Cronaca di un omicidio.
Rovisto ferocemente
nell’ennesimo cassetto, senza curarmi molto della confusione che creo in quel
perfetto ordine, che, senza dubbio, doveva aver richiesto anni per essere messo
a punto.
Devo fare in fretta, non so
per quanto ancora Jeff rimarrà svenuto.
Lui è il mio patrigno: quando avevo dieci anni
i miei genitori hanno divorziato.
Niente di così tragico:
conoscevo un sacco di altri bambini che avevano i genitori divorziati, inoltre
i miei avevano fatto di tutto perché realizzassi gradualmente ciò che stava
succedendo, in modo da non subire uno shock.
I problemi erano arrivati
dopo, quando mia madre si era risposata.
Con Jeff, il notaio. A me non
piaceva lui, era troppo gentile troppo perfetto, ero convinta che dovesse per
forza avere qualcosa che non andava, che nascondesse qualcosa, ma ero solo una
ragazzina di 13 anni e non avevo voce in capitolo. Naturalmente avevo ragione.
Erano passati appena tre mesi
dal matrimonio, quando Jeff abusò di me per la prima volta.
Non mi opposi neanche, avevo
troppa paura per farlo, e poi sarebbe stato inutile, vista la mia stazza
pressoché insignificante.
Da allora sono passati circa
tre anni. Mia madre sembra non essersi accorta di nulla, ma ogni volta che lei
non è in casa e siamo soli, il notaio si diverte ancora a torturarmi.
Ormai è diventato quasi
semplice sopportare: basta pensare ad altro. Chiudere gli occhi ed allontanare
la mente il più possibile dalla realtà di ciò che sta succedendo, e il tempo
passa in fretta, quasi senza che me ne accorga.
Ma oggi non è così. Oggi è
diverso. Quando mia madre è uscita di casa, Jeff è arrivato in camera mia come
al solito, ma non l’ho lasciato fare stavolta. L’ho colpito. L’ho colpito alla
testa con la lampada che mi ha regalato lui a Natale.
Poi mi sono inginocchiata
accanto a lui: era svenuto, ma ho preferito legargli ugualmente le mani con una
cintura. Quindi mi sono fiondata in camera sua.
So che tiene un coltello
nascosto in quella stanza. Uno di quelli grandi, da caccia, con il manico di
legno.
Il problema è che non ho idea di dove sia, e
sono almeno dieci minuti che sto ribaltando tutti i cassetti della stanza in
cerca di quel maledetto coltello.
Richiudo l’anta di un armadio con un pugno e mi dedico al cassetto del
comodino. Un luccichio sul fondo attira la mia attenzione. Eccolo lì.
Lo afferro per il caldo
manico di legno, e mi sento già molto più calma, più sicura.
Mi perdo qualche secondo ad
osservare la lama d’acciaio, che brilla alla debole luce artificiale della
lampada, ma vengo distratta da dei gemiti di dolore, che mi fanno trasalire:
Jeff si sta svegliando.
Torno di corsa in camera mia,
e lui è ancora lì come l’ho lasciato, che si trascina faticosamente a terra
come un pallido verme, rivoli di sangue gli scivolano lungo la fronte.
Il suo viso è deformato dal
dolore e mi guarda terrorizzato, mentre il suo sguardo indugia qualche attimo
sul coltello nella mia mano. Mi
inginocchio accanto a lui e gli alzo la testa,
prendendolo per i capelli. Lui digrigna i denti per il male.
<< Jenny… >>
geme, con voce roca.
Io lo ignoro e gli appoggio
la lama contro la gola, senza premere troppo.
Devo essere impazzita. Ho
spesso sognato di ucciderlo in questi anni, di liberarmi di lui, ma non avrei
mai pensato che l’avrei fatto veramente.
Eppure ora lo so. So che lo farò, come se non avessi più alcuna
alternativa. Chiudo gli occhi, nel tentativo di dare ordine a tutti i pensieri
che mi hanno assalita e che mi stanno facendo scoppiare la testa.
<< Jen,
ti prego… >>
Potrei rimanere ore ad
ascoltare la sua voce disperata che mi supplica di risparmiarlo, di non ucciderlo, ma, lanciando uno
sguardo all’orologio, mi rendo conto che è piuttosto tardi, e tra poco tornerà
mia madre.
Mi basta un solo colpo secco
per tagliargli la gola, e in un secondo il sangue inizia ad uscire a fiotti dalla
ferita, inondandomi la maglietta. Jeff boccheggia, sputando il caldo liquido
rosso ovunque per la stanza.
Gli schizzi continuano ad
arrivare anche addosso a me, ma non mi sposto di un centimetro: rimango
immobile ad osservare assorta l’uomo in preda alle convulsioni finché non
smette completamente di muoversi, e il respiro lascia del tutto il suo
corpo.
Il coltello cade a terra con
un tonfo e sento il rumore della porta d’ingresso che si apre, mia madre che
entra in casa. I suoi passi, la sua voce che urla quando arriva in camera
giungono ovattati alle mie orecchie, e non me ne curo minimamente. È un giorno
importante oggi. Oggi ricomincio a vivere.
NdMe- allegria! Ahahahah questo
era il mio tema in classe gente! Piuttosto macabro eh? Ahahahaha
il prof era abbastanza perplesso ha detto tipo che non mi guarderà più con gli
stessi occhi dopo questo tema…XD ma non è colpa mia se l’incipit
ispirava cose strane eh…u.u ahahah!
Anyway ditemi cosa ne pensate se vi
va… byebye! *-*