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Autore: blackpearl_    05/04/2010    0 recensioni
Si sa, prima della morte tutta la vita sembra scorrerci in un attimo davanti agli occhi, ispirati da un'immagine, da una persona, da un luogo intorno a noi. Gli ultimi pensieri di una ragazza che ha capito che è finita è l'ha accettato.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Attimi*

Guardo fuori dal finestrino perfettamente calma, mentre il vento mi accarezza il viso come a volermi dire addio. Intorno a me c’è il caos, una massa indistinta di cose e persone che si confondono fra loro urlando e stridendo in preda al panico e al dolore. Io sono calma e sorrido.

Volto il viso e, il più vicino a me, è un prete che, con il crocifisso che oscilla fra le sue mani strette convulsamente, mormora una preghiera al Signore.

-Amore?-
Mi giro, mentre i capelli mi svolazzano intorno al volto come fossero vivi. Andrea mi fissa allegro, un sorriso tanto largo che sembra illuminargli il volto come un piccolo sole.
-Si?- chiedo
-Ti va di sposarmi?-
Il mio cuore manca un battito, mentre gli occhi si spalancano sorpresi e la bocca si apre in un ovale perfetto.
-Tu..vuoi..eh?- balbetto
Lui ride, con quella risata cristallina e sincera che smuove qualcosa dentro e spinge a ridere anche te, irrazionalmente e follemente, per poi lasciarti come uno stupida a chiederti perché l’hai fatto.

Mi rilasso sul sediolino, guardandomi intorno incuriosita come una bambina al centro di uno zoo colmo di animali che non ha mai visto. Poco più avanti, almeno un paio di posti, siede un barbone che guarda fisso nel vuoto con occhi spenti ed inespressivi, mentre una bambina piccola, al suo fianco, gli si stringe al fianco nascondendo il visino sotto il suo braccio destro, come a volersi proteggere.

-Chi è quello, mamma?- chiedo, con tutta l’innocenza di una bambina di otto anni
Mia madre segue il mio sguardo, con un piccolo movimento che le fa scuotere il caschetto di capelli ramati, donandole per un attimo una parvenza di giovinezza che ormai appartiene ad un passato irraggiungibile.
Steso su di una panchina c’è un uomo avvolto in uno sporco e logoro cappotto beige, che si stringe addosso come fosse il suo unico amico in quella fredda e nevosa serata di Dicembre.
L’espressione di mia madre si tinge di pietà e compassione, mentre mi afferra la mano piccola e avvolta in un guanto rosa, preferendo accelerare il passo piuttosto che spiegarmi che quello è un uomo che ha perso la propria strada.

Dietro di loro un uomo panciuto guarda il cielo sopra di noi con sguardo privo di rimpianti o tristezza, anzi, con un piccolo sorriso che si solca le labbra. Si passa una mano sulla testa afflitta da una calvizie incipiente, alzandosi leggermente per riuscire a sfilare senza troppi problemi un portafogli dalla tasca posteriore dei suoi jeans scoloriti che vogliono in tutti i modi imitare la moda giovanile.  Li apre lentamente, come se assaporasse ogni attimo come si deve, sfilando da una piccola tasca, posta sotto a quelle adibite alle carte di credito, una piccola foto sbiadita raffigurante una donna bionda che abbraccia con un sorriso un bambino dai riccioli scuri tutte mosse e fossette. La guarda a lungo, sfiorando i lineamenti dei due con il pollice.

Alzo il capo, fissando mio padre che, dopo aver scoccato un bacio a schiocco alla moglie, corre verso la porta di casa tutto imbardato in uno smoking che lo fa sembrare un pinguino. Lo chiamo, alzandomi da tavola e rovesciando la ciotola di latte, provocando in mia madre un moto d’orrore per quel lago di cioccolato che si allarga pigramente sulla tovaglia a fiori.
Mio padre si ferma, ma dice che ha fretta e deve correre se non vuole arrivare in ritardo alla conferenza. Eppure ho un bisogno impellente di abbracciarlo, di sentire sotto di me il profumo rassicurante del suo dopobarba Gillette e della sua voce che mi fa ridere con le sue imitazioni dei personaggi dei cartoni.
-Non mi dimenticherai, vero?- chiedo, soffocando il pianto nella sua giacca nera
Lui mi accarezza dolcemente la schiena e si china per essere alla mia stessa altezza. Partirà, lo farà comunque, però dovevo chiederglielo. Papà prende una cosa dal taschino interno e ci depone un bacio,prima di mostrarmela. Siamo noi! Io lui e la mamma al luna park.
-Non ti dimenticherei mai. Ma per qualsiasi cosa, c’è questa-

Sento delle voci che parlano civilmente e mi giro per vedere a chi appartengono. Una signora anziana, vestita di un bizzarro completo da hostess rosa che le sta eccessivamente stretto, chiede ad un altro passeggero se le può fare posto accanto a lui. Stringe con la mano destra il manico di un carrello stracolmo di dolci e caramelle di tutti i tipi, che luccicano alla luce del sole che filtra dall’enorme buco nel “tetto”. Il signore le fa gentilmente posto, rispondendole con una sicurezza che le sue mani tremanti non hanno. La signora si siede lentamente, senza fretta né panico, continuando a stringere il carrello dei dolci come fosse una culla contente un bambino.

-Guarda, dolci!-
-E’ inutile, non mi convinci-
-Dai nonna!- saltello, ballandole intorno
Lei continua a ripetermi che è irremovibile, ma vedo dalla sua espressione che si sta forzando di non accontentarmi con una carezza sulla testa.
-Giuro che non ti chiederò mai più i giocattoli! Mai più- prometto, fissandola con occhi scintillanti
Lei fa l’errore di ricambiare il mio sguardo, intenerendosi e sbuffando di falsa esasperazione. Il suo volto è gentile e buono, addolcito ancora di più dal sorriso che serba per la sua unica nipote di sei anni. Con un piccolo movimento della mano mi porge una moneta dorata che prendo come fosse un cimelio prezioso.
-Forza, prendiamo questi dolci-

Dalla piccola porta in fondo che conduce ai bagni maschili spunta un uomo pallido che si tiene lo stomaco con la mano sinistra, mentre nell’altra stringe una piccola valigetta nera. Avanza per il piccolo corridoi barcollando a causa della forte turbolenza, e riesce quasi ad arrivare al suo posto quando, proprio all’ultimo, una donna gli sbatte contro, facendogli mollare la presa sulla valigetta che, aprendosi, sparge per aria migliaia di fogli che saettano nell’aria come tante piccole rondini impazzite. I fogli ricadono su di noi lentamente, girando su se stessi e tracciando cerchi sempre più piccoli fino a sfiorare il pavimento.

Corro, con mille borse fra le mani e l’orologio che sembra rinfacciarmi continuamente che sono di una ventina di minuti in ritardo per la mia lezione all’università. Il cielo sopra di me è nuvoloso e il vento certo non mi aiuta, mandandomi i capelli davanti agli occhi da bravo antipatico. E’ proprio in uno di quei movimenti che, impegnata a liberarmi la visuale, sbatto contro qualcuno. Una volta finalmente libera incrocio due occhi verdi che sembrano perforarmi solo con lo sguardo, e allora che capisco che, in realtà, il vento mi stava solo facendo un favore.

Abbasso la testa, prendendo fra le dita il piccolo ciondolo a forma di luna che mi pende al collo da ormai dieci anni e mezzo. Lo sfioro con delicatezza, ammirandone i piccoli graffi che lo ricoprono, segno degli anni che passano. Chiudo gli occhi, stringendo la luna nel pugno tanto forte da sentirmi mordere la pelle dai suoi bordi affilati. Il buio immediatamente si tinge di tanti colori diversi, di batuffoli verdi, di cerchi gialli e arancioni, di immagini e ricordi. Piego lenta la testa verso sinistra, come per sentire meglio il rombo del motore dell’aereo che brucia, il sibilo dell’ala spezzata, lo sbattere dei sediolini che tremano per la spinta del vento.
-Chiamami quando arrivi-

L’aereo accelera, saettando nell’aria e iniziando a girare su se stesso tant’è la spinta. Veniamo schiacciati all’indietro a causa della gravità. Cerco di respirare, continuando a stringere la catenina.

-Sai come sono in ansia quando prendi l’aereo. Cerca di avvisarci al più presto o è capace che a tuo padre viene un infarto-

Il pilota piange, piange, urlando le sue scuse al cielo.

-Quando tornerai io sarò qui ad aspettarti e finalmente potremo sposarci-

Il mare si avvicina pericolosamente, le stesse nuvole sembrano spostarsi al nostro passaggio mentre gli uccelli stridono indignati.
La pressione è ormai troppo forte, tra poco non sarò più capace di pensare razionalmente. Stringendo i denti, oltre il buio della mia mente, delle mie palpebre serrate, si dipingono i volti dei miei genitori, di mia nonna e del mio futuro marito.

-Vi voglio bene- urlo, con quanto fiato mi rimane

-Ti vogliamo bene, piccola mia, ricordalo sempre-
-Ti voglio bene, nipotina-
-Ti amo-

Buio.



   
 
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