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Autore: Iria    31/03/2010    8 recensioni
Quando Veneziano parlava di suo fratello, lo faceva con apparente felicità ed un pizzico di orgoglio.
"Il mio fratellone è forte e, sicuramente, mi vuole un gran bene, nonostante preferisca stare da solo."
Ma passeggiando per le strade di Firenze senza alcuna compagnia, le sue lacrime differivano da quelle a cui Ludwig o una qualsiasi altra Nazione era abituata.
Silenziose e mute gli rigavano il volto pallido, inondando quei begli occhi castani in un’invasione per nulla violenta o offensiva... Ma infelice e delicata.
Questa è la mia seconda storia su Hetalia, spero possa piacervi; aspetto i vostri eventuali commenti/consigli/critiche costruttive ^^!
Un bacio, grazie per l'attenzione!
Iria.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di lacrime silenziose ed occhi scavati.

Veneziano non era un debole.
Per quanto stupido, per quanto ingenuo, per quanto influenzabile fosse, assolutamente la debolezza, quella umana almeno (per quanto riguardava quella militare e strategica, nessuno metteva in dubbio che la Nazione ci sguazzasse, in quest’ultima) non rientrava poi tanto nei suoi già bassi standard.
Ludwig ne era consapevole, certamente era una convinzione che in molti non avrebbero condiviso, ma chi meglio di lui poteva dire con sicurezza cosa ci fosse, o probabilmente, cosa non ci fosse in quella testa pasta, pizza e mandolino?
Nessuno, nessuno si soffermava sulla bellezza di Veneziano, sul motivo del suo sorriso, sulla grandezza dei suoi avi o sullo splendore delle sue opere.
Tutti loro preferivano prenderlo in giro o schiacciarlo sotto quel grande potere che vantavano, ma che agli occhi di Germania appariva pesante come solo una piuma poteva essere.
Già, Veneziano era anche un piagnone: le sue lacrime ed i suoi lamenti erano insopportabili, le sue improvvise voglie di pasta inappropriate ed irritanti…
Eppure nessuno aveva mai studiato il suo volto o ascoltato la sua storia, osservandolo mentre ne parlava.
I suoi occhi si aprivano, luminosi e caldi, e raccontava con amore ed accuratezza le imprese del nonno, fremendo ogni qual volta giungesse al punto in cui egli scompariva.
Rievocava i tempi del Sacro Romano Impero con un sorriso sulle labbra, nonostante quegli anni fossero stati piuttosto bui per la sua storia, come, d’altra parte, tutta l’età medioevale.
Le violenze, le continue invasioni ed il sangue che nutriva il terreno… Era, all’epoca, carne fresca l’Italia, pronta per essere servita come portata principale.
A nessuno importava degli stracci che a stento coprivano Veneziano e Romano.
A nessuno importava del sangue che scorreva sui loro volti o tra le loro gambe.
A nessuno importava della rottura definitiva tra quel legame gemellare, sfumato nel boato di un grido non udito.

Tutti pretendevano solo di possedere quelle terre.

Quando Veneziano parlava di suo fratello, lo faceva con apparente felicità ed un pizzico di orgoglio.
“Il mio fratellone è forte e, sicuramente, mi vuole un gran bene, nonostante preferisca stare da solo.”
Ma passeggiando per le strade di Firenze senza alcuna compagnia, le sue lacrime differivano da quelle a cui Ludwig o una qualsiasi altra Nazione era abituata.
Silenziose e mute gli rigavano il volto pallido, inondando quei begli occhi castani in un’invasione per nulla violenta o offensiva… Ma infelice e delicata.
E, a differenza di quello in cui molti credevano, Veneziano possedeva un amor proprio molto profondo, poiché aspettava di restar solo, prima di sfogare quel dolore.
Ludwig, infatti, aveva potuto vedere per un fortuito caso quel pianto: era in visita di piacere a Firenze e la città, allora, era stata colpita dalla pioggia.
Proprio mentre cercava di ripararsi dal maltempo, aveva intravisto Veneziano avanzare lentamente su Ponte Vecchio, senza un ombrello o altro, ma semplicemente stretto nella sua camicia azzurra ormai fradicia.
E Ludwig non l’aveva riconosciuto, per nulla: in quegli occhi colmi di lacrime era apparso, in un istante, un vecchio piegato dalle ferite e dal dolore, nulla che avesse avuto a che fare col Veneziano che conosceva.
Per un attimo aveva provato l’impulso di raggiungerlo e posargli una mano sulla spalla, chiedergli cosa fosse successo… Ma, presto, s’era reso conto che quel suo gesto sarebbe stato inutile e che lui stesso non sarebbe riuscito a muoversi da dov’era.
Osservò Veneziano andar via, cogliendo il verso di una canzone che la Nazione aveva appena iniziato a canticchiare:
“Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati, non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente.”
C’era stata così tanta, straziante dolcezza in quelle parole, che Ludwig provò un’insana rabbia.

“Stupido, stupido Italia.”

Inoltre, la maggior parte delle altre Nazioni derideva fortemente Veneziano, per il modo in cui, nel suo stesso territorio, dovesse essere sottomesso al Vaticano.
Lo stesso Gilbert, suo fratello, trovava estremamente divertente quella condizione e non perdeva occasione per sbeffeggiare Veneziano o entrambi i fratelli Italia, citando le novantacinque tesi di Lutero.
Se Italia recepisse o meno quella presa in giro, Germania non l’aveva ancora capito, però di sicuro non era unicamente Prussia a godere di quella piccola umiliazione a cui Veneziano e Romano erano segretamente sottoposti.
Non che l’idea di essere derisi sfiorasse i due gemelli in quei momenti: probabilmente, i meeting mondiali erano l’unica occasione che avessero per incontrarsi, per parlarsi e per litigare come normali fratelli, prima di tornare ognuno a casa propria.
E Ludwig davvero non comprendeva.
“Siete gemelli, una sola Nazione! Perché allora vi dividete in modo così netto?”
Aveva chiesto un giorno quando era a casa di Veneziano.
Questi, intento a preparare della buona pasta fatta in casa, inizialmente non rispose e Germania credette che volesse evitare l’argomento.
Quando, poi, Italia si sedette a tavola sorrise come suo solito.
“Siamo cresciuti in maniera differente.” Iniziò, affondando la forchetta nel piatto. “Lontani e distanti, con la costante paura di essere attaccati. Durante il Risorgimento per un attimo ci siamo sfiorati ed è stato bello, ma proprio allora abbiamo capito che non avremmo mai trovato un punto d’incontro.” Spiegò con leggerezza, risucchiando gli spaghetti allegramente.
“Germania mangia! La pasta è buona calda!” Lo incoraggiò, poi, con un’espressione buffamente seria.
Ludwig in quei momenti non capiva se Veneziano davvero non desse peso alla sua storia, o se questa fosse così dolorosa che la stessa Nazione preferisse liquidarla in fretta…

La sera del ventitrè novembre 1980 (come dimenticare quella data?) alle 19:30 il telefono di Germania squillò come non accadeva da tempo.
Ludwig sospirò, sollevando la cornetta: si aspettava un frenetico “Germania! Germania!” pronunciato con fastidiosa enfasi, ma ricevette solo una risposta stentata e tremante quando, alle 19:31, rispose:
“Ho paura.”
Quasi non riconobbe la voce di Veneziano.
Era abituato a sentirlo frignare, era abituato ai suoi insensati discorsi su quale tipo di sugo usare per rendere migliori i propri piatti…Ma mai, mai, aveva avvertito quel timore così profondo.
“Che succede, Italia?” Domandò intimorito, già pronto a correre in suo aiuto.
“La luna… Questa sera è rossa.” Rispose l’altro, balbettando con fatica.
19:33
Non sapeva neanche lui come spiegare al suo caro Ludwig quella morsa all’altezza del petto che gli impediva di respirare, il famelico dolore che in quegli attimi gli donava l’immagine di Romano.
Germania inarcò un sopracciglio, confuso.

La luna rossa?
Temeva lo strambo colore che quella notte il satellite aveva assunto?
Ah, spiegargli che era un fenomeno astronomico normalissimo gli sarebbe costato un bel po’ di tempo…
Stava per rispondergli, quando avvertì chiaramente la cornetta del telefono di Italia sbattere, probabilmente, sul pavimento.
19:34
Veneziano portò le mani al volto di colpo, piangendo.
Non un singhiozzo o un lamento rumoroso, solo lacrime… Tante e fredde sulle sue guance roventi.
Dall’altra parte della cornetta Ludwig quasi gridava.
“Italia!? Che succede?! Italia?!”
Ma Veneziano non l’udiva: nelle sue orecchie risuonava il grido lontano di Romano.
Gemette appena, premendosi le mani ai lati della testa…
E ad occhi sbarrati tremò, quando vide i palmi sporchi di sangue.

Ludwig era partito subito: era preoccupato per Veneziano e decisamente in ansia.
Oh, se quella si fosse dimostrata una delle sue tante sciocchezze quante glie ne avrebbe dette! Ma si rese conto che, effettivamente, era accaduto qualcosa di grave, poiché quando bussò alla porta di Italia nessuno arrivò ad aprirlo festante.
Si morse le labbra ancora più preoccupato e corse a cercarlo.
Lo inseguì per cinque giorni.
Il tempo che lo stesso Veneziano impiegò per arrivare a casa di Romano.

Macerie.
Ovunque.
Odore di sangue.

In ogni angolo.
Puzza di morte.
Ad ogni metro.
Alone di polvere.
In tutta l’aria.
Ludwig aveva assistito ad un simile scempio solo in guerra.
Le abitazioni squarciate, accasciate l’una sull’altra o spazzate via sembravano essere state preda di un crudele e sadico bombardamento immotivato.
Spettrale si era alzato il vento gemendo tra i tetti caduti, le braccia di alcuni cadaveri ancora schiacciati sotto le macerie facevano capolino tra le rovine, come macabri segnali stradali.
Era incerto se avanzare o meno verso Veneziano, il quale se ne stava inginocchiato al fianco di un corpo lungo disteso, che intuì fosse quello del fratello.
Aveva le mani graffiate, nere e sanguinanti, il suo Italia.
Erano gonfie e tremanti, ma non smettevano di carezzare e schiaffeggiare il volto cereo di Romano, in un tentativo disperato di richiamarlo a sé.

Sì, perché il suo fratellone non poteva essere scomparso.
“Romano..?” Singhiozzò, iniziando a scuoterlo debolmente.
Che importava se toccandolo il tormento alle mani cresceva?
Non erano niente quelle fitte, niente.

Niente in confronto al dolore che era stato tirare il fratello fuori dalle macerie.
Niente in confronto al dolore che era stato udire i gemiti degli ultimi superstiti seppelliti sfumare.

“Non lasciarmi.” Mormorò ancora, rassegnato, con un’ennesima carezza che rimosse della polvere dalla guancia della Nazione.
Germania, a quel punto, non riuscì a trattenersi oltre ed avanzò verso il compagno.
Osservò il cadavere di Romano, reso irriconoscibile dalle ferite e gli si seccò la gola, constatando quanto, tutto sommato, Veneziano somigliasse al fratello.
“Italia…” Lo chiamò in un sussurro strozzato, ma non riuscì a pronunciare altro: la Nazione si voltò e forse, senza neanche realizzare chi ci fosse lì con lui, lo strinse con forza.
Germania restò immobile in quell’ abbraccio, sprofondando nella vergogna per se stesso: non era riuscito a ricambiare la stretta e tanto meno a lenire il dolore del suo compagno.

Ludwig ricordava molto vagamente ciò che accadde dopo.
Per la prima volta Veneziano aveva versato quelle lacrime dolorose, che solo Germania aveva già visto, di fronte ad altre Nazioni.
Erano state silenziose e non assordanti come i suoi soliti ed inutili piagnistei… Identiche a quelle di Firenze.
L’aiuto dell’Eroe, di America, fu quello più parsimonioso, seguito subito da quello del suo Germania, che non l’aveva lasciato per un solo istante.
Senza contare, inoltre, i soccorsi ricevuti inaspettatamente da altri Paesi.
Veneziano li ringraziò tutti.
A cuore aperto.
E per una volta non offrì a nessuno un buon piatto di pasta fatto in casa o una pizza calda.

Il ventitrè novembre 1980 Italia del Sud moriva e Veneziano assumeva il controllo su un territorio troppo esteso in lunghezza, per le sue infime capacità.
Il ventitrè novembre 1980 moriva anche il sorriso di Italia del Nord, che non era stato in grado neanche di salvare il proprio popolo, a causa del suo ritardo.

Inutile Italia.
Già, era proprio l’Inutile Italia.
Fratellone…”
Che stupidi erano stati, non avevano più provato a riallacciare i rapporti ed il destino s’era mostrato sadico e crudele: non aveva concesso neanche un secondo di vita in più a Romano, il tempo che bastava a Veneziano per dirgli…
Ti voglio bene.
Una giusta punizione, già.
Ma perché la storia doveva essere disseminata di lutti e disastri?
Questo se lo chiedeva anche Ludwig, guardandolo in disparte.
Tempo prima, anche lui aveva perso suo fratello maggiore, fatto a pezzi sulla neve, e ben comprendeva i sentimenti di Veneziano.
I fantasmi dei morti gemevano e gridavano nella testa di Italia e Germania sapeva di non poter far nulla per spegnere quelle voci…
Impotente, si accostò al compagno, sospirando.
Il vento soffiava, trasportando a distanza di quasi trent’anni la stessa polvere e lo stesso odore che tempo prima aveva saturato l’atmosfera.
Una sola consapevolezza era solida nell’animo di Veneziano.

Non sarebbe finita lì.

Mesi dopo, nell’aprile del 2009, anche il cuore di Veneziano vacillò, come aveva fatto quello di Romano.
Fu ammirevole e certamente inaspettato, il modo in cui la Nazione si rialzò coperta di polvere e sangue, pronta ad andare avanti, nonostante l’indebolimento fisico e nonostante le lacrime che, ormai, gli avevano scavato gli occhi…

E Ludwig continuava a chiedersi come, un simile Paese, potesse essere definito ancora debole.

*Owari*

Salve!
Questa è la mia seconda storia su Hetalia (la prima riguardava la morte di Prussia) e credo debba dare alcune spiegazioni al riguardo O.o…
Immagino si sia capito che i riferimenti al novembre ’80 e all’aprile ’09 stiano ad indicare due terremoti ^^.
Perché questa scelta?
Il terremoto dell’ottanta con la sua distruzione e coi suoi 6,9 gradi Richter venne -e viene- tuttora definito come “La morte del Sud”, l’evento che contribuì anche a scatenare le prime crepe nella prima Repubblica, a causa  della mancanza di soccorsi immediati –arrivati cinque giorni dopo, appunto-.
Quindi sì, Romano muore e Veneziano assume sotto di sé il controllo sul sud, che sarà sempre troppo distante per poter essere curato in maniera adeguata, nonostante la debole e passata presenza di Romano non avesse, comunque, giovato al Mezzogiorno.
Poi ho fatto un chiaro riferimento al terremoto del 2009, quello in Abruzzo, di un grado più debole rispetto a quello dell’Irpinia.
Ho voluto sottolineare, con questo, un aspetto italiano che in tanti dimenticano (credo gli stranieri, per lo più): nonostante tutto, siamo un popolo forte.
La nostra terra balla ovunque ed è giovane (l’attività vulcanica frenetica è una chiara dimostrazione), ma riusciamo a risollevarci sempre.
In tutte le epoche storiche abbiamo subito, subito, subito…
Ma nessuno si è mai soffermato sulla forza e la pazienza che il nostro popolo deve aver avuto.
Emergono sempre gli aspetti negativi del Bel Paese e noi stessi -io temo di essere tra i primi <_<’- critichiamo con forza le scelte assurde e gli scempi indicibili alla nostra cultura, dimenticando la forza che in tante occasioni abbiamo dimostrato.

Okaaaaaay
Dopo questo momento patriottico credo di potermi ritirare.

Spero che la storia possa esservi piaciuta ed aspetto commenti/consigli/critiche costruttive ^^!
Un bacio.
Iria.

*Chi avut’, avut’, avut’… Chi ‘a rat, ‘a rat, ‘a rat… Scurddamc’ ‘o passat’, simm’ ‘e Napul’ paisan!Eh!* -canticchia via XD-

 

   
 
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