La
seguente FanFiction ha superato il primo girone
del "Tears
Arena Contest", indetto da Red Diablo sul Forum di
EFP. Ho gareggiato assieme a Shurei,
che ringrazio per l'impegno e per l'avermi aiutata a ritrovare la
voglia di scrivere in un momento di blocco. Non appena
l'avrà postata, inserirò qui un link alla sua
bellissima FanFiction, in modo che tutti voi possano leggerla.
Spero che questo delirio vi piaccia almeno un poco.
Buona lettura!
"
Ti farà sentire bene " le aveva detto, con sul volto quel
sorriso apparentemente gentile.
"
Ti farà dimenticare le brutte cose " aveva aggiunto, certo
di
colpire nel segno, e lei lo aveva osservato speranzosa coi suoi occhi
di cristallo arrossati dalle troppe lacrime. Hinata ne aveva bisogno,
necessitava di quei piccoli frammenti; essi avevano il potere di
scacciare i pensieri più scomodi, di relegarli nel
più remoto
angolo della sua anima fino a che il loro effetto non si esauriva.
Una soluzione semplice, anche se un po' costosa; il suo farmacista,
tale Yakushi Kabuto, si era raccomandato di una cosa in particolare:
la giovane non doveva farne parola con nessuno. Quella roba era
preziosa, e per nulla al mondo la voce doveva circolare.
Così,
quando se ne procurava un po', la ragazza dai capelli corvini si
nascondeva nel suo personale rifugio; non le apparteneva di diritto,
no, ma da tempo nessuno lo usava più. Quello che una volta
era
l'innovativo tunnel – lungo circa due metri –
presente nel parco
giochi della città, era oramai divenuto la sua dimora, nei
momenti
in cui si estraniava dal resto del mondo, dalla cruda realtà.
Era
d'un color grigio spento, e al suo interno faceva freddo. Ma questo a
lei non importava, lo aveva ripulito diligentemente e continuava a
farlo quasi tutti i giorni, perché i soliti vandali avevano
il vizio
di riempirlo di rifiuti quali lattine, bottiglie, cartacce e
quant'altro. Si trovava nella parte vecchia del parco, quella
abbandonata, rimpiazzata da attrazioni ben più innovative;
accanto
al tunnel v'era una cigolante altalena di ferro, che spesso oscillava
a causa del vento. L'erba attorno era piuttosto lunga e poco curata,
e l'intero quadrato di terreno era recintato da una staccionata in
legno, facilmente scavalcabile da una persona adulta o comunque
più
grande di un bambino.
Il
posto perfetto per consumare un dramma crescente, quello di una vita
trascorsa a dar retta ai familiari, di un'esistenza fatta di
solitudine.
Spesso
si malediceva e incolpava se stessa per la propria
passività, per la
sua maledetta timidezza. Eppure lei era così, e il suo
carattere le
imponeva di continuare a comportarsi in quel modo; per qualche motivo
che non riusciva a spiegarsi non era capace di tirar fuori grinta ed
orgoglio, sebbene in realtà ne possedesse, sopiti dentro di
sé.
Forse
perché scappare, talvolta, sembra la via più
semplice per risolvere
i problemi.
Requiem
Aeternam
La
luce alla fine del Tunnel
Tossì.
Era gelido il tunnel quella sera, decisamente meno confortevole del
solito – beh, non che in verità lo fosse mai, ma
Hinata si
accontentava comunque –. Si raggomitolò su se
stessa osservando la
luce del lampione che disegnava curiosi giochi di ombre sull'erba
umida, provando a scovare in essi delle figure familiari. Dopo poco,
però, desistette, dal momento che non riuscì a
vedere altro che
inquietanti proiezioni.
Anche
quel pomeriggio si era recata alla farmacia ove quel ragazzo
più
grande di lei, all'apparenza tanto gentile e simpatico, lavorava da
qualche mese; ora teneva in tasca una piccola busta contenente alcuni
frammenti di una sostanza sconosciuta, per la quale aveva speso
diversi soldi. Si domandò a cosa gli servisse tanto denaro,
dal
momento che non era stato difficile capire che quel guadagno non
riguardava il negozio che gestiva sotto la supervisione di altre
persone più esperte; sperò che il suo fosse un
motivo nobile, se
non altro.
Ormai
conosceva a menadito la modalità di assunzione di quegli
strani,
piccoli cristalli; Kabuto le aveva donato una sorta di pipa
probabilmente di vetro, ove lei avrebbe dovuto bruciare la sostanza
per poi fumarla. La prima volta aveva reagito tossendo
insistentemente, poi si era pian piano abituata.
Anche
quella sera lo fece, quel gesto era divenuto routine per lei. Sapeva
bene che dopo l'iniziale benessere si sarebbe sentita male, ma non le
importava. Ed era anche sicura che quella roba fosse nociva per la
sua salute, ma non voleva pensarci troppo; prima o poi avrebbe
smesso, o almeno questo era ciò che si era ripromessa
più volte. Le
bastava bearsi di quell'euforia momentanea, di quei brevi attimi in
cui si sentiva splendidamente viva.
Dopo
qualche minuto, d'improvviso, il modo si fece più bello ai
suoi
occhi: perfino l'interno grigio e poco accogliente di quel tunnel
pareva colorato d'arcobaleno, e anche la temperatura prese a salire,
per lo meno attorno a lei.
Un
alito di vento le scompigliò appena i capelli scuri, e lei
rabbrividì inconsapevolmente – sentiva caldo, ma
anche quella
sensazione faceva parte dell'idillio destinato a svanire in poco,
pochissimo tempo –; guardò fuori e si accorse che
la luna era
scomparsa dietro le nuvole dispettose, e il cielo niente affatto
sereno preannunciava maltempo imminente.
Eppure,
nonostante il clima instabile, sembrava che qualcun altro avesse
avuto la sua stessa idea, ovvero rifugiarsi in quel dimenticato
angolo verde; un ragazzo e una ragazza, presumibilmente suoi
coetanei, scavalcarono la recinzione ridendo felici, incredibilmente
luminosi in quella cupa sera di dicembre. Lei aveva i capelli rosa,
un insolito colore, che comunque le stava bene. Lui invece era biondo
e possedeva un sorriso radioso, e teneva per mano la giovane quasi
come avesse paura ch'ella potesse scappare, sfuggire al suo calore.
Hinata
li osservò con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati,
mentre si
sedevano sull'erbetta fresca e parlavano animatamente fra di loro.
Ecco ciò che desiderava; niente di più, niente di
meno. Voleva
disperatamente qualcuno da amare, qualcuno che la accettasse per
ciò
che era e che non le chiedesse di cambiare; oltretutto, quel biondino
era decisamente il suo tipo. Aveva l'aria d'esser un tipo semplice e
positivo, dunque il suo esatto opposto. Lo guardò
attentamente,
cercando di nascondere per quanto poteva perfino il proprio respiro;
egli scrutava la sua amica – o più probabilmente
fidanzata – con
gli occhi d'un dolcissimo predatore, e la chiamava affettuosamente
Sakura-chan. Quanto la invidiava.
Era
perfettamente conscia del fatto che drogarsi non l'avrebbe aiutata a
trovarsi un ragazzo con cui stare felicemente assieme, ed ora si
ritrovava con lo sguardo fisso su quelle due persone così
diverse da
lei, così radiose al confronto. Non poteva muoversi, non le
era
concesso fuggire via in quel momento; apprese che lui si chiamava
Naruto, e rimase stupita dal rapporto che pareva esserci fra di loro.
Si volevano molto bene e questo era evidente, eppure non la
smettevano di punzecchiarsi; chissà
se le coppie sono tutte così,
si domandò.
Sorrise.
Nonostante l'astio che provava verso chi era visibilmente voglioso di
godersi appieno la propria vita – non riusciva a comprendere
quel
sentimento, sebbene desiderasse disperatamente provarlo –,
quei due
sembravano avere il potere di rallegrarla, in qualche modo. O forse
era l'effetto della droga, non riusciva a distinguerlo. Fatto sta che
si distese per quanto poteva all'interno del tunnel e si
addormentò
senza nemmeno rendersene conto, abbandonandosi all'abbraccio di
Morfeo. Ma tal Dio talvolta è dispettoso, lo si sa, e il
sogno che
le regalò non fu di quelli che ognuno di noi vorrebbe
vivere, ma
tutt'altra cosa.
Camminava
per un lungo, apparentemente infinito corridoio, Hinata.
Lo
faceva evitando d'incrociare lo sguardo di coloro che, scolpiti nei
muri che la circondavano, la osservavano con espressioni
indefinibili. Forse ridevano, o forse piangevano. Forse facevano
entrambe le cose.
D'un
tratto cadde giù, sempre più giù,
finché non giunse su di un
dirupo che pareva quasi chiamarla.
"
Cosa vuoi fare, piccola? Vuoi buttarti? " disse una voce
sconosciuta, che rimbombò dolorosamente nelle sue orecchie
sensibili.
Ella
guardò in basso e vide solo buio, nient'altro, ma la visione
non la
spaventò più di tanto. Quel che le fece
dannatamente paura fu il
ragazzo che apparve d'improvviso accanto a lei, col volto
incorniciato di ciocche dorati e due occhi di cielo. Somigliava a
qualcuno...
Tese
la mano verso di lei e le sorrise, aspettando una risposta.
"
Ti fidi? " parlò ancora colui che non c'era, e lei
avvertì una
calda lacrima rigarle la guancia pallida.
Perché?
Perché la stavano mettendo di fronte ad una scelta simile?
Una
scelta teoricamente semplice.
Però
quell'abisso poteva significare pace agognata, silenzio,
tranquillità; come faceva a fidarsi di qualcuno che non
conosceva
affatto?
L'indecisione
la torturò per lunghi secondi, fino a che non decise di
urlare con
tutto il fiato che aveva in corpo; gridare e scappare, piangere e
sottrarsi ai sorrisi come agli sguardi seri di chi la rimproverava...
era facile, ma lasciava una sorta d'amaro in bocca.
In
ogni caso, però, era utile per sfuggire agli incubi.
Si
risvegliò su quel suolo freddo e un po' umido, e si accorse
che
Sakura e Naruto non c'erano più; si domandò
quanto tempo fosse
passato da quando si era appisolata, e guardò l'orologio che
portava
al polso. Non era molto tardi, e fortunatamente era ancora in tempo
per tornare a casa prima che i suoi potessero arrabbiarsi. Ma,
ovviamente, doveva aspettare il temibile effetto contrario, che
comunque non tardò ad arrivare.
Tossì
nuovamente, stavolta non per il freddo e per il principio
d'influenza. Si sentì quasi soffocare per qualche secondo,
tanto che
fu costretta a boccheggiare in cerca d'aria. Purtroppo conosceva bene
quella sensazione, e sapeva che non sarebbe finita lì; dopo
poco,
infatti, perse del tutto la concezione del tempo e dello spazio.
Attorno a lei il tunnel parve diventare enorme, sconfinato, dimora di
tante anime erranti come la sua; si sentì in compagnia e
avvertì un
insolito calore avvolgerle il corpo, così chiuse gli occhi
per
assaporarlo al meglio. Quando lo fece, però, quella
sensazione così
piacevole scomparve lasciando spazio ad un'ansia sempre crescente, ad
una forte emicrania, e successivamente a rumorosi conati di vomito.
Uscì dal proprio rifugio gattonando, senza la forza di
rialzarsi in
piedi, sconvolta dal dolore e dall'alterata percezione degli odori.
Come circondata da una nube di gas si sentì nuovamente un
nodo in
gola, che perseverava, tanto che pensò che forse la Nera
Signora si
era decisa ad andare a prenderla. Non ci sperò, in
verità, ma ebbe
quel sentore. Non voleva morire; nonostante il suo pessimismo e
l'odio che provava per il mondo che pareva non volerle concedere
neanche la più piccola delle soddisfazioni, non desiderava
ancora
andarsene per sempre.
Quella
notte pensò molto al ragazzo che aveva visto, e
desiderò
d'incontrarlo ancora una volta; sicuramente avrebbe continuato a
stare zitta, ad osservarlo rimanendo nell'ombra, in fondo si sentiva
maledettamente inferiore alla giovane che aveva il privilegio di
stare accanto a lui.
"
Se solo fossi più coraggiosa... " si disse, " Se solo
fossi come lei, allora forse... " continuò, conversando con
se
stessa e col buio della stanza.
E
dire che era così bella, Hinata. Con i capelli color pece
lunghi e
morbidi, la pelle chiara e gli occhi d'una sfumatura tanto
particolare quanto splendida. In verità non aveva nulla da
invidiare
a Sakura, se non la sua spigliatezza.
Beh,
se non altro aveva trovato un vero motivo per recarsi al parco;
sempre una fuga dalla realtà, certo, ma presieduta da una
presenza
che aveva il potere di farla sorridere, anche se solo per pochi
attimi.
Persa
nei suoi pensieri si addormentò di nuovo, senza troppe
difficoltà;
ultimamente, in effetti, avvertiva spesso una sonnolenza insistente.
Non sognò nulla, o almeno così le parve, dal
momento che la mattina
dopo, quando si svegliò con un po' di mal di testa,
quest'ultima le
sembrò totalmente svuotata. Erano le sette del mattino, e
doveva
prepararsi in fretta e furia per andare a scuola. Si domandò
per
quanto ancora avrebbe avuto la forza di rialzarsi ogni volta per
adempiere ai suoi doveri di studentessa, se ogni giornata sarebbe
terminata così; cosa avrebbero pensato i suoi familiari? E i
suoi
compagni? E i professori? Preoccupata si vestì in modo
casual, prese
lo zaino e s'incamminò verso l'edificio scolastico, una
grande
costruzione situata poco lontano da casa sua. Si trattava di un liceo
che puntava ad insegnare al meglio le nozioni fondamentali
d'informatica – non che fosse mai stata un'appassionata di
computer, più che altro erano stati i suoi a convincerla ad
iscriversi pensando ad un futuro lavoro –, e in linea di
massima
gli argomenti proposti erano interessanti. I ragazzi che la
frequentavano erano parecchi, ma la giovane conosceva solamente i
suoi compagni di classe, fra i quali aveva dei cari amici; quegli
amici, però, nonostante il loro attaccamento non riuscivano
a capire
il suo stato d'animo, probabilmente perché lei, di fronte
agli
altri, si sforzava di apparire felice.
Quella
mattina, varcata la soglia, le tornarono in mente i due ragazzi che
aveva visto la sera prima: chissà se Shino e Kiba li
conoscevano.
Soprattutto
Kiba potrebbe,
pensò, correggendosi. Shino era una brava persona, ma era
semplicemente insondabile e particolarmente serio, ed evidentemente
per questo non conosceva molte persone.
"
Hai detto Naruto e Sakura? Uno biondo ed una tipa coi capelli rosa?
Oh, no, altrimenti me li ricorderei di certo! " rispose il suo
amico quando glielo chiese, " Probabilmente vanno in un'altra
scuola " continuò, " Ma perché me lo chiedi? "
"
Uhm... così... ero curiosa " si giustificò
Hinata, arrossendo.
Non poteva certo dirgli che quel ragazzo le piaceva! E' vero che non
sapeva niente di lui a parte il suo nome, poteva anche essere un
teppista, ma in fondo chi era lei per permettersi di giudicare gli
altri? Inoltre, sul suo volto non v'era traccia di cattiveria o di
slealtà, tutt'altro. Aveva l'aspetto di una persona onesta e
buona
e, anche se si dice che spesso e volentieri l'apparenza inganna,
riguardo a lui non aveva dubbi di questo genere. Era sicura che fosse
una persona speciale, lo sentiva, ed era pronta a scommetterci
qualsiasi cosa. In altre parole, sentì d'esser stata vittima
di un
colpo di fulmine.
L'ingenuità
rende adorabili le persone a volte, ma soprattutto le rende
vulnerabili.
Hinata
Hyuuga era molto ingenua, e lei stessa ne era consapevole. Ma oramai,
purtroppo, non riusciva a sottrarsi a quella fuga dalla
realtà;
inoltre, ora aveva un altro motivo ancora per recarsi lì,
qualcosa
di più piacevole delle sensazioni di forza e calore che la
droga le
offriva, ma addirittura infinitamente più doloroso dei suoi
effetti
collaterali. La consapevolezza di non poter avvicinare quel ragazzo,
perché già in dolce compagnia, faceva
più male di qualsiasi
rifiuto, di qualsiasi dolore acuto che le affliggesse le già
stanche
membra. Eppure, pensare di vederlo ancora accendeva in lei un flebile
speranza, come una piccola luce che insistentemente brillava, alla
fine del tunnel.
A
metà mattinata, come spesso le accadeva, avvertì
l'impellente
bisogno di aria; gli effetti di quel che fumava la sera prima si
ripercuotevano quasi sempre sul suo fisico, a distanza di alcune ore.
Fortunatamente i professori erano clementi con lei, certi ch'ella
fosse di salute cagionevole, indi le permettevano di uscire se le era
necessario, ovviamente non più di qualche minuto. Si
recò in bagno,
chiudendo la porta a chiave; si sedette sul freddo pavimento
rivestito di mattonelle bianche, tenendo la testa dolorante fra le
mani. Era come se le stesse esplodendo. Quando riaprì gli
occhi,
dopo alcuni secondi, le parve quasi che le pareti le si fossero
avvicinate per andare a comprimere il suo fragile corpo in una
stretta asfissiante. Respirò profondamente cercando di
scacciare
quell'immagine, provando a rialzarsi; doveva farcela, doveva tornare
in classe, non poteva permettere che gli altri la scoprissero.
Pensò
a Naruto, al suo sorriso, mentre si lavava il volto per rinfrescarsi
un po'; si guardò allo specchio, e poté osservare
le occhiaie ben
marcate che le segnavano il volto, particolare che avrebbe potuto
tradire la sua condizione. Purtroppo, però, non aveva modo
di
nasconderle in quel momento, quindi con fatica tornò in
aula,
sedendosi al suo banco con un sospiro. Le equazioni matematiche non
le erano mai sembrate, prima d'allora, così spaventose;
i numeri si distorcevano, trasformandosi in qualcosa di non ben
definito, ma in ogni caso inquietante. E le si paravano davanti
emettendo acuti suoni al contatto con l'aria che li circondava,
fastidiosi come un gessetto che stride sulla lavagna.
Come
poteva resistere ancora per molto?
Si
voltò in direzione della finestra, constatando che alcuni
ragazzi
delle classi inferiori stavano facendo attività fisica nel
campo
sportivo della scuola; sotto i loro piedi l'erba umida pareva quasi
volerli afferrare, trascinare via con sé, inghiottire.
Inorridì ed
urlò quando fu certa di vedere uno degli studenti
sprofondare sotto
terra, tra l'indifferenza di coloro che lo circondavano.
Gridò, e
fra le braccia di un preoccupato Kiba pianse lacrime amare, un attimo
prima di svenire e abbandonarsi ad incubi ancor peggiori.
Strisciava
sullo sporco pavimento, Hinata, senza riuscire a rialzarsi in piedi;
strisciava,
e chiamava un nome che conosceva solo da poche ore, ma che sembrava
l'unico appiglio che la legava al mondo.
L'unica
luce.
Attorno
a lei lamenti dolorosi, uniti ad un fastidioso " plic, plic ";
acqua?
Sangue?
Non
lo sapeva.
Sentiva
solo tanto rumore, desiderava solo fuggire da quel posto.
Guardava
avanti e seguiva lo scintillio d'un sogno forse irraggiungibile,
tendendo
la mano verso di esso.
Perché
non era in grado di toccarlo?
Cosa
glielo impediva?
"
Hinata! Hinata! "
Si
sentì chiamare; era una voce maschile, che conosceva bene.
Evidentemente era ancora insieme al suo amico Kiba. Pregò
d'essere
magari a casa sua, lontana da sguardi indiscreti. Invece,
notò con
orrore, le pareti che delimitavano la stanza erano perfettamente
bianche, così come le lenzuola che la avvolgevano, come i
vestiti
delle persone che la fissavano in un misto di dispiacere e disgusto.
Un ospedale. L'ultimo posto ove avrebbe desiderato essere. Anzi, in
verità tale luogo non compariva nemmeno nella lista.
"
E' svenuta, signorina. L'abbiamo portata qui per degli accertamenti "
spiegò un medico, un uomo dal volto gentile, " Come si
sente,
adesso? " le chiese.
Si
sentiva confusa, dolorante, e soprattutto impaurita. Strinse i pugni
e fece per aprir bocca, quando suo padre Hiashi irruppe nella stanza,
il disprezzo dipinto sul suo volto. Hinata lo guardò,
lasciando che
una lacrima rigasse la propria guancia; era finita. Di sicuro i
dottori si erano accorti di qual'era la causa del suo malore, e in
tutta probabilità ne avevano parlato con suo padre.
Già il loro
rapporto non era affatto idilliaco, ma quella sarebbe stata la fine
di tutto. Non avrebbe più avuto il coraggio di guardare in
faccia né
lui, né i suoi amici.
Non
rispose alla domanda, e se ne stette in silenzio ad ascoltare i
rimproveri dell'uomo che avrebbe dovuto starle vicino nei momenti
difficili, ma che piuttosto l'aveva abbandonata a se stessa,
perché
troppo timida ed insicura. Troppo, per succedere alla loro affermata
scuola di arti marziali.
Una
figlia che si drogava doveva essere la più grande
umiliazione per un
genitore, ella ne era conscia e per questo per la prima volta
desiderò morire; perché, nonostante tutto, un po'
di bene glielo
voleva.
Si
distese per bene sul letto e chiuse gli occhi, ignorando le voci che
la interpellavano, sperando che esse cessassero il prima possibile.
Voleva restare da sola, com'era sempre stata; era certa che nessuno
potesse capire il suo malessere, la sua insicurezza, perché
erano
tutti troppo occupati a costruirsi un futuro in quel mondo malato,
oppure distratti dalle tecnologie e dai rapporti fugaci.
Dopo
un po' le persone che affollavano la stanza se ne andarono, e
l'ultima frase che captò fu: " Lasciamola riposare ",
pronunciata presumibilmente da un medico, forse quello che si era
rivoltò a lei con garbo e gentilezza.
Fissò
il soffitto, la mente completamente svuotata, troppa la sofferenza,
così tremenda da cancellare tutto il resto. Era rimasto solo
Naruto
con la sua voglia di vivere, a guidarla.
Si
guardò attorno: il silenzio regnava, e fuori dalla finestra
poteva
osservare il cielo stellato vegliare sulla strada oramai abbastanza
tranquilla. Solo qualche auto sfrecciava ogni tanto, ad alta
velocità.
Si
alzò a sedere, avvertendo un fastidioso dolore alla schiena;
forse
aveva sbattuto da qualche parte, quand'era svenuta.
La
testa le girava, ma decise di non farci troppo caso. Notò
che il suo
zaino era stato riposto su una sedia in un angolo, chissà se
qualcuno ci aveva frugato dentro; se lo avevano fatto, avevano di
certo trovato ciò ch'era tanto prezioso, e al contempo tanto
pericoloso da recidere con estrema facilità una vita umana.
Lo
aprì, cercando nella tasca interna, e sospirò di
sollievo quando si
accorse che nessuno l'aveva trovata; sapeva, sapeva che era
sbagliato, ma il bisogno di provare nuovamente quelle sensazioni la
stava divorando.
Qual
maledetto conflitto interiore.
Ma
non poteva farlo lì, non con quelle persone così
vicine, pronte a
fermarla se avesse osato anche solo provarci.
Si
avvicinò alla finestra, posando la piccola mano sul vetro
che la
separava dalla città, e da quel tunnel che la attendeva,
così solo
nell'oscurità del parco abbandonato.
Quanto
sarà stata la distanza fra il davanzale e la nuda terra?
Certamente
poco, come poté constatare guardando fuori. Poteva
farcela... anzi,
doveva. Girò la maniglia e uno spiffero le raggiunse il
volto
pallido, regalandole un po' d'etereo piacere; dentro quella camera
l'aria pareva viziata, talmente pesante da risultare insostenibile.
Senza
pensarci troppo si sedette sul davanzale e poi si calò
giù, cadendo
a terra con un tonfo che sperò non avesse attirato
l'attenzione di
nessuno. Le faceva male una gamba, ma decise di non curarsene.
In
pigiama attraversò la strada, scomparendo fra le auto
parcheggiate e
i mostri di cemento.
Non
sapeva che ore fossero, tuttavia si recò comunque nel suo
rifugio,
tenendo stretta la busta che conteneva ciò che aveva avuto
il potere
di distruggere le sue – poche – relazioni sociali.
Fortunatamente, l'ospedale non distava molto dal parco.
Quando
vi giunse, il luogo era perfettamente deserto. Naruto non c'era.
Forse era troppo tardi, o forse troppo presto, chi lo sa.
Comunque
si nascose nel tunnel, e con mani tremanti preparò
l'ennesima dose
di quella sostanza maledetta.
Faceva
un rumore che martellava in testa, quando bruciava.
Come
di qualcosa che si sgretolava, pareva preannunciare il lacerarsi del
corpo e dell'anima.
Fumò,
lo fece più avidamente delle altre volte, scacciando i
pensieri più
scomodi; poggiò la schiena a terra, lasciando che l'erba
umida le
bagnasse la chioma corvina, mentre velocemente la dose sortiva il
suo effetto. Tre o quattro minuti, praticamente immediato.
Ed
ecco di nuovo quel piacevole tepore, quella voglia di sorridere alla
vita, quella forza che cresceva dentro di sé; e quelle voci,
che
pian piano si avvicinavano, che aveva imparato a conoscere nonostante
le avesse sentite una sola volta: si trattava certamente di loro.
Cercando
di fare poco rumore si girò, guardando fuori, e
notò due figure che
scavalcavano la staccionata, ridendo felici. Naruto e Sakura.
Incredibilmente puntuali.
La
luce brillò prepotente, e la rapì di nuovo. Si
domandò in che
scuola andassero, dove abitassero, dal momento che erano talmente
diversi dagli da non parer quasi terrestri. Che fossero angeli?
Sorrise
debolmente, osservando la ragazza sedersi sulla vecchia altalena,
chiedendo a lui di dondolarla. Quanto avrebbe voluto essere al suo
posto.
Non
rimase a guardarli per molto, però. Senza che ella lo
desiderasse
s'addormentò di nuovo, lasciando il suo gioiello in
balìa della
notte.
Correva
su un immenso prato multicolore, Hinata.
I
fiori che lo adornavano spargevano nell'aria il proprio profumo, che
insistente le invadeva le narici.
Più
in là l'arcobaleno si ergeva fiero, e dove esso pareva
nascere v'era
seduto qualcuno, un giovane dai capelli dorati e dalle ali d'angelo.
"
Naruto-kun? "
Questi
alzò lo sguardo verso di lei, gentile e splendido.
"
Ciao, Hinata "
la
salutò,
"
Che ci fai qui? "
"
Io... beh... "
balbettò
la giovane, arrossendo,
"
... non lo so "
Naruto
sorrise, quant'era luminoso.
"
E allora te lo ripeto: che ci fai qui? "
Inizialmente
non capì il senso di quelle parole.
Poi,
non sapeva perché e né come, comprese.
D'improvviso
i fiori appassirono, l'arcobaleno svanì, il cielo si fece
cupo.
Ma
l'angelo biondo rimase lì a guardarla, a brillare nella
notte
tempestosa, come a volerla avvolgere con quella luce che forse era
perfino troppo per lui solo.
E
Hinata capì qualcosa. Lo capì ma fu
immediatamente allontanata da
lui da un potente vento.
Perché?
Perché
non poteva stringerlo fra le braccia?
Continuò
a guardare nella sua direzione, vedendo qualcuno avvicinarsi a
Naruto: era una ragazza vestita di bianco – da sposa, forse?
-, con
i capelli rosa e lo sguardo preoccupato.
Gli
posò una mano sulla spalla, evidentemente per sincerarsi
delle sue
condizioni.
Hinata
s'accorse poi, prima che entrambi scomparissero nel nulla, che anche
Sakura possedeva un paio di ali.
Hinata
Hyuuga dormì per tutta la notte all'interno del tunnel.
Quando al
mattino i raggi del sole illuminarono la città, ella si
svegliò
controvoglia, uscendo a fatica; indossava ancora il pigiama che le
avevano messo all'ospedale, ma non le interessava. Ora aveva qualcosa
di più importante da fare.
Barcollante
si alzò, e raccolse tutta la buona volontà;
qualcuno la stava
aspettando in un posto che si trovava poco lontano da lì.
L'atmosfera,
dentro ad un cimitero, è sempre diversa da quella degli
altri
luoghi; la giovane vi entrò in silenzio, camminando
lentamente,
cercando fra le lapidi. Fu necessario passare più di un'ora
ad
osservare, ma infine i suoi sforzi furono premiati: v'erano due
lapidi, l'una accanto all'altra, entrambe colorate del bianco
dell'innocenza e della purezza; chi era seppellito lì,
però, in
vita aveva abbandonato tali valori, ma nonostante ciò era
stato
accettato da qualcuno di ancor più importante
dell'umanità stessa.
Guardò
a lungo le due foto, che ritraevano senza dubbio Naruto Uzumaki e
Sakura Haruno, una giovanissima coppia di fidanzati, morti –
a
giudicare dalle date presenti – tre anni prima. Mentre si
trovava
lì un uomo le si avvicinò, incuriosito.
"
Li conoscevi? " le chiese, senza curarsi di com'era vestita,
sebbene fosse piuttosto evidente che si trattava d'una paziente
fuggita dal più vicino ospedale.
"
No... come sono morti? " rispose lei.
"
A questo mondo esistono molte malattie. Alcune non possiamo
contrastarle, altre ce le creiamo da soli " asserì lui, "
Questi due giovani si erano fatti abbindolare dalla speranza d'un
futuro migliore, nascosto in delle fantomatiche pastiglie dai magici
poteri "
"
Droga... "
"
Esattamente. Ma tu, piuttosto, che ci fai qui a quest'ora del
mattino, vestita in quel modo? " domandò il signore, un tipo
dai capelli bianchi e dall'espressione amichevole.
Hinata
non rispose. Ma sorrise, e fu uno di quei sorrisi sinceri, dettati
dal cuore. Ecco cosa volevano dirle Naruto e Sakura.
Salutò
lo sconosciuto e s'incamminò nuovamente verso l'ospedale,
con una
nuova speranza crescente dentro di sé; durante il tragitto
le capitò
più volte di essere oggetto degli sguardi curiosi dei
passanti, a
causa del suo abbigliamento, ma non se ne curò. Sicuramente
qualcuno
la stava anche cercando, quindi affrettò il passo, senza mai
voltarsi indietro. Sentiva che non si sarebbe pentita della sua
decisione, che era quella giusta.
Raggiunta
la sua meta trovò molte persone ad aspettarla; c'era perfino
suo
cugino Neji, che mai prima di allora aveva dimostrato di preoccuparsi
per lei. E poi, in un angolo, v'era anche Naruto, e a quanto pareva
nessun altro poteva vederlo; nessuno tranne lei. Questi la
salutò
con un cenno della mano, sorridendo radioso.
Hinata
sapeva bene che sarebbe stato difficile, che talvolta sarebbe
sembrato addirittura impossibile, ma non aveva nessuna intenzione di
rinunciare; avrebbe tirato fuori quella grinta, la forza che era
necessaria.
Intanto,
la prima cosa che fece giunta di fronte a chi la attendeva, fu
denunciare il suo spacciatore, consegnandolo alla giustizia. Non gli
avrebbe permesso di ingannare qualcun altro. Quello fu solo il primo
passo verso una nuova vita, una nuova luce.
E
l'angelo che aveva avuto fiducia in lei ora poteva abbracciare senza
preoccupazioni colei che era morta con lui e per lui. Felice di
essere stato, per qualcuno che aveva fatto il suo stesso errore, la
luce alla fine del tunnel.
<< Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. >>
Fine ~
Note:
L'ultima frase, scritta in corsivo, è un verso della preghiera che noi conosciamo come “ L'eterno Riposo ”; tradotto letteralmente, infatti, significa: “ L'eterno riposo dona a loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua ”.
La droga che Hinata utilizza è più precisamente il crack. Ecco dunque il perché di tale affermazione: “ Faceva un rumore che martellava in testa, quando bruciava.
Come di qualcosa che si sgretolava, pareva preannunciare il lacerarsi del corpo e dell'anima. ”
Secondo quanto ho letto su Wikipedia, questa sostanza prende il nome proprio dal rumore che fanno i cristalli che la compongono quando vengono bruciati.
Per quanto riguarda gli effetti, anche per quelli mi sono affidata a Wikipedia, spero di non aver scritto qualche strafalcione.
Riguardo Naruto e Sakura, non viene specificato nella fic ma, com'è ovvio, si presentano davanti a Hinata quand'ella è nascosta nel tunnel perché, quando erano in vita, anche loro si recavano spesso in quella parte del parco.
<3 Grazie a Shurei per questo >>