Di
lacrime silenziose ed occhi scavati.
Per
quanto stupido, per quanto ingenuo, per quanto influenzabile fosse,
assolutamente la debolezza, quella umana almeno (per quanto riguardava
quella
militare e strategica, nessuno metteva in dubbio che la Nazione ci sguazzasse, in quest’ultima) non
rientrava poi tanto nei suoi già bassi standard.
Ludwig
ne era consapevole, certamente era una convinzione che in molti non
avrebbero
condiviso, ma chi meglio di lui poteva dire con sicurezza cosa ci
fosse, o
probabilmente, cosa non ci fosse in
quella testa pasta, pizza e mandolino?
Nessuno,
nessuno si soffermava sulla bellezza
di Veneziano, sul motivo del suo sorriso, sulla grandezza dei suoi avi
o sullo
splendore delle sue opere.
Tutti
loro preferivano prenderlo in giro o schiacciarlo sotto quel grande
potere che
vantavano, ma che agli occhi di Germania appariva pesante
come solo una piuma poteva essere.
Già,
Veneziano era anche un piagnone: le sue lacrime ed i suoi lamenti erano
insopportabili, le sue improvvise voglie di pasta inappropriate ed
irritanti…
Eppure
nessuno aveva mai studiato il suo volto o ascoltato la sua storia,
osservandolo
mentre ne parlava.
I
suoi occhi si aprivano, luminosi e caldi, e raccontava con amore ed
accuratezza
le imprese del nonno, fremendo ogni qual volta giungesse al punto in
cui egli
scompariva.
Rievocava
i tempi del Sacro Romano Impero con un sorriso sulle labbra, nonostante
quegli
anni fossero stati piuttosto bui per la sua storia, come, d’altra
parte, tutta
l’età medioevale.
Le
violenze, le continue invasioni ed il sangue che nutriva il terreno…
Era,
all’epoca, carne fresca l’Italia, pronta per essere servita come
portata
principale.
A
nessuno importava degli stracci che a stento coprivano Veneziano e
Romano.
A
nessuno importava del sangue che scorreva sui loro volti o tra le loro
gambe.
A
nessuno importava della rottura definitiva tra quel legame gemellare,
sfumato
nel boato di un grido non udito.
Tutti pretendevano
solo di possedere quelle terre.
“Il mio fratellone è
forte e, sicuramente, mi vuole un gran bene, nonostante preferisca
stare da solo.”
Ma
passeggiando per le strade di Firenze senza alcuna compagnia, le sue
lacrime
differivano da quelle a cui Ludwig o una qualsiasi altra Nazione era
abituata.
Silenziose
e mute gli rigavano il volto pallido, inondando quei begli occhi
castani in
un’invasione per nulla violenta o offensiva… Ma infelice e delicata.
E,
a differenza di quello in cui molti credevano, Veneziano possedeva un
amor
proprio molto profondo, poiché aspettava di restar solo, prima di
sfogare quel
dolore.
Ludwig,
infatti, aveva potuto vedere per un fortuito caso quel pianto: era in
visita di
piacere a Firenze e la città, allora, era stata colpita dalla pioggia.
Proprio
mentre cercava di ripararsi dal maltempo, aveva intravisto Veneziano
avanzare
lentamente su Ponte Vecchio, senza un ombrello o altro, ma
semplicemente
stretto nella sua camicia azzurra ormai fradicia.
E
Ludwig non l’aveva riconosciuto, per nulla: in quegli occhi colmi di
lacrime
era apparso, in un istante, un vecchio piegato dalle ferite e dal
dolore, nulla
che avesse avuto a che fare col Veneziano che conosceva.
Per
un attimo aveva provato l’impulso di raggiungerlo e posargli una mano
sulla
spalla, chiedergli cosa fosse successo… Ma, presto, s’era reso conto
che quel
suo gesto sarebbe stato inutile e che lui stesso non sarebbe riuscito a
muoversi da dov’era.
Osservò
Veneziano andar via, cogliendo il verso di una canzone che la Nazione
aveva
appena iniziato a canticchiare:
“Lungo le sponde del mio torrente voglio
che scendano i lucci argentati, non più i cadaveri dei soldati portati
in
braccio dalla corrente.”
C’era
stata così tanta, straziante dolcezza in quelle parole, che Ludwig
provò un’insana
rabbia.
“Stupido, stupido
Italia.”
Lo
stesso Gilbert, suo fratello, trovava estremamente divertente quella
condizione
e non perdeva occasione per sbeffeggiare Veneziano o entrambi i fratelli
Italia,
citando le novantacinque tesi di Lutero.
Se
Italia recepisse o meno quella presa in giro, Germania non l’aveva ancora
capito,
però di sicuro non era unicamente Prussia a godere di quella piccola umiliazione a cui Veneziano e Romano erano
segretamente sottoposti.
Non
che l’idea di essere derisi sfiorasse i due gemelli in quei momenti:
probabilmente,
i meeting mondiali erano l’unica occasione che avessero per incontrarsi,
per
parlarsi e per litigare come normali
fratelli, prima di tornare ognuno a casa propria.
E
Ludwig davvero non comprendeva.
“Siete gemelli, una sola Nazione!
Perché allora vi dividete in modo così netto?”
Aveva
chiesto un giorno quando era a casa di Veneziano.
Questi,
intento a preparare della buona pasta fatta in casa, inizialmente non
rispose e
Germania credette che volesse evitare l’argomento.
Quando,
poi, Italia si sedette a tavola sorrise come suo solito.
“Siamo
cresciuti in maniera differente.” Iniziò, affondando la forchetta nel
piatto. “Lontani
e distanti, con la costante paura di essere attaccati. Durante il Risorgimento per un attimo ci siamo
sfiorati ed è stato bello, ma proprio allora abbiamo capito che non
avremmo mai trovato
un punto d’incontro.” Spiegò con leggerezza, risucchiando gli spaghetti
allegramente.
“Germania
mangia! La pasta è buona calda!” Lo incoraggiò, poi, con un’espressione
buffamente seria.
Ludwig
in quei momenti non capiva se Veneziano davvero non desse peso alla sua
storia,
o se questa fosse così dolorosa che la stessa Nazione preferisse
liquidarla in
fretta…
La
sera del ventitrè novembre 1980 (come dimenticare quella data?) alle
19:30 il
telefono di Germania squillò come non accadeva da tempo.
Ludwig
sospirò, sollevando la cornetta: si aspettava un frenetico “Germania! Germania!”
pronunciato con
fastidiosa enfasi, ma ricevette solo una risposta stentata e tremante
quando,
alle 19:31, rispose:
“Ho
paura.”
Quasi
non riconobbe la voce di Veneziano.
Era
abituato a sentirlo frignare, era abituato ai suoi insensati discorsi
su quale
tipo di sugo usare per rendere migliori i propri piatti…Ma mai, mai, aveva avvertito quel timore così profondo.
“Che
succede, Italia?” Domandò intimorito, già pronto a correre in suo aiuto.
“La
luna… Questa sera è rossa.” Rispose l’altro, balbettando con fatica.
19:33
Non
sapeva neanche lui come spiegare al suo caro Ludwig quella morsa
all’altezza
del petto che gli impediva di respirare, il famelico dolore che in
quegli attimi
gli donava l’immagine di Romano.
Germania
inarcò un sopracciglio, confuso.
La luna rossa?
Temeva
lo strambo colore che quella notte il satellite aveva assunto?
Ah,
spiegargli che era un fenomeno astronomico normalissimo gli sarebbe
costato un
bel po’ di tempo…
Stava
per rispondergli, quando avvertì chiaramente la cornetta del telefono
di Italia
sbattere, probabilmente, sul pavimento.
19:34
Veneziano
portò le mani al volto di colpo, piangendo.
Non
un singhiozzo o un lamento rumoroso, solo lacrime… Tante e fredde
sulle sue guance roventi.
Dall’altra
parte della cornetta Ludwig quasi gridava.
“Italia!?
Che succede?! Italia?!”
Ma
Veneziano non l’udiva: nelle sue orecchie risuonava il grido lontano di
Romano.
Gemette
appena, premendosi le mani ai lati della testa…
E
ad occhi sbarrati tremò, quando vide i palmi sporchi di sangue.
Oh,
se quella si fosse dimostrata una delle sue tante sciocchezze quante
glie ne
avrebbe dette! Ma si rese conto che, effettivamente, era accaduto
qualcosa di
grave, poiché quando bussò alla porta di Italia nessuno arrivò ad
aprirlo
festante.
Si
morse le labbra ancora più preoccupato e corse a cercarlo.
Lo
inseguì per cinque giorni.
Il
tempo che lo stesso Veneziano impiegò per arrivare a casa di Romano.
Ovunque.
Odore
di sangue.
In ogni angolo.
Puzza
di morte.
Ad ogni metro.
Alone
di polvere.
In tutta l’aria.
Ludwig
aveva assistito ad un simile scempio solo in guerra.
Le
abitazioni squarciate, accasciate l’una sull’altra o spazzate via
sembravano
essere state preda di un crudele e sadico bombardamento immotivato.
Spettrale
si era alzato il vento gemendo tra i tetti caduti, le braccia di alcuni
cadaveri ancora schiacciati sotto le macerie facevano capolino tra le
rovine,
come macabri segnali stradali.
Era
incerto se avanzare o meno verso Veneziano, il quale se ne stava
inginocchiato
al fianco di un corpo lungo disteso, che intuì fosse quello del
fratello.
Aveva
le mani graffiate, nere e sanguinanti, il suo
Italia.
Erano
gonfie e tremanti, ma non smettevano di carezzare e schiaffeggiare il
volto
cereo di Romano, in un tentativo disperato di richiamarlo a sé.
Sì, perché
il suo fratellone non poteva essere scomparso.
“Romano..?”
Singhiozzò, iniziando a scuoterlo debolmente.
Che
importava se toccandolo il tormento alle mani cresceva?
Non
erano niente quelle fitte, niente.
Niente in confronto al
dolore che era stato tirare il fratello fuori dalle macerie.
Niente in confronto al
dolore che era stato udire i gemiti degli ultimi superstiti seppelliti
sfumare.
“Non
lasciarmi.” Mormorò ancora, rassegnato, con un’ennesima carezza che
rimosse
della polvere dalla guancia della Nazione.
Germania,
a quel punto, non riuscì a trattenersi oltre ed avanzò verso il
compagno.
Osservò
il cadavere di Romano, reso irriconoscibile dalle ferite e gli si seccò
la
gola, constatando quanto, tutto sommato, Veneziano somigliasse al
fratello.
“Italia…”
Lo chiamò in un sussurro strozzato, ma non riuscì a pronunciare altro:
la
Nazione si voltò e forse, senza neanche realizzare chi ci fosse lì con
lui, lo
strinse con forza.
Germania
restò immobile in quell’ abbraccio, sprofondando nella vergogna per se
stesso:
non era riuscito a ricambiare la stretta e tanto meno a lenire il
dolore del
suo compagno.
Per
la prima volta Veneziano aveva versato quelle lacrime dolorose, che
solo Germania
aveva già visto, di fronte ad altre Nazioni.
Erano
state silenziose e non assordanti come i suoi soliti ed inutili
piagnistei…
Identiche a quelle di Firenze.
L’aiuto
dell’Eroe, di America, fu quello più
parsimonioso, seguito subito da quello del suo
Germania, che non l’aveva lasciato per un solo istante.
Senza
contare, inoltre, i soccorsi ricevuti inaspettatamente da altri Paesi.
Veneziano
li ringraziò tutti.
A
cuore aperto.
E
per una volta non offrì a nessuno un buon piatto di pasta fatto in casa
o una
pizza calda.
Il
ventitrè novembre 1980 moriva anche il sorriso di Italia del Nord, che
non era
stato in grado neanche di salvare il proprio popolo, a causa del suo
ritardo.
Inutile Italia.
Già,
era proprio l’Inutile Italia.
“Fratellone…”
Che
stupidi erano stati, non avevano più provato a riallacciare i rapporti
ed il
destino s’era mostrato sadico e crudele: non aveva concesso neanche un
secondo
di vita in più a Romano, il tempo che bastava a Veneziano per dirgli…
“Ti voglio bene.”
Una
giusta punizione, già.
Ma
perché la storia doveva essere disseminata di lutti e disastri?
Questo
se lo chiedeva anche Ludwig, guardandolo in disparte.
Tempo
prima, anche lui aveva perso suo fratello maggiore, fatto
a pezzi sulla neve, e ben comprendeva i sentimenti di
Veneziano.
I
fantasmi dei morti gemevano e gridavano nella testa di Italia e
Germania sapeva
di non poter far nulla per spegnere
quelle voci…
Impotente,
si accostò al compagno, sospirando.
Il
vento soffiava, trasportando a distanza di quasi trent’anni la stessa
polvere e
lo stesso odore che tempo prima aveva saturato l’atmosfera.
Una
sola consapevolezza era solida nell’animo di Veneziano.
Non sarebbe finita lì.
Fu
ammirevole e certamente inaspettato, il modo in cui la Nazione si
rialzò
coperta di polvere e sangue, pronta ad andare avanti, nonostante
l’indebolimento fisico e nonostante le lacrime che, ormai, gli avevano
scavato
gli occhi…
E Ludwig continuava a
chiedersi come, un simile Paese, potesse essere definito ancora debole.
Questa
è la mia seconda storia su Hetalia (la prima riguardava la morte di
Prussia) e
credo debba dare alcune spiegazioni al riguardo O.o…
Immagino
si sia capito che i riferimenti al novembre ’80 e all’aprile ’09 stiano
ad
indicare due terremoti ^^.
Perché
questa scelta?
Il
terremoto dell’ottanta con la sua distruzione e coi suoi 6,9 gradi
Richter
venne -e viene- tuttora definito come “La
morte del Sud”, l’evento che contribuì anche a scatenare le prime
crepe
nella prima Repubblica, a causa della
mancanza di soccorsi immediati –arrivati cinque giorni dopo, appunto-.
Quindi
sì, Romano muore e Veneziano assume sotto di sé il controllo sul sud,
che sarà
sempre troppo distante per poter essere curato in maniera adeguata,
nonostante
la debole e passata presenza di Romano non avesse, comunque, giovato al
Mezzogiorno.
Poi
ho fatto un chiaro riferimento al terremoto del 2009, quello in
Abruzzo, di un
grado più debole rispetto a quello dell’Irpinia.
Ho
voluto sottolineare, con questo, un aspetto italiano che in tanti
dimenticano
(credo gli stranieri, per lo più): nonostante tutto, siamo un popolo
forte.
La
nostra terra balla ovunque ed è
giovane (l’attività vulcanica frenetica è una chiara dimostrazione), ma
riusciamo a risollevarci sempre.
In
tutte le epoche storiche abbiamo subito, subito, subito…
Ma
nessuno si è mai soffermato sulla forza e la pazienza
che il nostro
popolo deve aver avuto.
Emergono
sempre gli aspetti negativi del Bel Paese e noi stessi -io temo di
essere tra i
primi <_<’- critichiamo con forza le scelte assurde e gli scempi
indicibili alla nostra cultura, dimenticando la forza che in tante
occasioni
abbiamo dimostrato.
Okaaaaaay…
Dopo
questo momento patriottico credo di potermi ritirare.
Spero che la storia
possa esservi piaciuta ed aspetto commenti/consigli/critiche
costruttive ^^!
Un
bacio.
Iria.