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Autore: The Corpse Bride    26/03/2010    4 recensioni
Effy e la sua psicosi.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elizabeth Stonem, Freddie Mclair
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(Nda: da collocarsi nel quinto episodio della quarta serie; poco prima della gita al parco e del tentativo di suicidio di Effy.
Il titolo viene dalla canzone Goodnight Moon di Shivaree, che si adatta molto all’atmosfera che volevo rendere per questa fanfic.
Non so se dovrei alzare il rating dato che, pur non succedendo effettivamente nulla, parla di cose abbastanza inquietanti. Magari se lo trovate inadatto fatemelo sapere :). Grazie!)




Iniziava a mancarle l’ossigeno, ma cercò comunque di respirare piano. Piano, piano. Senza fare rumore. Se l’avessero sentita respirare, si sarebbero accorti che era lì e sarebbero venuti a prenderla.
Iniziava ad essere scomoda in quella posizione, ma se si fosse mossa si sarebbero accorti che era lì, e sarebbero venuti a prenderla.
Sepolta sotto le coperte, non aveva il coraggio di allungare la testa fuori per prendere una boccata d’aria. L’avrebbero presa. Loro, al buio, ci vedevano. E si sarebbero accorti che si era esposta per prendere quella boccata d’aria. Doveva rimanere nascosta lì sotto, respirare piano e rimanere immobile. Freds sarebbe tornato presto. Quando c’era lui, in casa, loro se ne andavano; probabilmente sbuffavano quando scivolavano fuori dalle finestre e ritornavano negli angoli bui, perché, ed Effy lo sapeva, aspettavano soltanto che fosse da sola per poterla finalmente acciuffare.
Era ben consapevole di non poter sfuggire, prima o poi l’avrebbero presa e fatta a pezzi, lo sapeva. Ma finché c’era Freds non potevano farle nulla. Freddie era forte, materiale, tangibile; lui li spaventava. Ma lei no. Lei era invisibile e stava lentamente svanendo nell’oscurità. L’avrebbero presa. Sicuramente l’avrebbero presa.
Avrebbe voluto alzarsi ed andare in bagno, ma non aveva il coraggio di allungare un braccio fuori dalle coperte per accendere la lampada. Gliel’avrebbero mangiato a brani. Avrebbero ghignato con i loro occhi spiritati e si sarebbero precipitati tutti attorno al suo braccio, in attesa di mangiarlo a brani.
E se c’erano dei buchi, nella sua barricata? E se ci fosse stato uno spiraglio tra l’orlo delle coperte e il materasso? Loro ci vedevano al buio; sicuramente l’avrebbero trovato e strisciando si sarebbero infilati sotto le coperte con lei, per riderle in faccia e poi mangiarla a brani. Doveva accertarsene, in qualche modo. Ma non aveva il coraggio di muovere braccia e gambe per controllare. Avrebbero potuto localizzarla.
Il vento da fuori faceva strani rumori minacciosi. È il vento, si ripeté. È solo il vento. Ma non era vero. Stavano urlando che sarebbero venuti a prenderla. Era un avvertimento, una premonizione. Avrebbe fatto meglio ad andarsene, o a morire. Se fosse morta, sicuramente nessuno le avrebbe più urlato che stavano per venire a prenderla. Presto la voce del vento sarebbe entrata in casa e le avrebbe urlato in faccia che adesso l’avrebbero mangiata a brani, e avrebbe sollevato le coperte col suo soffio e a quel punto le si sarebbero precipitati addosso e l’avrebbero fatta a pezzi.
Tutto era silenzioso, ma lei era sicura che ci fosse qualcuno che stava salendo le scale per ammazzarla. Solo che non faceva rumore, erano furbi, loro, non si facevano scoprire come lei. Era certa comunque che ci fosse qualcuno, era solo questione di affinare l’udito. Affinò l’udito; non si sentiva niente, ma era certa che prima o poi si sarebbero fatti vicini. Già si figurava il loro rumore nella testa. Perché non si facevano sentire, così da farla finalmente finita? Non ce la faceva più ad aspettare, aspettare, e loro non la uccidevano mai. Facevano finta di non esserci, ma c’erano eccome. E il rumore c’era, da qualche parte. Nella sua testa? No, c’era, lì sulle scale, poteva raffigurarlo nel cervello; cercò quel suono nell’aria circostante, ma non era chiaro. Era indistinto. Era il suo cervello? C’era davvero? Adesso sarebbe arrivato, finalmente?
Stava sudando e i brividi le torcevano il collo, ma non si mosse. Non respirò. Il minimo rumore o spostamento li avrebbe richiamati tutti. Erano sempre molto attenti a ciò che accadeva intorno a loro, e volevano lei.
Come avrebbe fatto ad alzarsi, gettandosi in pasto a loro, e cercare a tentoni la luce mentre loro si avvicinavano strusciandolesi addosso nel silenzio, e poi accenderla e attraversare il buio nel corridoio, nelle altre stanze, giù dalle scale e nell’inferno? Rifuggivano dalla luce come belve di fronte al fuoco, ma si ritiravano nelle stanze vicine, aspettandola per fargliela pagare. Anche se non le avessero fatto nulla sapeva che amavano torturarla, farle aspettare la sua fine tra guizzi d’ombre, strane luci, movimenti sconnessi sulla coda del suo occhio.
Ma quando c’era Freds, quando c’era lui, allora scomparivano. Questo anche perché lei non li cercava più spasmodicamente, facendo schizzare lo sguardo ovunque in cerca di quel ghigno e dello scintillio della lama.
Quando c’era Tony, non c’erano mai. Sapeva che quando fosse tornata a casa lui l’avrebbe salutata dalla finestra; e non aveva paura di salire le scale perché lì in cima, nella camera accanto, c’era lui. C’era, o sarebbe arrivato presto, nel caso avesse fatto più tardi di lei.
E adesso, invece, anche quando fuori c’era il sole, dentro era come vivere nella casa delle ombre. Non importava quanto spesso potesse controllare dietro le tende, negli angoli, dentro agli armadi, negli interstizi tra i mobili e la parete. Loro sguisciavano dietro i mobili o sottoterra e si nascondevano altrove… oppure, ghignando maleficamente, le giravano attorno e si appostavano dietro di lei, e la seguivano, e la osservavano. Si chiudeva a chiave in tutte le stanze, controllando terrorizzata il buco della serratura da cui, ne era certa, la stavano guardando, e non riusciva più a muoversi finché non arrivava Freddie, gli occhi puntati su quella maledetta serratura.
E mentre non controllava la serratura era certa che dagli altri angoli stessero galleggiando attorno a lei, in attesa di mangiarla a brani.
Lei era debole, e loro lo sapevano. Lei non aveva più alcun potere, e intendevano approfittarsene. Era preda facile, ora. L’unico che poteva salvarla era Freddie, ma, per l’appunto, Freddie era anche l’unico che poteva condannarla, perché, quando non c’era, loro l’assalivano.
Sospirò, e subito se ne pentì. L’avevano sentita? Stava per morire? Era la fine di quella tortura straziante?
No, non lo era mai. Mai, a parte quando si drogava o si ubriacava al punto da cadere addormentata sul divano, senza rendersene nemmeno conto. In quel caso riusciva a chiudere gli occhi senza sentirsi divorata dal panico. Ma Freds le aveva tolto la bottiglia dal comodino, e comunque non poteva tirare fuori una mano e prenderla, e quindi come avrebbe fatto a dormire?
Aspettò Freddie. Sarebbe arrivato, prima o poi. Si ripeté. Tornerà, si disse.
E se non tornasse?, le dissero loro.
Ma il punto era, loro parlavano dentro o fuori la sua testa? Spesso non riusciva a distinguerlo. Forse abitavano nella sua testa. O forse la sua testa era tutta la sua casa. Forse la sua mente era uscita dal cervello e si era sparpagliata in ogni angolo buio. Forse stava per morire. Forse avevano sentito il suo sospiro e l’avrebbero mangiata a brani. Forse…

-Eff?

Una scarica di adrenalina la paralizzò dalla paura.
-Eff, sono io. Sei di sopra?
Era Freddie. Era solo Freddie. Freddie, che la trovò rigida, tesa, con gli occhi spalancati sul vuoto e le membra immobili, richiuse su se stesse.
-Hai di nuovo dormito tutta la mattina, mh…?
La prese dolcemente tra le braccia, ed Effy si sentì come se l’avessero liberata dalle catene, tirata fuori da una scatola angusta in cui era stata chiusa troppo tempo.
Gli occhi finalmente le si chiusero, senza alcun pensiero.
Ma…?
No, non era tranquilla nemmeno ora. Perché? Una volta bastava che Freddie fosse lì, perché si sentisse sicura. E invece ora perché aveva paura che la prendessero? Freddie non era più in grado di spaventarli, di cacciarli via…?
O forse sapevano che lei, in fondo, non lo riteneva più in grado di proteggerla…?
La vodka. La vodka avrebbe risolto tutto.
-No, Eff… basta. Facciamo colazione.
-Ma faranno colazione con le mie budella, se non bevo la vodka.
-Chi…?
-Loro.
Le parve di sentire Freddie sospirare; faceva finta di non capire, ma sapeva benissimo; sospirava solo per rassicurarla. E ora loro riuscivano ad arrivare fin dietro la schiena di Freddie, e li stavano circondando. Certo, non avrebbero preso lui, ma era certa che se avesse fatto penzolare una mano dal bordo del letto gliel’avrebbero staccata e l’avrebbero mangiata. Oppure l’avrebbero guardata con ingordigia ed accarezzata impercettibilmente, invisibili e voraci, e lei non poteva vederli ma sapeva, sapeva che c’erano. Gliene davano sempre mille segni.
A volte vedeva i loro occhi, solo i loro occhi, cerchiati e iniettati di sangue, e ridevano come dei demoni. Non li vedeva davvero, non con le pupille e tutto il resto, ma sapeva che erano lì e che avevano quegli occhi. Prima o poi si sarebbero palesati e avrebbe scoperto che aveva ragione, e allora sarebbe morta.
-Sanno che possono farlo – disse a Freddie, con voce roca. Lui la guardò interrogativo. – Uccidermi. Ora possono. Lo sanno.
-Nessuno vuole ucciderti – lui l’abbracciò, ma sapeva che dietro la sua schiena c’erano loro pronti a morderle le braccia. Le ritirò subito e si raggomitolò sul torace di Freddie; lì era al sicuro, come sotto le coperte, a patto che non si muovesse. A patto che rimanesse lì per sempre.
A patto che lui non se ne andasse.

Un giorno avrebbe messo una fine a tutti quegli sguardi diabolici che la fissavano dagli angoli nascosti.
Era stanca di aspettare che si decidessero loro.
Se non l’avessero fatto in tempi brevi, pensò solennemente abbandonandosi al sonno tra le braccia di Freddie, presto avrebbe trovato il modo di farlo lei.



-Freddie! Effy non vuole uscire dal bagno.
  
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