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Autore: eiden    05/03/2010    4 recensioni
-Allora, cosa devo fare per farti contenta, stavolta?
Un sorriso le illuminò il volto mentre si carezzava, di nuovo, il ventre prominente.
-Quell'idiota di tuo nipote ha fatto casini a scuola e devo andare a parlare con il coordinatore di classe, nonché professore di Inglese. Purtroppo quel pomeriggio io devo andare dal ginecologo a fare l'ecografia insieme a Stefano. Come puoi notare argutamente anche da solo non ho ancora il dono dell'ubiquità e mi piacerebbe che andassi tu a parlare con lui. Mi faresti un enorme favore.
Gli incontri casuali non esistono con una sorella come Diana e Leo lo sa bene.
[Buon Yaoi-day a tutte!]
Genere: Generale, Comico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BENE!
Salve a tutti, signori e signore!
BUON YAOI DAY A TUTTE! *O*
Con questa fic cerco solo di celebrare questo gran giorno (no, non sto solo partecipando a un contest, malfidate xD). Questa fic è il prequel di Ideal Man, ma tranquille se non l'avete letto. Si capisce comunque *O*
Presto arriverà anche una long in merito, non disperate xD


I have a problem that I cannot explain,
I have no reason why it should've been so plain,
have no questions but I sure have excuse,
I lack the reason why I should be so confused.
I know, how I feel when I'm around you,
I don't know, how I feel when I'm around you,
around you.
[Roulette - System of a Down]

-Non sei al lavoro, no? E allora fammi questo favore, per piacere!-
L'uomo sbuffò, guardando in tralice la donna.
-Chi ti dice che io non abbia già qualche impegno, Diana?
Lei si limitò a fissarlo, scettica. Con un gesto quasi automatico si stirò le pieghe del vestito sull'enorme pancione.
-Tu? Stiamo parlando della stessa persona che preferisce passare le giornate libere a sistemare i bilanci?
Lui a quel punto si arrese, alzando le mani in segno di resa e poi scompigliandosi i capelli in un gesto nervoso.
-Allora, cosa devo fare per farti contenta, stavolta?
Un sorriso le illuminò il volto mentre si carezzava, di nuovo, il ventre prominente.
-Quell'idiota di tuo nipote ha fatto casini a scuola e devo andare a parlare con il coordinatore di classe, nonché professore di Inglese. Purtroppo quel pomeriggio io devo andare dal ginecologo a fare l'ecografia insieme a Stefano. Come puoi notare argutamente anche da solo non ho ancora il dono dell'ubiquità e mi piacerebbe che andassi tu a parlare con lui. Mi faresti un enorme favore.
Con un gesto della mano, come se scacciasse una mosca fastidiosa, la fissò con un sopracciglio inarcato.
-E io cos'avrò in cambio?
Lei si limitò a sbattere le ciglia, guardandolo con lo sguardo lucido.
-Ma come? Avresti la mia totale riconoscenza! Come puoi chiedere alla tua adorata sorella, la tua tanto adorata sorella incinta, di pagare per una cosa del genere?
L'uomo, con uno sbuffo beffardo, si limitò a non risponderle.
-Va bene, va bene. Ti offro una cena gratis.
-Una settimana di cene gratis!
-Ora non esageriamo... una cena gratis al ristorante che adori e due a casa mia. Ultima offerta.
Con uno sguardo rassegnato, ma un certo divertimento nascondo tra le ombre scure del suo sguardo, le strinse la mano destra, come quando facevano le scommesse da ragazzini.
-Andata.
A quel punto Diana si concesse una risatina maliziosa.
-Magari farai anche un incontro interessante, non credi, Leo?
Lui emise quello che assomigliava terribilmente a un ringhio.
-Diana, cosa hai combinato? Ti ho già detto di non ficcare il naso nella mia vita privata...
-Ma io non ho fatto niente, sul serio!
Ma mentre Leo usciva dalla stanza, lei sogghignò nascondendosi  la bocca dietro una mano.
-O almeno, non ancora...

Dopo essere uscito dalla casa della sorella, Leo si diresse svogliatamente verso il proprio appartamento. Non era molto distante ma non era nemmeno così strano. Aveva sempre avuto un legame particolare con Diana, dopotutto erano gemelli, e l'abitare non troppo lontani non l'aveva mai infastidito.
Lo ammetteva, certe volte sapeva essere veramente irritante, diventava saccente e non importava che avesse torto marcio, lei continuava sulla sua strada peggio di un carro armato. Prima di conoscere Stefano, suo marito, aveva la finezza di uno scaricatore di porto e la morbidezza di un sacco di iuta. Se non fosse stato per le tette sarebbe potuta tranquillamente passare per uomo. Fortunatamente il matrimonio e la gravidanza l'avevano addolcita. Ecco, giusto quel tanto che bastasse per poter sembrare una signora.  Ma aveva comunque ancora i suoi assi nella manica, per farsi ascoltare.  Bastava che lo guardasse sbattendo le ciglia e facendo gli occhioni lucidi e lui le dava corda. E ovviamente ci cascava come un pollo.
Riesumando le chiavi di casa dalla tasca del giaccone, aprì la porta cercando di evitare la palla di pelo che si fiondò contro le sue gambe artigliandogli i pantaloni e la pelle.
Ecco cosa intendeva quando diceva che ci cascava come un fesso.
Quel gatto era di Diana. “Era” perché il ginecologo le aveva detto che era meglio non avere un gatto in casa durante la gravidanza e quindi, occhioni lucidi alla mano, era venuta con la palla di pelo al suo appartamento chiedendogli di prendersene cura finché non avesse trovato qualcun altro a cui affidarlo.
E ovviamente erano passati sei mesi.
Prendendolo per la collottola, Leo cercò di staccarsi il gatto dalla gamba, stringendo i denti quando si accorse che il micio non aveva la minima intenzione di mollare la presa. Quando la palla di pelo si ritrovò tra le sue mani, cominciò a fare le fusa come il peggiore dei ruffiani, per poi strusciarsi contro il suo polso alla ricerca di coccole.
Sbuffando l'uomo si chiuse, finalmente, la porta alle spalle e cercò anche di togliersi il giaccone, ma il gatto rendeva le cose un po' difficili. Rassegnandosi come solo lui poteva fare, cioè bestemmiando a bassa voce, si diresse in tutte le stanze per spalancare le finestre.
Dopo un'intera giornata chiusa, la casa aveva proprio bisogno di un cambio d'aria.
Aspirando l'odore di neve che veniva da fuori, per essere Gennaio era anche troppo freddo, si diresse verso la cucina dopo aver accuratamente riposto le scarpe all'ingresso, le punte esattamente alla stessa altezza.
Appena varcò la soglia uno scenario apocalittico si mostrò di fronte al suo sguardo incredulo.
Già, si era “lievemente” dimenticato di pulire il giorno prima quando si era voluto sbizzarrire ai fornelli. Sua sorella gli aveva insegnato tutte le basi e, con un po' di fantasia, le cose gli venivano bene. Peccato che il concetto stesso di “lavare i piatti” gli fosse ostico da comprendere.
Non che di piatti ce ne fossero molti, per carità.
Solo due.
Il problema erano le pentole, che erano almeno sei. Più le due zuppiere, il piatto da portata e le due ciotoline. Tutto ammonticchiato in qualche modo nel lavandino.
Decisamente non aveva più nemmeno una padella per rendere commestibile anche solo una carota, quindi si risolse a rimboccarsi le maniche e... beh, sperare che sua sorella entrasse proprio in quel momento armata di amore fraterno per ripulirgli la cucina era eccessivo pure per lui, quindi niente. Con le mani nell'acqua saponata cominciò a pensare a cosa avrebbe detto al professore il giorno dopo.
Insomma, era suo nipote, mica suo figlio.
Proprio in quel momento il cellulare cominciò a squillare e lui, bestemmiando in un paio di lingue diverse, cercò in quel marasma che era il lavello un asciugamano per asciugarsi le mani.
Quando riuscì a prendere in mano il cellulare spalancò gli occhi.
Da quando in qua Davide lo chiamava?
-Ehilà, Davide. Che succede? È successo qualcosa alla mamma?
-No, no, zio, sta bene. Ho scoperto che devi andare tu a parlare con il Colombelli, domani...
-Intendi il tuo professore? Sì, tua madre mi ha chiesto di farle questo favore visto che è dal ginecologo. Allora, cos'hai combinato?
Quando l'unica risposta che ebbe fu un silenzio tombale, Leo si rassegnò ad avere una luuunga conversazione con il suo unico nipote quindicenne.
Si sedette con un sospiro sul divano e sperò solo che non avesse fatto qualche casino irreparabile.
-Allora?
-... zio, non è che ti potresti fare il professore così che si dimentichi quello che ha visto?
Quando l'accesso di tosse con cui si era quasi soffocato si calmò, Leo chiuse gli occhi sforzandosi di pensare che Davide non avesse appena detto quello che aveva sentito.
-Cosa?!?-
-Sì, insomma, sono convinto che tu possa convincerlo... fortuna che non è andata mamma a parlarci, sai, penso mi avrebbe messo in punizione a vi...
-No, fermo! Davide, ma... da quanto tempo lo sai?!?
Dall'altro capo del telefono provenne una risatina.
-Ma dai, zio, non sono più un bambino! Ti conosco da quindici anni e non hai mai portato a casa una fidanzata nemmeno una volta. E poi a Natale dell'anno scorso vi ho visto quando tu e il tuo amico siete usciti in giardino “a fumare”.
-Mai pensato che fossimo davvero usciti a fumare?
-Zio... tu non fumi.
-Che vuol dire, Giorgio sì.
-E per fumare bisogna praticare una laringoscopia con la lingua?
Stavolta fu Leo a zittirsi, portandosi una mano sugli occhi e sospirando rassegnato.
-Ok, ci hai visto e sai che sono gay. Fin qua ci posso arrivare. Adesso spiegami la storia del tuo professore. Che cazzo hai combinato, di preciso?
-Certo che potevate anche dirmelo senza che lo scoprissi da solo...
-Io e tua madre aspettavamo solo che fossi un po' più grande per capire la situazione. Se ti consola i nonni non lo sanno. E comunque, Davide, non provare nemmeno a cambiare discorso. Adesso sputa il rospo.
-Io... io non c'entro. Ti giuro che non volevo, mi ci hanno trascinato gli altri...
Con una voce così lagnosa, non l'aveva mai sentito.
Cristo, era grave.
Fumava, si drogava, aveva... aveva ammazzato una persona!
-... e in quel locale il prof mi ha visto e...
-No, aspetta, Davide, mi sono perso. Dov'è che ti ha visto il professore? E cosa è successo, in definitiva? E stavolta sii breve e conciso, non ci sto capendo niente.
-Sai quando sei venuto a cena da noi? Che io sono uscito dicendo che andavo in discoteca? Ecco, io credevo che andassimo in discoteca e invece mi hanno portato da tutt'altra parte.
-Davide...
-Sì, ok, ho capito. Mi hanno portato in una discoteca gay, ok? Contento?
Per la seconda volta Leo rischiò di strozzarsi.
-Come?!? Davide, ma tu...
-NO! IO NON SONO GAY! Mi ci hanno solo portato a tradimento! E comunque in quella discoteca ho trovato il professore Colombelli che ballava avvinghiato a un tizio. L'ho visto solo io, poi ho trascinato gli altri fuori e siamo andati a bere la cioccolata. Ma vuole di sicuro parlarti di quello , io però non sono gay, ok, zio? E giuro che non lo dirò a nessuno, basta che non mi dia un'insufficienza nella sua materia...
-Davide, calmati. Prima di tutto è un professore, non credo ti metterebbe un'insufficienza solo per quello. E poi potresti sempre aver frainteso, magari...
-Zio... si stavano baciando con la lingua...
-Ok, abbiamo appurato che non è stato un fraintendimento. Comunque, Davide...
-Non dirlo alla mamma, ok?
-Va bene, non dirò niente. Però devo anche vedere cosa mi dirà il professore, se non è niente di troppo grave ometterò il fatto che ti ha beccato in una discoteca dove non dovevi essere. In cambio...
-Ma come, dov'è finito l'amore disinteressato e...
-A farsi una vacanza a lungo termine. Allora, dicevo... voglio che, da quando nasce il bambino in avanti, direi almeno due mesi, tu faccia il bucato e pulisca casa al posto di tua madre.
-MA ZIO!
-Niente ma. In questo modo prendi due piccioni con una fava: fai contento me e tua madre e nascondi il tuo piccolo segreto. Mi sembra un buono scambio.
Lui mugugnò qualcosa di inintelligibile ma sembrò accettare a malavoglia.
-Domani mi chiami per dirmi quello che ti ha detto?
-SÌ, Davide, TI CHIAMO. Ora però basta. Sono quasi le nove, io devo ancora ripulire la cucina e mangiare e sarebbe carino che riuscissi a farlo prima di mezzanotte.
-Oh.
-Già, oh. Buonanotte Davide.
-Grazie zio, buonanotte.
Chiudendo la chiamata, Leo sospirò. Di nuovo. Stava diventando ripetitivo, quella sera.
Con molta poca voglia, finì di sistemare la cucina e si ordinò una pizza. Gli era passata l'ispirazione per cucinare però almeno la cucina era tornata ad avere un aspetto vagamente civile.
Si sistemò sul divano pensando che forse era il caso di andare a dormire.
Vero, al pomeriggio aveva appuntamento con il professor Colombelli ma LUI la mattina doveva essere in ufficio alle otto per l'appuntamento con la signora Carucci. Lei e il suo divorzio si stavano rivelando molto più ostici del previsto...
Quando ormai si stava per addormentare il cellulare cominciò a vibrare: un messaggio.
Era quasi l'una, poteva essere solo una persona...
Grazie della cena, l'altra sera... scusa se sono uscito senza salutarti, stamattina, ma dovevo andare a lavorare. Spero di ripetere ancora, mi fa ancora male la schiena e mi torna duro se solo ci penso... Lele
Ecco, appunto.
Gabriele.
Il sesso era fantastico ma dopo due settimane non poteva già più sopportarlo.
Non diceva certo di essere una persona ordinata, la sua cucina parlava abbastanza chiaro, e non solo quella a voler essere pignoli, ma non era mai arrivato ai suoi livelli.
Strinse la presa su quello che aveva in mano.
Aveva trovato un calzino nella credenza.
Come ci era arrivato un calzino in cucina?!?
Avevano fatto sesso sul divano! (E poi in camera da letto e nella doccia, ma quello era un altro discorso)
Doveva trovare un modo per mollarlo senza che avesse una crisi isterica e sembrava proprio il tipo.
Dopo essersi spogliato si infilò sotto le coperte sperando che una specie di illuminazione divina gli portasse tutte le sue risposte ma, ovviamente, l'unica cosa che sognò fu il suo ufficio e una lunga e interminabile discussione con la signora Carucci.

-Devo parlare con l'avvocato Fiorenzi! Devo vederlo subito!
Leo sospirò.
La giornata cominciava bene.
Sistemandosi il nodo della cravatta e aggiustando l'espressione, giusto qualcosa che sembrasse vagamente professionale, varcò le porte a vetro dello studio dove lavorava.
La segreteria, disperata, tentava di spiegare alla signora dai modi giusto un filo arroganti che “L'avvocato Fiorenzi non è ancora arrivato, ma se vuole può aspettare su quei divanetti laggiù”. Ovviamente senza risultati, la signora continuava a strillare come un'aquila.
Chissà cos'era successo ancora, magari voleva che il marito, un politico stronzo quanto lei, le desse qualche migliaio di euro in più.
-Signora Carucci...
La donna in questione si girò di scatto sferzando l'aria con i lunghi capelli castani freschi di parrucchiere.
-Finalmente è arrivato, devo assolutamente parlarle.
Mancava solo il “Perché devo lavorare, io”.
Contò mentalmente fino a dieci e prese un respiro profondo, facendole segno di seguirla nel suo ufficio.
Si prospettava una lunga e interminabile mattinata, proprio come aveva sognato.

-Sara, mi serve la pratica della signora Fiorucci sulla scrivania entro domattina, insieme al caso della signora Fermi. Manda all'avvocato del signor Celli la nostra proposta e ricordati di chiamare la signora Carucci per confermare, purtroppo per me, l'appuntamento con suo marito e l'avvocato per domani mattina alle dieci.
-Si, signor Fiorenzi.
-Io sto uscendo, ci vediamo domattina.
-A domattina, allora. E lei si ricordi che entro due giorni deve preparare il resoconto del caso Affori per il capo.
Leo si fermò sul posto, l'aveva quasi dimenticato e quello SÌ che sarebbe stato un disastro.
-Sara, grazie a dio sei la mia segretaria.
Lei si limitò a sghignazzare a bassa voce mentre Leo imboccava le scale per dirigersi verso la scuola superiore di Davide.

Quando varcò il cancello della scuola gli sembrò di essere tornato indietro di dieci anni.
Sembrava passato pochissimo da quando aveva varcato per l'ultima volta un portone simile, e invece era passata un'eternità...
Era ancora alto un metro una golia, aveva ancora un po' di pancia e, soprattutto, non aveva ancora realizzato di essere gay.
Già, proprio una vita prima...
Aprì il messaggio che gli aveva mandato Diana un'ora prima con il fondamentale dettaglio che si era dimenticata di comunicargli: l'aula e l'orario.
15:30, aula 102. Poi fammi sapere che cos'ha combinato Davide.
Doveva ancora trovare una scusa, ma l'avrebbe trovata.
Ci impiegò circa dieci minuti per trovare l'aula giusta, figuriamoci se erano in un ordine logico in modo da trovarla alla svelta. In realtà non si aspettava molto da quell'incontro, aveva praticamente anche dimenticato le parole della sorella riguardo all'incontro interessante.
Quindi quando varcò la soglia della famosa aula si aspettava un signore tutto sommato attempato, con la pelata o i capelli grigi e un po' di pancia. Non certo un uomo pressapoco della sua età, con decisamente ancora tutti i capelli, di un caldo color castano, e pure più muscoloso di lui; non che ci volesse molto, visto di profilo con la lingua in fuori sembrava una zip. Aveva un paio di occhiali che gli davano un'aria impettita e un paio di mani...
No, si costrinse a non pensarci.
Era lì per parlare di Davide, non per farsi il suo professore.
Tutto sommato ora capiva la proposta di suo nipote, per essere un insegnante non si trattava male.
Con un colpetto alla porta palesò la propria presenza all'uomo seduto alla scrivania intento a ricoprire di terrificanti segni rossi un foglio che sembrava tanto una verifica.
Alzò lo sguardo fissandolo mentre segnava l'ultimo ricciolo della sua firma poi fece scattare la penna a sfera. Con calma si alzò in piedi dimostrandosi solo di un paio di centimetri più alto di lui, la camicia bianca si tirò lievemente sui pettorali appena accennati.
Schiarendosi la voce, ma anche cercando di levarsi dalla testa quel culo mozzafiato, si fece avanti porgendo la mano destra.
-Leonida Lorenzi, sono lo zio di Davide Soleti. Purtroppo la madre aveva una visita ginecologica, e ha chiesto a me di venire a parlarle. Ma credo che l'abbia già avvisata.
-Sì, non si preoccupi, sono già stato avvertito. Io sono Christian Colombelli, coordinatore di classe e professore di Letteratura Inglese.
La sua stretta era forte, calda, decisa.
Per la prima volta in vita sua si trovava di fronte a un problema che non capiva. Quell'uomo lo attraeva, sì, ma non come succedeva di solito. Era sempre stato lui l'attivo, ma il passivo. E quell'insegnante... assolutamente fuori da ogni logica.
Fissando di sottecchi l'uomo, Leo si sedette di fronte alla cattedra, aspettando il verdetto.
-La situazione è abbastanza semplice. Davide è sempre stato un bravo studente, almeno nella mia materia. Fino a poco tempo fa si dimostrava sempre attento e studioso ma è da un mese che lo vedo molto distratto, non studia e non fa gli esercizi. Quando ho provato a convocarlo tre giorni fa è praticamente scappato dall'aula. Sono preoccupato, ecco perché volevo chiedere alla sua famiglia se aveva notato qualcosa di strano.
Leo si trattenne a stento dal picchiarsi una mano sulla fronte. Sapeva non sarebbe stato così semplice.
Evidentemente aveva sbagliato a pensare che si fosse accorto di Davide in quella discoteca e ora toccava a lui gestire la patata bollente.
L'uomo di fronte a lui si sistemò gli occhiali sul naso e Leo, di nuovo, provò impellente l'impulso di saltargli addosso. Sembrava aspettare una risposta e Leo si vide costretto a capitolare.
Dio, era da quando aveva vent'anni che non si sentiva così imbarazzato.
-Credo che sia perché si vergogna.
-E di cosa?
Era genuinamente stupefatto, quindi non sapeva.
Leo sospirò, avrebbero dovuto dargli un nobel per quello. Anzi, suo nipote gli avrebbe dovuto, come minimo, un servizio di pulizia casa per un mese.
-L'ha vista in discoteca con il suo ragazzo.
I suoi occhi si spalancarono dietro le lenti fini degli occhiali e, quasi meccanicamente, replicò:
-Non era il mio ragazzo, in realtà...
-Poco importa. Vi ha visto baciarvi e, per quanto lo neghi, so che si sente in imbarazzo a fissarla. Lo fece anche con me, ma il motivo mi fu chiaro giusto ieri.
Lui alzò la testa di scatto, ovviamente cogliendo il doppio senso nella frase. Se doveva gettarsi da una rupe tanto valeva farlo senza paracadute, sarebbe stato più divertente.
Lui congiunse le mani sotto il mento, facendosi pensieroso per qualche secondo, per poi sciogliersi in una risatina assolutamente divertita.
-È esilarante pensare che mi trovo a parlare di queste cose con lo zio di un mio studente. Gay anche lui, soprattutto.
-Sì, credo che Davide l'abbia fatto apposta per levarsi dagli impicci. Ormai lo conosco. Si figuri che mi aveva anche suggerito un modo per farle dimenticare la faccenda. Ovviamente non ce n'è stato bisogno...
L'uomo lo fissò da sopra gli occhiali, con un'occhiata talmente affilata che Leo si sentì quasi trafitto.
Decisamente c'era qualcosa che non andava.
Non era più un moccioso, non aveva certe reazioni alla vista di un bell'uomo da quando aveva diciotto anni. Si sentiva confuso, ma obiettivamente non aveva un motivo. Di solito, se trovava qualcuno che lo ispirava, ci usciva insieme per un po' e poi finivano a rotolarsi allegramente sotto le coperte, come con Lele. Soprattutto con lui come attivo.
Quel professore, invece... era una cosa stupida, ne era consapevole, ma non poteva farci niente.
Ce lo aveva davanti agli occhi da dieci minuti e già andava in confusione?
Fantastico.
-Ormai ti sei buttato da quella rupe, no? Puoi anche chiamarmi per nome, ormai. Tanto non parleremo più di Davide, giusto?
Leo si limitò a fissarlo, un sorrisetto malizioso che spuntava a tradimento sul suo viso.
-Perspicace... Christian, giusto?
-Tu invece sei...- storse leggermente il naso – Leonida, giusto?
-Per carità, chiamami Leo. Ho brutti ricordi legati a “Leonida” e qualsiasi altro rimando alla parola “leone”.
-Vuol dire che quella storia me la racconterai... che ne dici di uscire per un drink?
A Leo quasi cadde la mascella ma, si sa, la maschera da avvocato è dura da mollare. Con uno sguardo tutto sommato poco sorpreso, lo fissò e si accarezzò il mento con una mano.
-Sempre dritto al dunque, tu? In realtà pensavo mi ci sarebbe voluto molto di più per chiedertelo.
Christian si limitò a recuperare fogli e cartelletta dalla cattedra, per poi girarsi a sistemare gessi e cancellini alla lavagna.
Non era possibile che l'avesse fatto apposta per fargli rimirare il suo fondoschiena, vero?
Non riusciva a capire se stargli intorno lo stupisse, lo divertisse o lo confondesse.
E fortuna che aveva quasi trent'anni, altrimenti era fregato.
Improvvisamente gli tornarono in mente le parole di Diana e seppe, senza nessun dubbio, che c'era il suo zampino.
Lei e la sua dannata mania di ficcare il naso nelle faccende altrui!
-Allora... - la sua voce lo distolse dai suoi pensieri semi-omicidi sulla sua tanto amata sorella.
Cercò di ripeterselo più volte affiancato alla parola “incinta” ma funzionò poco.
-...come ci mettiamo d'accordo per la nostra amichevole uscita?
Solo a lui, ovviamente, sembrò di sentire un accenno troppo malizioso in quella frase.
E ciò era molto male.
Cercando il portafoglio nelle tasche, estrasse con gesto fluido e collaudatissimo il biglietto da visita.
-Qui ci sono tutti i miei contatti. Chiamami quando vuoi.
Il professore si limitò a un cenno, forse troppo impegnato a infilare la pila di fogli nella sua valigetta; il cartoncino color crema finì nella giacca e, con un clac, fu pronto anche lui per uscire.
Camminando fianco a fianco mentre uscivano dalla scuola, avevano la macchina nello stesso parcheggio, si ritrovarono immersi in un silenzio tranquillo. Forse questo era diverso da Lele, forse si sarebbe divertito.
-Non hai nessuna domanda da farmi?
Leo si girò a guardarlo continuando a camminare. Il fatto che fossero alti uguali almeno semplificava le cose.
-No. Così ho una scusa per la conversazione della sera in cui ci vedremo. Non vorrai togliermi tutti gli argomenti. E poi potresti cambiare idea da un giorno all'altro, quindi non avrebbe senso.
Christian ridacchiò dirigendosi verso una pandina bianca.
-Io sono oggi ciò che ho stabilito ieri o qualche giorno precedente. (*) Quindi ti dirò tutto quella sera.
Leo si limitò a sollevare una mano mentre si dirigeva verso la sua macchina.
Doveva parlare con sua sorella.
E aveva bisogno di prepararsi psicologicamente, Christian lo confondeva anche troppo.
Non capiva cosa provava quando stava con lui e qualcosa gli suggeriva che era vero anche viceversa.
Era cominciata con una lunga mattina, sarebbe stata anche una lunga serata.
E aveva idea che sarebbe tornato a casa più stanco che se avesse fatto una maratona in un'ora.
Qualcuno diceva che la vita era come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti capita.
Lui cominciava a pensare che la vita fosse come una roulette. Una roulette russa. Un passo farlo e sei morto.
Con un sospiro accese il motore.
E doveva pure mettere in chiaro le cose con Lele.
Già, proprio morto.

 

(*) Citazione di James Joyce

  
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