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Autore: Dark Roku     08/03/2010    4 recensioni
La vita di Ven è la normale vita di un adolescente, senza contare il senso di vuoto che lo accompagna e il fatto che sia innamorato dell'autista dell'autobus, Terra che è più confuso di un quadro di Picasso.
Suo fratello Sora cerca di scolpire la sua corazza di vetro, mentre Riku chiede solo che Sora ricambi il suo amore, così come Demyx, quasi analfabeta, ma che passa tutti i giorni in biblioteca solo per guardare il bibliotecario.
E poi c'è Kairi: riuscirà a far pace con sua zia? E cosa si nasconde dietro lo strano ritorno di suo fratello? E Naminè che spera solo nel principe azzurro.
Infine, distante dalle vite che si intrecciano sulle Destiny, la vita di Roxas, adolescente ricco e viziato è avvolta nella pioggia di Rain Town.
Però, forse il destino non è sempre prevedibile come sembra...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Note dell'autrice (stavolta prima): Allora posto e scappo (Ma puoi andartene anche senza postare, che fai un favore a tutti n.d.altra me). Un paio di raccomandazioni prima della lettura. Innanzitutto i personaggi non sono miei, ma sono di proprietà della Square Enix e questa storia non è scritta a scopo di lucro e bla bla bla.
Secondo: Rain Town è inventata. I personaggi di Final Fantasy sono messi a casaccio perchè non conosco la saga. I'm sorry.
Terzo: E' solo una sottospecie di introduzione. Tengo abbastanza a questa fic a più capitoli, per cui mi piacerebbe sapere cosa ne pensate (Te lo dico io: fa pena n.d.altra me) e se devo continuare.
Ok, ora potete leggere. Buona lettura.


Forbici e coltelli

Ecco, gli mancava pochissimo. Altri cinque secondi e l’opera d’arte a cui lavorava da mesi sarebbe finalmente stata completa.
Le forbici azzurre sfrigolavano tra le sue mani e la scritta V+K+N+S+R= FRIENDS 4 EVE incisa a lettere cubitali sul banco pareva dotata di una luce propria in quel momento. Mancava poco e avrebbe completato anche la R.
Vide Kairi al suo fianco, ansiosa quanto lui, trattenere il respiro.
- Cinque…- sussurrò Ven alla sua sinistra iniziando il conto alla rovescia. Sora tracciò la prima retta.
- Quattro…- Naminè continuò da davanti di lui. Ripassò la linea per scolpirla nel legno. La pancia della R fu finita di incidere dopo il Tre di Kairi.
-Due …- sussurrò. Un biglietto con scritto “Uno” arrivò da Riku.
 Si preparò alla fine: soffiò legno che era stato tolto, poggiò le forbici sul banco e…
- COSA STANNO FACENDO I SIGNORI, LI’ DIETRO?- L’urlo sovraumano della professoressa fece sobbalzare tutti. Le forbici volarono per aria e tutti si gettarono sul banco, stile Wrestling.
- Niente professoressa.- balbettarono Ven e Kairi all’unisono.
- Bene. Lo spero per voi.- il suo tono tornò calmo, ma continuò a guardarli – Signorino Leonhart…- disse rivolgendosi a Sora che cominciò a sudare. Lo sapeva! Quella professoressa ce l’aveva con lui! L’aveva scelto su quattro persone!
- Mi fa gentilmente la traduzione di “Pax insigna est”?-…che?????? Ma che lingua era?
Forse latino considerando che era l’ora di latino, ma non poteva essere! La professoressa doveva stargli facendo uno scherzo e si era messa a parlare in ostrogoto antico! Sì, doveva essere assolutamente così! Però, andando a senso poteva voler dire:
- L’insegnante è pazza! – affermò Sora convinto scatenando le risate della classe. La suddetta insegnante sospirò spazientita:
- Ven voglio parlare con i vostri genitori. Tuo fratello si distrae troppo spesso in classe. Non che tu sia da meno…- il biondino puntò i suoi occhi azzurri sulla scritta coperta da alcuni libri:
- Sì, professoressa. – disse meccanico.
- Per quanto riguarda lei, signorina Flames…- si rivolse a Kairi senza nessuna espressione nella voce. – Parlerò con suo fratello oggi stesso. –
- Va bene zia. Non la vedo una cosa difficile visto che abitiamo sotto lo stesso tetto. – fece Kairi divertita. Il fatto che suo fratello Reno si fosse sposato con la sua professoressa giocava a suo vantaggio, indubbiamente.
Prima che l’insegnante potesse replicare, un trillo annunciò la fine delle lezioni. La classe si svuotò in poco tempo:
- Non è giusto!!! - cantilenò Sora afferrando la borsa. – Perché richiama sempre me? Ka-chan tua zia mi odia, non è giusto! - Ven s’intromise guardando Riku:
- Fratellino il tuo ragazzo mi fissa in modo strano. –
- Riku non è il  mio ragazzo!- Sora arrossì di botto. L’argenteo si avvicinò sorridendo:
- Ah, sì? Davvero? – lo guardò negli occhi. Il moro li chiuse di scatto allontanandosi.
- Allora immagino di non poterti più invitare a casa mia…stanotte. – lo provocò Riku uscendo dalla classe.
- Rì aspettami. – Sora gli corse dietro lasciando Kairi e Ven tra le risate.
 
Pioveva fuori dalla scuola.
Ma tanto in quel posto pioveva sempre.
Eppure Roxas se ne accorse solo quando la macchina sfrecciò via, lasciandolo solo, bagnato.
Per un po’ si era dimenticato della pioggia: aveva trovato il suo sole, e questo era l’importante.
E adesso, dopo tanto tempo, la pioggia tornava a scrosciare su di lui rovinandogli i capelli e inzuppandogli i vestiti.
Ma tanto a lui la pioggia piaceva: era il punto e a capo del mondo.
Il sole era troppo stupido per poter far qualcosa: sapeva solo riscaldare, esteriormente.
Non capiva che quando erano le anime ad essere fredde lui, grossa palla infuocata, non poteva far nulla.
Mentre l’acqua rifletteva le persone, le capiva, in una certo senso le consolava.
Così, mentre gli scivolava addosso gli sussurrava “Io sono come te. Io sono come te.”
Trascinava via tutto: le impurità, le macchie, i dolori.
Cancellava ogni cosa.
Persino le sue lacrime…

Il clima non cambiava mai alle isole del Destino, pensava Ven, mentre, dal finestrino dell’autobus, vedeva il cielo azzurro riflettersi nel mare, e la luce del sole accecargli gli occhi.
Che fosse il quindici dicembre, o il diciassette luglio non aveva importanza, il sole era il re incontrastato del cielo delle isole. Questa monotonia lo aveva quasi stufato: faceva sempre troppo caldo. Forse, un po’ di pioggia lo avrebbe completato, avrebbe alleviato il senso di vuoto che lo accompagnava da una vita. Perché Ven si sentiva incompleto, era come se una parte di lui se ne fosse andata. Un po’ come il sole senza la pioggia.
Ah, basta! Non era da lui perdersi in discorsi profondi! C’era il sole, punto.
- Cioccolata! Panini! Pop-corn! - delle urla femminili, simili a quelle che si sarebbero sentite al mercato o in uno stadio lo raggiunsero. Una ragazza stava facendo su e giù per il corridoio spingendo un grosso carrello colmo di cibarie. Era alta, aveva degli strani capelli blu tagliati in un caschetto mal pettinato, una gonna azzurra e una maglia attillata che metteva in risalto il suo seno prosperoso, con su scritto a caratteri cubitali HOSTESS.
- Ven vuoi qualcosa?- gli chiese gentilmente passandogli accanto. Il biondo sorrise imbarazzato:
- Ehm…Aqua, non siamo su un aereo. – la ragazza parve delusa dalla risposta e confusamente chiese – Ma come? –
Ven indicò il finestrino – Guarda, quello è il terreno, siamo a terra. – spiegò lentamente. Aqua non era ritardata o cose del genere, era solo un po’ stupida, tutto qui. Quest’ultima, rendendosi conto della situazione mise su un’espressione infuriata e raggiunse di scatto il conducente. Lo afferrò per il colletto: - Terra, perché non mi hai detto che non siamo su un aereo?- urlò schiaffeggiandolo.
Fortunatamente il guidatore era abituato alle sfuriate della ragazza e riuscì a mantenere il controllo del mezzo.
Ven sospirò affranto: Terra era così dannatamente perfetto. Aveva degli spettinati capelli color cioccolato, dei profondi occhi azzurri ed era pieno di muscoli; riusciva ad essere calmo in ogni situazione e aveva sempre la battuta pronta.
A volte il biondo si ritrovava a pensare a lui, senza nemmeno volerlo, e si chiedeva se i suoi sentimenti sarebbero mai stati ricambiati…poi si rendeva conto che Terra aveva dieci anni in più ed era solo l’autista dell’autobus, quindi conosceva centinaia e centinaia di ragazzini, perché avrebbe dovuto scegliere proprio Ven?
- Smettila Ka-chan! Ti ho detto che siamo solo amici!- le urla di suo fratello lo riportarono alla realtà.
Sora era seduto in fondo, tra Kairi e Naminè, e stava tentando –senza riuscirci oltretutto- di spiegare alle ragazze che lui e Riku erano solo amici -cosa tecnicamente non vera, pensava Ven ricordando la sera di Natale- .
L’argenteo, del tutto ignaro della discussione era seduto un po’ più lontano, circondato da studentesse: lui, insieme con Ven e Sora erano i tre ragazzi più popolari della scuola…sì, ma tanto si sapeva che l’uomo perfetto o era gay o era occupato, o tutt’e due.
Ven si voltò verso il finestrino sospirando: era tutto davvero troppo monotono.

Cosa vedeva Roxas quando si guardava allo specchio?
Oh, tante cose, ma di certo non Roxas.
Vedeva un ragazzo pallido e smunto, ma di certo non Roxas.
Vedeva un corpo anoressico vestito di nero, ma di certo non il corpo di Roxas.
Vedeva due occhi azzurri con ancora il riflesso della pioggia, ma di certo non gli occhi di Roxas.
Vedeva dei capelli biondo cenere appesantiti dall’acqua, ma di certo non i capelli di Roxas.
Vedeva delle pareti bianche dietro di lui, ma di certo non le pareti della stanza di Roxas.
E poi…
Vedeva la figura nello specchio prendere un coltello argentato e abbassarsi la manica per mostrare una fitta ragnatela di cicatrici.
Di certo quello non era Roxas.
Il coltello poggiarsi sul polso sinistro e il sangue fuoriuscire lentamente, ma tanto neppure il sangue era di Roxas.
Poi il coltello si piazzava con forza nello specchio, spezzando la figura non-Roxas, e una risata isterica si faceva spazio nell’aria.
In fondo non esisteva neppure una figura chiamata Roxas …

- Maammmmaaa!!!!! Siamo a casa!!!- cantilenarono all’unisono Ven e Sora entrando.
Aerith arrivò dalla cucina sorridendo e tenendo fra le mani una brocca d’acqua:
- Bentornati cari. Andate a lavarvi le mani, il pranzo è quasi pronto. -
- Ma io ho fame adesso! – si lamentò Sora correndogli dietro.
- Suvvia Sora. Possibile che devi sempre far esasperare tua madre? Non sai aspettare cinque secondi? – una voce maschile li raggiunse, e subito dopo Squall, sbucò dal salotto.
- Papà! – Sora urlando si gettò tra le braccia dell’uomo. Ven era rimasto sull’uscio, del tutto assente, probabilmente era rimasto al “A domani Ventus!” che gli aveva detto Terra. L’aveva anche chiamato per nome! E il fatto che Aqua poi lo avesse corretto dicendo “Cretino, non sai che si chiama Ven? Se lo vuoi chiamare così, tanto vale che soffi per chiamarlo. Fiuuuuuu!” era irrilevante.
- E tu non mi saluti?- Squall gli si mise davanti a braccia conserte.
- Ah …sì…ciao papà. – gli diede una stretta di mano e corse in bagno.
Stava uscendo matto, ne era certo: si sentiva così strano.
Si sciacquò velocemente mani e faccia e si guardò nello specchio per vedere se aveva effettivamente qualcosa di diverso.
Qualcosa la notò: un’ombra in fondo ai suoi occhi. Si sporse in avanti per guardare meglio e…il Ven nello specchio gli lanciò un coltello argentato.
Urlando cadde all’indietro e sbatté la testa contro la vasca da bagno.
Rivolse uno sguardo allo specchio: non c’era niente. Aveva avuto un’allucinazione?
Aerith e Leon arrivarono immediatamente in suo soccorso e lo trovarono steso sul pavimento che tremando e piangendo si stringeva il braccio.
L’ultima cosa che notò prima di cadere nell’oblio fu che il polso sinistro cominciava a fargli male.
  
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