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Autore: Pseudonimo Letty    29/03/2010    2 recensioni
"In quei giorni non facevo altro che sentire la mia vita un peso. La realtà mi cominciava ad essere cruda, insapore, incolore e inodore… Tutto mi sembrava serio, grigio… Da quando avevo iniziato a fare quello strano sogno sentivo la realtà come una prigione. Odiavo questo mondo, o almeno questa parte, così fredda, triste e... semplicemente NORMALE"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente, come state? Spero bene. Finalmente per la prima volta pubblicherò una mia storia! (applausi grazie! XD)

Comunque spero davvero che vi piaccia questa mia storia. Annuncio subito che non è ambientata all'epoca vittoriana dell'Alice di Carrol, ma è ambientata ai nostri giorni. Cosa succederà? Scopritelo qui sotto!

Buona lettura a tutti! ;-)

Return to Wonderland

CAPITOLO 1 – Buon compleanno Alice

NAR ???

 

Tutto è buio. Non vedo niente e nessuno vicino a me…

Poi, la luce! Una luce accecante e bianca, come una stella. Cammino coprendomi gli occhi con il braccio destro e dopo qualche passo la luce si affievolisce. Davanti a me ora vedo una porta scura, probabilmente fatta di mogano. Accarezzo le venature del legno, leggermente curiosa ma anche diffidente. Non riesco a parlare, non riesco a pensare a cose raziocinanti. Un quesito mi viene in mente.

Tu hai l’idea del perché un corvo assomigli a una scrivania?

 

Che domanda assurda… Da matti!

Ad un tratto la porta si apre, lentamente, provocando scricchiolii. Al di là di essa vedo un meraviglioso giardino e un cielo limpido. Qua e là si trovano bellissime aiuole di fiori. Mi avvicino a una rosa di colore rosso, il mio fiore preferito. Inspiro il suo dolce e intenso profumo, chiudendo gli occhi. Quando li riapro, mi ritraggo di tre passi, spaventata da ciò che vedo. I petali del fiore sembrano disegnare un volto umano! Due occhi, una bocca e alcune rughe…

Corro attraverso il sentiero del giardino, voglio scappare, nonostante non ci sia nulla che mi spaventi veramente.

Mi ritrovo in un bosco, tra alberi di ciliegio io fiore. Alcuni petali mi sfiorano il viso mentre cadono, come una delicata pioggia.

Davanti a me vedo all’improvviso una donna. Sembra quasi un angelo, con quei lunghi capelli candidi e il vestito bianco. Solo gli occhi e le labbra sono nere come pietre di onice. I miei occhi incontrano i suoi; la donna mi sorride. Io rimango impassibile, leggermente perplessa. Mi tende una mano verso di lei sempre sorridendomi; io tendo a mia volta la mano e mi avvicino.

Ma non appena tocco la sua pelle fredda… Mi sveglio.

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Mi ritrovai nel mio letto, sudata e ansimante. Era la decima volta che facevo lo stesso sogno… Mi chiedevo continuamente cosa volesse dire. Molto lentamente mi stirai e mi misi seduta. Calzai le mie pantofole ed uscii dalla stanza. Quando arrivai in cucina un delizioso profumo di pane tostato mi avvolse, facendomi ritornare forza.

“Buongiorno” mi salutò Diana, la mia matrigna. Da quando era morto papà mi erano rimasti solo lei e il nonno Henry. Nonostante però non ci litigassi, io e Diana ci parlavamo poco, non so di preciso perché. Mi fidavo di lei, era premurosa come una mamma e mi era sempre sembrata una donna per bene... Mi fidavo di lei, ma non le raccontavo mai nulla di me. Forse perché la mia vita era quella di una normale adolescente; divisa tra scuola, amici, amori, sogni, ecc…

Salutai con un mezzo sorriso e presi due fette di pane. Quando mi sedetti le spalmai di marmellata di mirtilli. Mentre masticavo mi affiorarono strane idee nella mente.

“6 cose impossibili… Pensa a 6 cose impossibili…

1: esiste una bevanda che fa rimpicciolire

2: esiste un dolce che fa ingrandire,,,”

Non riuscii a pensare ad altro, mi stavo piano piano svegliando, ritornando alla realtà.

In quei giorni non facevo altro che sentire la mia vita un peso. La realtà mi cominciava ad essere cruda, insapore, incolore e inodore… Tutto mi sembrava serio, grigio… Da quando avevo iniziato a fare quello strano sogno sentivo la realtà come una prigione. Odiavo questo mondo, o almeno questa parte, così fredda e triste.

“Oggi è domenica” disse Diana. Sapevo già dove dovevamo andare. Ogni domenica andavamo a trovare il nonno e ovviamente questo comprendeva anche il giorno del mio compleanno.

Ad un tratto sentii lo schiocco di un bacio sulla mia guancia. “Oggi è domenica 6 Aprile… Buon compleanno Alice” disse dolce Diana. Sorrisi voltandomi, dandomi della stolta per ave quasi dimenticato il mio sedicesimo compleanno.

 

A casa del nonno c'ero cresciuta. Era una edificio grande e molto vecchio, ma in buono stato. Quando ero piccola il nonno mi portava a giocare in mansarda e mi divertivo un sacco a rovistare tra i vecchi vestiti e gingilli vari.

Per quel giorno mi ero infilata un normalissimo paio di jeans e una maglietta azzurra ed avevo messo un nastro blu tra i miei capelli corvini.

Dopo il pranzo Diana mi lasciò sola col nonno.

“Tieni. Buon sedicesimo compleanno” mi disse sorridendo e porgendomi una scatola. Quando la aprii ci trovai dentro un vestito. Era di colore azzurro chiaro, con alcuni merletti sulla gonna e sulle maniche corte. Lo distesi e lo avvicinai al mio corpo. Mi arrivava un po’ sopra al ginocchio.

“Provalo” mi incitò il nonno. Scossi la testa.

In tutta la mia vita non mi ero mai messa una gonna o un vestito, mi vergognavo troppo. Senza togliermi i jeans, mi infilai il vestito sopra la maglietta. Non era proprio adatto a stare sopra i pantaloni, ma faceva la sua bella figura. Il nonno fece una faccia rassegnata, un’altra volta avevo rifiutato di indossare un vestito e BASTA.

“Grazie nonno, è bellissimo… ma…”

“Ma cosa?” chiese perplesso.

“Lo sai che il mio colore preferito..”

“…è il rosso, lo so.” disse seccato “Ma il rosso non è un colore per le ragazzine. Le ragazze come te ai miei tempi portavano colori chiari fino al matrimonio, solo quando erano sposate potevano indossare altri colori. Il rosso è il colore del sangue, della passione. Non va bene per una bambina..”

Sbuffai, facendo cadere l’argomento. Non mi piaceva discutere con lui. Osservai di nuovo il vestito.

“Era della nonna?” chiesi.

Scosse il capo.

“Questo vestito era di una mia trisavola… Si chiamava come te, Alice.” Mi spiegò.

Feci un leggero sorriso, non sapendo se prenderlo come un complimento oppure no, e mi avvicinai al naso una parte della gonna. Profumava di glicine. Un profumo così dolce e delicato, sembrava quasi che il nonno lo avesse spruzzato di profumo per l’occasione. Forse era fatto di seta.

Il nonno mi fece segno di avvicinarmi.

“Sai…” disse sottovoce, come per rivelarmi un segreto “oltre a questo vestito, si è conservato un vecchio armadio pieno di altre cianfrusaglie di questa nostra antenata …” mi informò.

“E dove si trova ora questo armadio?” chiesi anche io sottovoce.

Il nonno sorrise. “Non è qui… Si trova proprio in casa tua, nella mansarda. È il grande armadio vittoriano che tuo padre volle prendere dopo le sue nozze con tua madre…” mi disse.

Queste informazioni mi interessavano… Un vecchio armadio nella mia soffitta, non me lo ricordavo.

 

Non appena tornai a casa avvisai Diana di non disturbarmi perché dovevo studiare.

Ma ovviamente, i miei progetti erano altri.

Velocemente mi cambiai, indossando un paio di leggins e il vestito che nonno mi aveva regalato. Mi tolsi il nastro dai capelli e me li spettinai un pochino. Ora mi sentivo più me stessa! Salii le scale della soffitta e finalmente cominciò la mia avventura.

Aprii la finestra, per vedere meglio. Intorno a me vedevo solo scatole di cartone impolverate. Alcune contenevano vecchi libri, altre vecchie foto di me e i miei genitori. In un primo momento pensai di mettermi a vedere quelle foto, ma subito ripensai a cosa potevo trovare nell’armadio vittoriano.

Ad un tratto scorsi una delle ante in fondo alla stanza … un brivido di emozione mi attraversò la schiena. Spostai le scatole che mi ostacolavano il percorso e finalmente arrivai davanti alle ante impolverate. Ebbi fortuna, perché la chiave che chiudeva le ante era nella serratura. La girai tre volte a destra e finalmente l’anta si aprì. Aprii anche l’altra anta e davanti a me vidi un’infinità di vestiti. Anche questi si erano conservati bene. Erano colorati e soprattutto bizzarri. Li spostai uno alla volta, sempre più stupita. Alcuni erano giganteschi, adatti per donne molto più alte di me, mentre altri erano talmente piccoli che sembravano confezionati per bambole.

Ad un tratto intravidi qualcosa sul fondo dell’armadio… era un’altra porta!

Aprii un varco tra i vestiti per vederla meglio. Era una porta scura come tutto l’armadio ed era contornata da incisioni bianche. Anche lì trovai la chiave già nella sua serratura.

Il mio cervello mi diceva di lasciar perdere, di richiudere quell’armadio e di tornare in camera. Ma qualcosa mi diceva di andare avanti, di scoprire cosa si nascondeva dietro quella porta. Allungai una mano e girai la chiave. La porta provocò un scricchiolo molto rumoroso mentre la aprivo.

Era tutto buio, ma lentamente feci alcuni passi in quella oscurità.

Improvvisamente però non sentii più il suolo sotto i piedi… Stavo precipitando!!

Urlai, urlai come non avevo mai fatto, ma nessuno mi sentì. La mia caduta fu buia e inarrestabile. Per paura di scontrarmi con qualsiasi cosa, mi strinsi le ginocchia al petto.

Dopo alcuni secondi sentii un violento impatto… Pensai subito di essere morta, spiaccicata al suolo e invece, quando aprii gli occhi, mi ritrovai avvolta da un’acqua scura.

Cercai di risalire verso la superficie, ma il mio corpo sembrava pesante come un mucchio di sassi. L’aria mi mancava. Svenni.

Come vi sembra questo primo capitolo? Lo so, forse non sarà tanto ancora, ma ne vedrete delle belle ve lo assicuro! Comunque, commentate se volete, un bacione a presto con il prossimo capitolo!

Piccola Letty =]

   
 
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