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Autore: vannagio    17/03/2010    8 recensioni
Questa One-Shot è ambientata ai tempi di New Moon, subito dopo la trasformazione di Jacob in licantropo. Harry Clearwater è un uomo malato e stanco, uno degli anziani della tribù, ma è soprattutto un padre, che vorrebbe vedere la propria figlia felice. Il tempo passa e cambia tutto: cose, persone, sentimenti. Il rapporto armonioso tra un padre ed una figlia viene incrinato dalla forza degli eventi imprevedibili che si abbattono su di loro.
Buona lettura!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Clearwater, Leah Clearweater, Seth Clearwater, Sue Clearwater
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga, New Moon
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Per la serie...
"Quando vannagio vaneggia!"



C’erano una volta un Lupo Grigio e una piccola Lupacchiotta



Harry Clearwater era appena tornato da una riunione degli anziani di La Push, in cui era stato informato della trasformazione in licantropo di Jacob Black.
Si diede uno sguardo intorno. Le luci erano spente e il silenzio regnava incontrastato nella casa. Era molto tardi, tutta la sua famiglia dormiva.
Con passo pesante si avviò verso la cucina. Sua moglie gli aveva conservato la cena. Tolse il coperchio dalla pentola: stufato… Harry sospirò rumorosamente. Da quando il medico gli aveva diagnosticato il suo male, Sue aveva condannato Harry e tutto il resto della famiglia ad una cucina sana, ma poco appetitosa. Riempì un piatto con lo stufato e lo mise a riscaldare nel microonde.
Poi, si lasciò cadere su una sedia, cominciando a massaggiarsi le tempie. Era esausto. Non era più un ragazzino e fare le ore piccole di certo non aiutava. Purtroppo non aveva molta scelta: Harry aveva dei doveri nei confronti della comunità…
A quel punto fu impossibile impedire alla mente di ritornare alle parole, che aveva scambiato con Billy Black, qualche ora prima.


«Non temere Billy, Sam si prenderà cura di Jacob», aveva detto Harry, per rassicurare l’amico, che stava annuendo pensieroso. Sembrava preoccupato, ma cercava di non darlo a vedere. Forse per questo motivo, Billy preferì cambiare argomento.
«Come sta Seth?».
Non era una domanda di cortesia, Harry sapeva bene a cosa alludesse l’amico.
«Non è ancora arrivato il suo momento… in realtà non è lui che mi preoccupa», si confidò Harry.
Billy gli rivolse uno sguardo interrogativo e allo stesso tempo meravigliato.
«Leah?», chiese.
Harry annuì tristemente.


Perso nei suoi pensieri, Harry non si era accorto che il microonde si era spento. Ne estrasse il piatto e tornò a sedersi. Contemplò quella poltiglia per nulla invitante… la rigirò con il cucchiaio… dopo alcuni minuti, decise che non aveva più fame. Sentiva una vena pulsargli sopra l’occhio. Il dolore era molto fastidioso e solo un buon sonno ristoratore avrebbe potuto farlo sentire meglio. Salì le scale cercando di fare meno rumore possibile. Aveva il fiatone… Come si era ridotto! Non era nemmeno in grado di fare qualche scalino, senza stancarsi e diventare paonazzo.
Com’era sua abitudine, entrò nella stanza di suo figlio Seth, per assicurarsi che fosse tutto a posto e poi in quella di sua figlia Leah.
Forse spinto da quello che aveva confidato a Billy, Harry si accostò al letto della figlia.
La ragazza dormiva profondamente. Sembrava serena, ma Harry sapeva che soffriva molto a causa di Sam.
Una ciocca di capelli corvini ricadde sul viso della ragazza e Harry, con grande delicatezza, lo sistemò dietro l’orecchio. Così facendo, sfiorò la guancia della figlia.
Il cuore malato di Harry sussultò. Leah aveva la febbre. Harry lo aveva notato già da qualche giorno, ma non si era ancora rassegnato all’eventualità che la sua Lupacchiotta…
Solo in quel momento, Harry notò la crudele ironia che si celava in quel nomignolo, che lui stesso aveva affibbiato alla figlia tanti e tanti anni fa.


Come ogni giorno, Harry era andato a prendere la figlia all’uscita dalla scuola elementare.
Gli piaceva molto vedere i grandi sorrisi che la sua LeeLee gli rivolgeva, ogni volta che lo scorgeva tra la folla dei genitori.
Quel giorno, però, c’era qualcosa di diverso…
Quando lei lo aveva raggiunto, il padre aveva capito subito che qualcosa non andava.
Leah, proprio come Harry, non era mai stata un tipo logorroico ma in quel caso la bambina era più silenziosa del solito. Se ne stava seduta sul sedile posteriore dell’auto, con le braccia incrociate sul petto e con sguardo imbronciato faceva finta di contemplare il paesaggio dal finestrino.
«Qualcosa non va, LeeLee? È successo qualcosa a scuola?».
«No, tutto a posto», rispose la piccola senza degnarlo di uno sguardo.
Mentiva spudoratamente. Quando la bambina diceva una bugia, non riusciva mai a guardarlo negli occhi. Harry lo sapeva bene.
Giunti a casa, Leah sfrecciò nella sua stanza senza dire una parola.
Sue guardava meravigliata il punto in cui sua figlia era scomparsa. Harry le sorrise per rassicurarla e disse: «Ci penso io!».
Quando entrò nella cameretta della figlia, Harry trattenne a stento una risata.
La piccola Leah era davvero comica quando si arrabbiava. Era sdraiata sul letto, con il labbro inferiore sporgente, occhi puntati verso il soffitto e uno sguardo che avrebbe potuto incenerire un albero.
«LeeLee?».
Nessuna risposta.
Harry prese posto sul bordo del letto. La figlia si voltò, dandogli le spalle.
«LeeLee, chi ti ha fatto infuriare in questo modo?», chiese il padre, accarezzandole affettuosamente i capelli.
Anche in questo caso, Harry non ottenne una risposta.
«Non serve a nulla tenersi tutto dentro», cercò di convincerla lui.
La piccola si rigirò su se stessa e rivolse i suoi profondi occhi neri al padre.
«La maestra!».
Harry si stupì di quella rivelazione.
«Che cosa ha fatto?», domandò preoccupato.
«Ha detto che devo fare il Lupo nella recita di fine anno. Io invece voglio fare Cappuccetto Rosso, il Lupo non mi piace!», spiegò la figlia con gli occhi lucidi.
Harry sapeva che se avesse riso, sua figlia non glielo avrebbe mai perdonato.
«Perché non ti piace il Lupo?», chiese il padre.
«Perché… perché… è brutto, cattivo e alla fine viene ucciso dal Cacciatore!», rispose la bambina come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«LeeLee… ti sbagli, il Lupo non è cattivo. Tu che conosci le leggende della nostra Tribù dovresti saperlo».
Sua figlia lo guardò scettica.
«Dico sul serio: quella che ti ha raccontato la maestra non è la vera storia di Cappuccetto Rosso>>.
Sua figlia sgranò gli occhi per lo stupore.
«Vuoi che te la racconti?».
La piccola annuì impaziente.
Harry sorrise, mentre Leah si metteva seduta sul letto e abbracciava il suo orsacchiotto preferito, pronta ad ascoltare la storia.
«Bene… Allora… C’era una volta una bambina di nome Cappuccetto Rosso. Quello non era il suo vero nome, naturalmente, ma tutti la chiamavano così, per via della mantellina che sua nonna le aveva confezionato e che lei indossava sempre.
La mamma di Cappuccetto Rosso aveva chiesto alla figlia di portare le medicine alla nonna, che abitava in una piccola casetta nel bosco».
«Fin qui non mi sembra molto diversa!», si lamentò Leah.
«Abbi un po’ di pazienza», rispose il padre, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso.
«Dove ero arrivato?», domandò, fingendo di pensarci sopra.
«Alle medicine», suggerì la figlia.
«Giusto… La nonna di Cappuccetto Rosso stava male e aveva bisogno delle medicine, così la bambina, che voleva un gran bene a sua nonna, intraprese il sentiero per il bosco.
Dopo molto camminare, Cappuccetto Rosso raggiunse una piccola radura piena di fiori tanto colorati e profumati, che decise di fermarsi per raccoglierne qualcuno. Voleva fare un regalo alla nonna, sicura che sarebbe servito a rallegrarla.
Era così concentrata a scegliere i fiori più belli, che non si accorse di non essere più sola».
«È arrivato il Lupo!», esclamò Leah, che stava stringendo forte il suo orsacchiotto per la tensione.
«No, LeeLee, non era il Lupo. Era un giovane: un ragazzo molto bello, dalla pelle bianca come il marmo. Il giovane sorrise gentilmente alla bambina, che lo guardava incuriosita. Egli le chiese cosa ci facesse da sola nel bosco e Cappuccetto Rosso, molto ingenuamente, gli raccontò della nonna e delle medicine.
Il ragazzo ascoltò con molto interesse il suo racconto e si offrì di accompagnarla, visto che conosceva molto bene il bosco. Cappuccetto Rosso, rassicurata dal sorriso del ragazzo, dimenticando le raccomandazioni della mamma, accettò di buon grado la sua offerta. Insieme si incamminarono nel bosco».
«Non capisco papà. Che fine ha fatto il Lupo?», chiese Leah, corrugando la fronte.
«Ora arriva, non essere impaziente!».
«Va bene…», disse Leah, sospirando.
Harry non riuscì a trattenere un mezzo sorriso e riprese la sua storia.
«Mentre camminavano l’uno a fianco all’altro, Cappuccetto Rosso si accorse che il ragazzo non la stava conducendo a casa della nonna, ma verso il cuore del bosco. Quando la bambina chiese spiegazioni, il giovane le rivolse un sorriso maligno, mettendo in mostra i suoi lunghi canini».
«Oh, no!», esclamò LeeLee, «é un Freddo, non è vero? Come quello delle nostre leggende!>>.
«Proprio così LeeLee. Quando tutto sembrava perduto, un ululato squarciò il silenzio del bosco e un grosso Lupo, dal folto pelo grigio, corse in aiuto di Cappuccetto Rosso, attaccando il Freddo. Dopo una violenta battaglia, il Lupo Grigio ebbe la meglio e il Freddo scappò via. Il Lupo fece salire sul suo dorso Cappuccetto Rosso e in pochi minuti raggiunsero la casetta della nonna. Dopo aver ricevuto mille ringraziamenti, il Lupo Grigio si assicurò che nonna e nipote non corressero più alcun pericolo e poi, scomparve nel bosco, pronto a ricoprire nuovamente il suo ruolo di Protettore».
«Oh…», esclamò Leah, i cui occhioni erano diventati tondi, tondi per lo stupore.
«Capisci adesso LeeLee? Devi sentirti fiera di interpretare la parte del Lupo, anche se la storia della maestra è diversa. I Lupi sono animali sacri per noi. Sono nostri fratelli. Ci proteggono dalle creature malvagie», spiegò il padre.
«Come mai la maestra mi ha raccontato una storia diversa?».
«Solo gli anziani conoscono questa storia, Lupacchiotta mia. È un segreto e adesso anche tu ne sei a conoscenza. Promettimi che non lo dirai a nessuno», spiegò Harry.
«Lo prometto papà!», dichiarò Leah, mettendosi una mano sul cuore, orgogliosa di conoscere un segreto della Tribù.
Il padre sorrise e con affetto le arruffò i capelli.
Da quel giorno Lupacchiotta divenne il soprannome di Leah.


Quanti anni erano passati?
Troppi!
Harry sospirò tristemente e i suoi occhi vagarono fino alla mano sinistra della figlia.
L’anello non c’era più…


«Papà, stai perdendo colpi!», lo schernì suo figlio Seth, mentre Harry raccoglieva la palla che non era riuscito ad afferrare.
«Veramente è la tua mira che fa schifo!», disse qualcuno.
Harry e Seth si rivolsero alla ragazza che aveva appena parlato.
Leah li guardava divertita, appoggiata allo stipite della porta, che dava sul giardino di casa.
«Spiritosa e simpatica come sempre. Come fa Sam a sopportarti?», si lamentò Seth, con una smorfia.
Con grande stupore del padre, Leah non rispose a tono, ma si limitò a sorridere.
«Di un po’, chi sei tu e che ne hai fatto di mia sorella?», chiese Seth sarcastico. Anche lui si era accorto dell’anomalia.
«Che cosa è successo?», domandò Harry, che stava fissando intensamente sua figlia.
C’era qualcosa di diverso in lei: era radiosa, sembrava sprizzare felicità da tutti i pori.
Poi improvvisamente Leah arrossì e Harry fu certo che presto la figlia avrebbe sganciato una bomba.
La ragazza, tenendo gli occhi bassi, sollevò la mano sinistra.
In un primo momento Harry non capì cosa significasse quel gesto, poi quando si accorse di uno strano luccichio provenire dall’anulare della ragazza, venne folgorato da una nuova consapevolezza.
Leah non era più la sua bambina.
«Caspita! Sam deve aver speso una fortuna», esclamò Seth, dopo aver fischiato in segno di ammirazione.
«Papà? Non dici niente?», chiese Leah timorosa.
«Sono felice per te», mentì Harry, sfoderando un sorriso falso e imbarazzato.
A quel punto Leah scoppiò a ridere sotto lo sguardo allibito di padre e fratello.
«Papà! Non significa che ci stiamo sposando, è solo un pegno d’amore, un regalo», spiegò Leah con le lacrime agli occhi per le risate.
Involontariamente, Harry tirò un sospiro di sollievo e a quel punto riuscì a ridere sinceramente.
«Prima o dopo, voi due mi farete venire un infarto!», scherzò il padre, lanciando la palla e colpendo Seth in testa.
«Ahia! Papà! Mi hai fatto male!>>.


L’anello non c’era più.
Sua figlia lo aveva buttato dalla scogliera insieme a tutti gli altri oggetti che avrebbero potuto ricordarle quel particolare periodo della sua vita.
Harry la osservò attentamente e ripensò a quell’orribile notte di qualche mese fa.


Harry e Sue erano in salotto a guardare la televisione.
Improvvisamente sentirono la porta aprirsi e chiudersi con violenza. Quando Harry raggiunse l’ingresso, per capire cosa fosse successo, ebbe appena il tempo di vedere una chioma nera salire le scale.
«Che cosa sarà capitato?», chiese Sue, alle sue spalle, preoccupata.
«Qualcosa di molto triste», rispose l’uomo che osservava la cima delle scale.
Senza bussare e senza chiedere permesso, Harry entrò nella stanza della figlia, che era letteralmente stata messa a soqquadro. Sembrava che fosse stata attraversata da una tromba d’aria o che ci fosse stato un terremoto.
In mezzo alle macerie si trovava Leah.
Era irriconoscibile.
Immobile e in piedi al centro della stanza, la ragazza respirava affannosamente. Il viso, che era sempre stato sereno e allegro, adesso era stravolto da una smorfia di dolore e odio. Gli occhi grandi ed espressivi erano arrossati e gonfi per le troppe lacrime che avevano versato.
I pugni si aprivano e chiudevano in modo convulso, come se bramassero colpire qualcuno o qualcosa.
Harry e Leah si guardarono negli occhi per brevi e infiniti secondi.
«Ha scelto lei», sussurrò la ragazza con voce rotta dal pianto.
Passarono alcuni istanti, poi, senza aggiungere altro, Leah corse tra le braccia del padre, il quale la strinse forte a se. Tra loro non c’era mai stato bisogno di molte parole per capirsi.
Passarono delle ore abbracciati, piangendo come bambini.
Leah piangeva per il suo cuore spezzato.
Harry piangeva per l’ingiustizia della vita.
Quanto avrebbe voluto raccontarle ogni cosa, spiegarle il motivo del suo dolore. Certo, la verità non sarebbe bastata a scacciare la sofferenza, ma al meno avrebbe potuto darle un significato. Harry piangeva perché si sentiva impotente e incapace di aiutare sua figlia.
Quando Leah non ebbe più lacrime in corpo da versare, si liberò dall’abbraccio del padre e sfoderando uno sguardo tanto duro ed inespressivo da spaventare Harry, disse: «Ti prometto che non mi vedrai mai più piangere!».


Leah aveva mantenuto la promessa.
Da quel giorno nessuno la vide più versare una lacrima per Sam. Tutti pensavano che fosse riuscita ad andare avanti, ma la verità era un’altra.
Leah aveva deciso di tenere tutto dentro. Aveva costruito intorno a se un muro che nessuno era in grado di penetrare. Nemmeno Harry ci riusciva. Il loro rapporto era cambiato, perché Leah non era più la stessa.
Sua figlia non sorrideva più, il suo viso non faceva trasparire nessuna emozione. Quelle poche volte in cui la rabbia e il dolore minacciavano di farla esplodere, la ragazza si rintanava nella sua stanza. In quei momenti, a nulla servivano le preghiere di Harry. La porta rimaneva sempre sigillata.
Harry vedeva sua figlia rinchiudersi dentro un guscio che ogni giorno diventava sempre più duro e spesso, senza che potesse fare qualcosa per impedirlo.
Se da un lato quella situazione aveva reso Leah una ragazza forte, dall’altro lato l’aveva trasformata in una persona incapace di fidarsi del prossimo e di essere felice.


Harry fece un respiro profondo e dopo aver rivolto un’ultima occhiata alla figlia, si avviò verso la porta per uscire.
«Papà? È successo qualcosa?», chiese Leah, che si stropicciava gli occhi assonnati.
«No, Lupacchiotta, volevo solo augurarti la buona notte», mentì il padre, distogliendo lo sguardo. Anche lui come la figlia tanti anni fa, non era in grado di raccontare bugie, guardando le persone negli occhi. Soprattutto, non era capace di mentire a Leah…
«Sono troppo grande per quel soprannome, papà. E poi era solo una storia che tu avevi inventato per farmi contenta», disse Leah con un sorriso forzato.
«Vorrei tanto che fosse facile come allora: bastava una storiella per renderti felice, ricordi LeeLee?».
«Sarebbe bello tornare ad essere una bambina e poter credere alle favole, ma la vita non è una fiaba e le storielle creano soltanto false illusioni».
La sua piccola Lupacchiotta non c’era più. Al suo posto vedeva una donna che cercava di nascondere, sotto il cinismo e l’indifferenza, un grande dolore.
Harry non riuscì a trovare una risposta adeguata. Quando Leah era piccola, aveva sempre saputo come comportarsi con lei, ma adesso le cose erano cambiate, purtroppo, in modo irreversibile.
«Buona notte, LeeLee!», le augurò l’uomo, prima di chiudersi la porta alle spalle.


*


Era passato un anno da quella notte.
Leah Clearwater si inginocchiò sul terreno, senza preoccuparsi di macchiare i pantaloncini. Da un po’ di tempo, non si curava più dei vestiti e di altre vanità tipicamente femminili.
Una leggera brezza primaverile sollevò un po’ di polvere intorno a lei, ma non riuscì a scompigliarle i cortissimi capelli corvini.
Faceva freddo per quel mese dell’anno, ma per Leah non era un problema, nonostante indossasse una maglietta a maniche corte molto consumata e un paio di shorts altrettanto laceri.
Depose un mazzolino di fiori di campo su una piccola lapide grigia.
«Ti piacciono? Li ho raccolti in una radura nel bosco, proprio come faceva Cappuccetto Rosso per sua nonna».
Un sorriso malinconico comparve sul viso di Leah e un ricordo lontano riemerse dai meandri della sua memoria.


La famosa recita di fine anno era giunta al termine. La famiglia Clearwater si stava avviando verso l’auto per tornare a casa.
Leah trotterellava al fianco del padre dandogli la mano. Nell’altra stringeva la maschera del Lupo, che fino ad una mezz’oretta prima aveva indossato per la recita. La mamma Sue portava in braccio il piccolo Seth e camminava qualche passo avanti a loro.
«Allora, LeeLee. Sei ancora dispiaciuta di non aver potuto fare Cappuccetto Rosso?», chiese la mamma.
La piccola ci pensò un attimo.
«No, va bene così. Il Lupo è un tipo a posto!», esclamò, rivolgendo uno sguardo molto eloquente al padre, che le sorrise complice.
Quando la mamma non fu più a portata di orecchio, papà Harry si complimentò con lei.
«Sei stata la migliore oggi! Il migliore Lupo che avessi mai visto».
«Grazie papà! È stato facile: ho pensato a te», confessò la piccola.
Sul viso di suo padre comparve un’espressione meravigliata.
«Hai pensato a me?».
«Si, papà!» e abbassando la voce e assumendo un’aria da cospiratrice, sussurrò: «Guarda che non sono stupida! Ho capito subito chi è il Lupo Grigio della tua favola».
Il papà continuava a fissarla senza capire.
«Sei tu! Sei tu il Lupo Grigio, il Protettore. Non ti preoccupare: manterrò il segreto, anche con la mamma!».
Il papà di Leah si era fermato e guardava la bambina con un’espressione molto seria: sembrava voler dire qualcosa, ma Leah gli fece segno di chinarsi.
Il padre si inginocchiò di fronte a lei, in modo che i loro occhi fossero alla stessa altezza.
La piccola Leah si protese verso la guancia del padre, chiuse gli occhi e gli diede un bacio.
«Ti voglio bene, papà».
Senza aggiungere altro, corse via per raggiungere la madre e il fratello che erano già saliti in macchina.


Una lacrima solitaria attraversò la guancia della ragazza, arrivò al mento e poi cadde sulla fredda pietra.
«Non lo avevi capito, ma ai miei occhi tu eri il Lupo Grigio, il Protettore che combatte contro il Freddo e salva Cappuccetto Rosso.
Ora che tu non ci sei più, chi correrà in mio aiuto? Chi mi salverà?
Adesso che la Lupacchiotta si è trasformata nel Lupo Grigio, suppongo che dovrà cavarsela da sola. Chissà se avevi previsto tutto questo… forse no…
Mi dispiace di essermi allontanata da te, papà, ma pensavo che fosse il modo migliore per non soffrire».
Un'altra lacrima rigò la guancia della ragazza.
«Scusa se non ho mantenuto la promessa: non dovresti vedermi piangere», disse Leah, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.
Rimase lì un’oretta, seduta per terra, appoggiata alla lapide di suo padre, incurante del freddo e del sole che sempre più si avvicinava all’orizzonte, rievocando tutti i bei ricordi della sua infanzia.
Poi un ululato la riportò al presente e alla dura realtà dei fatti.
Si alzò, lasciò cadere i vestiti per terra e voltando le spalle alla lapide…


…scomparve nel bosco, pronta a ricoprire nuovamente il suo ruolo di Protettore.





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Nota dell’autore:
Avevo scritto questa One-Shot per il contest “[Twilight] Contest Genitori e Figli - II edizione Wolf's Pack Contest” indetto da Mia90. Purtroppo il numero di partecipanti, che avevano inviato le loro storie, era troppo basso affinché il concorso si potesse ritenere valido e così è stato annullato.
La storia doveva trattare, come credo avrete capito, il rapporto genitore-figlio. Mia90 ci aveva dato la possibilità di scegliere tra i membri del branco di licantropi.
Ho optato per Leah perché è un personaggio che mi affascina molto. Siccome sapevo che sarebbe stata un po’ scontata come scelta, ho deciso di scrivere il racconto, prevalentemente, dal punto di vista di Harry Clearwater.
Per scrivere questo breve racconto, ho preso spunto dalla mia infanzia. Quando ero piccola, mio padre mi raccontava delle favole per farmi addormentare.
Una delle mie preferite era Cappuccetto Rosso. Considerando che dovevo descrivere il rapporto tra un padre e una figlia e che la figlia in questione era capace di trasformarsi in un enorme lupo, le mie sinapsi hanno fatto il collegamento…
Spero che questa One-Shot sia stata di vostro gradimento.
Mi farebbe molto piacere ricevere un vostro commento.
Grazie in anticipo, Vannagio.

P.S.: per chi volesse visualizzare la pagina del contest, può cliccare QUI
   
 
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