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Autore: scrocco    03/04/2010    6 recensioni
"Davvero, hai avuto un'idea geniale, con la moneta. Quando facevamo a turno mi dava sempre l'idea di essere così, non so..." ruotò un dito nell'aria, in cerca della parola.
"Meccanico?" Lo soccorse il biondo, e al grasso si illuminarono gli occhi.
"Ecco! Diavolo, sì, così meccanico. Insomma, entra un tizio, esce, lo si ammazza una volta per uno," proseguì scuotendo la testa.
"Mancava... come lo avevi chiamato? Il pathos."
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho scritto la storia per il "Contest di inizio anno" indetto da LeftEye, scegliendo la citazione "La crudeltà sarebbe deliziosa se si potesse trovare qualche tipo di crudeltà che non facesse veramente male" (George Bernard Shaw).
Spero che vi piaccia ^^


 

CI SI ARRANGIA



Era domenica. Faceva caldo, c'era la partita e il baretto all'angolo non aveva né l'antenna tv, né un climatizzatore. Niente di strano dunque che in tutto il giorno fossero entrati sì e no dieci clienti.

Seduto su uno sgabello dietro al bancone se ne stava un ometto calvo, di mezza età, con occhiali spessi come fondi di bottiglia e manine da infante. Era appiccicato a un ventilatore piccolo e rumoroso e leggeva un libro ingiallito, da mercatino dell'usato.

Più o meno alle quattro del pomeriggio il campanello sopra la porta trillò.

"Buongiorno" salutò l'ometto posando il libro sul ripiano dei bicchieri.

"Buongiorno."

"'giorno."

Due uomini sui trent'anni. Uno biondo, dinoccolato, col labbro inferiore sporgente e basettoni da poliziesco anni Settanta; l'altro basso, grassoccio, moro, occhi nervosi e fronte sudaticcia. Jeans e camicia smanicata, pantaloni da tuta e maglietta.

Presero posto al tavolino di fianco all'ingresso.

"Una birra grazie," disse quello basso, poi "Un tè freddo al limone per favore," disse il basettone, che biascicava le parole; doveva essere per quel labbro.

L'ometto calvo prese due bicchieri e cominciò a riempirli. Birra e tè freddo al limone.

"Comunque io non li sopporto," iniziò quello basso. "Ti vengono incontro con una confidenza che sembrano amiconi, praticamente ti saltano addosso. Ancora un po' e ti infilzano col braccio. Salve, ha qualcosa contro i ragazzi delle comunità? E il bello è che io vorrei dirglielo che sì, diavolo, sì che ho qualcosa contro voialtri parassiti balordi." Mentre parlava gesticolava furiosamente, come se avesse voluto acchiappare nell'aria le parole.

"Non sho. Non ti shembra eccesshivo?" gli chiese l'altro, più calmo, tamburellando le dita sul tavolo.

"E no, diavolo. A parte che è tutto da vedere se questi balordi escono davvero dalle comunità, perché ci scommetto che più della metà sono imbroglioncelli da due soldi. Ma anche se vieni da una comunità, vorrei rispondere a 'sti balordi, anche se vieni da una comunità, mi spieghi perché mentre tu cincischi o intrecci cesti di vimini nella tua comunità, io mi spacco la schiena nove ore al giorno per campare? Ma mica ti lasciano il tempo di rispondere, eh no. Ti ritrovi in mano una spilla o una foto o una biro e ti senti chiedere dieci euro per combattere il cancro, e per una biro."

L'ometto portò i bicchieri al tavolo.

"Grazie."

"Grazie."

In quel momento la porta si aprì ed entrò un ragazzo di colore, sulla ventina. Si avvicinò al bancone e ordinò un caffè.

Quello biondo fece spallucce "Non sho. Inshomma, she ti da coshì fashtidio ignorali, tira dritto e bashta. Shemplice."

"Ma mi fa rabbia, diavolo se mi fa rabbia," esclamò quello nervoso passandosi una mano sulla fronte per tergere il sudore. "Perché se li vedi in giro vuol dire che qualcuno ci casca. La vecchietta, il ragazzino, quello senza spina dorsale che non ha il coraggio di dire no. Legge di mercato: se c'è chi compra un prodotto, si continua a venderlo."

Nessuno dei due aveva ancora toccato il proprio bicchiere.

"Ammazzane qualcuno. No?" Azzardò il biondo, dopo averci pensato su qualche secondo.

L'ometto calvo, che aveva preparato il caffè e si era rimesso a leggere, alzò un attimo gli occhi dal libro.

L'altro sbuffò. "Ma no, non cambierebbe niente. Come per i neri venditori ambulanti. Ho provato, non dico di no. Mica cambia qualcosa! O fai qualcosa di plateale... e non si fa. Ma nessuno dice niente di un nero che sparisce."

Il ragazzo al bancone si voltò e guardò brevemente la coppia, senza espressione.

"Non ne shono mica tanto shicuro."

"Realista, ecco cosa sono. I neri che non sanno giocare a basket o starnazzare dentro un microfono non piacciono a nessuno. Anzi, mi viene quasi voglia di non toccarli apposta, i neri. Gli afroamericani. Mi fanno pena."

Il ragazzo di colore vuotò il caffè in un sorso. Appoggiò una monetina di fianco alla cassa, ringraziò l'ometto e uscì senza degnare di uno sguardo la coppia. Mentre la porta si richiudeva con uno scampanellìo dietro di lui, da fuori entrò chiaro e forte nel bar un "Idioti."

I due sprofondarono in un silenzio meditabondo.

"Va beh. Allora shpero di vincere io," disse il biondo alla fine. Dal taschino della camicia pescò una moneta.

"Teshta o croce?"

"Croce, come al solito."

Il biondo basettone lanciò la moneta in aria, la acchiappò con destrezza e la premette sul dorso della mano. La mostrò al compagno, che nel frattempo aveva tirato fuori dai jeans un cronometro digitale.

"Testa. Tuo," disse quello grasso facendo l'occhiolino.

Il biondo annuì sorridendo, si alzò e uscì dal locale. L'altro premette il dito sul tasto di avvio del cronometro.


L'ometto calvo stava chino sul libro senza alzare lo sguardo, ma aveva seguito lo scambio con crescente perplessità.

Il tizio basso grassoccio sudaticcio si mise a fischiettare. Non aveva ancora toccato la birra.


Dopo qualche minuto il biondo basettone labbrone rientrò nel bar. Tre chiazze di sudore si allargavano sul petto e sotto le ascelle, come se avesse corso. Non appena si sedette, l'altro fermò il cronometro.

"Cinque e ventisette," esclamò. "Diavolo se sei stato veloce, credevo ci avresti messo almeno il doppio! Com'è stato?"

"Difficile," rispose il biondo sbottonandosi il colletto e abbandonandosi contro lo schienale della sedia. "Per poco non shi è accorto di me prima che lo prendesshi. Credo fosshe un atleta, è shtato un cashino."

Dlin dlin.

Entrò una signora anziana supertruccata con occhiali da sole e capelli di un biondo acceso, vestita elegante; salutò calorosamente l'ometto calvo dietro al bancone, ordinò "Il solito" e si sedette a un tavolo di distanza dalla coppia.

Il basettone sollevò un braccio, mostrando uno squarcio nella camicia, poco sopra il gomito. Quello grasso fischiò.

"A maggior ragione sei stato bravo. Con ieri sei a... tre in ventidue minuti e quindici secondi?"

"Shedici."

"C'è da dire che sei stato fortunato, insomma, vinci quasi sempre quando c'è una vecchietta o un ragazzino."

Il biondo si accigliò tutto d'un tratto e piegò la testa di lato.

"Non ti piace più la moneta?" chiese freddamente, spingendo ancora più in fuori il labbro inferiore in una grottesca parodia di broncio. Quello grasso si affrettò a sollevare le braccia e mostrargli i palmi.

"Scherzi? Ma no, ma no, la moneta è grandiosa, non dicevo mica per questo." Il biondo sembrò rilassarsi subito.

"Davvero, hai avuto un'idea geniale, con la moneta. Quando facevamo a turno mi dava sempre l'idea di essere così, non so..." ruotò un dito nell'aria, in cerca della parola.

"Meccanico?" Lo soccorse il biondo, e al grasso si illuminarono gli occhi.

"Ecco! Diavolo, sì, così meccanico. Insomma, entra un tizio, esce, lo si ammazza una volta per uno," proseguì scuotendo la testa. "Mancava... come lo avevi chiamato? Il pathos."

La signora anziana si voltò quel tanto che bastava per puntare gli occhiali scuri su quello grasso. L'ometto dietro al bancone, che stava versando cubetti di ghiaccio e aranciata in un bicchiere oblungo, pareva totalmente assorto nella preparazione.

Birra e tè freddo stavano ancora sul tavolo della coppia ad aspettare la prima sorsata.

"Sai un'altra cosa che mi irrita, oltre a quelli che ti assalgono per strada?" Chiese di punto in bianco quello grasso, facendo schioccare le dita come se avesse avuto un'illuminazione.

"Le vecchie che si conciano come ragazzine."


La signora anziana uscì poco dopo, lasciando a metà il suo drink all'arancia. Il biondo tirò ancora la moneta e stavolta vinse quello grasso, che uscì dal bar sfregandosi le mani. Non appena la porta si chiuse, il biondo fece partire il cronometro.

La fronte dell'ometto era madida di sudore, nonostante il ventilatore puntato in faccia. Fingeva di leggere. Con la coda dell'occhio faceva attenzione al basettone labbrone, che si limitava a fischiettare e aspettare.

Passò qualche minuto, prima che l'ometto si alzasse bruscamente e sparisse oltre la tenda di tela che separava la sala dalla piccola cucina sul retro.

Andò dritto al telefono; con la mano sospesa a mezz'aria sopra al vecchio cordless si morse il labbro.

Alla fine afferrò la cornetta, compose il centotredici e se la portò all'orecchio.

Niente.

Fissò il microfono con aria spaesata. Annullò la chiamata e provò un'altra volta.

Muto.

Fu allora che sentì il dlin dlin del campanello d'ingresso, accompagnato da un sonoro "Diavolo!".


L'ometto calvo uscì dalla cucina. Il grassoccio sudaticcio era tornato al suo posto e si stava premendo un fazzoletto sull'occhio destro. Aveva la faccia tutta rossa.

"Ma shette minuti non è coshì male..."

"Porco diavolo ma non capisci?" sbottò togliendo la mano dalla faccia e mostrando l'occhio, che lacrimava ed era iniettato di sangue "Quella vecchia baldracca mi ha quasi accecato!" Tartassò il tavolo con un pugno ad ogni parola, facendo tremare i bicchieri pieni.

"Mi ci ha spruzzato la faccia, quella, quella... Diavolo."

"Shu, shu... shono coshe che capitano," lo consolò il biondo.

"Col cavolo! Una volta non capitavano. Oggi invece rischi che i vecchietti e i ragazzini ti sbattono sul muso la canna di una trentotto non appena gli pesti un piede! Siamo nel Far West, te lo dico io. Non ci si può più divertire in santa pace."

Continuò a sbraitare e a borbottare "Porco diavolo" a destra e a manca, finché l'ometto non uscì da dietro il bancone. Gli tremavano le gambe e aveva la faccia bagnata come se l'avesse appena infilata in un secchio d'acqua. Una gocciolina gli stava colando sul naso dalla montatura degli occhiali.

Non appena l'ometto si fermò davanti al tavolo, quello grasso si zittì.

"Ehm... signori. Purtroppo devo chiudere," disse dopo essersi schiarito la voce.

I due lo fissarono senza una parola.

"Mi scuso per il disagio," riprese con più sicurezza, e dopo qualche istante "Oggi devo chiudere in anticipo. Ho dimenticato di mettere il cartello, mi dispiace."

Ancora zitti e immobili. L'ometto mosse i piedi a disagio.

"Le bibite le offro io," aggiunse guardando i bicchieri pieni. Non erano stati nemmeno toccati.

Il biondo parlò senza staccare gli occhi dall'ometto.

"Teshta o croce?"

L'ometto era così confuso che fu lì lì per dare una risposta, ma quello grasso lo precedette.

"Croce, come al solito."

La moneta volò in aria. L'ometto sbiancò.

"Devo... devo chiudere," balbettò mentre arretrava di un passo.

"Croce. Mio!" I due si alzarono simultaneamente. Quello grasso lasciò cadere il fazzoletto dentro al suo bicchiere, nella birra. Il biondo si affacciò dalla porta del bar e girò il cartello appeso al vetro. CHIUSO. Poi tirò fuori il cronometro.

L'occhio iniettato di sangue di quello grasso fissava la faccia dell'ometto.

"Prendete pure i soldi della cassa, prendeteli tutti. C'è anche una cassaforte dietro allo specchio, vi do la combinazione, vi prego non..."

"Hai pensato tu al telefono, Tommy?" lo interruppe quello grasso.

"Shì. E alla porta sul retro. Guarda che il tempo è partito."

L'ometto raggiunse incespicando l'ingresso della cucina; era lento, aveva le gambe molli e per poco non si impigliò nella tenda di tela, ma nessuno dei due fece niente per fermarlo. Si fiondò verso la porticina di servizio, quella che dava sul vicolo dietro al bar, e ruotò la maniglia.

La porta non si mosse. Qualcosa la bloccava da fuori.

"Chiamo la polizia! Fuori dal mio bar o chiamo la polizia!" Gridò l'ometto, ansimando, mentre colpiva inutilmente la porta a manate. Nella foga gli cascarono gli occhiali.

Quando si girò, quello grosso era sulla soglia e teneva la tenda scostata con una mano. L'ometto si appiattì contro la porta e sollevò le mani come per difendersi da una luce intensa.

"Non vi ho fatto niente! Perché? Perché fate così?"

Quello grasso sorrise.

"Com'era quella, Tommy? Me ne ricordo una buona che sapevi tu. Hai presente quale?"

L'ometto sentì la voce del biondo, dalla sala.

"La crudeltà sharebbe deliziosha she shi potesshe trovare qualche tipo di crudeltà che non facesshe veramente male," recitò, come cantilenando una filastrocca.

Il sorriso di quello grasso si allargò.

"Giusto. Giusto. Solo che non si può, no che non si può."

Fece un passo avanti.

"Quindi ci si arrangia."







 
  
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