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Autore: Miluna    23/03/2010    4 recensioni
(Air TV) Questa è la mia prima fic, incentrata su Misuzu e la sua malattia. Spero vi piaccia. :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era sdraiata su quel pavimento tanto rigido e freddo, sola come un cane.

Sì, proprio come un cane. Uno di quei cani che si vedono per strada e suscitano pietà nella gente, con il loro pelo tutto spelacchiato e le numerose ferite presenti.

Ferite dolorose, per giunta. Ferite sanguinanti che non si possono cancellare, e mai si cancelleranno.

Le gambe tremavano per le fitte. Alla fine era sempre stato così. Lei era condannata alla solitudine. L'avrebbe accompagnata fino al letto di morte. I colpi alla porta arrivavano a pulsare nei suoi nervi, come tormenti incessanti.

Misuzu, apri!” protestò Yukito senza capire.

Non aveva neanche la forza per rispondergli, per dire qualsiasi cosa.

E chi poteva capire, poi. Era considerata una pazza, e forse chi la giudicava così non aveva tutti i torti. Non avrebbe mai dovuto far coinvolgere Yukito, era un bravo ragazzo e non se lo meritava.

Il sangue premeva nelle tempie, poteva sentire il battito rapido e irregolare persino senza toccare le vene. Sarebbe passata anche questa, avrebbe voltato pagina anche questa volta.

Per quanto quella pagina fosse pesante e lei non avesse la forza per farlo, l'avrebbe fatto comunque. Lei era forte, e doveva comportarsi da tale.

Dannata lei, poi. Davvero era stata così cattiva? Cosa aveva fatto per meritare tutto questo?

No, di amici non ne poteva avere, se ci teneva alla sua vita. Perché chi diventava suo amico prima o poi sarebbe stato coinvolto nella sua malattia, e mai ne sarebbe uscito, se non con l'abbandono.

Un abbandono ormai perenne. Tutti l'abbandonavano, ma lei non voleva mai farne vedere i segni. L'importante era sorridere, sempre e comunque. Dopotutto, le persone allegre danno anche più nell'occhio. Ed eccola ancora a pensare a come farsi notare. No. No. Doveva smetterla.

Yukito continuava a dare colpi alla porta, ed ogni colpo era una stretta al cuore. Era talmente doloroso che ormai si ritrovava rannicchiata per terra, in attesa che tutto finisse.

Un'attesa che sembrava interminabile, perché Yukito continuava a colpire, il sangue continuava a premere, le fitte insistevano sempre di più, i dolori laceranti non cessavano.

Ma prima o poi sarebbe finito tutto. Yukito si sarebbe arreso, la circolazione del sangue avrebbe ripreso un ritmo normale, le fitte si sarebbero attenuate e il dolore sarebbe sparito.

Non ci sperava più nella possibilità di curare le cicatrici impresse nel cuore, quelle non sarebbero mai sparite. Ma l'importante in quel momento era che tutto finisse.

Tutto.





  
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