Fanfic su artisti musicali > Blink-182
Segui la storia  |       
Autore: memi    06/04/2010    4 recensioni
“Mark, questo è Tom. Tom DeLonge.”
No, Tom DeLonge non era affatto come se lo era immaginato lui, anche se non sapeva dire se in meglio o in peggio.
“Mark Hoppus...!” No, decisamente neanche il tono di voce irriverente e provocatorio era come se l’era immaginato che fosse. “Ti facevo più alto.”
“Sì. Anche io ti facevo più intelligente, Tom DeLonge.”
[I blink-182. La nascita. Il successo. La rottura. La riunione.]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Flyswatter

Second Side

 

 

Track 11

 

“Su con la vita, ragazzi! Ho conosciuto una.”

Cercando di soprassedere sul fatto che non vedeva il nesso logico tra lo stare contenti loro e l’aver conosciuto una lui, Mark sapeva bene che finché Tom non avesse sciorinato il fatto in ogni minimo dettaglio, non sarebbe stato contento e sapeva altrettanto bene che Travis – il nuovo batterista subentrato dopo l’addio obbligato a Scott – non era il tipo da impicciarsi troppo dei fatti degli altri, perciò con un sospiro si apprestò a tenere la sua parte.

“Una come?” Domandò quindi, fingendo un interesse che in realtà non provava nemmeno di striscio.

Tom era conosciuto ai media come HotPants e per guadagnarsi un simile titolo era chiaro che nel suo letto non fosse passata una sola ragazza.

“Una strafiga, ecco come.” Sorrise compiaciuto il chitarrista di rimando, mentre si accasciava senza alcuna delicatezza sulla poltrona nella loro sala prove. “Una tosta. Una veramente tosta.”

Buon per te.

Sforzandosi di non sospirare per non rovinare il lavoro appena fatto, Mark si passò una mano tra i capelli con aria stanca. Non riusciva più a trovarlo quel dannato spartito, eppure era certo di averlo lasciato lì, in qualche parte tra l’amplificatore e la batteria di Travis. O forse l’aveva messo accanto al frigobar?

“Beh? Non dici niente?” Da parte sua Tom tuttavia non sembrava intenzionato a voler lasciar cadere il discorso e adesso lo fissava con un’aria di profonda aspettativa stampata in viso.

Mark sbuffò e lanciò un’occhiata disperata all’indirizzo di Travis, il quale dalla sua poltrona si limitò a scrollare le spalle con aria rammaricata.

“Hoppus!” Si lamentò ancora il chitarrista, stizzito.

“Che vuoi che ti dica, DeLonge? Non vedi che sono impegnato?”

A dire il vero nutriva per la storia lo stesso interesse che avrebbe avuto per un documentario sugli insetti, ma non gli parve saggio farlo notare anche all’altro. Tom era rinomato per la sua impulsività e lui non ci teneva affatto a finire in ospedale con il naso rotto. Aveva ancora bisogno del suo naso.

“Oh sì, lo vedo come sei impegnato a fissare gli amplificatori, grazie tante.” Sbuffò contrariato Tom per tutta risposta, facendolo vagamente arrossire per quell’accusa.

“Non sto fissando gli amplificatori.” Ci tenne a precisare Mark. “Sto cercando il mio spartito. Qualcuno di voi l’ha visto per caso?”

“Hai provato là per terra?” Gli domandò di rimando Travis, accennando con una mano ad un foglio bianco che sbucava da sotto il frigobar.

Mark sbuffò e, lievemente spazientito, si apprestò a recuperare quel cavolo di spartito che non stava mai dove doveva stare.

“Grazie, Travis.”

“Di niente, Mark.”

“Adesso possiamo ritornare a me?” S’intromise a quel punto Tom, chiaramente scocciato.

“Ah sì, la strafiga.” Borbottò più che altro tra sé e sé il bassista, soprapensiero.

Come poteva fargli capire che non gliene fregava un emerito senza rimetterci qualche osso?!

“Esatto, la strafiga.” Per sua sfortuna, comunque, il DeLonge non sembrava affatto aver notato l’aria disinteressata apparsa sul viso dell’altro. “Si chiama Jennifer e credetemi se vi dico che una così non si trova neanche ad inventarla!”

“Che ha di così eccezionale?” Non poté evitare di chiedere Mark a quel punto, appena poco più incuriosito di zero. “È più brava delle altre a letto o cosa?”

“È proprio questo il punto.” Tom si sfregò le mani, sembrava al settimo cielo, e chissà perché in qualche modo la cosa parve riuscire a colpire l’altro. “Non ci sono nemmeno andato a letto insieme!”

Fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida sulla testa, o forse qualcuno gliel’aveva gettata davvero.

Tom DeLonge, HotPants...che non andava a letto con una?!

 

 

Track 12

 

“Alza il culo Hoppus, devo farti vedere una cosa!”

“Oh ciao anche a te DeLonge, no, non mi disturbi affatto anche se sono le due di notte.” Mark sorrise, perché dopotutto non riusciva ad arrabbiarsi davvero, non dopo le volte in cui l’altro l’aveva svegliato nel cuore della notte per sbandierargli la cazzata di turno.

“Perché, tu e Skye stavate dormendo forse?” Domandò sardonico dall’altra parte del telefono Tom e, anche se non lo poteva vedere, il bassista poté giurare che aveva messo su quell’espressione da pervertito che gli veniva sempre tanto bene.

“No.” Si vide tuttavia costretto a rispondere Mark poco dopo, salvo reiterare appena l’attimo dopo nell’avvertire il nuovo commento malizioso salire sulla lingua dell’amico. “Io non stavo dormendo.”

“Tu? Da solo? Mi meraviglio di te, Mark Hoppus!” Come ovvio, Tom scoppiò in una risata divertita, fin troppo in effetti.

“Che vuoi?” Chiese solo il bassista, una volta che l’altro si fu calmato.

“Ho scritto un pezzo. Un pezzo che spacca, voglio dire.”

E vuoi che sia il primo a leggerlo, lo so, non sforzarti di dirmelo, potrebbe venirti il diabete, non si sa mai.

“Cioè, avevo questo ritornello in testa e allora mi sono messo e ho iniziato a scrivere. E non esagero se ti dico che è perfetto!”

Mark avrebbe voluto aggiungere che tutto quello che faceva Tom era perfetto per lui, ma se lo tenne per sé, perché avrebbe dovuto dargli dell’arrogante e al momento c’era un’altra cosa che gli premeva di più dire.

“Ho scritto un pezzo anch’io.” Lo informò piuttosto, ma nella sua voce c’era appena un filo dell’eccitazione che lo stava pervadendo al momento. “Stavo per chiamarti, ma tu mi hai anticipato.”

“Hai scritto un pezzo? Stanotte intendi?”

“Intendo ora. L’ho appena finito.”

“Vuoi dire che abbiamo scritto due fottuti pezzi la stessa notte, allo stesso orario?” Tom sembrava incredulo e adesso che ci pensava anche lui, Mark non poteva dirsi da meno.

Era incredibile, era persino più strano della prima volta che si erano incontrati e avevano suonato insieme, accorgendosi di essere praticamente compatibili in tutto, eccetto forse i caratteri, ma vabbè.

“A quanto pare...già.”

“Wow...”

Sì, wow...

E, probabilmente per la prima volta in vita sua o comunque una delle rare volte in cui questo succedeva, Mark si ritrovò davvero senza niente da dire.

 

 

Track 13

 

Non gli veniva una cazzo d’idea neanche a pagarla, fanculo! E non aveva nemmeno un fottuto orologio per vedere che ora era, perché quello stronzo di un manager aveva pensato bene di rinchiuderlo come un coglione qualunque in una stanza con solo la compagnia di un foglio e una penna. Beato Travis, che perlomeno poteva starsene a rimpinzarsi di patatine e schifezze varie nell’attesa, mentre lui lì andava avanti ad acqua naturale e sbuffi.

Per una frazione di secondo – o almeno si illuse che fosse solo una frazione di secondo – Tom si domandò se quel rimbambito globale di Mark avesse già finito il suo pezzo.

Ecco, in quel momento avrebbe volentieri staccato la testa a morsi all’idiota che aveva avuto la grandiosa idea di rinchiudere lui e l’altro scemo del villaggio in due stanze separate a scrivere una cazzo di canzone senza che nessuno dei due avesse chiesto all’altro l’argomento da trattare. E non gliene fregava assolutamente un cazzo se adesso veniva a sapere che l’idea era venuta a lui stesso! Era disposto ad infilarsi la matita al petto e a farla finita, pur di mettere fine a quelle stronzate di dimensioni mastodontiche.

E comunque Mark non poteva aver finito di scrivere prima di lui.

Era umanamente impossibile.

Di sicuro stava ancora guardando il foglio bianco con la sua faccia da scemo e il cervello completamente vuoto, o magari chiedendosi che gusto avessero le patatine che stava certamente mangiando Travis dall’altra parte.

In ogni caso non poteva aver avuto un’idea, era impensabile.

Magari stava pensando che Tom doveva aver già finito la propria parte e si stava torturando perché non gli veniva un’idea decente su cui partire.

Ma se solo Mark avesse saputo che Tom non aveva scritto neanche la prima lettera...

Fanculo!” Sbuffò stizzito per l’ennesima volta il chitarrista, al culmine della pazienza, già di per sé alquanto scarsa invero. “Un’idea. Ci vuole un’idea.” Però ripeterselo non riusciva a trovargliene una buona e così ritornava al punto di partenza, con le mani nei capelli e l’espressione più frustrata che mai in viso.

Perché non si decidevano a prendere un paroliere? Uno che sapesse parlare bene di alcol, di cazzotti e di amicizia. Uno con le palle, insomma, che non si sarebbe vergognato a scrivere di...

E poi, l’idea.

Dieci minuti dopo, Tom fissava entusiasta il foglio pieno di scritte e scarabocchi dinanzi a sé e intanto pensava che gliel’aveva fatta a quella faccia da culo!

Acciuffò il suo foglio e arrabattò fino alla porta spinto da una voglia incontenibile di sbattere il suo testo in faccia a Mark, giusto per il gusto di vederlo impallidire e imprecare contro la propria mancanza di idee. Certo poteva essere anche una cosa infantile da fare, ma al momento non gliene fregava assolutamente nulla. Aveva un testo e Mark no, perciò col cavolo che si preoccupava di risultare infantile!

“Ammira e stupisciti, Hoppus!” Dichiarò, entrando tutto pimpante nella stanza dove era stato rinchiuso il compagno di avventure.

Mark, che stava giocando con la penna sul foglio, al suo folgorante ingresso alzò il capo e abbassò la penna.

“Hai scritto.” Osservò, quasi con disinteresse avrebbe detto Tom, se solo non l’avesse reputata una cosa impossibile.

“Esatto! E tu invece? Dì la verità: stai ancora a zero, eh?” Lo provocò, perché si divertiva sempre un mondo ad osservare le reazioni dell’altro.

Eppure, contrariamente alle sue aspettative, Mark non sbiancò.

Mark sorrise.

“Non proprio.” Rispose, mentre gli allungava il suo foglio – e solo in quel momento il chitarrista si accorse che erano scritte quelle e non disegnini dettati dalla noia – e gli sfilava a sua volta il proprio dalle mani.

Spinto dalla curiosità, Tom quasi si mangiò le parole dell’altro. Poi rilesse ancora. E ancora, e quando alzò il capo per incrociare gli occhi azzurri di Mark, gli mancò un battito.

“Parla di sesso.” Dichiarò, come se non potesse credere a ciò che stava leggendo.

L’Hoppus annuì, piano. “Parli di sesso anche tu.” Notò poi, con la fronte corrugata per lo stupore.

Sì, i loro testi parlavano indiscutibilmente di sesso, eppure nessuno aveva detto loro di che parlare e Tom era certo di non essersi messo d’accordo con Mark sull’argomento da trattare.

Sorrise e non si sentì stupido quando si accorse di stare rispondendo, così facendo, al sorriso già apparso sul viso dell’altro.

 

 

Track 14

 

“Ecco, lo vedi? Non ti sta mai bene un cazzo di quello che faccio!”

Tom si sentiva una donnetta isterica ad urlare in quel modo, ma era una cosa più forte di lui. Erano giorni, forse persino settimane che lui e Mark non facevano altro che litigare, e litigare, e ancora litigare. Era come se per tutta la vita non avessero fatto altro, al punto tale che gli pareva quasi assurdo adesso pensare che erano stati così legati loro due.

Che la colpa fosse una volta dell’uno, una volta dell’altro, era un dato di fatto praticamente.

Travis aveva tentato diverse volte di farli ragionare, ma quando si mettevano in testa una cosa loro due era più facile riuscire ad insegnare ad un vecchio a suonare la batteria che convincere loro a desistere.

Come fossero iniziati tutti quei litigi, Tom non riusciva proprio più a ricordarselo. Forse era stata la stanchezza per via di tutti i tour a cui si erano sottoposti, senza neanche una merda di pausa nel mentre. O era il bisogno di evadere, in qualche modo, scappare dal mondo trito e ritrito dei blink-182, quello che li aveva accompagnati da una vita quasi e che adesso minacciava di essere troppo stretto per loro.

Tom non ne aveva alcuna idea, ma sapeva che continuare a quel modo era un’impresa pressoché ardua, se non addirittura impossibile.

“Forse perché hai praticamente stravolto la canzone, DeLonge!” Stava nel frattempo dicendo Mark, rosso e incollerito come riusciva ad esserlo soltanto in quel periodo.

“Non ho stravolto la canzone, Cristo santo! Sei tu che vai fuori tempo!” Lo accusò di rimando Tom, sempre più arrabbiato.

“Ragazzi, forse dovremmo cercare di-” Tentò di farli ragionare, come sempre, Travis, senza avere molta fortuna purtroppo.

“No!” Furono infatti le risposte unanimi che ne ricevette dagli altri due membri della band, risposte che lo convinsero a rinchiudersi nel suo spazio dietro la batteria e ad assistere ancora una volta impotente alla sfuriata che si stava realizzando davanti ai suoi occhi.

“Sai che c’è, Hoppus? Mi sono sinceramente rotto le palle di assecondare i tuoi deliri!”

Non sapeva perché l’aveva detto, insomma, era ovvio che non lo pensasse davvero, ma era un tipo troppo orgoglioso per rimangiarsi indietro tutto e chiedere scusa.

Guardò verso Mark e si accorse che adesso non era solo incollerito: era furioso.

“Bene, allora vattene Tom! Vattene via! Nessuno ti sta trattenendo qui!”

Tom sapeva che non avrebbe dovuto lasciare che le parole dell’altro lo ferissero tanto, ma lo fecero e fu come ricevere una stilettata nel petto.

Avrebbe voluto dirgli di smetterla, che era un coglione, che non le pensava davvero quelle cose e che lui lo sapeva, ma la delusione era cocente e Mark lo guardava con quegli occhi azzurri così distaccati che per un momento gli sembrò di non averlo mai avuto veramente vicino dopotutto.

“Perfetto! Lo farò, contaci! Col cazzo che rimango in una band di scemi!” Disse invece, anche se non erano quelle le parole che avrebbe voluto dire e di sicuro quelle di Mark non furono quelle che avrebbe voluto sentire.

“Fantastico! Aria finalmente! Vedrai Travis, staremo meglio senza questo-”

Tom non voleva sapere come lo avrebbe chiamato, perciò fu grato alla porta che si richiuse proprio in quel momento alle sue spalle. Avevano litigato molto in quei giorni, sì, ma era di sicuro la prima volta che lo facevano tanto ferocemente. E le parole che si erano detti...

Sbatté un pugno contro la parete e, con le narici dilatate per il nervoso, si diresse a passo di piombo verso l’uscita.

Vuoi che me ne vada? Bene! Ma non venirmi a cercare mai più Hoppus, mai più!

Si sentiva adirato, umiliato e anche un tantino usato, ma la cosa peggiore era il sentirsi così...come se fosse stato appena respinto.

E forse avrebbe fatto anche meno male, se a respingerlo non fosse stata una delle persone – se non la persona – più importanti della sua vita.

 

 

Track 15

 

Quattro anni.

Quella che era iniziata come una litigata qualsiasi, aveva portato alla rottura dei blink-182. Una rottura di quattro anni, ad essere precisi, e Tom era abbastanza sveglio da sapere che nessuna band si rimetteva insieme dopo quattro anni di lontananza.

Non quando nessuno è disposto a fare il primo passo, perlomeno.

Certo il suo lavoro con gli AVA gli piaceva e si divertiva ancora un mondo a suonare la chitarra, ma certe volte, tipo dopo un concerto o alla fine di un tour, Tom si guardava indietro e si accorgeva che il basso di Matt non era di un colore assurdamente rosa, e che i capelli di Atom non erano affatto cambiati dall’ultima volta.

C’erano delle volte, poi, che mentre stava sul palco, poco prima di cantare, ecco, si voltava per istinto verso la sua destra e puntualmente si ritrovava come uno stupido a pregare Matt di girarsi, e a rimanere deluso quando questo non lo faceva e non gli sorrideva come a volergli dire che sarebbe stato fantastico, come sempre.

Si sciacquò il viso e se lo tamponò con un asciugamano pulito, e mentre se lo sfregava con flaccida calma decise che col cazzo che li avrebbe chiamati lui per primo!

Non era stato lui a dire che era meglio se se ne andava. Non aveva fatto lui il gesto di respirare non appena aveva accennato ad andarsene. Non era stato lui a volere tutto quello, si era solo adeguato e basta.

Non era uno che rimaneva in una band dove non lo volevano e né Travis né quell’altro scemo l’avevano chiamato dopo quella volta, perciò poteva venire pure l’apocalisse, perché non si sarebbe di certo messo a pregarli di riprenderlo con loro. Tanto più che con gli AVA aveva trovato il suo posto. Con gli AVA stava bene, l’accettavano, non lo cacciavano via.

Sì, con gli AVA stai bene, ma non è come quando stavi con loro.

Sbuffò e si diede dello stupido da solo per la piega che avevano preso i suoi pensieri. A volte sarebbe stato così bello poter staccare il cervello. Togliere la spina e spazzare via ogni stupido e inutile pensiero, perché non aveva proprio bisogno al momento di una coscienza in grado di farlo sentire una merda più di quanto già non si sentisse.

Certo lui in quegli ultimi quattro anni non si era sempre comportato bene con i blink. Aveva ripetuto in più di un’occasione che erano una band stupida e che non ci teneva affatto a far parte di una band stupida e che stava bene, lì con gli AVA. Ma insomma, l’avevano respinto e umiliato: aveva pure il diritto di prendersi le sue cazzo di rivincite, no?!

Se solo non fossi così tremendamente bugiardo, Tom...

Dannata coscienza! Perché non poteva semplicemente starsene zitta? Perché non poteva lasciarlo in pace?

“Tom? Tom, vieni! Vieni subito!” La voce concitata di Jennifer da qualche parte della casa mise fine al fluire dei suoi pensieri.

Tom sbuffò, scocciato. “Che cavolo c’è adesso?” Domandò, mentre usciva dal bagno con l’aria più seccata del mondo.

“Tom corri! È urgente!” Continuava frattanto a ripetere Jennifer, neanche fosse stata un disco e si fosse incagliata.

La trovò in cucina, seduta al tavolo con il viso pallido e una mano premuta sulla bocca. Gli venne automatico allarmarsi e, ancora di più, spostare il peso da una gamba all’altra per l’agitazione. Che cazzo stava succedendo?

“Guarda la tv, Tom.”

Fece quanto gli era stato detto e rimase letteralmente di sasso nell’apprendere la notizia.

Travis Barker aveva avuto un incidente aereo.

Doveva chiamare Mark.

 

 

Track 16

 

“Il tuo basso. È ancora dannatamente rosa.”

Mark sbuffò, ma non si sentiva per nulla offeso o arrabbiato. Si sentiva strano e in un certo senso persino a disagio di ritrovarsi, dopo quattro lunghi anni di lontananza totale senza neppure uno straccio di telefonata o messaggio, niente di meno che Tom DeLonge nella sua stessa stanza. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi lì per lì quando, non senza lasciarlo completamente basito, sul suo cellulare era apparso il nome del suo ex compagno di band e nel rispondere l’aveva sentito così tremendamente preoccupato e in colpa quasi.

Ma adesso che era lì davanti a lui, adesso che potevano parlarsi e spiegarsi finalmente, Tom preferiva tergiversare sul suo basso.

Sorrise appena e scosse la testa: era incredibile quel ragazzo.

“È sempre stato rosa.” Lo corresse, mettendo su un tono che sperò essere abbastanza duro da rinfacciargli il silenzio protrattosi tra loro in quei quattro anni.

“Lo so. È solo che... È così rosa...!” Insistette tuttavia Tom, gli occhi ancora incollati al suo vecchio strumento musicale, quasi volesse marchiarsi a fuoco nella mente ogni dettaglio.

Rimasero così per un silenzio che a Mark parve interminabile e alla fine fu lui per primo a spezzare la strana quiete interscesa con le sue parole. Parole dure. Parole che sarebbero dovute essere diverse, ma che non potevano esserlo semplicemente perché Tom se n’era andato via e non era più tornato.

“Sei venuto qui per parlarmi del mio basso rosa o c’è dell’altro?” Alzò un sopracciglio ed indossò un cipiglio neutrale, come se la cosa non potesse importargliene di meno e non come se fosse quello che stava aspettando con tutto se stesso da quattro infiniti anni.

“No.” Sospirò, dopo un iniziale silenzio, Tom e finalmente si decise a rivolgere i suoi scuri occhi in quelli azzurri dell’altro. “Sono qui per Travis.”

Mark non sapeva se stava mentendo o no, anche se un tempo era stato facile per lui farlo, ma decise che poteva anche concedergli il privilegio del dubbio per una volta.

“Te l’ho già detto per telefono. Travis sta bene. Probabilmente lo dimetteranno in settimana, quindi...”

Quindi se sei venuto qui per qualcosa di diverso da quello che ci siamo già detti, ti conviene farlo subito DeLonge, prima che io cambi idea e ti cacci via.

“Ah. Meglio così allora. Mi sono...sai...” Tom fece un ampio gesto con la mano, accompagnando così le sue parole, e stavolta Mark non riuscì ad impedirsi di sorridere.

Dopo tutti gli anni passati insieme, ancora si vergognava ad ammettere che era preoccupato per loro?!

“Che hai da sorridere? Ti diverte vedermi così?”

S’irrigidì all’istante all’accusa dell’altro e, alzando allarmato lo sguardo, si accorse che Tom lo stava fissando.

“Sono solo sorpreso. Pensavo che fossi cresciuto abbastanza in tutti questi anni da ammettere che sei preoccupato per Travis.” Rivelò infine, perché era stupido tenersi per sé i suoi pensieri quando per quattro anni non aveva fatto altro che chiedere di potergli parlare almeno un’altra volta ancora.

Tom rimase come paralizzato da quelle parole, ma durò meno di un minuto che subito si passò una mano tra i capelli, sospirando. Sembrò sul punto di voler dire qualcosa – qualcosa d’importante, forse? – ma alla fine decise di fare retromarcia e cambiare discorso.

“Le cose non sono andate proprio come ce l’aspettavamo noi, eh?” Sembrava più una domanda retorica, tuttavia Mark non ebbe la forza né la voglia di farglielo notare.

Annuì invece. “Hai ragione.”

“Chi l’avrebbe mai detto anni fa che i blink-182 si sarebbero sciolti, un giorno?” Lo stava fissando, ancora, e stavolta l’ex bassista sapeva bene come voleva continuare la frase.

Chi l’avrebbe mai detto che io e te non ci saremmo nemmeno più parlati, un giorno?

“Credevo fossi contento di stare con gli AVA. Che i blink-182 fossero una band di stupidi.” Mark non sapeva con esattezza il motivo per cui avesse detto proprio quelle parole, quando era chiaro che non voleva litigare ancora con lui, ma la sua bocca aveva parlato per lui prima che riuscisse ad impedirlo.

Tom si fermò, ancora una volta, una perfetta statua di sale. “Lo sai che non lo penso veramente...” Tentò, ma l’altro lo interruppe con un gesto della mano.

“A dire il vero non lo so. Pensavo di saperlo, ma mi sono accorto di no. Non so un cazzo, Tom!” L’aveva chiamato per nome e raramente lo chiamava per nome, se ne era accorto lui come se ne era accorto l’ex chitarrista, ma Mark era troppo provato per spenderci sopra qualche pensiero.

Aveva bisogno di risposte, aveva bisogno di sentirsi dire tante cose, voleva sapere che per Tom non erano stati un errore i blink-182...

“Mark...” Anche lui l’aveva chiamato per nome ed era strano e altrettanto buffo sentirglielo dire dopo tutto quel tempo, eppure sufficiente a riportarlo con i piedi per terra, a ricordargli cos’era successo tra loro.

“Che cosa vuoi ancora da me?” Domandò quindi, il tono freddo e distaccato che non gli era mai appartenuto. “Te ne sei andato. Sei scomparso nel nulla per quattro anni. Cazzo, quattro anni! Adesso torni e cosa? Cosa vuoi Tom? Vuoi calpestare anche l’ultimo ricordo bello che mi è rimasto dei blink o cosa?”

“No. Non è così.” Tom sospirò, sembrava abbattuto mentre si passava una mano sul viso. “Sei stato tu a dirmi di andarmene.” Disse infine, senza alcuna traccia di odio o rancore nella voce, se non una profonda, sconcertante frustrazione.

Mark si sentì ad un tratto come se non avesse più le braccia e le gambe, come se la sua mente non fosse nemmeno più lì, al suo posto, come se il mondo avesse preso a girare e lui fosse rimasto fermo.

“Avevi detto che ti eri rotto. Che non ci sopportavi più!”

“Ho detto parecchie stronzate.”

“Ma...”

Cavolo, non era giusto. Non era giusto per niente. Non poteva piombargli nella vita tutto ad un tratto e dirgli che si erano fraintesi, che i blink non erano un errore, che loro due non erano sbagliati...

“Mark.” Tom lo stava chiamando, ma l’altro non lo stava neanche più ad ascoltare.

Gli veniva voglia di ridere.

Lo fece.

“Dio, sei un coglione, DeLonge!” Esclamò poi, quando l’altro gli rivolse un’occhiata perplessa e un sopracciglio inarcato.

Mark rideva e Tom, semplicemente, non riuscì e non volle trattenere un sorriso, uno di quei ghigni che gli erano tanto cari.

“Sì, me lo dicono in molti, Hoppus.”

 

 

Track 17

 

Tom si sentiva nervoso. E si sentiva un coglione. Si sentiva un coglione perché era stupido sentirsi così nervosi, no? Insomma, non è che quello fosse il suo primo concerto, perciò doveva esserci largamente abituato a quel punto. Certo l’ansia lo coglieva sempre, ma era sicuro di non essersi sentito mai così preoccupato in tutta la sua vita di salire su un palco come in quel momento.

Forse dopotutto non era stata poi una grande idea quella di riformare i blink-182. Anzi, era stata una grossa, enorme, colossale stronzata! Magari faceva ancora in tempo ad annullare l’esibizione e a ritornarsene a casa, o in qualsiasi altro posto che non fosse stato quello.

O forse no.

Cazzo.

“Accidenti, sembri uno che sta per vomitare.”

Tom si voltò, anche se sapeva perfettamente chi fosse. “Travis, fammi un piacere: la prossima volta che stai per dire una stronzata, avvisami, almeno mi faccio trovare preparato.”

Per tutta risposta il batterista sfoderò il suo sorriso strafottente e, con un’alzata di spalle, iniziò a picchiettare le sue bacchette l’una contro l’altra, ritmicamente. Era il suo modo scaramantico con cui affrontava i concerti, Tom lo sapeva ma fu una piacevole sorpresa vederglielo fare ancora, dopo tutto quel tempo.

“Siete ancora qui a perdere tempo? Guardate che tra un po’ si va in scena!” Proprio in quel momento, Mark Hoppus decise di rivelare il suo brutto muso dalla porta del camerino, gli occhi scintillanti di un bambino che a stento riesce a trattenere il proprio entusiasmo e il broncio infantile di chi si finge poco soddisfatto di quello che sta vedendo.

“Tom deve vomitare.” Fu l’asciutta risposta che ne ricevette da Travis.

Tom sentì la vena alla tempia pulsargli e dovette chiudere le mani a pugno per non lanciare la propria chitarra contro il batterista, non tanto per lui quanto per lo strumento, ci si era affezionato in tutti quegli anni.

“Cosa? Non dirmi che sei nervoso!” Mark sembrava sul punto di mettersi a sghignazzare e Tom giurò lì per lì che non gliel’avrebbe mai perdonata una cosa simile.

A giudicare da come l’altro s’impegnò a non ridere, il suo sguardo gelido dovette avvertirlo del pericolo.

“Non sono affatto nervoso. Lo so che è una cosa strana per voi due, ma stavo solo pensando.” Borbottò, mentre si buttava letteralmente sul divano e affondava la testa nella spalliera.

“Pensando? Tu?” Travis parve sorpreso e stavolta Tom non riuscì a resistere dal lanciargli addosso la prima cosa sottomano, ovvero un giornaletto di musica. “Scusa.” Mormorò dunque il batterista, fingendo un dispiacere che – cazzo! – neppure si sforzò di mostrare.

“Non è bello?” Ad interrompere quel bislacco scambio di opinioni, ci pensò ancora una volta Mark e i suoi pensieri all’apparenza senza senso.

“Di che cavolo stai parlando adesso, Hoppus?” Tom alzò un sopracciglio e l’altro sorrise, quel sorriso beota che era il suo sorriso.

“Tutto questo!” Rispose con espressione assente Mark, accennando con un ampio gesto delle braccia al...camerino?

Tom non era per niente sicuro di riuscire a capire e, a giudicare dall’espressione perplessa apparsa sul viso di Travis, non doveva essere nemmeno l’unico.

“Voglio dire, questo posto, il fatto che stiamo per salire su un palco, di nuovo, e che nessuno lo sa e... E noi tre, qui, adesso. Insieme, come una volta, come i blink-182... Non è straordinario?” Ripeté, come se non potesse davvero credere che gli altri due non capissero quello di cui stava parlando.

Per istinto, Tom gettò un’occhiata a Travis, che scrollò le spalle, come sempre.

“Ti avevamo detto di non bere, Mark!” Disse quindi, prendendolo ampiamente per i fondelli.

Come volevasi dimostrare, il bassista fece un’espressione molto poco contenta dell’insinuazione.

“Non sono ubriaco! Cazzo, una volta tanto che dico una cosa poetica e voi non trovate niente di meglio che darmi dell’alcolizzato? Siete delle merde, tutti e due!”

“Già, già.” Alzò gli occhi al cielo Tom, sbuffando divertito, mentre Travis ridacchiava dalla sua postazione.

“Grazie del complimento, Mark, lo accetto volentieri.”

Offeso da quell’apparente coalizione – ma non stavano litigando giusto un minuto prima?! – l’Hoppus recuperò il suo basso e iniziò a strimpellare qualcosa, giusto per far passare il tempo, sennonché uno degli organizzatori s’infilò nel loro camerino con un sorriso raggiante dipinto in volto.

“Si va in scena, ragazzi!”

Neanche avesse avuto le gambe fatte di molla, Mark saltò su come un pazzo e iniziò a sbattersi per farli sbrigare.

“Non avete sentito? Si va in scena! I blink tornano sul palco!”

“Andiamo a dare il nostro meglio.” Esordì anche Travis e si vedeva lontano un miglio che non stava più nella pelle dalla gioia.

Anche Tom si alzò e, recuperata la sua chitarra, si affrettò a raggiungere i due compagni di band. Sentiva ancora un groppo bloccargli la gola e man mano che si avvicinavano al palco era sempre più certo che avrebbe cantato uno schifo, suonato addirittura peggio e fatto scappare quei quattro fan che ancora gli erano rimasti fedeli. Era un po’ come tornare agli inizi, agli esordi, e chiedersi se sarebbe stato all’altezza delle aspettative degli altri o se avrebbe finito per fare un grosso, clamoroso fiasco.

Quando mise piede sul palco – come blink e non come AVA, dopo tutti quegli anni – riusciva a stento a respirare.

Qualcuno doveva aver urlato il loro nome, tra il pubblico, e nonostante un lieve sorriso a tremolargli sulle labbra, Tom non riuscì a sentirsi meno spaventato. Poi Travis batté un colpo di bacchetta sul rullante, quindi un altro e un altro ancora, e gli mancò più di un battito quando sentì gli spettatori urlare e gridare, come forsennati. Gli venne quasi automatico girarsi verso destra – una brutta abitudine che aveva preso in tutti quegli anni – e per un istante quasi si aspettò di ritrovarsi davanti Matt senza sapere cosa volesse da lui con quello sguardo.

Ma non c’era Matt. Non c’erano gli AVA. C’era Mark e gli stava sorridendo, ed era quel sorriso come a voler dire che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe stato tutto fantastico, e che non avrebbe fatto una figuraccia, ma sarebbe stato perfetto, come sempre.

E fu allora, fu in quel preciso istante che Tom lo sentì davvero. Il pubblico, il loro nome urlato a gran voce, il suono della batteria sotto i colpi di Travis, il sorriso di Mark, la sua presenza accanto ancora una volta... Sì, i blink-182 erano definitivamente tornati e avrebbero dovuto ucciderli stavolta per farli sciogliere di nuovo.

Perché, cazzo, era dannatamente bello avere qualcuno così perfettamente compatibile con te, qualcuno come te, affianco.

 

 

 

The end

 

 

 

 

 

A/N

Innanzitutto, buona Pasqua fatta a tutti. Volevo aggiornare prima per farveli in tempo, ma ormai è risaputo che sono una ritardataria cronica. Perciò, amen.

Venendo a noi, come vi avevo preannunciato, questa seconda parte si compone di “sole” sette tracce.

Piccole precisazioni.

Track 12. Le canzoni a cui si riferisce, sono The Rock Show e First Date, scritte rispettivamente da Mark Hoppus e Tom DeLonge la stessa notte. Ditemi voi se questo non significa qualcosa.

Track 13. La canzone è Feeling This. Non credo ci sia molto da aggiungere, a questo punto, la complicità dei blink-182 è praticamente lampante.

Scrivere questa storia mi è piaciuto moltissimo ed è praticamente venuta fuori da sola. Volevo scrivere qualcosa su di loro, una specie di tributo a questo gruppo e alla loro nascita, ai rapporti esistenti tra i membri, specie quelli tra Mark e Tom. In un’intervista di svariati anni fa, Tom diceva che la sua amicizia con Mark era un qualcosa di inestimabile e molto forte e io credo, al di là della rottura, che sia ancora così. Che sarà sempre così. Perché, ecco, penso che quando trovi “qualcuno come te”  – e non ho dubbi che Tom e Mark lo siano – è pressoché impossibile poter cambiare questo dato di fatto, anche se gli avvenimenti sembrano minare questa verità.

Bien, questo è tutto. Volevo ringraziare anche hollerbaby per la sua recensione. Sei stata davvero molto carina e mi ha fatto estremamente piacere leggere il tuo commento e sapere che la storia non era poi così male, ma che anzi si delineava abbastanza con la realtà (o almeno, con la parte di realtà che sappiamo noi).

Grazie ancora a tutti. A chi leggerà, a chi recensirà e a chi si farà un sorriso, o no. Alla prossima, gente!

Baci.

memi J

 

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Blink-182 / Vai alla pagina dell'autore: memi