I miss you
Fu una vibrazione a
svegliarmi: qualcosa che faceva tremare il cuscino che stavo abbracciando
teneramente. Ci misi un po’ a capire cosa fosse: il mio cellulare. Colpa
di Davide: era stato lui a pregarmi di tenerlo lì, sotto il guanciale. Avrei
dovuto sospettare che me ne sarei poi pentita. Allungai la mano ed afferrai il
telefonino seccatore. Aprendo appena appena un
occhio, vidi il suo numero sul display. Pigramente me lo portai
all’orecchio e risposi.
–Piccola? Dormivi?-
Accennai giusto un mugolio,
gli sarebbe bastato a capire. Ma non demorse:
-E’ Natale. Devi
alzarti, piccola. Vieni con me-
Sbattei le palpebre e cercai
di inquadrare le lancette dell’orologio: l’una e venti.
–Davide… sarà
ancora Natale fra cinque o sei ore. Non puoi aspettare?-
Lo conoscevo abbastanza bene
da intuire quando sorrideva per qualcosa che avevo fatto anche non vedendolo:
ora stava sorridendo.
–No, piccola. Devi
venire ora. Dai Lari, per favore. E’ importante. Segui la musica. I miss
you…-
Detto questo chiuse la
comunicazione. Cosa? Mi stava prendendo in giro? Fu in quel momento che sentii
la musica, e mi venne quasi un colpo: era la canzone I miss you dei Blink 182.
Ma come? Senza pensarci troppo scivolai giù dal letto. La parte cosciente del
mio cervello si stava drasticamente opponendo al lasciare il calduccio del
piumone, ma quando Davide ne combinava una delle sue, era la parte incosciente
di me che aveva la meglio. Aprii rapida l’armadio e svestitami infilai
una felpa a caso ed un pantalone, quindi un paio di scarpette bianche. Aprii
lentamente la porta, ed ecco ancora la musica. La seguii lungo il corridoio di
casa, poi giù per le scale, fino fuori il portone del palazzo. Guidata dalla
musica. Non riuscii mai a capire come avesse fatto: se installando un impianto
stereo nascosto lungo il percorso che dovevo percorrere o chissà come…
l’unica cosa certa è che quella canzone fu il sottofondo
dell’intera serata. Chiudendomi il portone alle spalle vidi subito Davide:
dall’altro lato della strada, con un jeans blu ed una felpa nera, il
cappuccio tirato sulla testa. Piegando il dito mi fece segno di avvicinarmi.
Ubbidii, e completamente fiduciosa strinsi la mano che mi porgeva. Percorremmo
all’incirca mezzo chilometro: a piedi, mano nella mano, per quella
strada deserta, illuminata solo dalla fievole luce dei lampioni. Tirava un
po’ di vento e la desolazione che ci avvolgeva, dava al luogo
un’atmosfera quasi spettrale, ma non mi toccava niente in quel momento:
concentrata solo sulla calda mano di Davide che stringeva la mia, attenta a
seguire il suo passo, interessata ad ogni suo più piccolo movimento. Si fermò
davanti ad un cancello altissimo: ci passavo davanti quasi ogni giorno, ma non
mi ero mai chiesta cosa ci fosse dietro. Coperto d’edera, e
affiancato da muri altissimi, scoraggiava i passanti dal tentare di sbirciarvi
oltre. Ma fu lì che Davide si fermò. Estrasse da una tasca dei pantaloni una
grossa chiave di rame e la infilò nella toppa, girandola senza difficoltà. Il
ritmo del mio cuore aveva già iniziato ad aumentare, ma quando Davide
lasciandomi la mano, si portò alle mie spalle e con una striscia di seta rossa
mi coprì gli occhi, prese a battere tanto forte da farmi temere che potesse
farmi male. Davide mi abbracciò da dietro e lentamente si piegò, avvicinando le
labbra al mio orecchio. Riuscivo a sentire il suo respiro sul mio collo, le sue
dita a stringermi i fianchi:
-Piccola? Sei pronta per la
sorpresa di Natale?-
Riuscii a malapena ad
annuire, troppo agitata per riuscire ad articolare una risposta. Lui mi prese
per mano e aperto un piccolo passaggio mi fece procedere all’interno del
cancello, quindi con un calcio se lo richiuse dietro. Mi guidò lui, attento a
non farmi inciampare o sbandare. Ogni tanto però era lui a scartare leggermente
così bisbigliai:
-Che succede?-
Lui ridacchiò:
-Niente. Solo che è buio-
Ero sempre più confusa:
-Ma se è buio perché mi hai
bendata?-
Sbuffò divertito, come se
fosse una domanda banale:
-Non voglio rischiare che tu
veda qualcosa: altrimenti che sorpresa sarebbe, piccola?-
Giusto. Logica
inattaccabile.
Mi rimproverai mentalmente
per essermi vestita troppo leggera quando una folata di vento mi fece
rabbrividire: non era il momento per cedere a futili sciocchezze. Davide però
se ne accorse e mi lasciò un attimo. Lo sentii agitarsi per qualche istante e
poco dopo mi stava facendo indossare la sua felpa.
–Ma così non avrai
freddo tu?-
Mi riprese per mano e rise:
-Non ti preoccupare,
sopravvivrò-
Dopo pochissimo si fermò di
nuovo. Cercai di capire cosa fosse successo ma lui si spostò alle mie spalle e
mi sciolse la benda, sostituendola rapido con la sua mano.
–Siamo arrivati.
Pronta?-
Poco ci mancava che gli
svenissi fra le braccia. Cosa poteva aver mai organizzato? Annuii e lui tolse
la mano. Mi girai per guardarlo e lui fu la prima delle tante sorprese:
indossava un dolcevita nero, che gli accentuava ancor di più il grosso torace
muscoloso, ed un cappello da babbo natale. Mi avvicinai di più e con le dita
gli spostai il pon pon bianco sulla spalla destra.
Feci per alzarmi sulle punte dei piedi e baciarlo ma lui mi fermò e guardandomi
negli occhi mi chiese:
-Non vuoi vedere il resto?-
C’era
dell’altro, certo.
Non mi diede il tempo di
annuire che aveva fatto comparire non si sa da dove una specie di telecomando
nero.
–Premi il bottone-
mi sussurrò. Ed ubbidii,
ancora una volta. E luce fu. Mi guardai in torno, cercando di capire se fossi
realmente uscita dal mio letto. Forse era tutto un sogno… ma no, era troppo
bello anche per essere un sogno.
Solo Davide era capace di
tanto.
Da fuori non si poteva
neanche minimamente immaginare quanto spazio vi fosse al di là di quel
cancello: era un posto a dir poco immenso. Davide ed io eravamo in uno spiazzo
circolare di forse trenta metri, e tutto intorno a noi, ad un intervallo di
forse mezzo metro l’uno dall’altro vi erano centinaia e centinaia
di abeti. Ogni albero era ricoperto di lucine: tutte semplici, bianche, i cui
fili non si vedevano, sembravano quasi delle stelline intrappolate fra i rami.
Vi erano alberi di natale a perdita d’occhio. Avevo smesso di respirare.
Tentai di riprendere fiato ma la mia impresa fu bloccata sul nascere non appena
mi accorsi di un’altra cosa, riguardava il cerchio più vicino di abeti:
sotto ognuno di essi vi erano fra i tre ed i quattro pacchi regalo, incartati
in maniera stupefacente, per non contare i pacchettini che ogni tanto pendevano
dai rami, retti da fili invisibili, come sospesi in aria… Tornai a
guardare Davide, incapace di credere ai miei occhi.
–D. io non so che
dire? Come… è assolutamente bellissimo, io davvero non so…-
Lui sorrise, e mi poggiò un
dito sulle labbra:
-Non devi dire o fare
niente. La luce nei tuoi occhi in questo momento è il regalo più bello di
tutti.-
Sentii un pizzicorio agli
occhi. Ecco, quasi mi mettevo a piangere! Pazzo che non era altro!
Ma che gli passava per la testa? Forse il cappello da babbo natale era troppo
stretto… mi ci buttai letteralmente addosso, gettandogli le braccia al
collo. Gli tolsi il cappello e lo indossai.
Mi regalò un sorriso che non
dimenticherò mai.
–Che c’è?-
Lui scosse la testa,
guardandomi dritto negli occhi, con un mezzo sorriso sulle labbra.
–Sai quella canzone che fa: “All I want for Christmas is
you” ?-
Sospirai, cercando di
calmarmi, di far tonare il cuore a battere ad una velocità vagamente normale,
di far tornare l’aria a visitare i polmoni, di dare la possibilità ai
miei occhi di vedere qualcosa che non fosse appannato per via delle lacrime
pronte a scendere, o alla bocca di rilassarsi da quel sorriso enormemente
largo… ma fu tutto inutile: quando Davide entrava in modalità romantica,
niente lo fermava, come niente avrebbe potuto descrivere come in quel momento
stessi per impazzire.
Continuammo così: io in braccio
a lui, scambiandoci il cappello, baciandoci per momenti interminabili, ridendo
senza alcun vero motivo… al centro di quella foresta di alberi di natale,
alle due di notte, con il vento che inutilmente tentava di raffreddarci…
la notte di natale…