Flyswatter
Second Side
Track 11
“Su
con la vita, ragazzi! Ho conosciuto una.”
Cercando
di soprassedere sul fatto che non vedeva il nesso logico tra lo stare contenti loro e l’aver conosciuto una lui, Mark sapeva bene che finché Tom non
avesse sciorinato il fatto in ogni minimo dettaglio, non sarebbe stato contento
e sapeva altrettanto bene che Travis – il nuovo batterista subentrato dopo
l’addio obbligato a Scott – non era il tipo da impicciarsi troppo dei fatti
degli altri, perciò con un sospiro si apprestò a tenere la sua parte.
“Una
come?” Domandò quindi, fingendo un interesse che in realtà non provava nemmeno
di striscio.
Tom
era conosciuto ai media come HotPants e per guadagnarsi un simile titolo era
chiaro che nel suo letto non fosse passata una sola ragazza.
“Una
strafiga, ecco come.” Sorrise compiaciuto il chitarrista di rimando, mentre si
accasciava senza alcuna delicatezza sulla poltrona nella loro sala prove. “Una
tosta. Una veramente tosta.”
Buon per te.
Sforzandosi
di non sospirare per non rovinare il lavoro appena fatto, Mark si passò una
mano tra i capelli con aria stanca. Non riusciva più a trovarlo quel dannato
spartito, eppure era certo di averlo lasciato lì, in qualche parte tra
l’amplificatore e la batteria di Travis. O forse l’aveva messo accanto al
frigobar?
“Beh?
Non dici niente?” Da parte sua Tom tuttavia non sembrava intenzionato a voler
lasciar cadere il discorso e adesso lo fissava con un’aria di profonda
aspettativa stampata in viso.
Mark
sbuffò e lanciò un’occhiata disperata all’indirizzo di Travis, il quale dalla
sua poltrona si limitò a scrollare le spalle con aria rammaricata.
“Hoppus!”
Si lamentò ancora il chitarrista, stizzito.
“Che
vuoi che ti dica, DeLonge? Non vedi che sono impegnato?”
A
dire il vero nutriva per la storia lo stesso interesse che avrebbe avuto per un
documentario sugli insetti, ma non gli parve saggio farlo notare anche
all’altro. Tom era rinomato per la sua impulsività e lui non ci teneva affatto
a finire in ospedale con il naso rotto. Aveva ancora bisogno del suo naso.
“Oh
sì, lo vedo come sei impegnato a fissare gli amplificatori, grazie tante.”
Sbuffò contrariato Tom per tutta risposta, facendolo vagamente arrossire per
quell’accusa.
“Non
sto fissando gli amplificatori.” Ci tenne a precisare Mark. “Sto cercando il
mio spartito. Qualcuno di voi l’ha visto per caso?”
“Hai
provato là per terra?” Gli domandò di rimando Travis, accennando con una mano
ad un foglio bianco che sbucava da sotto il frigobar.
Mark
sbuffò e, lievemente spazientito, si apprestò a recuperare quel cavolo di
spartito che non stava mai dove doveva stare.
“Grazie,
Travis.”
“Di
niente, Mark.”
“Adesso
possiamo ritornare a me?” S’intromise a quel punto Tom, chiaramente scocciato.
“Ah
sì, la strafiga.” Borbottò più che altro tra sé e sé il bassista,
soprapensiero.
Come
poteva fargli capire che non gliene fregava un emerito senza rimetterci qualche
osso?!
“Esatto,
la strafiga.” Per sua sfortuna, comunque, il DeLonge non sembrava affatto aver
notato l’aria disinteressata apparsa sul viso dell’altro. “Si chiama Jennifer e
credetemi se vi dico che una così non si trova neanche ad inventarla!”
“Che
ha di così eccezionale?” Non poté evitare di chiedere Mark a quel punto, appena
poco più incuriosito di zero. “È più brava delle altre a letto o cosa?”
“È
proprio questo il punto.” Tom si sfregò le mani, sembrava al settimo cielo, e
chissà perché in qualche modo la cosa parve riuscire a colpire l’altro. “Non ci
sono nemmeno andato a letto insieme!”
Fu
come ricevere una secchiata d’acqua gelida sulla testa, o forse qualcuno
gliel’aveva gettata davvero.
Tom
DeLonge, HotPants...che non andava a
letto con una?!
Track 12
“Alza
il culo Hoppus, devo farti vedere una cosa!”
“Oh
ciao anche a te DeLonge, no, non mi disturbi affatto anche se sono le due di
notte.” Mark sorrise, perché dopotutto non riusciva ad arrabbiarsi davvero, non
dopo le volte in cui l’altro l’aveva svegliato nel cuore della notte per
sbandierargli la cazzata di turno.
“Perché,
tu e Skye stavate dormendo forse?” Domandò sardonico
dall’altra parte del telefono Tom e, anche se non lo poteva vedere, il bassista
poté giurare che aveva messo su quell’espressione da pervertito che gli veniva
sempre tanto bene.
“No.”
Si vide tuttavia costretto a rispondere Mark poco dopo, salvo reiterare appena
l’attimo dopo nell’avvertire il nuovo commento malizioso salire sulla lingua
dell’amico. “Io non stavo dormendo.”
“Tu?
Da solo? Mi meraviglio di te, Mark Hoppus!” Come ovvio, Tom scoppiò in una
risata divertita, fin troppo in effetti.
“Che
vuoi?” Chiese solo il bassista, una volta che l’altro si fu calmato.
“Ho
scritto un pezzo. Un pezzo che spacca, voglio dire.”
E vuoi che sia il primo a leggerlo, lo
so, non sforzarti di dirmelo, potrebbe venirti il diabete, non si sa mai.
“Cioè,
avevo questo ritornello in testa e allora mi sono messo e ho iniziato a
scrivere. E non esagero se ti dico che è perfetto!”
Mark
avrebbe voluto aggiungere che tutto quello che faceva Tom era perfetto per lui,
ma se lo tenne per sé, perché avrebbe dovuto dargli dell’arrogante e al momento
c’era un’altra cosa che gli premeva di più dire.
“Ho
scritto un pezzo anch’io.” Lo informò piuttosto, ma nella sua voce c’era appena
un filo dell’eccitazione che lo stava pervadendo al momento. “Stavo per
chiamarti, ma tu mi hai anticipato.”
“Hai
scritto un pezzo? Stanotte intendi?”
“Intendo
ora. L’ho appena finito.”
“Vuoi
dire che abbiamo scritto due fottuti pezzi la stessa notte, allo stesso
orario?” Tom sembrava incredulo e adesso che ci pensava anche lui, Mark non
poteva dirsi da meno.
Era
incredibile, era persino più strano della prima volta che si erano incontrati e
avevano suonato insieme, accorgendosi di essere praticamente compatibili in
tutto, eccetto forse i caratteri, ma vabbè.
“A
quanto pare...già.”
“Wow...”
Sì, wow...
E, probabilmente
per la prima volta in vita sua o comunque una delle rare volte in cui questo
succedeva, Mark si ritrovò davvero senza niente da dire.
Track 13
Non
gli veniva una cazzo d’idea neanche a pagarla, fanculo!
E non aveva nemmeno un fottuto orologio per vedere che ora era, perché quello
stronzo di un manager aveva pensato bene di rinchiuderlo come un coglione
qualunque in una stanza con solo la compagnia di un foglio e una penna. Beato
Travis, che perlomeno poteva starsene a rimpinzarsi di patatine e schifezze
varie nell’attesa, mentre lui lì andava avanti ad acqua naturale e sbuffi.
Per
una frazione di secondo – o almeno si illuse
che fosse solo una frazione di secondo – Tom si domandò se quel rimbambito
globale di Mark avesse già finito il suo pezzo.
Ecco,
in quel momento avrebbe volentieri staccato la testa a morsi all’idiota che
aveva avuto la grandiosa idea di rinchiudere lui e l’altro scemo del villaggio
in due stanze separate a scrivere una cazzo di canzone senza che nessuno dei
due avesse chiesto all’altro l’argomento da trattare. E non gliene fregava
assolutamente un cazzo se adesso veniva a sapere che l’idea era venuta a lui
stesso! Era disposto ad infilarsi la matita al petto e a farla finita, pur di
mettere fine a quelle stronzate di dimensioni mastodontiche.
E
comunque Mark non poteva aver finito
di scrivere prima di lui.
Era
umanamente impossibile.
Di
sicuro stava ancora guardando il foglio bianco con la sua faccia da scemo e il
cervello completamente vuoto, o magari chiedendosi che gusto avessero le
patatine che stava certamente mangiando Travis dall’altra parte.
In
ogni caso non poteva aver avuto un’idea, era impensabile.
Magari
stava pensando che Tom doveva aver già finito la propria parte e si stava
torturando perché non gli veniva un’idea decente su cui partire.
Ma
se solo Mark avesse saputo che Tom non aveva scritto neanche la prima
lettera...
“Fanculo!” Sbuffò stizzito per l’ennesima volta il
chitarrista, al culmine della pazienza, già di per sé alquanto scarsa invero.
“Un’idea. Ci vuole un’idea.” Però ripeterselo non riusciva a trovargliene una
buona e così ritornava al punto di partenza, con le mani nei capelli e
l’espressione più frustrata che mai in viso.
Perché
non si decidevano a prendere un paroliere? Uno che sapesse parlare bene di
alcol, di cazzotti e di amicizia. Uno con le palle, insomma, che non si sarebbe
vergognato a scrivere di...
E
poi, l’idea.
Dieci
minuti dopo, Tom fissava entusiasta il foglio pieno di scritte e scarabocchi
dinanzi a sé e intanto pensava che gliel’aveva fatta a quella faccia da culo!
Acciuffò
il suo foglio e arrabattò fino alla porta spinto da una voglia incontenibile di
sbattere il suo testo in faccia a
Mark, giusto per il gusto di vederlo impallidire e imprecare contro la propria
mancanza di idee. Certo poteva essere anche una cosa infantile da fare, ma al
momento non gliene fregava assolutamente nulla. Aveva un testo e Mark no,
perciò col cavolo che si preoccupava di risultare infantile!
“Ammira
e stupisciti, Hoppus!” Dichiarò, entrando tutto pimpante nella stanza dove era
stato rinchiuso il compagno di avventure.
Mark,
che stava giocando con la penna sul foglio, al suo folgorante ingresso alzò il
capo e abbassò la penna.
“Hai
scritto.” Osservò, quasi con disinteresse avrebbe detto Tom, se solo non
l’avesse reputata una cosa impossibile.
“Esatto!
E tu invece? Dì la verità: stai ancora a zero, eh?” Lo provocò, perché si
divertiva sempre un mondo ad osservare le reazioni dell’altro.
Eppure,
contrariamente alle sue aspettative, Mark non sbiancò.
Mark
sorrise.
“Non
proprio.” Rispose, mentre gli allungava il suo foglio – e solo in quel momento
il chitarrista si accorse che erano scritte quelle e non disegnini dettati
dalla noia – e gli sfilava a sua volta il proprio dalle mani.
Spinto
dalla curiosità, Tom quasi si mangiò le parole dell’altro. Poi rilesse ancora.
E ancora, e quando alzò il capo per incrociare gli occhi azzurri di Mark, gli
mancò un battito.
“Parla
di sesso.” Dichiarò, come se non potesse credere a ciò che stava leggendo.
L’Hoppus
annuì, piano. “Parli di sesso anche tu.” Notò poi, con la fronte corrugata per
lo stupore.
Sì,
i loro testi parlavano indiscutibilmente di sesso, eppure nessuno aveva detto
loro di che parlare e Tom era certo
di non essersi messo d’accordo con Mark sull’argomento da trattare.
Sorrise
e non si sentì stupido quando si accorse di stare rispondendo, così facendo, al
sorriso già apparso sul viso dell’altro.
Track 14
“Ecco,
lo vedi? Non ti sta mai bene un cazzo di quello che faccio!”
Tom
si sentiva una donnetta isterica ad urlare in quel modo, ma era una cosa più
forte di lui. Erano giorni, forse persino settimane che lui e Mark non facevano
altro che litigare, e litigare, e ancora litigare. Era come se per tutta la
vita non avessero fatto altro, al punto tale che gli pareva quasi assurdo
adesso pensare che erano stati così legati loro due.
Che
la colpa fosse una volta dell’uno, una volta dell’altro, era un dato di fatto
praticamente.
Travis
aveva tentato diverse volte di farli ragionare, ma quando si mettevano in testa
una cosa loro due era più facile riuscire ad insegnare ad un vecchio a suonare
la batteria che convincere loro a desistere.
Come
fossero iniziati tutti quei litigi, Tom non riusciva proprio più a
ricordarselo. Forse era stata la stanchezza per via di tutti i tour a cui si
erano sottoposti, senza neanche una merda di pausa nel mentre. O era il bisogno
di evadere, in qualche modo, scappare dal mondo trito e ritrito dei blink-182, quello che li aveva
accompagnati da una vita quasi e che adesso minacciava di essere troppo stretto
per loro.
Tom
non ne aveva alcuna idea, ma sapeva che continuare a quel modo era un’impresa
pressoché ardua, se non addirittura impossibile.
“Forse
perché hai praticamente stravolto la canzone, DeLonge!” Stava nel frattempo
dicendo Mark, rosso e incollerito come riusciva ad esserlo soltanto in quel
periodo.
“Non
ho stravolto la canzone, Cristo santo! Sei tu che vai fuori tempo!” Lo accusò
di rimando Tom, sempre più arrabbiato.
“Ragazzi,
forse dovremmo cercare di-” Tentò di farli ragionare, come sempre, Travis,
senza avere molta fortuna purtroppo.
“No!”
Furono infatti le risposte unanimi che ne ricevette dagli altri due membri
della band, risposte che lo convinsero a rinchiudersi nel suo spazio dietro la
batteria e ad assistere ancora una volta impotente alla sfuriata che si stava realizzando
davanti ai suoi occhi.
“Sai
che c’è, Hoppus? Mi sono sinceramente rotto le palle di assecondare i tuoi
deliri!”
Non
sapeva perché l’aveva detto, insomma, era ovvio
che non lo pensasse davvero, ma era un tipo troppo orgoglioso per rimangiarsi
indietro tutto e chiedere scusa.
Guardò
verso Mark e si accorse che adesso non era solo incollerito: era furioso.
“Bene,
allora vattene Tom! Vattene via! Nessuno ti sta trattenendo qui!”
Tom
sapeva che non avrebbe dovuto lasciare che le parole dell’altro lo ferissero
tanto, ma lo fecero e fu come ricevere una stilettata nel petto.
Avrebbe
voluto dirgli di smetterla, che era un coglione, che non le pensava davvero
quelle cose e che lui lo sapeva, ma la delusione era cocente e Mark lo guardava
con quegli occhi azzurri così distaccati che per un momento gli sembrò di non
averlo mai avuto veramente vicino dopotutto.
“Perfetto!
Lo farò, contaci! Col cazzo che rimango in una band di scemi!” Disse invece,
anche se non erano quelle le parole che avrebbe voluto dire e di sicuro quelle
di Mark non furono quelle che avrebbe voluto sentire.
“Fantastico!
Aria finalmente! Vedrai Travis,
staremo meglio senza questo-”
Tom
non voleva sapere come lo avrebbe chiamato, perciò fu grato alla porta che si
richiuse proprio in quel momento alle sue spalle. Avevano litigato molto in
quei giorni, sì, ma era di sicuro la prima volta che lo facevano tanto
ferocemente. E le parole che si erano detti...
Sbatté
un pugno contro la parete e, con le narici dilatate per il nervoso, si diresse
a passo di piombo verso l’uscita.
Vuoi che me ne vada? Bene! Ma non
venirmi a cercare mai più Hoppus, mai più!
Si
sentiva adirato, umiliato e anche un tantino usato, ma la cosa peggiore era il
sentirsi così...come se fosse stato appena respinto.
E
forse avrebbe fatto anche meno male, se a respingerlo non fosse stata una delle
persone – se non la persona – più
importanti della sua vita.
Track 15
Quattro
anni.
Quella
che era iniziata come una litigata qualsiasi, aveva portato alla rottura dei blink-182. Una rottura di quattro anni,
ad essere precisi, e Tom era abbastanza sveglio da sapere che nessuna band si
rimetteva insieme dopo quattro anni di lontananza.
Non quando nessuno è disposto a fare il
primo passo, perlomeno.
Certo
il suo lavoro con gli AVA gli piaceva e si divertiva ancora un mondo a suonare
la chitarra, ma certe volte, tipo dopo un concerto o alla fine di un tour, Tom
si guardava indietro e si accorgeva che il basso di Matt non era di un colore
assurdamente rosa, e che i capelli di Atom non erano
affatto cambiati dall’ultima volta.
C’erano
delle volte, poi, che mentre stava sul palco, poco prima di cantare, ecco, si
voltava per istinto verso la sua destra e puntualmente si ritrovava come uno
stupido a pregare Matt di girarsi, e a rimanere deluso quando questo non lo
faceva e non gli sorrideva come a volergli dire che sarebbe stato fantastico,
come sempre.
Si
sciacquò il viso e se lo tamponò con un asciugamano pulito, e mentre se lo
sfregava con flaccida calma decise che col cazzo che li avrebbe chiamati lui
per primo!
Non
era stato lui a dire che era meglio se se ne andava. Non aveva fatto lui il
gesto di respirare non appena aveva
accennato ad andarsene. Non era stato lui a volere tutto quello, si era solo
adeguato e basta.
Non
era uno che rimaneva in una band dove non lo volevano e né Travis né
quell’altro scemo l’avevano chiamato dopo quella volta, perciò poteva venire
pure l’apocalisse, perché non si sarebbe di certo messo a pregarli di
riprenderlo con loro. Tanto più che con gli AVA aveva trovato il suo posto. Con
gli AVA stava bene, l’accettavano, non lo cacciavano via.
Sì, con gli AVA stai bene, ma non è
come quando stavi con loro.
Sbuffò
e si diede dello stupido da solo per la piega che avevano preso i suoi
pensieri. A volte sarebbe stato così bello poter staccare il cervello. Togliere
la spina e spazzare via ogni stupido e inutile pensiero, perché non aveva
proprio bisogno al momento di una coscienza in grado di farlo sentire una merda
più di quanto già non si sentisse.
Certo
lui in quegli ultimi quattro anni non si era sempre comportato bene con i blink. Aveva ripetuto in più di
un’occasione che erano una band stupida e che non ci teneva affatto a far parte
di una band stupida e che stava bene, lì con gli AVA. Ma insomma, l’avevano
respinto e umiliato: aveva pure il diritto di prendersi le sue cazzo di
rivincite, no?!
Se solo non fossi così tremendamente
bugiardo, Tom...
Dannata
coscienza! Perché non poteva semplicemente starsene zitta? Perché non poteva
lasciarlo in pace?
“Tom?
Tom, vieni! Vieni subito!” La voce concitata di Jennifer da qualche parte della
casa mise fine al fluire dei suoi pensieri.
Tom
sbuffò, scocciato. “Che cavolo c’è adesso?” Domandò, mentre usciva dal bagno
con l’aria più seccata del mondo.
“Tom
corri! È urgente!” Continuava frattanto a ripetere Jennifer, neanche fosse
stata un disco e si fosse incagliata.
La
trovò in cucina, seduta al tavolo con il viso pallido e una mano premuta sulla
bocca. Gli venne automatico allarmarsi e, ancora di più, spostare il peso da
una gamba all’altra per l’agitazione. Che cazzo stava succedendo?
“Guarda
la tv, Tom.”
Fece
quanto gli era stato detto e rimase letteralmente di sasso nell’apprendere la
notizia.
Travis
Barker aveva avuto un incidente aereo.
Doveva
chiamare Mark.
Track 16
“Il
tuo basso. È ancora dannatamente rosa.”
Mark
sbuffò, ma non si sentiva per nulla offeso o arrabbiato. Si sentiva strano e in
un certo senso persino a disagio di ritrovarsi, dopo quattro lunghi anni di
lontananza totale senza neppure uno straccio di telefonata o messaggio, niente
di meno che Tom DeLonge nella sua stessa stanza. Avrebbe voluto prenderlo a
schiaffi lì per lì quando, non senza lasciarlo completamente basito, sul suo
cellulare era apparso il nome del suo ex compagno di band e nel rispondere
l’aveva sentito così tremendamente preoccupato e in colpa quasi.
Ma
adesso che era lì davanti a lui, adesso che potevano parlarsi e spiegarsi
finalmente, Tom preferiva tergiversare sul suo basso.
Sorrise
appena e scosse la testa: era incredibile quel ragazzo.
“È sempre stato rosa.” Lo corresse,
mettendo su un tono che sperò essere abbastanza duro da rinfacciargli il
silenzio protrattosi tra loro in quei quattro anni.
“Lo
so. È solo che... È così rosa...!”
Insistette tuttavia Tom, gli occhi ancora incollati al suo vecchio strumento
musicale, quasi volesse marchiarsi a fuoco nella mente ogni dettaglio.
Rimasero
così per un silenzio che a Mark parve interminabile e alla fine fu lui per
primo a spezzare la strana quiete interscesa con le sue parole. Parole dure.
Parole che sarebbero dovute essere diverse, ma che non potevano esserlo
semplicemente perché Tom se n’era andato via e non era più tornato.
“Sei
venuto qui per parlarmi del mio basso rosa o c’è dell’altro?” Alzò un
sopracciglio ed indossò un cipiglio neutrale, come se la cosa non potesse
importargliene di meno e non come se fosse quello che stava aspettando con
tutto se stesso da quattro infiniti anni.
“No.”
Sospirò, dopo un iniziale silenzio, Tom e finalmente si decise a rivolgere i
suoi scuri occhi in quelli azzurri dell’altro. “Sono qui per Travis.”
Mark
non sapeva se stava mentendo o no, anche se un tempo era stato facile per lui
farlo, ma decise che poteva anche concedergli il privilegio del dubbio per una
volta.
“Te
l’ho già detto per telefono. Travis sta bene. Probabilmente lo dimetteranno in
settimana, quindi...”
Quindi se sei venuto qui per qualcosa
di diverso da quello che ci siamo già detti, ti conviene farlo subito DeLonge, prima
che io cambi idea e ti cacci via.
“Ah.
Meglio così allora. Mi sono...sai...” Tom fece un ampio gesto con la mano,
accompagnando così le sue parole, e stavolta Mark non riuscì ad impedirsi di
sorridere.
Dopo
tutti gli anni passati insieme, ancora si vergognava ad ammettere che era
preoccupato per loro?!
“Che
hai da sorridere? Ti diverte vedermi così?”
S’irrigidì
all’istante all’accusa dell’altro e, alzando allarmato lo sguardo, si accorse
che Tom lo stava fissando.
“Sono
solo sorpreso. Pensavo che fossi cresciuto abbastanza in tutti questi anni da
ammettere che sei preoccupato per Travis.” Rivelò infine, perché era stupido
tenersi per sé i suoi pensieri quando per quattro anni non aveva fatto altro
che chiedere di potergli parlare almeno un’altra volta ancora.
Tom
rimase come paralizzato da quelle parole, ma durò meno di un minuto che subito
si passò una mano tra i capelli, sospirando. Sembrò sul punto di voler dire
qualcosa – qualcosa d’importante, forse? – ma alla fine decise di fare
retromarcia e cambiare discorso.
“Le
cose non sono andate proprio come ce l’aspettavamo noi, eh?” Sembrava più una
domanda retorica, tuttavia Mark non ebbe la forza né la voglia di farglielo
notare.
Annuì
invece. “Hai ragione.”
“Chi
l’avrebbe mai detto anni fa che i blink-182
si sarebbero sciolti, un giorno?” Lo stava fissando, ancora, e stavolta l’ex
bassista sapeva bene come voleva continuare la frase.
Chi l’avrebbe mai detto che io e te non
ci saremmo nemmeno più parlati, un giorno?
“Credevo
fossi contento di stare con gli AVA. Che i blink-182
fossero una band di stupidi.” Mark non sapeva con esattezza il motivo per cui
avesse detto proprio quelle parole, quando era chiaro che non voleva litigare
ancora con lui, ma la sua bocca aveva parlato per lui prima che riuscisse ad impedirlo.
Tom
si fermò, ancora una volta, una perfetta statua di sale. “Lo sai che non lo
penso veramente...” Tentò, ma l’altro lo interruppe con un gesto della mano.
“A
dire il vero non lo so. Pensavo di
saperlo, ma mi sono accorto di no. Non so un cazzo, Tom!” L’aveva chiamato per
nome e raramente lo chiamava per nome, se ne era accorto lui come se ne era
accorto l’ex chitarrista, ma Mark era troppo provato per spenderci sopra
qualche pensiero.
Aveva
bisogno di risposte, aveva bisogno di sentirsi dire tante cose, voleva sapere
che per Tom non erano stati un errore i blink-182...
“Mark...”
Anche lui l’aveva chiamato per nome ed era strano e altrettanto buffo
sentirglielo dire dopo tutto quel tempo, eppure sufficiente a riportarlo con i
piedi per terra, a ricordargli cos’era successo tra loro.
“Che
cosa vuoi ancora da me?” Domandò quindi, il tono freddo e distaccato che non
gli era mai appartenuto. “Te ne sei andato. Sei scomparso nel nulla per quattro
anni. Cazzo, quattro anni! Adesso
torni e cosa? Cosa vuoi Tom? Vuoi calpestare anche l’ultimo ricordo bello che
mi è rimasto dei blink o cosa?”
“No.
Non è così.” Tom sospirò, sembrava abbattuto mentre si passava una mano sul
viso. “Sei stato tu a dirmi di andarmene.” Disse infine, senza alcuna traccia
di odio o rancore nella voce, se non una profonda, sconcertante frustrazione.
Mark
si sentì ad un tratto come se non avesse più le braccia e le gambe, come se la
sua mente non fosse nemmeno più lì, al suo posto, come se il mondo avesse preso
a girare e lui fosse rimasto fermo.
“Avevi
detto che ti eri rotto. Che non ci sopportavi più!”
“Ho
detto parecchie stronzate.”
“Ma...”
Cavolo,
non era giusto. Non era giusto per niente. Non poteva piombargli nella vita
tutto ad un tratto e dirgli che si erano fraintesi, che i blink non erano un errore, che loro due non erano sbagliati...
“Mark.”
Tom lo stava chiamando, ma l’altro non lo stava neanche più ad ascoltare.
Gli
veniva voglia di ridere.
Lo
fece.
“Dio,
sei un coglione, DeLonge!” Esclamò poi, quando l’altro gli rivolse un’occhiata
perplessa e un sopracciglio inarcato.
Mark
rideva e Tom, semplicemente, non riuscì e non volle trattenere un sorriso, uno
di quei ghigni che gli erano tanto cari.
“Sì,
me lo dicono in molti, Hoppus.”
Track 17
Tom
si sentiva nervoso. E si sentiva un coglione. Si sentiva un coglione perché era
stupido sentirsi così nervosi, no? Insomma, non è che quello fosse il suo primo
concerto, perciò doveva esserci largamente abituato a quel punto. Certo l’ansia
lo coglieva sempre, ma era sicuro di non essersi sentito mai così preoccupato
in tutta la sua vita di salire su un palco come in quel momento.
Forse
dopotutto non era stata poi una grande idea quella di riformare i blink-182. Anzi, era stata una grossa,
enorme, colossale stronzata! Magari faceva ancora in tempo ad annullare
l’esibizione e a ritornarsene a casa, o in qualsiasi altro posto che non fosse
stato quello.
O
forse no.
Cazzo.
“Accidenti,
sembri uno che sta per vomitare.”
Tom
si voltò, anche se sapeva perfettamente chi fosse. “Travis, fammi un piacere:
la prossima volta che stai per dire una stronzata, avvisami, almeno mi faccio
trovare preparato.”
Per
tutta risposta il batterista sfoderò il suo sorriso strafottente e, con
un’alzata di spalle, iniziò a picchiettare le sue bacchette l’una contro
l’altra, ritmicamente. Era il suo modo scaramantico con cui affrontava i
concerti, Tom lo sapeva ma fu una piacevole sorpresa vederglielo fare ancora,
dopo tutto quel tempo.
“Siete
ancora qui a perdere tempo? Guardate che tra un po’ si va in scena!” Proprio in
quel momento, Mark Hoppus decise di rivelare il suo brutto muso dalla porta del
camerino, gli occhi scintillanti di un bambino che a stento riesce a trattenere
il proprio entusiasmo e il broncio infantile di chi si finge poco soddisfatto
di quello che sta vedendo.
“Tom
deve vomitare.” Fu l’asciutta risposta che ne ricevette da Travis.
Tom
sentì la vena alla tempia pulsargli e dovette chiudere le mani a pugno per non
lanciare la propria chitarra contro il batterista, non tanto per lui quanto per
lo strumento, ci si era affezionato in tutti quegli anni.
“Cosa?
Non dirmi che sei nervoso!” Mark sembrava sul punto di mettersi a sghignazzare
e Tom giurò lì per lì che non gliel’avrebbe mai perdonata una cosa simile.
A
giudicare da come l’altro s’impegnò a non ridere, il suo sguardo gelido dovette
avvertirlo del pericolo.
“Non
sono affatto nervoso. Lo so che è una
cosa strana per voi due, ma stavo solo pensando.” Borbottò, mentre si buttava
letteralmente sul divano e affondava la testa nella spalliera.
“Pensando?
Tu?” Travis parve sorpreso e stavolta Tom non riuscì a resistere dal lanciargli
addosso la prima cosa sottomano, ovvero un giornaletto di musica. “Scusa.”
Mormorò dunque il batterista, fingendo un dispiacere che – cazzo! – neppure si
sforzò di mostrare.
“Non
è bello?” Ad interrompere quel bislacco scambio di opinioni, ci pensò ancora
una volta Mark e i suoi pensieri all’apparenza senza senso.
“Di
che cavolo stai parlando adesso, Hoppus?” Tom alzò un sopracciglio e l’altro
sorrise, quel sorriso beota che era il suo
sorriso.
“Tutto
questo!” Rispose con espressione assente Mark, accennando con un ampio gesto
delle braccia al...camerino?
Tom
non era per niente sicuro di riuscire a capire e, a giudicare dall’espressione
perplessa apparsa sul viso di Travis, non doveva essere nemmeno l’unico.
“Voglio
dire, questo posto, il fatto che stiamo per salire su un palco, di nuovo, e che nessuno lo sa e... E noi
tre, qui, adesso. Insieme, come una
volta, come i blink-182... Non è
straordinario?” Ripeté, come se non potesse davvero credere che gli altri due
non capissero quello di cui stava parlando.
Per
istinto, Tom gettò un’occhiata a Travis, che scrollò le spalle, come sempre.
“Ti
avevamo detto di non bere, Mark!” Disse quindi, prendendolo ampiamente per i fondelli.
Come
volevasi dimostrare, il bassista fece un’espressione molto poco contenta
dell’insinuazione.
“Non
sono ubriaco! Cazzo, una volta tanto che dico una cosa poetica e voi non
trovate niente di meglio che darmi dell’alcolizzato? Siete delle merde, tutti e
due!”
“Già,
già.” Alzò gli occhi al cielo Tom, sbuffando divertito, mentre Travis
ridacchiava dalla sua postazione.
“Grazie
del complimento, Mark, lo accetto volentieri.”
Offeso
da quell’apparente coalizione – ma non stavano litigando giusto un minuto prima?!
– l’Hoppus recuperò il suo basso e iniziò a strimpellare qualcosa, giusto per
far passare il tempo, sennonché uno degli organizzatori s’infilò nel loro
camerino con un sorriso raggiante dipinto in volto.
“Si
va in scena, ragazzi!”
Neanche
avesse avuto le gambe fatte di molla, Mark saltò su come un pazzo e iniziò a
sbattersi per farli sbrigare.
“Non
avete sentito? Si va in scena! I blink
tornano sul palco!”
“Andiamo
a dare il nostro meglio.” Esordì anche Travis e si vedeva lontano un miglio che
non stava più nella pelle dalla gioia.
Anche
Tom si alzò e, recuperata la sua chitarra, si affrettò a raggiungere i due
compagni di band. Sentiva ancora un groppo bloccargli la gola e man mano che si
avvicinavano al palco era sempre più certo che avrebbe cantato uno schifo,
suonato addirittura peggio e fatto scappare quei quattro fan che ancora gli
erano rimasti fedeli. Era un po’ come tornare agli inizi, agli esordi, e
chiedersi se sarebbe stato all’altezza delle aspettative degli altri o se
avrebbe finito per fare un grosso, clamoroso fiasco.
Quando
mise piede sul palco – come blink e
non come AVA, dopo tutti quegli anni – riusciva a stento a respirare.
Qualcuno
doveva aver urlato il loro nome, tra il pubblico, e nonostante un lieve sorriso
a tremolargli sulle labbra, Tom non riuscì a sentirsi meno spaventato. Poi
Travis batté un colpo di bacchetta sul rullante, quindi un altro e un altro
ancora, e gli mancò più di un battito quando sentì gli spettatori urlare e
gridare, come forsennati. Gli venne quasi automatico girarsi verso destra – una
brutta abitudine che aveva preso in tutti quegli anni – e per un istante quasi
si aspettò di ritrovarsi davanti Matt senza sapere cosa volesse da lui con
quello sguardo.
Ma
non c’era Matt. Non c’erano gli AVA. C’era Mark e gli stava sorridendo, ed era
quel sorriso come a voler dire che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe stato
tutto fantastico, e che non avrebbe fatto una figuraccia, ma sarebbe stato
perfetto, come sempre.
E
fu allora, fu in quel preciso istante che Tom lo sentì davvero. Il pubblico, il
loro nome urlato a gran voce, il suono della batteria sotto i colpi di Travis,
il sorriso di Mark, la sua presenza accanto ancora una volta... Sì, i blink-182 erano definitivamente tornati
e avrebbero dovuto ucciderli stavolta per farli sciogliere di nuovo.
Perché,
cazzo, era dannatamente bello avere qualcuno così perfettamente compatibile con
te, qualcuno come te, affianco.
The
end
A/N
Innanzitutto, buona
Pasqua fatta a tutti. Volevo aggiornare
prima per farveli in tempo, ma ormai è risaputo che sono una ritardataria
cronica. Perciò, amen.
Venendo a noi, come
vi avevo preannunciato, questa seconda parte si compone di “sole” sette tracce.
Piccole precisazioni.
Track 12. Le canzoni a cui
si riferisce, sono The Rock Show e First Date, scritte rispettivamente da Mark Hoppus e
Tom DeLonge la stessa notte. Ditemi voi se questo non significa qualcosa.
Track 13. La canzone è Feeling This. Non credo ci sia molto da aggiungere, a
questo punto, la complicità dei blink-182 è praticamente
lampante.
Scrivere questa
storia mi è piaciuto moltissimo ed è praticamente venuta fuori da sola. Volevo scrivere qualcosa su di loro, una specie di
tributo a questo gruppo e alla loro nascita, ai rapporti esistenti tra i
membri, specie quelli tra Mark e Tom. In un’intervista di svariati anni fa, Tom
diceva che la sua amicizia con Mark era un qualcosa di inestimabile e molto
forte e io credo, al di là della rottura, che sia ancora così. Che sarà sempre così. Perché, ecco, penso che quando trovi “qualcuno come te” – e
non ho dubbi che Tom e Mark lo siano – è pressoché impossibile poter cambiare
questo dato di fatto, anche se gli avvenimenti sembrano minare questa verità.
Bien, questo è
tutto. Volevo ringraziare anche hollerbaby
per la sua recensione. Sei stata davvero molto carina e mi ha fatto
estremamente piacere leggere il tuo commento e sapere che la storia non era poi
così male, ma che anzi si delineava abbastanza con la realtà (o almeno, con la
parte di realtà che sappiamo noi).
Grazie ancora a
tutti. A chi leggerà, a chi recensirà e a chi si farà un sorriso, o no. Alla
prossima, gente!
Baci.
memi J