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Autore: DarkRose86    10/03/2010    2 recensioni
FanFiction partecipante al "Tears Arena Contest" indetto da Red Diablo.
Vincitrice, assieme alla storia di Shurei, della seconda sfida del primo girone.
“ Quando se ne procurava un po', la ragazza dai capelli corvini si nascondeva nel suo personale rifugio;
non le apparteneva di diritto, no, ma da tempo nessuno lo usava più.
Quello che una volta era l'innovativo tunnel – lungo circa due metri – presente nel parco giochi della città,
era oramai divenuto la sua dimora, nei momenti in cui si estraniava dal resto del mondo, dalla cruda realtà […] ”
[Accenni NaruHina (one-sided) e NaruSaku.Tematiche pesanti.Character Death.Angst]
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Kabuto Yakushi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La seguente FanFiction ha superato il primo girone del "Tears Arena Contest", indetto da Red Diablo sul Forum di EFP. Ho gareggiato assieme a Shurei, che ringrazio per l'impegno e per l'avermi aiutata a ritrovare la voglia di scrivere in un momento di blocco. Non appena l'avrà postata, inserirò qui un link alla sua bellissima FanFiction, in modo che tutti voi possano leggerla.

Colgo l'occasione per ringraziare di nuovo tutte le partecipanti e la giudice, corretta e rapidissima, veramente il massimo. <3
Spero che questo delirio vi piaccia almeno un poco.
Buona lettura!
 

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" Ti farà sentire bene " le aveva detto, con sul volto quel sorriso apparentemente gentile.
" Ti farà dimenticare le brutte cose " aveva aggiunto, certo di colpire nel segno, e lei lo aveva osservato speranzosa coi suoi occhi di cristallo arrossati dalle troppe lacrime. Hinata ne aveva bisogno, necessitava di quei piccoli frammenti; essi avevano il potere di scacciare i pensieri più scomodi, di relegarli nel più remoto angolo della sua anima fino a che il loro effetto non si esauriva. Una soluzione semplice, anche se un po' costosa; il suo farmacista, tale Yakushi Kabuto, si era raccomandato di una cosa in particolare: la giovane non doveva farne parola con nessuno. Quella roba era preziosa, e per nulla al mondo la voce doveva circolare. Così, quando se ne procurava un po', la ragazza dai capelli corvini si nascondeva nel suo personale rifugio; non le apparteneva di diritto, no, ma da tempo nessuno lo usava più. Quello che una volta era l'innovativo tunnel – lungo circa due metri – presente nel parco giochi della città, era oramai divenuto la sua dimora, nei momenti in cui si estraniava dal resto del mondo, dalla cruda realtà.
Era d'un color grigio spento, e al suo interno faceva freddo. Ma questo a lei non importava, lo aveva ripulito diligentemente e continuava a farlo quasi tutti i giorni, perché i soliti vandali avevano il vizio di riempirlo di rifiuti quali lattine, bottiglie, cartacce e quant'altro. Si trovava nella parte vecchia del parco, quella abbandonata, rimpiazzata da attrazioni ben più innovative; accanto al tunnel v'era una cigolante altalena di ferro, che spesso oscillava a causa del vento. L'erba attorno era piuttosto lunga e poco curata, e l'intero quadrato di terreno era recintato da una staccionata in legno, facilmente scavalcabile da una persona adulta o comunque più grande di un bambino.
Il posto perfetto per consumare un dramma crescente, quello di una vita trascorsa a dar retta ai familiari, di un'esistenza fatta di solitudine.
Spesso si malediceva e incolpava se stessa per la propria passività, per la sua maledetta timidezza. Eppure lei era così, e il suo carattere le imponeva di continuare a comportarsi in quel modo; per qualche motivo che non riusciva a spiegarsi non era capace di tirar fuori grinta ed orgoglio, sebbene in realtà ne possedesse, sopiti dentro di sé.
Forse perché scappare, talvolta, sembra la via più semplice per risolvere i problemi.


Requiem Aeternam
La luce alla fine del Tunnel

Tossì. Era gelido il tunnel quella sera, decisamente meno confortevole del solito – beh, non che in verità lo fosse mai, ma Hinata si accontentava comunque –. Si raggomitolò su se stessa osservando la luce del lampione che disegnava curiosi giochi di ombre sull'erba umida, provando a scovare in essi delle figure familiari. Dopo poco, però, desistette, dal momento che non riuscì a vedere altro che inquietanti proiezioni.
Anche quel pomeriggio si era recata alla farmacia ove quel ragazzo più grande di lei, all'apparenza tanto gentile e simpatico, lavorava da qualche mese; ora teneva in tasca una piccola busta contenente alcuni frammenti di una sostanza sconosciuta, per la quale aveva speso diversi soldi. Si domandò a cosa gli servisse tanto denaro, dal momento che non era stato difficile capire che quel guadagno non riguardava il negozio che gestiva sotto la supervisione di altre persone più esperte; sperò che il suo fosse un motivo nobile, se non altro.
Ormai conosceva a menadito la modalità di assunzione di quegli strani, piccoli cristalli; Kabuto le aveva donato una sorta di pipa probabilmente di vetro, ove lei avrebbe dovuto bruciare la sostanza per poi fumarla. La prima volta aveva reagito tossendo insistentemente, poi si era pian piano abituata.
Anche quella sera lo fece, quel gesto era divenuto routine per lei. Sapeva bene che dopo l'iniziale benessere si sarebbe sentita male, ma non le importava. Ed era anche sicura che quella roba fosse nociva per la sua salute, ma non voleva pensarci troppo; prima o poi avrebbe smesso, o almeno questo era ciò che si era ripromessa più volte. Le bastava bearsi di quell'euforia momentanea, di quei brevi attimi in cui si sentiva splendidamente
viva.
Dopo qualche minuto, d'improvviso, il modo si fece più bello ai suoi occhi: perfino l'interno grigio e poco accogliente di quel tunnel pareva colorato d'arcobaleno, e anche la temperatura prese a salire, per lo meno attorno a lei.
Un alito di vento le scompigliò appena i capelli scuri, e lei rabbrividì inconsapevolmente – sentiva caldo, ma anche quella sensazione faceva parte dell'idillio destinato a svanire in poco, pochissimo tempo –; guardò fuori e si accorse che la luna era scomparsa dietro le nuvole dispettose, e il cielo niente affatto sereno preannunciava maltempo imminente.
Eppure, nonostante il clima instabile, sembrava che qualcun altro avesse avuto la sua stessa idea, ovvero rifugiarsi in quel dimenticato angolo verde; un ragazzo e una ragazza, presumibilmente suoi coetanei, scavalcarono la recinzione ridendo felici, incredibilmente luminosi in quella cupa sera di dicembre. Lei aveva i capelli rosa, un insolito colore, che comunque le stava bene. Lui invece era biondo e possedeva un sorriso radioso, e teneva per mano la giovane quasi come avesse paura ch'ella potesse scappare, sfuggire al suo calore.
Hinata li osservò con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati, mentre si sedevano sull'erbetta fresca e parlavano animatamente fra di loro. Ecco ciò che desiderava; niente di più, niente di meno. Voleva disperatamente qualcuno da amare, qualcuno che la accettasse per ciò che era e che non le chiedesse di cambiare; oltretutto, quel biondino era decisamente il suo tipo. Aveva l'aria d'esser un tipo semplice e positivo, dunque il suo esatto opposto. Lo guardò attentamente, cercando di nascondere per quanto poteva perfino il proprio respiro; egli scrutava la sua amica – o più probabilmente fidanzata – con gli occhi d'un dolcissimo predatore, e la chiamava affettuosamente Sakura-chan. Quanto la invidiava.
Era perfettamente conscia del fatto che drogarsi non l'avrebbe aiutata a trovarsi un ragazzo con cui stare felicemente assieme, ed ora si ritrovava con lo sguardo fisso su quelle due persone così diverse da lei, così radiose al confronto. Non poteva muoversi, non le era concesso fuggire via in quel momento; apprese che lui si chiamava Naruto, e rimase stupita dal rapporto che pareva esserci fra di loro. Si volevano molto bene e questo era evidente, eppure non la smettevano di punzecchiarsi;
chissà se le coppie sono tutte così, si domandò.
Sorrise. Nonostante l'astio che provava verso chi era visibilmente voglioso di godersi appieno la propria vita – non riusciva a comprendere quel sentimento, sebbene desiderasse disperatamente provarlo –, quei due sembravano avere il potere di rallegrarla, in qualche modo. O forse era l'effetto della droga, non riusciva a distinguerlo. Fatto sta che si distese per quanto poteva all'interno del tunnel e si addormentò senza nemmeno rendersene conto, abbandonandosi all'abbraccio di Morfeo. Ma tal Dio talvolta è dispettoso, lo si sa, e il sogno che le regalò non fu di quelli che ognuno di noi vorrebbe vivere, ma tutt'altra cosa.

Camminava per un lungo, apparentemente infinito corridoio, Hinata.
Lo faceva evitando d'incrociare lo sguardo di coloro che, scolpiti nei muri che la circondavano, la osservavano con espressioni indefinibili. Forse ridevano, o forse piangevano. Forse facevano entrambe le cose.
D'un tratto cadde giù, sempre più giù, finché non giunse su di un dirupo che pareva quasi chiamarla.
" Cosa vuoi fare, piccola? Vuoi buttarti? " disse una voce sconosciuta, che rimbombò dolorosamente nelle sue orecchie sensibili.
Ella guardò in basso e vide solo buio, nient'altro, ma la visione non la spaventò più di tanto. Quel che le fece dannatamente paura fu il ragazzo che apparve d'improvviso accanto a lei, col volto incorniciato di ciocche dorati e due occhi di cielo. Somigliava a qualcuno...
Tese la mano verso di lei e le sorrise, aspettando una risposta.
" Ti fidi? " parlò ancora colui che non c'era, e lei avvertì una calda lacrima rigarle la guancia pallida.
Perché? Perché la stavano mettendo di fronte ad una scelta simile?
Una scelta teoricamente semplice.
Però quell'abisso poteva significare pace agognata, silenzio, tranquillità; come faceva a fidarsi di qualcuno che non conosceva affatto?

L'indecisione la torturò per lunghi secondi, fino a che non decise di urlare con tutto il fiato che aveva in corpo; gridare e scappare, piangere e sottrarsi ai sorrisi come agli sguardi seri di chi la rimproverava... era facile, ma lasciava una sorta d'amaro in bocca.
In ogni caso, però, era utile per sfuggire agli incubi.
Si risvegliò su quel suolo freddo e un po' umido, e si accorse che Sakura e Naruto non c'erano più; si domandò quanto tempo fosse passato da quando si era appisolata, e guardò l'orologio che portava al polso. Non era molto tardi, e fortunatamente era ancora in tempo per tornare a casa prima che i suoi potessero arrabbiarsi. Ma, ovviamente, doveva aspettare il temibile effetto contrario, che comunque non tardò ad arrivare.
Tossì nuovamente, stavolta non per il freddo e per il principio d'influenza. Si sentì quasi soffocare per qualche secondo, tanto che fu costretta a boccheggiare in cerca d'aria. Purtroppo conosceva bene quella sensazione, e sapeva che non sarebbe finita lì; dopo poco, infatti, perse del tutto la concezione del tempo e dello spazio. Attorno a lei il tunnel parve diventare enorme, sconfinato, dimora di tante anime erranti come la sua; si sentì in compagnia e avvertì un insolito calore avvolgerle il corpo, così chiuse gli occhi per assaporarlo al meglio. Quando lo fece, però, quella sensazione così piacevole scomparve lasciando spazio ad un'ansia sempre crescente, ad una forte emicrania, e successivamente a rumorosi conati di vomito. Uscì dal proprio rifugio gattonando, senza la forza di rialzarsi in piedi, sconvolta dal dolore e dall'alterata percezione degli odori. Come circondata da una nube di gas si sentì nuovamente un nodo in gola, che perseverava, tanto che pensò che forse la Nera Signora si era decisa ad andare a prenderla. Non ci sperò, in verità, ma ebbe quel sentore. Non voleva morire; nonostante il suo pessimismo e l'odio che provava per il mondo che pareva non volerle concedere neanche la più piccola delle soddisfazioni, non desiderava ancora andarsene per sempre.
Quella notte pensò molto al ragazzo che aveva visto, e desiderò d'incontrarlo ancora una volta; sicuramente avrebbe continuato a stare zitta, ad osservarlo rimanendo nell'ombra, in fondo si sentiva maledettamente inferiore alla giovane che aveva il privilegio di stare accanto a lui.
" Se solo fossi più coraggiosa... " si disse, " Se solo fossi come lei, allora forse... " continuò, conversando con se stessa e col buio della stanza.
E dire che era così bella, Hinata. Con i capelli color pece lunghi e morbidi, la pelle chiara e gli occhi d'una sfumatura tanto particolare quanto splendida. In verità non aveva nulla da invidiare a Sakura, se non la sua spigliatezza.
Beh, se non altro aveva trovato un vero motivo per recarsi al parco; sempre una fuga dalla realtà, certo, ma presieduta da una presenza che aveva il potere di farla sorridere, anche se solo per pochi attimi.
Persa nei suoi pensieri si addormentò di nuovo, senza troppe difficoltà; ultimamente, in effetti, avvertiva spesso una sonnolenza insistente. Non sognò nulla, o almeno così le parve, dal momento che la mattina dopo, quando si svegliò con un po' di mal di testa, quest'ultima le sembrò totalmente svuotata. Erano le sette del mattino, e doveva prepararsi in fretta e furia per andare a scuola. Si domandò per quanto ancora avrebbe avuto la forza di rialzarsi ogni volta per adempiere ai suoi doveri di studentessa, se ogni giornata sarebbe terminata così; cosa avrebbero pensato i suoi familiari? E i suoi compagni? E i professori? Preoccupata si vestì in modo casual, prese lo zaino e s'incamminò verso l'edificio scolastico, una grande costruzione situata poco lontano da casa sua. Si trattava di un liceo che puntava ad insegnare al meglio le nozioni fondamentali d'informatica – non che fosse mai stata un'appassionata di computer, più che altro erano stati i suoi a convincerla ad iscriversi pensando ad un futuro lavoro –, e in linea di massima gli argomenti proposti erano interessanti. I ragazzi che la frequentavano erano parecchi, ma la giovane conosceva solamente i suoi compagni di classe, fra i quali aveva dei cari amici; quegli amici, però, nonostante il loro attaccamento non riuscivano a capire il suo stato d'animo, probabilmente perché lei, di fronte agli altri, si sforzava di apparire felice.
Quella mattina, varcata la soglia, le tornarono in mente i due ragazzi che aveva visto la sera prima: chissà se Shino e Kiba li conoscevano.
Soprattutto Kiba potrebbe, pensò, correggendosi. Shino era una brava persona, ma era semplicemente insondabile e particolarmente serio, ed evidentemente per questo non conosceva molte persone.
" Hai detto Naruto e Sakura? Uno biondo ed una tipa coi capelli rosa? Oh, no, altrimenti me li ricorderei di certo! " rispose il suo amico quando glielo chiese, " Probabilmente vanno in un'altra scuola " continuò, " Ma perché me lo chiedi? "
" Uhm... così... ero curiosa " si giustificò Hinata, arrossendo. Non poteva certo dirgli che quel ragazzo le piaceva! E' vero che non sapeva niente di lui a parte il suo nome, poteva anche essere un teppista, ma in fondo chi era lei per permettersi di giudicare gli altri? Inoltre, sul suo volto non v'era traccia di cattiveria o di slealtà, tutt'altro. Aveva l'aspetto di una persona onesta e buona e, anche se si dice che spesso e volentieri l'apparenza inganna, riguardo a lui non aveva dubbi di questo genere. Era sicura che fosse una persona speciale, lo sentiva, ed era pronta a scommetterci qualsiasi cosa. In altre parole, sentì d'esser stata vittima di un colpo di fulmine.
L'ingenuità rende adorabili le persone a volte, ma soprattutto le rende vulnerabili.
Hinata Hyuuga era molto ingenua, e lei stessa ne era consapevole. Ma oramai, purtroppo, non riusciva a sottrarsi a quella fuga dalla realtà; inoltre, ora aveva un altro motivo ancora per recarsi lì, qualcosa di più piacevole delle sensazioni di forza e calore che la droga le offriva, ma addirittura infinitamente più doloroso dei suoi effetti collaterali. La consapevolezza di non poter avvicinare quel ragazzo, perché già in dolce compagnia, faceva più male di qualsiasi rifiuto, di qualsiasi dolore acuto che le affliggesse le già stanche membra. Eppure, pensare di vederlo ancora accendeva in lei un flebile speranza, come una piccola luce che insistentemente brillava, alla fine del tunnel.
A metà mattinata, come spesso le accadeva, avvertì l'impellente bisogno di aria; gli effetti di quel che fumava la sera prima si ripercuotevano quasi sempre sul suo fisico, a distanza di alcune ore. Fortunatamente i professori erano clementi con lei, certi ch'ella fosse di salute cagionevole, indi le permettevano di uscire se le era necessario, ovviamente non più di qualche minuto. Si recò in bagno, chiudendo la porta a chiave; si sedette sul freddo pavimento rivestito di mattonelle bianche, tenendo la testa dolorante fra le mani. Era come se le stesse esplodendo. Quando riaprì gli occhi, dopo alcuni secondi, le parve quasi che le pareti le si fossero avvicinate per andare a comprimere il suo fragile corpo in una stretta asfissiante. Respirò profondamente cercando di scacciare quell'immagine, provando a rialzarsi; doveva farcela, doveva tornare in classe, non poteva permettere che gli altri la scoprissero.
Pensò a Naruto, al suo sorriso, mentre si lavava il volto per rinfrescarsi un po'; si guardò allo specchio, e poté osservare le occhiaie ben marcate che le segnavano il volto, particolare che avrebbe potuto tradire la sua condizione. Purtroppo, però, non aveva modo di nasconderle in quel momento, quindi con fatica tornò in aula, sedendosi al suo banco con un sospiro. Le equazioni matematiche non le erano mai sembrate, prima d'allora, così
spaventose; i numeri si distorcevano, trasformandosi in qualcosa di non ben definito, ma in ogni caso inquietante. E le si paravano davanti emettendo acuti suoni al contatto con l'aria che li circondava, fastidiosi come un gessetto che stride sulla lavagna.
Come poteva resistere ancora per molto?
Si voltò in direzione della finestra, constatando che alcuni ragazzi delle classi inferiori stavano facendo attività fisica nel campo sportivo della scuola; sotto i loro piedi l'erba umida pareva quasi volerli afferrare, trascinare via con sé, inghiottire. Inorridì ed urlò quando fu certa di vedere uno degli studenti sprofondare sotto terra, tra l'indifferenza di coloro che lo circondavano. Gridò, e fra le braccia di un preoccupato Kiba pianse lacrime amare, un attimo prima di svenire e abbandonarsi ad incubi ancor peggiori.

Strisciava sullo sporco pavimento, Hinata, senza riuscire a rialzarsi in piedi;
strisciava, e chiamava un nome che conosceva solo da poche ore, ma che sembrava l'unico appiglio che la legava al mondo.
L'unica luce.
Attorno a lei lamenti dolorosi, uniti ad un fastidioso " plic, plic ";
acqua? Sangue?
Non lo sapeva.
Sentiva solo tanto rumore, desiderava solo fuggire da quel posto.
Guardava avanti e seguiva lo scintillio d'un sogno forse irraggiungibile,
tendendo la mano verso di esso.
Perché non era in grado di toccarlo?
Cosa glielo impediva?

" Hinata! Hinata! "
Si sentì chiamare; era una voce maschile, che conosceva bene. Evidentemente era ancora insieme al suo amico Kiba. Pregò d'essere magari a casa sua, lontana da sguardi indiscreti. Invece, notò con orrore, le pareti che delimitavano la stanza erano perfettamente bianche, così come le lenzuola che la avvolgevano, come i vestiti delle persone che la fissavano in un misto di dispiacere e disgusto. Un ospedale. L'ultimo posto ove avrebbe desiderato essere. Anzi, in verità tale luogo non compariva nemmeno nella lista.
" E' svenuta, signorina. L'abbiamo portata qui per degli accertamenti " spiegò un medico, un uomo dal volto gentile, " Come si sente, adesso? " le chiese.
Si sentiva confusa, dolorante, e soprattutto impaurita. Strinse i pugni e fece per aprir bocca, quando suo padre Hiashi irruppe nella stanza, il disprezzo dipinto sul suo volto. Hinata lo guardò, lasciando che una lacrima rigasse la propria guancia; era finita. Di sicuro i dottori si erano accorti di qual'era la causa del suo malore, e in tutta probabilità ne avevano parlato con suo padre. Già il loro rapporto non era affatto idilliaco, ma quella sarebbe stata la fine di tutto. Non avrebbe più avuto il coraggio di guardare in faccia né lui, né i suoi amici.
Non rispose alla domanda, e se ne stette in silenzio ad ascoltare i rimproveri dell'uomo che avrebbe dovuto starle vicino nei momenti difficili, ma che piuttosto l'aveva abbandonata a se stessa, perché troppo timida ed insicura. Troppo, per succedere alla loro affermata scuola di arti marziali.
Una figlia che si drogava doveva essere la più grande umiliazione per un genitore, ella ne era conscia e per questo per la prima volta desiderò morire; perché, nonostante tutto, un po' di bene glielo voleva.
Si distese per bene sul letto e chiuse gli occhi, ignorando le voci che la interpellavano, sperando che esse cessassero il prima possibile. Voleva restare da sola, com'era sempre stata; era certa che nessuno potesse capire il suo malessere, la sua insicurezza, perché erano tutti troppo occupati a costruirsi un futuro in quel mondo malato, oppure distratti dalle tecnologie e dai rapporti fugaci.
Dopo un po' le persone che affollavano la stanza se ne andarono, e l'ultima frase che captò fu: " Lasciamola riposare ", pronunciata presumibilmente da un medico, forse quello che si era rivoltò a lei con garbo e gentilezza.
Fissò il soffitto, la mente completamente svuotata, troppa la sofferenza, così tremenda da cancellare tutto il resto. Era rimasto solo Naruto con la sua voglia di vivere, a guidarla.
Si guardò attorno: il silenzio regnava, e fuori dalla finestra poteva osservare il cielo stellato vegliare sulla strada oramai abbastanza tranquilla. Solo qualche auto sfrecciava ogni tanto, ad alta velocità.
Si alzò a sedere, avvertendo un fastidioso dolore alla schiena; forse aveva sbattuto da qualche parte, quand'era svenuta.
La testa le girava, ma decise di non farci troppo caso. Notò che il suo zaino era stato riposto su una sedia in un angolo, chissà se qualcuno ci aveva frugato dentro; se lo avevano fatto, avevano di certo trovato ciò ch'era tanto prezioso, e al contempo tanto pericoloso da recidere con estrema facilità una vita umana.
Lo aprì, cercando nella tasca interna, e sospirò di sollievo quando si accorse che nessuno l'aveva trovata; sapeva, sapeva che era sbagliato, ma il bisogno di provare nuovamente quelle sensazioni la stava divorando.
Qual maledetto conflitto interiore.
Ma non poteva farlo lì, non con quelle persone così vicine, pronte a fermarla se avesse osato anche solo provarci.
Si avvicinò alla finestra, posando la piccola mano sul vetro che la separava dalla città, e da quel tunnel che la attendeva, così
solo nell'oscurità del parco abbandonato.
Quanto sarà stata la distanza fra il davanzale e la nuda terra? Certamente poco, come poté constatare guardando fuori. Poteva farcela... anzi, doveva. Girò la maniglia e uno spiffero le raggiunse il volto pallido, regalandole un po' d'etereo piacere; dentro quella camera l'aria pareva viziata, talmente pesante da risultare insostenibile.
Senza pensarci troppo si sedette sul davanzale e poi si calò giù, cadendo a terra con un tonfo che sperò non avesse attirato l'attenzione di nessuno. Le faceva male una gamba, ma decise di non curarsene.
In pigiama attraversò la strada, scomparendo fra le auto parcheggiate e i mostri di cemento.
Non sapeva che ore fossero, tuttavia si recò comunque nel suo rifugio, tenendo stretta la busta che conteneva ciò che aveva avuto il potere di distruggere le sue – poche – relazioni sociali. Fortunatamente, l'ospedale non distava molto dal parco.
Quando vi giunse, il luogo era perfettamente deserto. Naruto non c'era. Forse era troppo tardi, o forse troppo presto, chi lo sa.
Comunque si nascose nel tunnel, e con mani tremanti preparò l'ennesima dose di quella sostanza maledetta.
Faceva un rumore che martellava in testa, quando bruciava.
Come di qualcosa che si sgretolava, pareva preannunciare il lacerarsi del corpo e dell'anima.
Fumò, lo fece più avidamente delle altre volte, scacciando i pensieri più scomodi; poggiò la schiena a terra, lasciando che l'erba umida le bagnasse la chioma corvina, mentre velocemente la dose sortiva il suo effetto. Tre o quattro minuti, praticamente immediato.
Ed ecco di nuovo quel piacevole tepore, quella voglia di sorridere alla vita, quella forza che cresceva dentro di sé; e quelle voci, che pian piano si avvicinavano, che aveva imparato a conoscere nonostante le avesse sentite una sola volta: si trattava certamente di loro.
Cercando di fare poco rumore si girò, guardando fuori, e notò due figure che scavalcavano la staccionata, ridendo felici. Naruto e Sakura. Incredibilmente puntuali.
La luce brillò prepotente, e la rapì di nuovo. Si domandò in che scuola andassero, dove abitassero, dal momento che erano talmente diversi dagli da non parer quasi terrestri. Che fossero angeli?
Sorrise debolmente, osservando la ragazza sedersi sulla vecchia altalena, chiedendo a lui di dondolarla. Quanto avrebbe voluto essere al suo posto.
Non rimase a guardarli per molto, però. Senza che ella lo desiderasse s'addormentò di nuovo, lasciando il suo gioiello in balìa della notte.

Correva su un immenso prato multicolore, Hinata.
I fiori che lo adornavano spargevano nell'aria il proprio profumo, che insistente le invadeva le narici.
Più in là l'arcobaleno si ergeva fiero, e dove esso pareva nascere v'era seduto qualcuno, un giovane dai capelli dorati e dalle ali d'angelo.
" Naruto-kun? "
Questi alzò lo sguardo verso di lei, gentile e splendido.
" Ciao, Hinata "
la salutò,
" Che ci fai qui? "
" Io... beh... "
balbettò la giovane, arrossendo,
" ... non lo so "
Naruto sorrise, quant'era luminoso.
" E allora te lo ripeto: che ci fai qui? "
Inizialmente non capì il senso di quelle parole.
Poi, non sapeva perché e né come, comprese.
D'improvviso i fiori appassirono, l'arcobaleno svanì, il cielo si fece cupo.
Ma l'angelo biondo rimase lì a guardarla, a brillare nella notte tempestosa, come a volerla avvolgere con quella luce che forse era perfino troppo per lui solo.
E Hinata capì qualcosa. Lo capì ma fu immediatamente allontanata da lui da un potente vento.
Perché?
Perché non poteva stringerlo fra le braccia?
Continuò a guardare nella sua direzione, vedendo qualcuno avvicinarsi a Naruto: era una ragazza vestita di bianco – da sposa, forse? -, con i capelli rosa e lo sguardo preoccupato.
Gli posò una mano sulla spalla, evidentemente per sincerarsi delle sue condizioni.
Hinata s'accorse poi, prima che entrambi scomparissero nel nulla, che anche Sakura possedeva un paio di ali.

Hinata Hyuuga dormì per tutta la notte all'interno del tunnel. Quando al mattino i raggi del sole illuminarono la città, ella si svegliò controvoglia, uscendo a fatica; indossava ancora il pigiama che le avevano messo all'ospedale, ma non le interessava. Ora aveva qualcosa di più importante da fare.
Barcollante si alzò, e raccolse tutta la buona volontà; qualcuno la stava aspettando in un posto che si trovava poco lontano da lì.
L'atmosfera, dentro ad un cimitero, è sempre diversa da quella degli altri luoghi; la giovane vi entrò in silenzio, camminando lentamente, cercando fra le lapidi. Fu necessario passare più di un'ora ad osservare, ma infine i suoi sforzi furono premiati: v'erano due lapidi, l'una accanto all'altra, entrambe colorate del bianco dell'innocenza e della purezza; chi era seppellito lì, però, in vita aveva abbandonato tali valori, ma nonostante ciò era stato accettato da qualcuno di ancor più importante dell'umanità stessa.
Guardò a lungo le due foto, che ritraevano senza dubbio Naruto Uzumaki e Sakura Haruno, una giovanissima coppia di fidanzati, morti – a giudicare dalle date presenti – tre anni prima. Mentre si trovava lì un uomo le si avvicinò, incuriosito.
" Li conoscevi? " le chiese, senza curarsi di com'era vestita, sebbene fosse piuttosto evidente che si trattava d'una paziente fuggita dal più vicino ospedale.
" No... come sono morti? " rispose lei.
" A questo mondo esistono molte malattie. Alcune non possiamo contrastarle, altre ce le creiamo da soli " asserì lui, " Questi due giovani si erano fatti abbindolare dalla speranza d'un futuro migliore, nascosto in delle fantomatiche pastiglie dai magici poteri "
" Droga... "
" Esattamente. Ma tu, piuttosto, che ci fai qui a quest'ora del mattino, vestita in quel modo? " domandò il signore, un tipo dai capelli bianchi e dall'espressione amichevole.
Hinata non rispose. Ma sorrise, e fu uno di quei sorrisi sinceri, dettati dal cuore. Ecco cosa volevano dirle Naruto e Sakura.
Salutò lo sconosciuto e s'incamminò nuovamente verso l'ospedale, con una nuova speranza crescente dentro di sé; durante il tragitto le capitò più volte di essere oggetto degli sguardi curiosi dei passanti, a causa del suo abbigliamento, ma non se ne curò. Sicuramente qualcuno la stava anche cercando, quindi affrettò il passo, senza mai voltarsi indietro. Sentiva che non si sarebbe pentita della sua decisione, che era quella giusta.
Raggiunta la sua meta trovò molte persone ad aspettarla; c'era perfino suo cugino Neji, che mai prima di allora aveva dimostrato di preoccuparsi per lei. E poi, in un angolo, v'era anche Naruto, e a quanto pareva nessun altro poteva vederlo; nessuno tranne lei. Questi la salutò con un cenno della mano, sorridendo radioso.
Hinata sapeva bene che sarebbe stato difficile, che talvolta sarebbe sembrato addirittura impossibile, ma non aveva nessuna intenzione di rinunciare; avrebbe tirato fuori quella grinta, la forza che era necessaria.
Intanto, la prima cosa che fece giunta di fronte a chi la attendeva, fu denunciare il suo spacciatore, consegnandolo alla giustizia. Non gli avrebbe permesso di ingannare qualcun altro. Quello fu solo il primo passo verso una nuova vita, una nuova luce.
E l'angelo che aveva avuto fiducia in lei ora poteva abbracciare senza preoccupazioni colei che era morta con lui e per lui. Felice di essere stato, per qualcuno che aveva fatto il suo stesso errore,
la luce alla fine del tunnel.

<< Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. >>

Fine ~


Note:

L'ultima frase, scritta in corsivo, è un verso della preghiera che noi conosciamo come “ L'eterno Riposo ”; tradotto letteralmente, infatti, significa: “ L'eterno riposo dona a loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua ”.

La droga che Hinata utilizza è più precisamente il crack. Ecco dunque il perché di tale affermazione: “ Faceva un rumore che martellava in testa, quando bruciava.

Come di qualcosa che si sgretolava, pareva preannunciare il lacerarsi del corpo e dell'anima. ”

Secondo quanto ho letto su Wikipedia, questa sostanza prende il nome proprio dal rumore che fanno i cristalli che la compongono quando vengono bruciati.

Per quanto riguarda gli effetti, anche per quelli mi sono affidata a Wikipedia, spero di non aver scritto qualche strafalcione.

Riguardo Naruto e Sakura, non viene specificato nella fic ma, com'è ovvio, si presentano davanti a Hinata quand'ella è nascosta nel tunnel perché, quando erano in vita, anche loro si recavano spesso in quella parte del parco.

<3 Grazie a Shurei per questo >>Photobucket

  
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