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Autore: nes95    12/03/2010    3 recensioni
(…) Con una mossa intelligente uscì dalla trappola del sacco a pelo, complimentandosi mentalmente per aver capito come fare dopo dieci giorni di campo. Poi indossò un paio di maglioni e uno sciarpone, uscì e mise gli scarponcini, poi in silenzio sgattaiolò fuori dalla tenda, rincorrendo la luce rossa sbiadita delle braci del fuoco. Una volta in prossimità della luce smise di correre e tranquillamente si avvicinò al fuoco, rischiando di uccidere la figura che imbaccuccata in un plaid ammirava il cielo. “Scusa” mormorò la ragazza, accorgendosi poi di aver appena rischiato di uccidere Alessandro. “Eh? Oddio Chiara se vuoi uccidermi ci sono altre maniere per farlo!” mormorò di rimando il ragazzo ridacchiando. (…) A mia “sorella” Chiara, per il suo compleanno (con la partecipazione speciale di maggie_lullaby :D)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*** Note Introduttive ***

Questa è una shot nata per caso dopo una telefonata poco gradita, che dedico completamente alla mia sister Star711, che il giorno Sabato 13 Marzo ha compiuto gli anni. E perchè mi ha scassato un pomeriggio con la sua curiosità da Delfino della Dufur :D

Spero che possa piacervi, e di ricevere qualche commento, a presto

Nes <3

 

…Dove sarai
anima bella
stella gemella
dove sarai…

- Stella Gemella -

 

Chiara odiava il campeggio. Non riusciva davvero a capire la sua utilità. Voglio dire … ormai erano nel 2010, a cosa poteva mai servire dormire in una tenda o imparare la cucina trapper? Con uno sbuffo salì sul pullman salutando i genitori velocemente, che le auguravano una buona permanenza.

“E spero che così imparerai a comportarti un po’ meglio” la reguardì il padre mentre le dava un bacio sulla fronte.

“Si si certo. Ciao” salutò a sua volta Chiara salendo e mettendo le cuffiette dall’iPod nelle orecchie e facendo partire la musica così forte che quasi non sentì il mezzo mettersi in moto. Guardando fuori dal finestrino vedeva le strade farsi sempre meno più affollate e sempre più ricoperte di alberi, e mentre ripensava agli ultimo avvenimenti un sorriso birichino le si dipinse sulle labbra. Chiara non era mai stata quella che potesse definirsi una brava ragazza, e tutti i suoi amici lo capivano dopo un paio di giorni passati con lei. Ma oltre a loro, che alla fine prendevano la pazzia della ragazza con una risata, Chiara doveva tener conto dei suoi genitori, i quali non vedevano di buon grado né lei né quelle cosucce innocenti che facevano girare le scatole alla preside. Che poi … mica aveva tanto fatto qualcosa di male! Solo perché una persona ha caldo e decide di fare il bagno completamente vestita nella piscina studentesca trascinandosi dietro un “amico”, mica significava che era una cattiva ragazza ..?! e invece era quello che la preside e i suoi le avevano urlato contro per tutto il pomeriggio seguente, ed era stata la giustificazione dei suoi genitori quando le avevano comunicato della loro decisione circa la partenza della ragazza in campeggio. Con uno sbuffo cambiò canzone, e mentre partiva “Stella Gemella” sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Leggermente scocciata tolse una cuffietta e si girò verso la mano, appartenente ad un ragazzo con occhi e capelli chiari, che sorrideva.

“Si?” chiese Chiara, ansiosa di tornarsene da sola ad ascoltare la sua musica.

“Ciao, sono Enrico” salutò il ragazzo.

“Ciao” rispose la ragazza, per poi continuare ad ascoltare la sua canzone e voltandosi verso il finestrino. Dopo un istante sentì la mano bussare nuovamente alla sua spalla.

“Cosa?” chiese questa volta più irritata Chiara togliendo di nuovo la cuffia. Enrico, il ragazzo biondo e con gli occhiali che continuava a sorridergli, le prese l’iPod e staccò le cuffiette.

“Ehy! Cosa fai?!” le chiese indignata la ragazza cercando di riappropriarsi dell’apparecchio.

“Dovresti sapere le regole” la reguardì il biondo per un istante, mentre infilava l’iPod in un sacchetto nero.

“Regole? Non credo di aver infranto nessuna regola!” rispose acidamente Chiara alzando un po’ il tono della voce.

“E invece si, qui siamo in un campo natura ed è vietato usare cellulari o apparecchi elettronici” recitò il ragazzo con un sorriso facendo fare alle cuffiette la stessa fine dell’iPod nel sacchetto. Chiara rimase scongelata mentre malediva sua madre e suo padre e quella stupida della sua preside che avevano complottato contro le sue vacanze. Con uno sbuffo la ragazza prese un elastico per capelli e legò la chioma ramata e riccia, lunga fino a sotto le spalle, sotto lo sguardo ammaliato di un paio di ragazzi seduti accanto a lei.

“Che avete da guardare?!” chiese acidamente fulminandoli con lo sguardo. I due ragazzini arrossirono vistosamente e tornarono alle loro faccende, mentre Chiara attenta a non farsi vedere da nessuno tirava fuori il cellulare per rispondere a qualche sms. Il pullman si fermò per un istante e poco dopo frenò definitivamente. La rossa alzò la tendina che poco prima aveva seccamente chiuso e si era accorta di essere ferma all’autogrill, e che tutti gli occupanti stavano scendendo, tranne un paio qua e là che dormicchiavano. Con un sorriso mise a posto il telefono e si finse addormentata, mente un qualche capo passava a controllare. Poggiò la testa contro il finestrino freddo e prese a respirare regolarmente, mentre la voce di un ragazzo diceva “va tu, io rimango qui” e si sedeva al posto dei due ragazzini, chiudendo gli occhi. Chiara aprì i suoi e appurò che nessuno la guardasse, poi si tirò su e prese un panino dalla sacca, continuando a rispondere agli sms, a controllare il suo stato su Twitter e a ridacchiare alle risposte sceme dei suoi amici, che in quel momento alla faccia sua stavano partendo per una settimana ad Ibiza. Non si accorse nemmeno del fatto che il ragazzo si fosse voltato verso di lei e che ancora in silenzio le si fosse seduto accanto.

“Non si mangia nel pullman” le disse d’un tratto. Chiara sobbalzò per lo spavento e si portò una mano al cuore, mentre il ragazzo accanto a lei ridacchiava. Aveva i capelli e gli occhi scuri, il fisico asciutto e un sorriso carino.

“Non si fanno prendere gli infarti alla povera gente” rispose la ragazza riprendendo a respirare normalmente, e diede un morso al panino.

“Non si mangia in pullman” le disse nuovamente il ragazzo, che stava stravaccato sul sedile con la punta del piede poggiata contro lo schienale del sedile davanti. La ragazza fece un sospiro scocciato.

“Avanti, cosa vuoi?” chiese poi sedendosi meglio.

“Metà del panino. E poter rispondere a un messaggio” rispose il ragazzo con un sorrisetto.

“Non ne ho intenzione” dichiarò Chiara con una smorfia, guardandolo dritto in faccia.

“Ah no? Peccato …” rispose lui con un mezzo sorriso, rivelando poi la fascia al braccio. Era un capo anche lui “e io che volevo essere buono …” sospirò. Chiara con una bruttissima espressione spezzava il panino in due e ne dava una parte al ragazzo.

“Stronzo” sibilò poi passandogli il cellulare.

“Come sei dura. Sai, quasi potremmo diventare amici” propose lui dando un morso soddisfatto al panino e digitando qualcosa col telefono della ragazza.

“Mi farai restituire l’iPod?” chiese Chiara speranzosa.

“No” rispose il ragazzo alzandosi e mettendosi il telefono in tasca “e nemmeno questo, siamo in un campo natura, non si possono usare cellulari e apparecchi elettronici” cantilenò, mentre il pullman si riempiva dei partecipanti al campo.

“Stronzo” mormorò ancora Chiara dopo aver tenuto la bocca aperta in maniera scandalizzata per un lungo periodo di tempo. Il pullman si rimise in moto. Chiara con l’ennesimo sbuffo si voltò verso il finestrino e prese qualcosa dallo zainetto per coprirsi la faccia. E dormì fino a quando il pullman si fermò nuovamente e non fu svegliata per dover scendere dal mezzo. Erano arrivati.

Passarono alcuni giorni. La vita del campeggio era movimentata, ma al contempo monotona. Molto monotona. Chiara si alzò e come tutte le mattine litigò con il sacco a pelo che non voleva saperne di lasciarla andare, poi venne chiamata per la ginnastica mattutina e dopo i vari convenevoli decisero i turni per la giornata. Nella sua squadriglia le piccole avrebbero pensato a sistemare la tenda e cominciare a ripulirsi, lei avrebbe fatto cambusa e un’altra ragazza, Giorgia, avrebbe pensato a cucinare. Al fischio che ormai aveva imparato a riconoscere prese la cassetta a passo sostenuto si avvicinò alla cambusa, da dove il tipo biondo – Enrico – ne uscì con un sonoro sbadiglio.

“Buongiorno” salutò poi il ragazzo sedendosi stancamente sulla panca sotto il gazebo che avevano montato insieme agli altri capi per ripararsi dal sole.

“Giorno a te. Non hai dormito?” lo sfottè la ragazza poggiando la cassetta sul tavolo di plastica e lasciandosi andare a sua volta sulla panca, cosa che poteva fare solo quando c’era lui o qualcuno che nella gerarchia del campo non era un capo. Con una smorfia annoiata il ragazzo scosse la testa e prese un biscotto dal sacchetto formato famiglia poggiato lì accanto, ne passò uno a Chiara e cominciò a mangiarlo con foga, come solo lui riusciva a fare.

“Ho avuto il turno di veglia stanotte. Stefano ha di nuovo provato ad intrufolarsi nella tenda di Angela. Ma riuscirà mai a capire che non può?” chiese stancamente il ragazzo. Strano ma vero, i due alla fine avevano fatto amicizia, come eri costretto a fare quando capivi che se non riuscivi ad ingraziarteli il campo sarebbe stato un vero inferno. Chiara rise e scosse la testa.

“Io credo di no. Ma scusa fallo andare, e che sarà mai!” rispose come se nulla fosse.

“Certo, e se poi lei mi rimane incinta me lo prendo io nel …” le fece notare Enrico, che lasciò la frase in sospeso, come se la ragazza avesse potuto scandalizzarsi.

“Giusto” gli diede ragione, poi prese una confezione di latte e una di crema di cioccolato dal tavolo, i biscotti e lo zucchero, e scompigliò i capelli di Enrico, che tanto era stanco che nemmeno se ne accorse, poi con uno sbadiglio si avviò verso la sua tenda. E via ad un nuovo giorno.

Le attività in quello schifo di campo erano sempre le solite. Dovevano presenziare tutte le mattine alle otto in punto all’issa bandiera, cantare l’Inno, fare un po’ di convenevoli e poi passavano a stupidi giochini, insulse attività fai – da – te, e canti senza assolutamente un minimo di senso. Chiara aveva voglia quasi di piangere, era il nove Agosto e il campo sarebbe finito a breve. Quel giorno, un altro, poi la partenza. Poteva farcela, di disse mentalmente, per poi correggersi da sola. Doveva farcela. Ovviamente con i suoi genitori ci parlava di rado, aveva a disposizione il telefono della sua capo per quindici minuti una sera si e una no, chiamava in fretta i suoi e per cinque minuti parlavano di roba noiosa, almeno per lei. I successivi dieci li passava al telefono con Michela, la sua migliore amica, e con il resto della sua compagnia, che se la stava spassando in Spagna.

“Allora ragazze, pronte per quest’altra giornata?” chiese entusiasta la capo, mentre le altre ragazze (esatto, erano SOLO ragazze) battevano le mani entusiaste quanto lei “allora oggi si gioca a pallavolo!” continuò eccitata la capo, mentre Chiara borbottava uno “yuppie” molto sarcastico, con tanto di pugnetto in aria. L’unica cosa che per quel giorno la face resistere dallo scappare a gambe levate fu la presenza dei ragazzi nella partita e dell’acqua, con cui tutti si facevano gavettoni su gavettoni, rendendo l’erba abbastanza bagnata. Ridendo e continuando a giocare i capi formarono le squadre, e presto Chiara si ritrovò accerchiata da ragazzi e ragazze che sempre con un sorriso sulle labbra si passavano la palla e giocavano la partita, a cui la ragazza assistette quasi da spettatrice, un po’ per la mancanza di voglia, un po’ per la sua incapacità in quello sport. Dopo la partita, che vinsero, tutti continuarono a farsi gavettoni, inseguendosi per il grande prato e ridendo come pazzi. Anche Enrico, e gli altri ragazzi presero postazione al gioco, bagnando tutte le povere ragazze che prendevano a tiro.

“No! No! Non farlo!” stava urlando Chiara rivolta ad Antonio, un ragazzo con il so stesso colore di capelli che ridendo cercava di colpirla con un palloncino azzurro pieni di acqua.

“No? Oh si invece!” urlò il ragazzo tra le risate dei due, prima di lanciarle il palloncino. Con uno scatto Chiara di ritrasse all’attacco, trovandosi però col sedere per terra, e la caviglia sotto il corpo. Per poco non urlò di dolore per la fitta alla caviglia, ma facendosi forza mentalmente cercò di tirarsi in piedi e di fare qualche passò.

“Ucciditi!” imprecò però quando, vinta dal dolore, era caduta nuovamente a terra. Intanto i giochi continuavano al sole e nessuno si era minimamente accorto di quello che era successo sotto l’albero poco distante. Persino Antonio dopo averla mancata era corso verso una preda più facile, e non aveva minimamente considerato l’eventualità che la ragazza non riuscisse più ad alzarsi. Con uno sbuffò incrociò le braccia al petto e attese qualche istante, poi si decise a stendere la gamba e a togliere, seppur con difficoltà, la scarpa da ginnastica che copriva il piede, che si rivelò essere rosso e pulsante. Dopo l’ennesima imprecazione deglutì a vuoto e cercò di muovere la caviglia, ma il dolore lancinante la fece fermare di botto.

“Oddio!” una voce dolce la fece riscuotere. Chiara alzò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi scuri di quel ragazzo che tanto l’aveva fatta bestemmiare nei giorni precedenti.

“Alessandro …” mormorò la ragazza mentre una nuova fitta si impadroniva di lei. Il ragazzo la prese in braccio senza esitazioni e a passo di marcia di avviò verso l’infermeria del campo, costituita da una tenda marrone molto grande. La poggiò senza una parola sullo sgabello e le diede del ghiaccio.

“Ferma lì” le intimò con il solito sorriso, prima di sparire nuovamente alla sua vista. Chiara pensò per un attimo a quel volto,e quasi arrossì. Non era da lui comportarsi in una maniera tanto dolce. Solitamente a causa del ruolo che ricopriva era costretto a sgridarla e riprenderla per ogni minima cosa, e poi lei era pienamente convinta che quel ragazzo ci trovasse una qualche sorta di divertimento nel vederla arrabbiata o irritata. Scosse la testa e si riscosse dai suoi pensieri, mentre la tenda si ripopolava. Erano entrati nuovamente lui e un capo, che dopo una breve controllata decise di dover portare la ragazza al centro medico del paese, a qualche kilometro dal campo.

“La porto io” disse subito Alessandro con un sorriso, mentre il capo annuiva e gli lanciava le chiavi della macchina, che il moro prese al volo. Dopo qualche secondo si ritrovò in un’auto diretta al centro medico, con un broncio sul viso e la caviglia dolorante. I vestiti di entrambi erano quasi asciutti, e quando Alessandro la aiutò a scendere dall’auto anche i capelli erano tornati perfettamente asciutti e ricci.

“Ma vedi un po’ te che sono costretto a fare …” mormorò con una mezza risata il ragazzo reggendola per un fianco, in una maniera che metteva in imbarazzo la giovane.

“Certo certo, guarda che sei stato tu a decidere di accompagnarmi” rispose a tono Chiara.

“Era una domanda retorica, sarei comunque dovuto venire io” spiegò Alessandro, mentre la ragazza rimetteva su il broncio.

“Come no” rispose, e via a battibeccare fino a quando non arrivò il loro turno per la visita medica, durante la quale Chiara dovette mettere una fasciatura e promettere di prendere delle stupide medicine la sera.

“Sono antibiotici” aveva spiegato il medico ai due ragazzi. Dopo la visita Alessandro si caricò nuovamente la ragazza prendendola per un fianco e dopo aver ringraziato il dottore entrambi uscirono nella calda aria di Agosto. Presero a passeggiare lentamente per le strade del paesino, molto caratteristiche. Chiara riusciva a camminare perfettamente ora, con la fasciatura e la medicina per farle passare il dolore.

“Comunque …” cominciò la ragazza, ancora aggrappata al braccio del giovane, che non la lasciava andare “grazie, voglio dire … anche per prima al campo” mormorò imbarazzata Chiara, mentre Alessandro con un sorriso scuoteva la testa.

“Non ce n’è bisogno, te l’ho detto che possiamo essere amici!” rispose il giovane.

“Amici? mi hai preso il cellulare … e metà del panino! Metà!” sbottò Chiara vagamente divertita dalla conversazione.

“Il cellulare l’ho fatto perché devo seguire le regole o sbattono fuori prima me e poi te, e il panino … bè, perché avevo fame!” rispose il ragazzo abbastanza prontamente, facendo ridacchiare Chiara, che poi si fermò davanti alla vetrina di una gelateria.

“Bene amico allora fatti perdonare e comprami un gelato” gli ordinò con un sorriso al quale Alessandro non riuscì a resistere, e con un sospiro divertito portò la ragazza a scegliere i gusti. Dopo pochi minuti camminavano verso l’auto, decisamente più soddisfatti.

“Perché sei in questo campo?” le chiese il ragazzo. Era abbastanza intuibile che Chiara odiasse quel posto.

“Punizione divina” rispose lei poggiando il piede sano sul cruscotto continuando a mangiucchiare il cono.

“Eh?” chiese di nuovo stranito Alessandro, mentre guidava sicuro verso il campo.

“I miei mi hanno punita” rispose allora più chiaramente Chiara, mentre il suo interlocutore parcheggiava l’auto e l’aiutava a scendere.

“Sai una cosa?” chiese dopo un po’ di silenzio la ragazza, mentre Alessandro stava tornando alla sua tenda.

“Cosa?” chiese lui fermandosi e voltandosi.

“Sei quasi simpatico quando non devi giocare a fare il capo” rispose la ragazza, prima di fargli la linguaccia e tornandosene in tenda, dove le sue compagne l’aspettavano in ansia.

Alessandro guardava fisso le stelle, la posizione in cui si trovava era abbastanza scomoda, in piedi con delle padelle in mano, ma proprio non riusciva a staccare gli occhi da quello spettacolo fantastico.

“Pronto?” chiese Enrico sventolandogli una mano davanti alla faccia.

“Eh?” fece l’altro riprendendosi e stiracchiandosi il collo ormai intorpidito. Enrico scosse la testa e prese le padelle sporche dalle sue mani, portandole velocemente verso il lavandino.

“Ma niente” rispose cominciando a lavare le stoviglie sotto il getto gelido “sei particolarmente assente stasera” concluse il biondo, prima di asciugarle e riportarle al chiuso. Alessandro rimase fermo per un istante, poi scuotendo la testa tornò alle sue mansioni.

“A che ora finisce oggi il fuoco?” chiese Chiara a Giorgia, che si stava infilando un cappellino di lana. Odiavano tutti lo sbalzo termico tra il giorno e la notte, e l’unica maniera per combatterlo era cercare di stare più coperte possibile, a costo di sembrare piccole bimbe samurai.

“Presto, domani dobbiamo smontare che si torna a casa” rispose l’altra mentre tremava leggermente. Chiara annuì e continuò a guardare il cielo stellato, interrotta poi soltanto dalla chiamata dei capi.

Il fuoco era finito da poco i capi avevano mandato tutti a dormire ed erano rimasti intorno al fuoco quasi spento a chiacchierare salvo accorgersi poco dopo dell’ora tarda, decidendo così di andare a dormire.

“Chi spegne il fuoco?” chiese Antonella, la capo delle ragazze.

“Ci penso io, tranquilli” rispose prontamente Alessandro, la cui unica ispirazione per la serata era poter rimanere a guardare le stelle fino a vederle sparire, sormontate dall’alba. Tutti annuirono e gli diedero la buonanotte, Enrico dopo un secondo di esitazione, conoscendo quello che Alessandro stava per fare, gli lanciò un plaid che aveva usato lui per un gioco poco prima, e dopo avergli augurato la buonanotte sparì anche lui, inghiottito dall’oscurità.

Chiara decise che non ne poteva più di stare stesa lì, con fuori la nottata più bella dell’estate ad attenderla. Con una mossa intelligente uscì dalla trappola del sacco a pelo, complimentandosi mentalmente per aver capito come fare dopo dieci giorni di campo. Poi indossò un paio di maglioni e uno sciarpone, uscì e mise gli scarponcini, poi in silenzio sgattaiolò fuori dalla tenda, rincorrendo la luce rossa sbiadita delle braci del fuoco. Una volta in prossimità della luce smise di correre e tranquillamente si avvicinò al fuoco, rischiando di uccidere la figura che imbaccuccata in un plaid ammirava il cielo.

“Scusa” mormorò la ragazza, accorgendosi poi di aver appena rischiato di uccidere Alessandro.

“Eh? Oddio Chiara se vuoi uccidermi ci sono altre maniere per farlo!” mormorò di rimando il ragazzo ridacchiando. Chiara arrossì stranamente e si sedette poco distante, mentre il ragazzo era tornato a guardare le stelle. La ragazza avvicinò le gambe al petto e le cinse con le braccia, osservando il cielo sopra di lei, un sorriso lieve che le increspava il bel viso, arrossato.

Sentiva le mani di Alessandro terribilmente vicino a lei. Gli pareva di sentire il suo profumo sui vestiti, di vedere i suoi occhi pieni di luce.

“E' proprio una bella serata”, sorrise lui, voltandosi verso la ragazza e ammirando il suo profilo.

“Già...”, ammise Chiara. “Peccato che tra poco me ne dovrò andare...”.

Alessandro annuì e scosse il capo.

“Chiara...”, sussurrò all'improvviso.

“Sì?”, chiese la ragazza, con un mezzo sorriso.

Alessandro non rispose, le prese le braccia e la accompagnò lentamente con la schiena a terra, facendo attenzione a non farle del male e avvicinò il suo viso a quello di lei, che lo fissava stranita e perplessa, la luce della luna che faceva vedere un rossore sulle sue gote. Udiva il suo cuore battere all'impazzata.

“Sei bellissima”, concluse. “Terribilmente bella”.

Chiara fece per parlare, ma lui la zittì con un cenno a avvicinò la bocca alla sua...

“Ehi, Kià, Ale, ci siete?”, proruppe Enrico. “Non dovreste essere qui, lo sapete questo? Dovrò prendere dei pesanti provvedimenti nei vostri confronti, senza contare che...”

Alessandro gli lanciò un'occhiata che avrebbe ammutolito chiunque, ma non fu così per Enrico, che continuò a blaterare del senso di responsabilità e noie varie.

“Tornatene subito in tenda Chiara, ne parleremo domani”, concluse il biondo, indicando alla ragazza la sua tenda, poco distante.

I due ragazzi si alzarono di malavoglia, facendo una smorfia.

Alessandro camminò avanti a lei, il capo chino.

“Chiara?”, la richiamò fermandosi.

Lei lo osservò nella penombra.

Alessandro le porse una mano, facendole un sorriso sghembo.

Chiara seguì con lo sguardo la mano e la prese dolcemente. Le loro dita si incrociarono, così come i loro destini.

  
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