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Autore: QuellaCheNonSei    02/04/2010    4 recensioni
Pensieri e riflessioni di una Sana diversa dall'originale. Un gioco tra passato e presente.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sana Kurata/Rossana Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ambra



A Claudia, anche se non leggerai
mai.




La luce della televisione accesa produceva come sempre delle immagini indistinte sul tuo viso addormentato, sul tuo accenno di sorriso che sembrava dimostrare all'esterno quanto fossi serena, in quel momento.
Quando ero solo una bambina, quasi come se davvero attraverso la pelle del tuo viso potessi scorgere i programmi televisivi, stavo ore a fissare il tuo volto, i lineamenti e la luce che cambiava in base alle zone in cui si poggiava. Di certo era molto meglio guardarla attraverso il tuo corpo, la televisione, piuttosto che stare lì a fissare quella scatola quadrata priva di vita.

Ti amavo. Ti amavo davvero. Non di quell'amore che accomuna due amanti, nè quello di una madre per il proprio bambino. No, ti amavo come se fossi una sorta di Dea da venerare, da adorare e da osservare, quasi come se ogni tua espressione - sebbene stessi dormendo - potesse regalarmi qualcosa di te.
E così ho fatto per...non saprei dire quanti anni. Sono cresciuta avendo come unica immagine il tuo corpo rannicchiato su quel divano vecchio ma ugualmente caldo e confortevole, il tuo viso assorto in quel sonno e le tue braccia che circondavano il tuo stesso essere, come se ti stessi amando, nella notte.
Lasciavi ogni giorno sempre allo stesso modo, sempre utilizzando quella stessa inconscia posizione e vedendo passare ore ed ore di programmi televisivi sulla tua pelle, come se fossi tu la regista, la pellicola sulla quale venivano registrati quegli spettacoli. Stavi nelle braccia di Morfeo, tu. E ti sentivi protetta; protetta da un tuo stesso abbraccio, che valeva più di mille altri ricevuti da estranei, sebbene fossero persone che conoscessi da una vita.
Ogni mattina, poi, ti alzavi sempre con quel piccolo dolore al collo, quello all'altezza delle spalle, che comunque sembrava passare sempre troppo in fretta, come se volesse essere solo un segno, qualcosa che rimaneva da quella notte appena passata, da quel sonno scomodo ma pur sempre profondo. Ma quella mattina no, non ti eri risvegliata, non mi avevi sorriso, non avevi messo fine a quello scorrere di ore buie con il tuo solito - buongiorno! - detto con quel tono di voce che solo tu avevi, che riusciva a darti una carica ed una forza che durava per tutto il giorno, quasi come se non avessi bisogno di altro, per sentirmi bene. Occhi color ambra, i tuoi. Occhi che, da quel giorno, non ho più rivisto. Ed è proprio da quella mattina, che non mi sento più bene. Non sono più la stessa, non trovo più il coraggio di sorridere alla vita e di guardare in faccia il sole. No, oggi mi copro gli occhi, non ho più il coraggio di osare e di accecarmi le pupille grazie ai suoi raggi e alla sua potenza. Oggi sono diversa, sono vuota.
Lasciavi ogni giorno sempre allo stesso modo; e così hai lasciato la vita. E così hai lasciato me.

Passi lenti e sordi mi trasportavano fino all'entrata di quel posto tanto lugubre da far paura, tanto inumano da rendere il circondato come un qualcosa di irreale, di muto, di assordante nel suo silenzio.
Cammino, ma non mi rendo nemmeno conto di farlo. Il mio corpo, ormai, viaggia attraverso funzioni vitali involontarie, che non posso controllare. Tutto ciò che è volontario, in me, non funziona così bene; anzi, non funziona affatto.
Cerco di non andare a sbattere contro al marmo delle varie lapidi, alzando il capo di poco, incontrando lo sguardo invisibile di qualche persona presente lì, abbassandolo subito dopo, ritagliando quello che è il mio spazio, il mio solo spazio.
So dove andare, ormai è intrisa dentro di me quella strada, quel piccolo vicoletto che ad un certo punto devo imboccare, per arrivare da te. O meglio, da quel che resta di te. Una fotografia e l'assurda speranza che al di sotto di quel terriccio umido ci sia tu, che tu mi possa sentire davvero, quando vengo a trovarti. Non ne sono certa; anzi, non lo so affatto. Ma la speranza mi mantiene in vita, mi serve ad aggapparmi con le unghie e con i denti a quell'esistenza che sembra scivolarmi dalle mani, che sembra non volermi più mantenere in equilibrio, come se volesse farmi cadere giù e schiacciarmi contro il suolo, senza far rimanere niente di me, se non un briciolo di ricordo in qualcuno,  forse.
- Ciao, nonna - Un sussurro impercettibile accompagnato da un sospiro mi escono dalle labbra, che si increspano immediatamente, come a voler trattenere l'inevitabile. Una lacrima, due, tre....e ancora una volta, il mio fiume interiore si allontana da me, rigandomi il viso e infrangendosi nel vuoto, lo stesso vuoto che mi appartiene, che mi tiene compagnia, che mi riempie.











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Non so da dove sia uscito tutto questo, sinceramente.
Ci tengo a precisare (sicuramente perchè non sarà chiaro) che è narrata dal punto di vista di una Sana un po' diversa, un bel po' stravolta.
Era da tanto che non scrivevo, che non mettevo nero su bianco. Ma oggi - finalmente - ho avuto la forza e il coraggio per farlo.
Potrebbe avere una continuazione, questo piccola 'storia' (anche se chiamarla così è troppo). Non sono certa della fine che farà; magari è questa la fine, chi lo sa. Tutto dipende, ovviamente, dall'ispirazione e dalla voglia di mettermi in gioco, che ogni tanto mi manca.
Sarò felice, comunque, di ricevere i vostri pareri, se vi farà piacere farlo. Altrimenti, allo stesso modo, ringrazio chi leggerà.
A presto, forse.
   
 
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