dopo un analisi da parte del ragazzo nella quale Lisa si sentì veramente a disagio,Antonio parlò di nuovo:

-Si, infatti guarda queste mani- prendendole tra le sue e staccandole ferocemente dal libro, il ragazzo iniziò a esaminare l’arto della giovane-sono proprio come due mozzarella!Fanno quasi schifo!-

Dopo una smorfia offesa della giovane e una risata acuta del giovane, Antonio riprese.

-Fammi finire di parlare-disse infatti- per quanto tu possa essere pallida, io ti amo lo stesso. D’altronde è risaputo che io amo la mozzarella,no?-

Un candido occhiolino che le fece ugualmente mancare il fiato.

E poi un leggiadro bacio, tra quelle fresche mani, che di rosa ancora sapevano d’aroma.

 

 

 

Con un sorriso tirato,Lisa ritornò alla realtà continuando a guardare le sue mani piccole e delicate.

Lenta, posò un bacio dove anche Antonio aveva fatto lo stesso.

Ma non pianse.

Riportò invece lo guardo su quel amato ragazzo, e si sentì morire.

I suoi occhi.

Così belli e così vivi.

Verdi vivaci erano sempre pronti allo scherzo e giocosi.

Mentalmente la ragazza si augurò che anche nel posto dove ora si trovava, il giovane potesse trovare la felicità di vivere sereno.

Si sentiva tremendamente legata lei ad Antonio, era stato il suo amico per tanto tempo e poi, da un giorno all’altro il ragazzo che amava.

-Io Ti ho sempre amato,Lisa, anche quando tu mi vedevi solo come un amico- le aveva rivelato lui la sera del 24 Maggio, quando si era dichiarato.

Al ripensarci, la giovane si sentì morire di solitudine e il suo sguardo vagò ancora sulla foto del ragazzo.

Il sole ormai era alto nel cielo, anche se ancora nascosto dietro pesanti nuvole.

Aveva sempre saputo che Silvia, la madre di Antonio, non l’aveva mai vista di buon grado.

Era sempre stata sottovalutata da lei, perché giudicata grezza.

In un periodo, ricordò Lisa con un sorriso, le era parso che la donna stesse anche cercando di ucciderla avvelenandola in qualche modo.

Ringraziando il Signore,le sue erano solo supposizioni sbagliate.

L’antipatia della donna, però, s’era evoluta del tutto solo qualche giorno prima diventando vero e proprio odio.

Perché Silvia Giuridieri, se odiava Lisa Fulvo aveva le sue rispettive motivazioni.

Perché il respiro di quella ragazza era costato il batter di ciglia di suoi figlio.

Perché per salvarla, Antonio , aveva venduto l’anima al malfattore uccisore di vite.

 

 

 

Camminavano per la bella Firenze, in una giornata di metà Agosto Antonio e Lisa, mano nella mano, ridevano felici.

Lei stringeva a se il suo gelato alla fragola, lui il suo prezioso rinfrescante al pistacchio.

Rosa  e Verde.

Verde e Rose.

Come le loro maglie, come il loro spirito libero di natura.

Erano due normali ragazzi di città, fidanzati innamorati, che camminava scherzando.

Ma la loro storia, avrebbe avuto un finale alternativo.

Perché quando stavano attraversando la strada, Lisa prese a correre per sfuggire dalla grinfie di lui.

-Ti ho detto di no!Il gelato è mio e non te lo faccio assaggiare!- cantilenò lei, come una bambina capricciosa facendogli la linguaccia.

- E dai!- lui prese a correre con lei- io ti faccio assaggiare il mio, ok?-

-NO-

- Ma su, che ti costa!-

- Mi costa che è mio, punto!-

- Ma Lisa…- lei iniziò a camminare all’indietro incurante del traffico che passava.

- Dai, solo un assaggio.-

-No.-

-Lisa …-

-No-

-Lisa!-

-Ho detto di no, sei cocciuto?- urlò lei, sempre voltata nel camminare all’indietro per guardare il ragazzo negli occhi.

-Lisa stai attenta …- intimò lui accortosi che il traffico si sbloccava e che motorini passavano feroci per la strada.

-Non mi distrai, tanto il gelato è mio e non te lo do!-

Una strizzata d’occhio e Lisa smise di camminare anche all’indietro.

Si fermò e fece una linguaccia,l’ultima che gli avrebbe rivolto.

L’ultima che lui avrebbe visto!

Un motornino passò veloce, più degli altri rischiando di prenderla in pieno e per lo spavento lei fece cadere anche il suo tanto agognato gelato a terra in un urlo mozzato.

-Lisa attenta!- l’urlo di Antonio riecheggiò nella strada, ma oramai era troppo tardi il motorino aveva perso il controllo andando rovinosamente addosso a lei.

E poi, l’inevitabile.

Vinto dall’istinto il giovane si gettò tra lei e la vettura e fu preso in pieno al torace.

Pochi passi distanziavano lei e lui e per questo gli fu facile raggiungerla e con fortuna riuscì anche a spingerla di lato per non farla minimamente sfiorare dall’incidente.

Nel rumore che ne seguì, si clacson e strilli disastrosi, il verde s’oppose al rosa della ragazza.

I gelati si mischiarono, le maglie si fusero in un colore senza fine.

Per sempre, nella mente della povera Lisa, il verde e rose la morte assunsero di significato.

 

 

La fotografia di Antonio  era ancora innanzi a lei, e Lisa ne sfiorò lenta i lineamenti.

Gli occhi, quelli che anche con la morte rimasero dilatati, erano nel ritratto di un verde intenso come solo con le accanto erano stati.

Lui l’aveva amata.

E glielo aveva detto tante volte.

Anche quando il suo cuore stava smettendo di battere,la sua ultima parola era stata per lei, in una battuta, le aveva rammentato il suo amore.

-Tu non mi volevi dare un pezzo del tuo gelato, io ti ho dato tutto il mio cuore Lisa-le aveva detto, con la testa sollevata dalle sue esili braccia bianche.

E lei gli aveva rigato il collo di lacrime, senza nemmeno la forza di ricordargli che il sentimento era reciproco, senza nemmeno spiegargli che la sua vita era preziosa e che doveva combattere per riaverla.

Ma invece lei non disse nulla, rimase solo a guardare il verde dei suoi occhi fondersi con il nero della morte.

 

*

Anche se ora erano passati tre giorni e due notti, Lisa continuava a vivere solo il momento della morte di Antonio.

Ora, la terza notte dall’incidente, lei sedeva sul suo letto a guardare la luna.

Da quando era tornata a casa, nel pomeriggio stesso, non aveva mai smesso di guardare il cielo.

Quella sera, il 23 Agosto, sentiva  l’irrefrenabile desiderio di un suo sorriso.

Non poteva biasimare l’odio che Silvia provava per lei, perché era colpa sua se ora Antonio era in un'altra vita, ma le sue parole di amarezza le avevano fatto male.

Non sperava di essere capita o compatita ma lei ci stava male nelle sue offese ma non piangeva.

Non meritava la sue lacrime.

Con quell’episodio aveva capito che bisognava piangere solo quando ce ne stava veramente il motivo e l’odio di quella donna non lo era.

Ne era sicura.

Alzandosi dal suo letto, Lisa prese il velo che aveva portato la mattina al funerale suo capo e se lo strinse al petto.

Sentiva ancora l’odore di Antonio, lì sopra.

Sorrise.

Quella era stata un foulard  che lui stesso le aveva regalato una sera che erano andati ad una fiera.

Lei se ne era innamorata e lui le aveva cortesemente comprato il dono.

Senza dire nulla.

Lenta, Lisa se lo strinse al naso e aspirò il suo dolce aroma caro per poi posare lo sguardo nuovamente sul cielo sentendo di voler sentire accanto il suo amato, anche se solo in fotografia …

 

 

Poco dopo, nemmeno trenta minuti , Lisa sedeva nuovamente sul cimitero e accarezzò la foto.

La luna piena vegliava su di lei, anch’essa come il sole nascosta dalle nuvole.

I raggi chiari quanto la sua pelle, però, illuminava lo stesso il viso nella foto d’Antonio.

 Con il velo nero al collo anche in una sera tanto calda, Lisa si piegò in avanti porgendosi verso la lapide.

Anche se in foto, il ragazzo conservava sempre la sua bellezza.

Riusciva a vedere ogni suo particolare, ogni suo difetto visivo e ne apprezzava tutto.

Il suo sorriso  scaltro risaltava su tutto.

-Avevi detto che saremo stati per sempre insieme.- disse ad un certo punto lei, la voce rotta mentre rammentava la sera in cui lui l’aveva cullata tra le braccia ripetendogli quelle parole -M’avevi detto che mi avresti per sempre amato e protetta.-

Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra- M’avevi giurato di prendermi per sposa ai diciotto anni, ma invece sei morto prima di portarmi all’altare. M’avevi amato, m’avevi fatto sentire unica e rispettata. M’hai dato la gioia di vivere, e nello stesso modo me l’hai anche tolta-

Per la prima volta, da come non faceva da anni, Lisa si lasciò andare in un pianto liberatorio.

Pianse sulla sue tomba, pianse sul cielo.

Pianse delle sue parole, pianse del suo amore finito.

Pianse dell’odio che non voleva che Silvia per lei provasse e pianse per l’odio che provava per se stessa e infine pianse per quel maledetto verde smeraldo che il rosa confetto aveva voluto salvare.

 

*50 Anni Dopo*

 

Una signora di mezza età cammina per le strade di Firenze con un comodo foulard nero al collo.

Il suo sguardo è fiero ma anche spento, le sue mani sempre pallide come mozzarelle.

Lisa Fulvo, ora sessantasettenne, non sembra vittima del fantasma di un passato che però le torna a  fare visita ogni notte.

Nel suo passo leggiadro di donna di mezza età, non vi è paura ma solo agonia.

Lisa non si è mai sposata, Lisa ha mai amato un altro uomo come ha fatto con Antonio.

Come pena d’amore, ha donato la sua gioia con quella del ragazzo poggiandola sulla tomba 50 anni prima.

Ora, Lisa Fulvo, vive anonimamente.

Con le buste della spesa in una mano, la donna si dirige in un posto che solo lei bene conosce.

Una volta sorpassato il cigolante cancello del cimitero, entra e si lascia guidare dall’istinto per andare innanzi a una lapide che di bianco orami non ha più nulla.

E’ il 24 Maggio di una giornata afosa, e la signora porta già una maglia a maniche corte per meglio assorbire il calore.

Una volta davanti alla lapide della persona che è andata a trovare, la donna s’inchina dimenticando anche il forte dolore alle gambe e l’attrito delle sue ginocchia.

Posa un bacio sulla foto del giovane e si leva il foulard posandolo sulla foto per pulirla meglio.

Non sa come, ma su quella sciarpa vi è ancora intriso l’odore del giovane Antonio e sempre, la donna, se ne rincuora.

-Ciao -dice solo per poi depositare un secondo bacio sulla foto del giovane diciassettenne che ride con il suo pallone da basket- ti ho portato una cosa .-

Con un sorriso, la donna estrae dalla busta della spesa al suo fianco una confezione d’orata sigillata ad incastro.

Sorridendo, la signora anziana dopo aver aperto il contenitore, posa la confezione di gelato Algida alla fragola  ai piedi della tomba.

Nel momento esatto in cui il la plastica di esso sfiora il terreno, un raggio di sole sfoca sul  gelato colpendolo in mille colori  e Lisa ne sorride

-Sono contenta che ti sia piaciuto- dice solo mentre un secondo raggio di cielo lo sfiora la fronte ed estraendo dalla stessa busta di prima due cucchiaini di plastica  si siede comodamente a terra.

Poi alza lo sguardo e, con ancora l’ombra di un sorriso sul viso, inizia a mangiare il gelato gustandosi appieno la fragola di quel gusto che da cinquanta anni non osava più sfiorare.

 

 

 

 

 Salve a tutti.

Questa storia è stata scritta di getto in una serata umida.

Spero che possa essere leggibile altrimenti la cancellerò senza rimpianti.

Un grazie a tutti quelli che si sono fermati nella lettura.

I personaggi usati nella storia sono frutto della mia immaginazione.Fatti o avvenimenti realmente esistenti sono da considerare puramente casuali.

 

  
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