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Autore: FunnyPink    05/04/2010    0 recensioni
Piccola Fiction di un sogno, con personaggi originali, non ho descrizioni particolari di questi, per questo motivo potrete immaginarveli come più vi aggrada
questa è la citazione
Era magnifica mentre avanzava delicata come il vento, tra fronde di edera che ricadevano dai grandi pergolati, o si avventurava tra le fronde dei tanti salici piangenti che ricoprivano il villaggio. Accarezzava con i polpastrelli le piccole foglie, come se con la sua fragile mano potesse danneggiarle, e le spostava con parsimonia che neanche il vento avrebbe tenuto
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il sogno




Lei con i suoi capelli color del grano maturo, era la cosa più bella che avessi mai...visto? No Immaginato!

Era magnifica mentre avanzava delicata come il vento, tra fronde di edera che ricadevano dai grandi pergolati, o si avventurava tra le fronde dei tanti salici piangenti che ricoprivano il villaggio. Accarezzava con i polpastrelli le piccole foglie, come se con la sua fragile mano potesse danneggiarle, e le spostava con parsimonia che neanche il vento avrebbe tenuto.

La sua figura avanzava leggiadra come le più dignitose ninfe, ma il lieve rossore delle guance avrebbe rivelato tutta la sua umanità.

La sua figura era avvolta da un lungo abito azzurro, che sul davanti teneva leggermente alzato e racchiuso in una mano, la parte posteriore era invece una cascata risplendente che cadeva sull'erba morbida del prato, muovendone delicatamente i fili al suo passaggio.

La luce del sole che filtrava dagli alberi più grandi illuminava a tratti la sua figura, mentre la seguivo, mantenendo lo stesso passo lento, dietro di lei.

I raggi illuminavano i suoi capelli, così che le perline e le piccole decorazioni che incastrate tra questi mandavano ogni volta dei piccoli abbagli di luce, rendendo le onde dei suoi capelli ancora più belli, ancora più invitanti, come una danza tentatrice.


Camminava, perfetta e quasi silenziosa, l'unico suono era la carezza dei suoi piedi davano all'erba.

Quale altra figura poteva vantare questo intercedere?

Continuava imperterrita, come se niente la fermasse, e io stavo dietro di lei, non consapevole se la ragazza sapesse o no della mia presenza, attratto da questa misteriosa ragazza umana.

L'unico rumore oltre quello degli alberi sembrava essere quello del fiume, che ad ogni passo sembrava avvicinarsi, fin quando questo non fu alla nostra vista, in quel momento il suo cammino ebbe un attimo di esitazione, rimase per pochi secondi a guardarlo e poi riprese verso questo.

L'acqua scorreva veloce, il pendio del fiume poco più avanti, più ripido e ciottoloso faceva si che l'acqua fluisse qui ancora con il suo corso veloce e armonioso, riempiendo l'atmosfera del suo sciacquettìo, per niente fastidioso.

Ella avanzò fino al prato sul bordo del fiume. Qui si fermò rimirandolo e fece scendere completamente la veste, per poi abbandonarsi prima in ginocchio e infine seduta sul prato.

L'azzurro luminoso della sua veste risplendeva sul verde brillante e ricco di vita dell'erba.

Raccolse un fiore da questo, era bianco, a gambo corto, e aveva cinque petali lunghi e appuntiti che si riavvolgevano su se stessi, lo conoscevo, erano i fiori che crescevano solo da queste parti, e solo lungo questo fiume, pochi erano i popoli che avevano avuto la fortuna di vederli e sentire il loro profumo, aromatico e dolce, o amaro e pungente, oppure ancora delicato e fresco, nessuno sapeva dire se quei fiori avessero un loro odore, o solo se facessero si, che noi sentissimo ciò che volevamo, fatto sta che questi assumevano per ognuno l'aroma che più ci attraeva.

E lei era li, con il fiore in mano, ma non parlava, avrei tanto voluto chiedere, quale fosse l'odore che lei sentiva, ciò che la attraeva, ma non lo feci.

Già il fatto che sia qui è per me stupefacente, nessuna creatura apparte la nostra ha mai varcato i confini del nostro territorio.

Poi finalmente, il mio miracolo, il mio miraggio si volta e guarda me, sa della mia presenza e forse ne è sempre stata consapevole, il suo volto tondo, giovane e delicato mi fissa, e io fisso lei, il suo naso mi rimanda un luccichio, di un piccolissimo brillantino, le sue labbra, sono serene e distese in un sorriso serafico che lascia intravedere appena i denti, le labbra rosse spiccano nel suo volto pallido, se non fosse per le guance leggermente arrossate.

Gli occhi, quelli sono una storia a parte, il loro colore è indescrivibile, si direbbe che son blu, ma si potrebbe anche pensare che sia grigio, la sua è una sfumatura non definibile, e che forse non ha eguali in natura, ma che è bella, profonda.

La sua mano si solleva alta sopra la sua testa, poi si volta, porgendo verso l'alto il palmo nella mia direzione.

Solo allora mi accorgo che è un invito, che non voglio, assolutamente, mancare.

Una passo, due, la sua mano è a soffio della mia quando tutto scompare.


Non sono in piedi, non c'è nessun prato, fiore o ruscello e soprattutto non c'è lei.

Sospiro mettendo a fuoco, il soffitto della mia camera. Lentamente passo la mia mano sopra gli occhi riportando per un attimo il buio. Pregando di poterla rivedere.

Ma sono sicuro che la rivedrò, domani notte, come tutte le notti a seguire, e come quelle passate, ma mai potrò sfiorarla, mai potrò avere più del suo sorriso e della sua vista.

Mi alzò a sedere dalla branda di legno, scosto la mia coperta marrone, faccio scendere i piedi a terra, e passandomi un'altra volta la mano tra i capelli sconsolato, mi alzo, i gambali delle miei pantaloni calano nuovamente fino alle caviglie, e mi stiro, allungandomi e distendo i muscoli, afferro la canotta beige e la infilo, lo stesso faccio con la giacca, che stringo con la cinghia intono alla vita. Comincia a starmi corta, dovrebbe arrivarmi fino a fine coscia, invece arriva poco più giù dei fianchi. Sono cresciuto e i vecchi abiti di papà non mi entrano più, tra qualche decennio, quando mio fratello sarà più grande saranno suoi. Cammino per casa, passando vicino alla cucina dove mia madre sta preparando il pane fresco, di segale. E arrivo in bagno. Riempio la ciotola, grazie alla brocca d'acqua e mi sciacquo ben bene, se non fosse stato tanto bello, vorrei allontanarmi dal sogno. Quando rialzo il volto lo asciugo, scontrandomi con il mio riflesso nello specchio.

I miei capelli neri, ne corti ne lunghi e trasandati, moto di orgoglio e di ribellione, sono la disperazione di mia madre, dovremmo avere tutti capelli lunghi e diciamo quasi tutti ne hanno, tranne me?

Non so il perché ma li ho voluti tagliare dopo la morte di mio padre, e dopo allora l'ho sempre rifatto, anche se noto l'indignazione, nessuno si è mai azzardato a dirmi niente, limitandosi ad osservarli.

I miei occhi grandi, scuri e leggermente allungati, scrutano la mia figura, per finire sui miei orecchi, una piccola differenza che portiamo rispetto a tutti gli altri semi-umani, le nostre orecchie a punta.

Il mio popolo sono gli elfi neri della prateria.









Questo racconto è una storia che ancora non so se avrà un seguito.

Intanto è una metafora, come mille altre storie immagino, sui sogni, sui nostri desideri, e sull'amore, vero o immaginario che sia.


Se vogliamo ci son anche accenni a conformismo, e razzismo ma non sono così presuntuosa, non mi sbilancio in certi temi così delicati.

Il mio era solo un'idea immaginata in pallido pomeriggio, del mio sogno.

FunnyPink


   
 
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