Storie originali > Giallo
Segui la storia  |       
Autore: Kronos333    17/03/2010    0 recensioni
In una New York stretta da un gelo polare misteriosi omicidi si susseguono. Persone apparentemente normali diventano atroci assassini e uccidono altra gent comune. Cosa c'è dietro tutto questo? Toccherà a Rose McDemos, insieme alla sua squadra di polizia e a Matt Collins, involontario assassino, scoprire un'orribile verità che affonda le sue radici nella mitologia e nella follia.
Genere: Azione, Thriller, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dopo le sconvolgenti rivelazioni del professor Flint mi ero chiuso in casa di Viki a guardare la televisione. Viki era uscita da poco, doveva fare delle commissioni Avevo paura. Se ero davvero un Garganta, come mi aveva chiamato il professore, allora non potevo espormi troppo. Avevo deciso di restare a casa per il resto del giorno, senza andare nemmeno all’appuntamento con Eva, facendo zapping di controvoglia e reso irascibile dalla mia prigionia forzata. Cambiai canale all’ennesimo reality show e finalmente trovai un notiziario. Era già cominciato, ma arrivai in tempo per la notizia fatale. «Notizia dell’ultima ora, è stato trovato il corpo di una giovane donna, Victoria Potter, assassinata in un negozio di dischi tra la sesta e la ventitreesima strada. Oltre alla vittima è stato trovato anche il corpo del proprietario del negozio, Carl Green. Un altro omicidio-suicidio esattamente simile a quello della lavanderia a gettoni o a quello della tavola calda. Restate in attesa di altri aggiornamenti». Rimasi a fissare lo schermo mentre cominciava a parlare del campionato di calcio. Un profondo senso di alienazione mi colse violente tra la gola e lo stomaco. Viki… morta. Mi guardai attorno. Quella era la casa di Viki! Quelli erano gli spaghetti che non avevano mangiato, quelli erano i suoi peluche, quello il suo letto. Viki era morta. Il peso di quelle parole mi schiacciò. Nevermore. Quella parola mi rimbalzò in testa all’infinito. Non avrei più visto i suoi occhi verdi, o i suoi riccioli rossi. Nevermore. Non avrei più sentito il suo profumo di boschi. Nevermore. Non avrei più ascoltato la sua voce roca e sensuale. Nevermore. Non avrei più ruzzolato tra le lenzuola con lei, aspettando il mattino. Nevermore. Poi un’altra consapevolezza mi colpì. Quella era la casa di Viki, la polizia sarebbe venuta a controllare. Fui tentato di lasciar perdere la mia insensata ricerca alla verità. Ma si! Che mi trovassero pure! Tanto ormai… Alla fine l’istinto di conservazione prevalse ed uscii nel freddo.

La neve era fredda e pungente e mi restava tra i capelli scuri come decorandomi di una sottile reticella di perline. Dove potevo andare adesso? Mentre camminavo a casaccio pensai a quello che era successo. Forse non era stato per caso che Viki era stata scelta come vittima, forse gli oracoli volevano colpire qualcuno vicino a me per destabilizzarmi. L’idea mi risultò intollerabile. Quei pazzi fanatici erano riusciti a rovinare completamente la mia esistenza. Mentre rimuginavo su questa atroce verità uno sparo risuonò alle mie spalle. Immediatamente la folla che mi circondava cominciò ad urlare terrorizzata. La prima cosa che pensai fu che la polizia mi aveva trovato, per questo fu una grande sorpresa vedere due uomini vestiti elegantemente ma con il volto coperto da passamontagna che correvano all’impazzata puntato dritto dritto su di me. “Gli oracoli!” pensai allarmato mettendomi a correre. I due uomini continuavano a sparare all’impazzata ma ebbi fortuna. Svoltai in un vicolo appartato e vidi che davanti a me stava una rete di recinzione che lo tagliava a metà. Senza esitare saltai e mi arrampicai per l’ultimo metro. Poi mi issai, scavalcai e mi lasciai cadere dall’altra parte proprio mentre i due spuntavano dall’altra parte del vicolo. Un proiettile mi sfiorò la spalla lasciandomi un sottile graffio rosso ma riuscii a svoltare nella via principale prima che riuscissero a sforacchiarmi ancora. Frenetico mi guardai intorno e notai la fermata della metro dall’altro lato della strada. Il semaforo era rosso ma dovevo rischiare. Senza esitazione mi buttai in mezzo alla strada dove le macchine sfrecciavano a velocità folle. Due vetture si fermarono bruscamente suonando e venendo tamponate dalle auto dietro. Ma l’ultima si fermò troppo tardi investendomi in pieno e facendomi rotolare sul cofano. Per fortuna mi fermai lì e mi rialzai con un leggero stordimento. Mi guardai intorno frenetico, I due uomini avevano scavalcato la recinzione e si stavano dirigendo verso di me. Con uno scatto mi rizzai in piedi ignorando le proteste degli automobilisti attorno a me e mi tuffai nella stazione del metrò. Scavalcai il tornello con un salto e corsi verso il primo treno in partenza. Subito l’agente di sicurezza mi urlò qualcosa dietro e si mise ad inseguirmi. Nel frattempo anche i due uomini avevano scavalcato i tornelli e continuavano ad inseguirmi. Veloce mi infilai nel vagone che stava per chiudere le porte, cosa che fece appena fui entrato lasciando tutti i miei inseguitori con un palmo di naso. Mi resi conto che tra quattro fermate sarei arrivato alla chiesa di Sant’Andrea, doveva viveva e lavorava Marcus. “È l’unica” mi dissi fissando il cartello con le fermate.

Quando arrivai alla fermata giusta scesi con cautela, se mi avevano trovato a casa di Viki avrebbero potuto farlo anche lì. Ma nessun killer mandato da una setta di fanatici adoratori di un dio pagano esistente mille anni fa mi aspettava alla fermata del metrò. Sempre con la stessa cautela uscii dalla stazione e vidi proprio davanti a me la piccola chiesa di Sant’Andrea. Socchiusi gli occhi per distinguere meglio la figura che stava per entrarci. Era Marcus. «Marcus! Ehi Marcus!» urlai cercando di attirare l’attenzione. Lui non mi vide. Impaziente di parlargli e notando il semaforo verde mi gettai dall’altra parte della strada chiamandolo. Proprio in quel momento una macchina sportiva grigia attraversò l’incrocio con il rosso, a tutta velocità. L’auto mi colpì in pieno facendomi saltare in aria. Ebbi il tempo di pensare “Deve essere la giornata nazionale degli investimenti, oppure sono solo molto sfortunato” prima di piombare come un sasso sul duro asfalto. Tutti urlavano spaventati, l’auto grigia non si era fermata. Lentamente il buio calò su tutto. «Matt!».

Rose si chinò ad esaminare il corpo di Victoria Potter. Era una ragazza bella e sensuale, con morbidi riccioli rossi e profondi occhi verdi che ora però fissavano vitrei il vuoto.  Rose soffocò un brivido e si rialzò rivolgendosi ai suoi compagni di squadra. «La causa del decesso è sempre la stessa» confermò sicura. «Si direbbe un assassino seriale» commentò Ruphert pensieroso. «Non può essere un assassino seriale! Gli assassini sono diversi!» sbottò Emily irritata. «Ma deve esserci qualcuno che muove le fila di tutta questa faccenda, non è possibile che tutto questo sia casuale!» esclamò Rose convinta. «Collins?» suggerì il rosso. Rose lo contraddisse «No, secondo me Collins è solo un’altra persona costretta ad uccidere, non potrebbe essere qualche setta segreta adoratrice di Quetnitlan?». «Bhè… si ma…» tentennò Ruphert. «Ma come farebbero a costringere le persone ad uccidere?» completò pratica Emily «Secondo me è Collins che dobbiamo cercare». Emily e Rose si scambiarono uno sguardo pieno di tensione, lavoravano fianco a fianco solo perché era il loro compito, il loro dovere, ma non si erano ancora parlate chiaramente. Emily intuiva che l’amica avesse scoperto qualcosa, altrimenti lei e Ruphert non si sarebbero coalizzati così. E nemmeno Rose sarebbe stata così sfrontata se non fosse stata assolutamente sicura di aver ragione. D’altra parte Rose non era ancora riuscita a parlare con il suo capo, anche se ne aveva avuto l’occasione. Quel pomeriggio, carica delle parole di Ruphert, l’aveva cercata disperatamente e, non trovandola al cellulare, era andata di persona dove sperava di vederla. Aveva violato il suo computer solo per guardare la sua agenda e l’aveva seguita fino a casa di Viki. Rose era arrivata in tempo per vedere la bruna uscire dalla graziosa casa e le si era avvicinata ma poi… uno strano terrore si era impossessato di lei. Era una paura profonda e innegabile,più forte della paura della morte o dei cadaveri che da sempre Rose nascondeva. Era la paura di perdere Emily. Rose non poteva sopportare di restare senza il conforto, i modi bruschi, le battute, l’esigenza, il sorriso, le ramanzine e l’affetto della sua più grande amica. Quindi era fuggita in mezzo alla neve, lasciandosi dietro un problema grande quanto il mondo.

Ci infilammo di nuovo tutti in macchina: Ruphert alla guida, io accanto a lui e Rose dietro, come sempre. Il rosso tentò di avviare il motore ma quello si spense tossicchiando. Ruphert imprecò ad alta voce «Non è possibile! È già la quarta volta questo mese!». Poi si slacciò la cintura ed aprì lo sportello facendo entrare una raffica di freddo. «Voi due restate qui, io cerco di sistemare la cosa». Detto questo chiuse la portiera e mi lasciò in macchina con Rose. Ci guardammo e la temperatura scese subito sotto la soglia di sopportabilità. «Allora… come và?» chiesi esitante dopo qualche minuto di silenzio spesso come il marmo. «Credo che tu lo sappia» fu la risposta gelida. Fu come ricevere un pesante ceffone. Rose non mi aveva mai trattata così, non aveva mai trattato nessuno così. «Non capisco cosa vuoi…». Non mi lasciò finire la frase. «Non mi mentire!». L’urlo era stato acutissimo, mi aspettavo che Ruphert aprisse la porta da un momento all’altro. «Rose…». «Mi hai usato, ti sei presa tu il merito per una cosa che non hai fatto e mi hai mentito. Non so se capisci come mi sento…» continuò lei mentre le prime lacrime scendevano lungo le guance. «Io… io ho…». Tesi le orecchie disperatamente. «… paura… di perderti». Quando completò la frase non si trattenne e scoppiò finalmente in lacrime. Lunghi serpenti di vetro serpeggiavano veloci sulle guance, sugli zigomi, sulle labbra per poi scendere lungo il mento e scomparire dietro la sciarpa bianca. Immediatamente scoppiai a piangere anch’io e mi infilai nei sedili posteriori per abbracciarla. «Scusami… non l’ho fatto per danneggiare te. Io mi sono preoccupata, perché non eri più la mia piccolina, perché non ti potevo più aiutare». Poi mi staccai dall’abbraccio e la fissai negli occhi tenendola per le spalle. «Per paura che ti facessi male volando ho strappato le tue ali, perché so che non ti potrò seguire quando le spiegherai al vento». Rose mi fissò incredula, persino le lacrime che le rigavano le guance si erano fermate. Poi ci riabbracciammo con trasporto, guancia contro guancia, e le nostre lacrime e i nostri sorrisi si fusero. Fu in quel momento che Ruphert entrò fischiettando allegramente «Il motore è a posto, possiamo partire». Poi ci fissò imbarazzato. «Oh!… Ho… ehm... ho interrotto qualcosa... ?». Ci studiammo per una manciata di secondi, in silenzio, prima di scoppiare a ridere tutti e tre.

Trascrissi accuratamente la data sul taccuino e lo riposi sul piccolo scrittoio accanto al crocifisso. Una debole voce alle mie spalle mi sorprese. «Vi-ki». Mi girai entusiasta, Matt si era svegliato! «Matt!» esclamai chinandomi sul suo capezzale e osservandolo con apprensione. Mio fratello aveva gli occhi socchiusi e stava tentando di rimettere a fuoco il mondo intorno a se. «Marcus?» chiese poi con voce esitante. «Si fratellino! Sono qui!». La sua voce era debole e spezzata. «Cosa… è… successo?» ansimò. «Sei stato investito» risposi in tono grave, per fortuna che eri davanti alla chiesa e ti ho potuto raccogliere io, altrimenti ti avrebbero portato all’ospedale e da lì in carcere. La mia voce decisa sorprese anche me, fino a pochi secondi prima non ero così sicuro che mio fratello fosse innocente. La cosa non passò inosservata nemmeno a lui. «Tu… tu mi credi?» chiese pieno di meraviglia. «Si» risposi senza esitazione. Questo ebbe l’effetto di tirare un po’ su mio fratello. «Viki…» cominciò lui, ma non lo feci finire. «Lo so, i funerali si terranno questa sera». Matt spalancò gli occhi e fece per alzarsi ma una violenta fitta al costato lo costrinse a sdraiarsi di nuovo. «Piano! Non hai nulla di rotto ma non puoi pretendere di uscire completamente illeso da un incidente d’auto. Non continuare a mettere alla prova Dio». Subito mi pentii dell’ultima affermazione, Matt non credeva in Dio e non gli piaceva sentirlo nominare. Ma, contrariamente alle mie previsioni, Matt sorrise debolmente. «Che ore sono?» chiese sempre con voce debole. «Circa le dieci, hai fame?». Scosse la testa. «Devo riposare, stasera voglio esserci». «Ma Matt! Non puoi, di sicuro avranno trovato il legame tra te e Viki e controlleranno che tu non ti avvicini!». Matt si girò fissando l’alto soffitto del piccolo monolocale attiguo alla chiesa dove vivevo. «Sicuramente» commentò impassibile. «Matt! Hai deciso di consegnarti?». «No». «E allora?» chiesi spazientito alzandomi dalla sedia e misurando la stanza a grandi passi. Avevo appena ritrovato mio fratello, non potevo perderlo ora. «Marcus, io devo andarci». Il suo tono era calmo e distaccato. «Perché? Capisco che provavi ancora qualcosa per lei ma correre un rischio così grosso è da stupidi». «Marcus, io devo andarci» ripeté lui in tono piatto, poi si voltò a fissarmi. «Lei è morta per causa mia».

Marcus mi fissava spaventato. «Cosa?». «Lei è morta per causa mia» ripetei con la massima calma. Lui si prese la testa tra le mani. «So cosa devo fare» aggiunsi con una voce impassibile. «Hai un piano?» sussurrò Marcus guardandomi tra le dita. «Si, e per metterlo in pratica devo andare al funerale di Viki stasera».

La nebbia era sparita e restava solo una leggera neve bianca e pulita, quasi poetica a decorare l’aria fredda. Non c’era nemmeno vento, o almeno nessuno dei presenti lo sentiva attraverso i pesanti strati di vestiti. Il parroco recitava un discorso vuoto, non ricordavo che Viki fosse mai stata “generosa con i poveri” o “amata dai bisognosi”. Viki era una persona solare, questo sì. Simpatica, sensuale, bellissima, provocante, ospitale e generosa con gli amici ma estremamente egocentrica con chi non considerava importante per lei. Quel discorso, forse più crudo e meno splendente, mi sarebbe piaciuto di più di quella sfilza di aggettivi vuoti e privi di significato. Anche la riunione di persone mi disgustò vagamente. C’erano diverse ragazze amiche di Viki che discutevano animatamente mostrando le unghie smaltate e le labbra lucidate. C’era il professor Flint che parlottava con alcuni suoi colleghi. C’erano la sua affittuaria che non aveva nemmeno la decenza di parlare a bassa voce dentro il suo cellulare. E poi c’era una ragazza che non conoscevo che fissava triste la tomba. Aveva lunghi capelli color miele sciolti lungo le spalle che risaltavano sul cappotto bianco. Mi scostai il ciuffo nero che mi ricadeva sugli occhi e la tenni d’occhio.

Quando la funzione finì tutti se ne andarono parlottando tra di loro, io no. Sapevo che mi guardava dall’inizio del funerale, ma non avevo intenzione di scappare. Quando tutti se ne furono andati mi voltai e lo guardai di sottecchi. Matt Collins mi si avvicinò e guardò la tomba di Victoria. «Mi dispiace» commentai malinconica. «Anche a me» rispose lui impassibile stringendosi nel cappotto nero. Poi si voltò verso di me. «Lei è Rose McDemos, ispettrice della polizia di New York». Io sostenni il suo sguardo «E lei è Matt Collins, ricercato per l’omicidio di Jhon Robert Senior dalla polizia di New York». Ci guardammo intensamente, non servivano altre parole. «Devo parlarle» mi disse con la sua voce profonda. «E anche io, ma anche il commissario e l’ispettore Alman ascolteranno questa conversazione» replicai respirando affannosamente. Eravamo ad una distanza pericolosa, troppo pericolosa. «Per me va bene» rispose lui senza staccare gli occhi dai miei. Poi ci baciammo. Fuochi d’artificio e schizzi di fiamme inondarono il nostro universo freddo e sterile aprendo passaggi verso mondi sconosciuti. Le stelle ci passarono accanto mentre respiravamo in perfetta sincronia e gigantesche farfalle di tutti i colori del mondo ci offrirono il loro doso per viaggiare fino alle porte del paradiso. Incontrammo Dio stesso, perché solo nell’amore più violento e prorompente si può trovare Dio e gareggiammo in bellezza con le alte montagne e gli sconfinati oceani. L’amore ci travolse come solo l’odio può fare ma lasciandoci un sapore di miele in bocca e un profumo di vaniglia nelle narici. Era… bello. “Bello” era l’unico aggettivo che poteva descrivere cosa provammo durante quell’unico lungo bacio. Bello. Una parola semplice, senza troppi fronzoli, ma straordinariamente evocativa e potente. Bello.

Era mattina presto, e Ruphert ed Emily erano corsi a casa di Rose che aveva chiamato loro con molta urgenza. Lì avevano trovato Matt Collins. Tra la confusione generale Rose era riuscita a spiegare l’intera situazione e i quattro si erano confrontati. Tutti erano molto interessati al racconto di Matt, soprattutto alla parte riguardante il culto di Quetnitlan. Poi toccò ai poliziotti raccontare le loro indagini. Quando infine Ruphert descrisse il suo incontro con Estéban Garcia Matt sobbalzò. «Cosa succede?» chiese Rose preoccupata. «Garcia… è lui che mi ha messo la droga nel caffè» mormorò con voce strozzata. Tutti sobbalzarono. «Lui… e quella setta di fanatici…» continuò a balbettare tra i denti. Rose esultò. «Cosa c’è di bello?» ringhiò Matt. «Ma non capite?» esclamò Rose felice mentre anche sul volto di Ruphert si disegnava un sorriso consapevole. «Noi… » cominciò la ragazza «Abbiamo risolto il caso!» completò Ruphert eccitatissimo agitando le braccia ed improvvisando un balletto con Rose in mezzo al salone. «No che non lo abbiamo risolto» ribatté Matt cupo. Gli altri due lo guardarono straniti. «E perché?» chiese Ruphert sospettoso. « In quale tribunale accetteranno come prova una memoria inconscia?» commentò Emily realista. Subito Rose e Ruphert si afflosciarono sulle sedie. «Allora cosa facciamo? Andiamo da Garcia e gli chiediamo gentilmente se non ha drogato qualcuno ultimamente per farne un oracolo Incas». «Maya, e comunque non diventi l’oracolo ma solo l’esecutore del… ». «Rose! Ti prego!». «Scusa». «Io ho un piano». Tutti si girarono verso Emily che sorrideva con un’insopportabile aria di superiorità. «E sarebbe?» chiese Matt speranzoso. «Ma dipende tutta da una cosa… quanto sei disposto a rischiare». «Tutto» rispose il moro senza riflettere. «Sicuro?» chiese Emily stringendo gli occhi e fissandolo seria. Matt chiuse gli occhi e respirò a fondo. Quando li aprì conosceva la risposta. «Si».

Mi avvicinai alla porta del club esitante, loro dovevano essere dentro. Mi accarezzai le labbra, lì dove Rose mi aveva dato quel bacio di saluto leggero e delicato come zucchero a velo. Presi un profondo respiro e suonai al campanello.  Dopo alcuni minuti una voce fredda mi rispose. «Matt Collins? Entra entra». La porta si aprì silenziosamente. Mentre entravo la accarezzai lievemente sentendo sotto la mano il metallo freddo. Dall’altra parte c’era Garcia che mi aspettava. Vestiva in modo elegante e mi fece un sorriso amichevole. «Benvenuto Matt Collins, ci hai trovati finalmente». Lo guardai disorientato. «Cosa?». «Sapevi che dovevi venire da noi vero, hai scoperto tutto del culto di Quetnitlan e hai saputo che stavi per diventare un oracolo vero?». Lo fissai con sguardo smarrito. «Dunque tu non sai?» mi chiese lui stupito, quasi indignato. «Cosa?» balbettai esitante. «Gli esecutori che non si suicidano… diventano a loro volta degli oracoli!» mi rivelò teatrale. Io trattenni il fiato sorpreso, ma vedevo che mentiva. Il tremito delle mani era incontrollabile e la fronte era imperlata di sudore. Dovevo stare al gioco. «Grandioso! Quindi adesso sono uno di voi?». «Certo» sussurrò Garcia dolce aprendo la porta che dava sul soggiorno del club. Era esattamente come Ruphert lo aveva descritto: meraviglioso. Oggetti di tutti i tipi decoravano le pareti con i quadri, le pagine di diario e i disegni autentici dei Conquistadores. Su divani comodi e ampi stavano sedute sei persone, tutti con gli stessi zigomi pronunciati e la carnagione abbronzata. Appena entrai Garcia chiuse la porta dietro di noi e sogghignò. «Piccolo profano idiota! Credevi davvero che un Garganta potesse diventare uno di noi? I poteri sacerdotali si trasmettono solo da maestro a discepolo!». Immediatamente tutti gli oracoli si alzarono di scatto puntandomi addosso le pistole che fino a quel momento avevano tenuto nascoste. «Sai perché ti ho fatto vedere questa stanza?». Lo guardai spaventato. «Sai perché ho permesso che questi preziosi cimeli si sporcassero con il tuo sguardo impuro?». Feci un cenno di diniego. «Questa stanza, questa magnifica stanza, è completamente insonorizzata» rise Garcia, accompagnato dagli altri sei. «E adesso sudicio Garganta, adesso muori!».

La polizia arrestò Estéban Garcia e gli altri adoratori del serpente a due teste. Gli altri tre membri che non erano presenti nella stanza furono fermati all’aeroporto mentre stavano per imbarcarsi su un aereo per la Turchia. La carica di dinamite che Matt Collins aveva piazzato sulla porta blindata permise agli agenti di irrompere nell’appartamento del club e di fare il proprio lavoro. Fu scoperto un magazzino sotterraneo pieno di armi da fuoco e di quella strana droga bianca che trasformava le persone in assassini. Il caso fu archiviato nel grande schedario verde dei casi risolti. In quanto a me… Rose McDemos, quando entrai nello sfarzoso salotto decorato e vidi il corpo esangue di Matt ebbi la tentazione di uccidermi. Poi Matt si alzò, un brutto taglio sulla guancia che sanguinava copiosamente, ma illeso. E ora, che nella lunga gravidanza aspetto il parto di mia figlia, ho voluto partorire anche la storia, bella e terribile, di come io e Matt ci siamo incontrati. Di come ci siamo amati.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: Kronos333