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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    23/03/2010    1 recensioni
"Sognava. Sognava a occhi chiusi, senza dormire, non ci riusciva più da troppo tempo. Sognava quando ancora il mondo era avvolto dalla luce, quando ancora pulsava di vita. Quando ancora era viva lei. Perchè c’era anche lui con lei. Più di un amore, più di ogni altra cosa. Suo fratello." è dedicata a chiunque abbia un rapporto non proprio idilliaco con il proprio fratello o sorella. Si dice che le lacrime non servano a nulla, ma dalle lacrime potrebbe rinascere una vita.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Carlo&Matteo, Carlotta&Matteo'
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Dalle lacrime…

 

Sognava.

Sognava a occhi chiusi, senza dormire, non ci riusciva più da troppo tempo.

Sognava quando ancora il mondo era avvolto dalla luce, quando ancora pulsava di vita.

 

Quando ancora era viva lei.

Perchè c’era anche lui con lei.

 

Più di un amore, più di ogni altra cosa.

 

Suo fratello.

 

Sollevò di scatto le palpebre, incrociando solo il buio della sua stanza, fredda e vuota.

Lentamente, rabbrividendo per il freddo, si mise seduta: la grande finestra era aperta, spalancata su un mondo ormai morente.

 

Il gelo della notte s’incontrava con la polvere che danzava, mossa dal freddo vento che soffiava ininterrottamente da tempo immemore, disegnando debili sagome; per un attimo, le sembrarono figure umane, le sorridevano gentili, alzando una mano.

 

Lei ricambiò, cercando di trovare la forza in quel sorriso, ma qualcosa sembrava bloccarlo nel più profondo del cuore.

 

La polvere riprese a volare, altre e altre sagome presero forma, presero vita al di fuori di quella finestra, camminavano, danzavano, ne sentiva il lontano e indistinto borbottio, il soffice passo sulla sabbia del deserto fuori da lì.

 

Le batteva forte il cuore, stava seduta tra le lenzuola, eppure le sembrava quasi di volare, vedeva davvero le stelle oppure era un sogno?

 

Erano davvero tornate?

 

Una delle figure erranti si voltò improvvisa verso la sua finestra, verso di lei, guardandola fisso, i loro visi s’incontrarono.

 

Una scossa elettrica percorse con violenza il suo corpo, qualcosa si spezzò dentro di lei; come mossa da una forza invisibile, forse era il cuore a comandare i suoi movimenti, si alzò di scatto, tutto si stava illuminando.

 

Completamente nuda, uscì dalla buia stanza, dalla casa silenziosa e vuota, e si ritrovò fuori, in balia del forte vento, del ruggente dolore che eruttava con la forza di un tornado dal profondo del suo animo mutilato; ma si impose di non piangere, di ricacciare le lacrime pungenti dal luogo in cui erano da sempre relegate, ci sarebbe stato tempo per piangere, se davvero fosse stato...

 

Barcollando, mosse qualche timido passo, si sentiva come una neonata che cercava di camminare, di reggersi in piedi da sola; alzò lo sguardo, un calderone ribollente di stelle cadenti sembrava illuminare la volta celeste sopra di lei.

 

Era lì davanti, mancava così poco...

 

Allungò una mano, le sue dita sottili si strinsero attorno a un polso ossuto, liscio e caldo al tatto, sentiva la pelle umana pulsare sotto il suo tocco timido e tremante.

 

Tutto parve fermarsi, anche il respiro.

 

In un guizzo di luce, scorse di sfuggita un sorriso, scanzonato e divertito sul viso della figura polverosa e nebulosa che stava dinanzi a lei.

Un sorriso che conosceva bene.

 

Non ce la faceva più.

 

Come una bambola rotta, cadde in ginocchio, portando con sè anche l’altro, caddero insieme, nella sabbia fredda, la mano scivolò, sino a intrecciarsi saldamente con quella dell’altro, come se fossero state sempre così, un calore improvviso eruttò dal fondo del suo cuore, assieme alle lacrime, un esplosione di dolore, affetto, gioia, tristezza la fece barcollare, sino a cadere bocconi sul terreno soffice.

 

Ma non lasciò il contatto.

 

Non poteva lasciarlo.

 

Sentì le palpebre pizzicare, la familiare sensazione di pianto e lacrime, non riusciva a dire nulla, la bocca s’apriva e si richiudeva senza che lei riuscisse a emettere alcun suono.

 

Ma anche se non riusciva a dire nulla, riusciva ancora a muoversi.

E senza pensarci su, gettò le braccia al collo all’altro, ne riconobbe il calore mentre poggiava il viso sulla spalla, lo ricordò come sua metà.

 

La sua metà perduta.

 

Un singhiozzo doloroso venne attutito dal contatto con la pelle, strinse di più la presa, mentre tutto sembrava splendere ancora di più.

 

Attorno a loro due, inginocchiati laggiù, in quel luogo che pareva essere il centro dell’Universo, accadde qualcosa in quel momento.

 

Cominciò come una semplice luce, un puntino luminoso, somigliante a un fuoco fatuo, ma troppo brillante per esserlo.

 

Poi crebbe, crebbe, crebbe ancora, sino a diventare un piccolo sole, ma non era ancora suffciente, tremolava debolmente, fragile come un bambino appena nato.

 

Quando poi cominciarono a scorrere le lacrime, accadde il miracolo.

 

Il canto lontano e dolce di un uccello risuonò nella notte, l’aria si fece calda, un vento profumato proveniente da Oriente fece alzare loro la testa.

 

In un tripudio di fiamme e oro, stava sorgendo l’alba.

 

La notte era sparita, e con lei il dolore.

 

Sotto i suoi occhi stupefatti e colmi di lacrime, la ragazza incontrò due occhi gemelli ai suoi, riconobbe un viso che credeva di aver perduto per sempre.

 

Riconobbe la sua metà.

 

Riconobbe l’oggetto dei suoi sogni, dei suoi pianti e dei suoi rimpianti.

 

Riconobbe la mano che serrava la sua, la stessa mano che la guidò tanti anni prima.

 

Riconobbe con commozione il fratello.

 

E mentre il mondo tornava a vivere, laggiù, al centro dell’Universo, splendeva una nuova luce.

   
 
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