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Autore: ranyare    12/04/2010    4 recensioni
Non ho mai fatto nulla di così speciale, da meritare un’amica come Ray.
-Resti…con me?- mormoro, e non mi stupisco di sentire la mia voce uscire insieme ad un singhiozzo.
Sorride; un sorriso dolce, quel sorriso che rivolge soltanto a pochissime persone, il sorriso di un’amica, di una sorella, di una mamma.
-Sono qui per questo, Will.-

[William Moseley]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, William Moseley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Wicked & Humorous Tales'
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Something was Broken

Rientro in casa. Dopo l’ennesima giornata passata girovagando per le strade di Hollywood, sospiro, chiedendomi per l’ennesima volta che cosa voglio farne della mia vita. È una domanda a cui non so dare risposta. Non più.

Butto le chiavi sul mobile vicino all’entrata, senza curarmi del fragoroso tintinnio che producono. C’è caos, in casa mia, c’è sempre disordine ultimamente.

Ma non c’è nessuno. È vuota, silenziosa. Non c’è televisione, non c’è computer acceso, non c’è niente. Non c’è mai niente. Ci sono soltanto io, che vago come un’anima in pena fra queste stanze che non riconosco, buttandomi sul letto soltanto per dormire quei sonni leggeri e tormentati, vivacchiando in cucina per mangiare controvoglia.

Sono dimagrito, me lo dicono tutti. Non m’interessa, non m’importa.

Dovrei essere felice. Dovrei perlomeno essere sollevato, finalmente ho trovato un ruolo, un lavoro, finalmente qualcosa va bene. Ma non ci riesco.

Sono solo.

Solo come non mi sono mai sentito prima di adesso. Non c’è la mia famiglia, è lontana, io stesso ho voluto lasciarla in Inghilterra, venendo qui per cercare lavoro e fortuna. Non ci sono gli amici; amici, come no. L’unico vero amico che ho trovato è stato Ben; e lui è lontano, adesso, come la sua compagna, mia…sorella? Strano definirla così. Non ci siamo mai sopportati, ma ora più che mai avrei bisogno di vederla, di sentire il suo orgoglio cozzare col mio – sempre più vacillante. È l’unica persona con cui posso essere davvero me stesso, senza il terrore di vederla scappare.

Non era l’unica. Non lo era, no.

-Moseley, si può sapere dove passi tutte le tue cazzo di giornate?-

Mi sembra persino di sentirla. Prodigi dell’immaginazione e della nostalgia.

-La tua casa è un porcile!-

…no, non la sto immaginando.

Incredulo alzo lo sguardo, dopo essermi permesso, per la prima volta da giorni, di abbassarlo, sconfitto e solo come so benissimo di essere – come non posso e voglio mostrare al mondo –. Sento un sospetto tramestio in cucina, ed è lì che le mie incredule falcate mi conducono, sempre più allibito.

-Si può sapere che cosa ne hai fatto del mio vecchio William, biondo?- ed è con questa frase sarcastica che fa la sua entrata teatrale, i capelli cortissimi e biondi che colpiscono come un pugno in un occhio, il corpo formoso posato con strafottenza contro il pianale ingombro della cucina.

Mi sta guardando. Mi sta trapassando, con quegli occhi blu tanto simili ai miei – e non soltanto per il colore. Lo sguardo di Ray è orgoglioso, fottutamente orgoglioso; ma dietro, nasconde un tormento che solo pochi conoscono davvero.

Come me.

-Ray…- sussurro, e nei suoi taglienti occhi blu riesco a vedere, oltre la patina di arroganza e sicumera che ben conosco, la sincera preoccupazione e l’affetto che mi hanno portato a considerarla ben più che una sorella.

Perché è così, Ray. Riesce a conquistarsi un posto nel tuo cuore senza nemmeno che tu te ne renda davvero conto. E io lo so, lo so bene: so che quella parte del mio cuore malconcio è ancora viva e vegeta, e che c’è sempre, se ho bisogno di lei.

A volte, senza nemmeno doverglielo dire.

-Ciao, Will.- mi fa, posando la birra di cui si è tranquillamente appropriata sulla mensola, scrutandomi in viso come se potesse vedere qualcosa di più della mia espressione incredula. E so che può, mi conosce bene; spesso, molto più di me.

Resto immobile per un istante. Lascio che mi studi, che mi analizzi, che veda ciò che probabilmente l’ha portata qui…ma poi non resisto più. Rivederla, sapere che c’è qualcuno che si è spinto fin qui per me, che lei ora è qui – la mia roccia, il mio sostegno, la mia migliore amica –, è troppo.

Con due rapide falcate la raggiungo, e non la sento sussultare quando le mie braccia si serrano con forza intorno al suo corpo tonico, allacciandosi sulla sua schiena.

-Ray…- sussurro, e il mio viso trova istintivamente l’incavo del suo collo, dove posso avvertire il suo profumo provocante e rassicurante insieme, le sue braccia che subito si stringono intorno alle mie spalle. Ed è soltanto ora che, dopo troppe settimane, respiro.

 .

-Allora?- mi ha trascinato fuori. Contro la mia volontà, contro i miei desideri, mi ha preso per mano e mi ha tirato fuori di casa – letteralmente; è una piccola, infida pugile dalla forza impressionante – e portato qui, in uno Starbucks affollato, piazzato di fronte ad un frappuccino e ordinato, poco carinamente, di parlare.

È una delle tante, troppe cose che apprezzo di lei.

Sospiro, rimestando il mio frappé con il cucchiaino di plastica trasparente. La gente intorno a noi ci scambierebbe per fratelli, o cugini; entrambi alti, biondi, con gli occhi chiari e i tratti del viso ben delineati. Ray è più fine di me, le sue guance sono levigate, il suo sguardo duro; l’ho visto addolcirsi soltanto con due persone, e brillare davvero esclusivamente per Ben.

-Allora?- ripete, tamburellando con le lunghe dita candide sul tavolino. Ho voglia di parlarle, di dirle tutto quanto; di piangere, anche, di sentirmi debole e frustrato con l’unica persona che so benissimo, non mi ferirà.

Ma ho un groppo in gola, di quelli pesanti, che m’impedisce di parlare.

-Cosa vuoi sapere, nana?- le chiedo, con una voce priva di sentimento che non mi appartiene. È lei, stavolta, a sospirare; esasperata.

La vedo abbassare lo sguardo, frugare nella borsa, e ne approfitto per mangiare un po’ di ciò che ho davanti, sebbene abbia lo stomaco chiuso; Ray mi farebbe mangiare anche a forza, e l’ho notata, l’occhiata scettica che ha lanciato al mio corpo ben più magro.

-Voglio il perché di queste.- mi fa, e repentinamente vedo un piccolo plico di fotografie, stampate su carta normale, apparire sul tavolino, di fronte a me. Ritraggono il sottoscritto, qualche giorno fa, mentre ero uscito a comprare una camicia nuova.

-Sono foto.- commento, senza soffermarmi sul volto di quel biondo che non mi sembra nemmeno di conoscere.

Il dito bianco di Ray appare sulla carta, picchiettando su quel viso che non riesco a guardare.

-Will, appena le ho viste sono corsa a prenotare un biglietto d’aereo per venire da te, mentre Ben si faceva tranquillamente prendere dal panico su cosa poteva esserti capitato.- la cosa non dovrebbe sorprendermi, conosco bene Ray, so che alla minima avvisaglia di pericolo o sofferenza per qualcuno che ama lei parte, a testa bassa e spron battuto. E invece mi sorprende lo stesso, e fa bruciare dolorosamente i miei occhi.

E Ben…quell’idiota è quasi più protettivo di lei. Pensavo si fosse dimenticato di me, pensavo che si fosse concentrato soltanto sulla sua brillante carriera, sui suoi risultati, sulla sua ragazza…e invece, no.

-Perché?- le chiedo, con voce rauca. E dopo un attimo sento una mano fresca, forte, delicata, posarsi sulla mia guancia e costringermi ad alzare il viso, gli occhi che senza davvero volerlo trovano i suoi.

E c’è dolcezza, e preoccupazione, in quelle iridi complesse.

-Perché ho davanti la conferma che ti è successo qualcosa. Hai gli occhi spenti, Will.- mi dice, ed è soltanto ricordarmi che ci troviamo in un luogo pubblico, ad impedirmi di lasciar andare quella sola lacrima che punge sempre più fastidiosamente.

Non è vero che si sono dimenticati tutti di me. Non è vero. Ben non mi ha dimenticato. Ray non mi ha dimenticato. Per qualcuno, sono ancora importante…tanto da spingere un’americana residente a Londra a salire sul primo aereo, per venire qua, a Hollywood. Da me.

È questo pensiero che distrugge quel freno. La consapevolezza di saperla qui, di saperla vicina, mi strappa una lacrima, che sparisce immediatamente fra le sue dita gentili, pronte a nasconderla, a proteggere il mio orgoglio.

-Se n’è andata, Ray.- sussurro, la voce spezzata, gli occhi imploranti.

E in queste poche parole, sento vibrare tutto il dolore, la solitudine, l’odiosa sofferenza in cui vivo ormai da troppi giorni. Sento quel baratro immenso spalancarsi dentro di me, impossibile da ignorare. Sento l’assenza di lei, del mio piccolo angelo, di quell’angelo che ho lasciato fuggisse da me.

Perché sono stato uno stupido.

Perché sono un idiota, e l’ho fatta scappare via.

E negli occhi di Ray, che è anche la sua migliore amica, leggo soltanto consapevolezza. Ma non pietà.

-Lo so.-

 .

Non sono in grado di guidare. Riesco soltanto a stringere la mano della mia amica nella mia, è l’unica ancora che mi trattiene dallo sprofondare di nuovo in quella voragine che la partenza, la lontananza dalla donna che amo ha spalancato dentro il mio petto.

È Ray a prendermi le chiavi dalla tasca, a farmi sedere in macchina, a prendere il posto del guidatore. La sua presenza ha fatto scattare qualcosa, ed ora non riesco più a trattenere i pensieri, i ricordi, a non rivedere quella scena dinanzi a me.

Angel.

Angel.

Sono stato un cretino. Sono stato uno stupido, ti ho perduta per un motivo stupido, per un mio atteggiamento stupido…ti ho allontanata da me, l’ho fatto perché ero frustrato, stanco, perché non volevo che t’intromettessi in un dolore che non era tuo…e te ne sei andata.

Non sei più qui, con me.

-Will.- nemmeno mi rendo conto della macchina che si è fermata, della portiera aperta, degli occhi blu di Ray che mi guardano, duri e pensierosi, preoccupati. -William.- ti sento, Ray. Perché continui a chiamarmi?

Poi mi rendo conto della paura. Della paura vera, sincera, nella voce della mia amica.

E mi accorgo della mia espressione. Del mio corpo abbandonato e stanco, dei miei occhi vitrei, della mia pelle che ha perso colore. Mi rendo conto di essermi lasciato andare su questo sedile, di non volermi più muovere.

-Will, reagisci o ti tiro uno schiaffo.- è la voce rabbiosa e spaventata di Ray che mi costringe ad alzare gli occhi, appannati, sfocati, stanchi, su di lei. E riesco a scorgere il terrore, su quel visetto strafottente.

Qualcosa si è spezzato in te, Will.

Me l’hai detto pochi minuti fa. È vero, qualcosa si è spezzato. Il mio cuore.

Ma non riesco a non provare una fitta di dolore, di preoccupazione, nel sapere quanto la sto spaventando. È il mio affetto per lei che mi costringe a muovermi, ad alzarmi, ad accennare con tutte le mie forze un breve sorriso.

-Scusa.- mormoro, piano, ma lei scuote la testa, per nulla tranquillizzata. Sono io a tenderle esitante una mano, a cercarla. Ho bisogno di sentirla qui. So che mi vuole bene, so che è qui per me. Ho bisogno della sua forza, non per la prima volta da quando la conosco.

E Ray stringe subito le mie dita deboli fra le sue, immensamente più forti, immensamente più calde. Ed è un piccolo conforto, insufficiente magari, ma mi basta per sopravvivere. Almeno, per ora.

Mi lascio condurre di sopra, nel mio appartamento, quasi non mi accorgo che è già notte. Sono stanco, ho bisogno di dormire, ho bisogno di sognare quei dolci ricordi che mi tormentano da sveglio. Ho bisogno di inseguirla nei miei sogni, e di sperare di non risvegliarmi ancora in questo mio personale incubo.

Ray mi costringe a infilarmi una tuta, una vecchia maglietta troppo larga. Penso che se non lo facessi, se non le dessi retta, mi costringerebbe con la forza. E ha ragione, so che sta facendo tutto questo per me. E fa bene.

È quando mi lascio cadere sul letto, esausto, stanco, svuotato, in piena balia dei miei ricordi e della mia autocommiserazione, che riesco finalmente a mettere davvero a fuoco il viso della mia amica. È stanca, probabilmente si è precipitata qui appena scesa dall’aereo, dopo quindici ore di viaggio.

Non ho mai fatto nulla di così speciale, da meritare un’amica come Ray.

-Resti…con me?- mormoro, e non mi stupisco di sentire la mia voce uscire insieme ad un singhiozzo.

Sorride; un sorriso dolce, quel sorriso che rivolge soltanto a pochissime persone, il sorriso di un’amica, di una sorella, di una mamma.

-Sono qui per questo, Will.- mi rassicura, la voce calda e rassicurante, stendendosi vicina a me. Mi sento un bambino, un bambino molto piccolo che ha appena avuto un incubo. Ed è così; la differenza, è che il mio incubo è la mia realtà.

Faccio appena in tempo ad abbracciarla, a nascondere il viso nell’incavo del suo collo, a sentire la stanchezza piombarmi addosso. E le mie guance, dopo tanto tempo, finalmente si rigano di lacrime.

 .

È il profumo del caffè che mi sveglia.

Apro gli occhi, gonfi, arrossati, assonnati, guardandomi intorno e ritrovandomi accecato dalla luce allegra del Sole, che entra prepotentemente dalla finestra spalancata.

Ehi, un momento. È la mia camera questa!?

È…è tutto in ordine. I vestiti sporchi sono spariti, quelli puliti sono piegati nell’armadio, la mia chitarra non è più buttata a terra ma nella sua custodia, i libri sono in ordine sulle mensole. Alcune sono vuote. C’erano le cose di Angel, lì.

Ignoro la fitta al petto, dolorosa, tremenda, e mi guardo intorno.

Ma è passato un tornado, per di qua?

-Buongiorno, eh.- no, peggio. È passata Ray. Mi volto, e non posso non lasciarmi sfuggire un sorriso esasperato; la mia amica è lì, con una delle mie magliette addosso – non mi sorprende che abbia scelto quella con la banana – e i suoi jeans, sotto. So perché non ha la sua maglia, penso di averla giusto un poco infradiciata, stanotte.

Ma sto meglio.

Non sono sereno, non sono tranquillo, sto ancora male…ma sto meglio, lo stesso. Tenersi dentro tutto ha soltanto aggravato la situazione, e sfogarsi…mi ha fatto bene.

-Buongiorno. Sei stata tu a…?- non termino la frase, perché annuisce, soddisfatta.

-Non puoi vivere in un porcile. Ora vestiti.- mi tira addosso jeans e camicia, molto poco carinamente, direttamente in testa. Ottima mira.

-Sei sempre così gentile, così posata…- commento, quando la sento posare una tazza di caffè sul comodino e sparire di nuovo di là. Santa pazienza.

Mi vesto in fretta, e la raggiungo. Non so bene cosa dire, non so cosa fare per farle capire quanto tutto ciò che sta facendo sia importante per me. Ma lei lo sa, mentre sfreccia per casa mia, un fulmine che invece di distruzione lascia dietro di sé ordine.

-Perché tutto questo?- le chiedo, senza capire.

-Perché non puoi continuare così. Siediti.- obbedisco, allibito. Mi fissa con quegli occhi chiari, determinati, e un poco mi sento sprofondare.

-Will, non mi hai detto cosa hai fatto per farla allontanare.- non pronuncia il suo nome. Non lo fa. Gliel’ho chiesto io, stanotte. Ma allude a lei, cosa più che sufficiente per far agitare con violenza il mio cuore silente, nel mio petto.

-Ho…- mi riscopro incapace di parlare, di articolare discorsi. Davanti a me, ho soltanto l’immagine del visetto di Angel, della mia Angel. I suoi occhi color cioccolato, i suoi capelli scuri, lunghi, soffici, inframmezzati da sprazzi del colore dell’oro, il ciuffo che le ricade sull’occhio destro. Il modo in cui sorride, le sue guance soffici, la dolcezza quando arrossisce per un complimento.

La ferita che ho visto comparire nelle sue iridi, quando pronunciai quelle maledette parole che me l’hanno portata via.

-Non ho bisogno della tua pietà. Non ho bisogno di nessuno.-

Quanto sono stato idiota.

-Sono d’accordo.- commenta Ray, seduta di fronte a me, sospirando. Non so come ho fatto, a spiegarle tutto. A raccontarle di quel giorno. A spiegarle quanto ero frustrato, dopo l’ennesimo provino andato male, dopo il fiasco di Ironclad, quanto fossi deluso e arrabbiato con me stesso. Non so come ho fatto a dirle quanto Angel avesse cercato di capire perché fossi così arrabbiato, quanto volesse aiutarmi…e come la respinsi.

-Io…io non volevo ferirla.- sento gli occhi tornare a bruciare, i pugni serrarsi.

-Io non volevo farle del male.- un tremolio nella voce, nel petto.

-Volevo soltanto che non soffrisse per me…e invece l’ho perduta, Ray…- gli occhi si serrano, impedendo alle lacrime di tornare a scorrere.

-…l’ho persa, se n’è andata e non è più qui con me, e io sto morendo senza di lei, non ce la faccio, non riesco più a provare voglia di vivere, di sorridere, di sperare un giorno di poterle chiedere perdono…- Ray sta zitta, mi lascia parlare.

La sento soltanto alzarsi, senza quasi un suono, agile come sempre, educata come sempre, lasciandomi sfogare come ha fatto per tutta una notte.

-Non so dov’è, non so se sta bene, non hai idea di quanto vorrei anche solo vederla per un istante, sapere che non è stato solo un sogno quello che ho vissuto con lei…- ormai parlo, non so nemmeno io cosa sto dicendo. So soltanto che, se dovessi morire oggi – senza un cuore, senza l’anima, non penso si possa sopravvivere a lungo –, vorrei che Angel sapesse tutto.

Vorrei che sapesse quanto la amo. Quanto l’ho sempre amata.

-Non so più che cosa fare…- cedo a me stesso, incrociando le braccia sul tavolo e seppellendovi il viso. Ray mi ha visto piangere già abbastanza. Lascio che quelle lacrime scendano in silenzio, scuotendomi la schiena di singhiozzi mal celati, le labbra morse a sangue, il dolore troppo grande perché mi permetta di continuare a parlare.

-Potresti provare a chiedere scusa, come prima cosa.-

La voce che risuona nella cucina non è di Ray.

Per un istante, sono sicuro di sognare.

Conosco questa voce. La sento tutte le notti, nei miei sogni; e tutti i giorni, nel mio incubo.

Conosco il tono dolce e fiero delle sue parole. Conosco la testardaggine, conosco la freddezza. Conosco ogni singola sfumatura, di ogni singola parola.

Sento il mio respiro mozzarsi, e sono certo che anche il cuore abbia mancato un battito.

Quelle parole risuonano nel mio petto, fanno eco in quello spazio lasciato vuoto da colei che le ha pronunciate.

M’irrigidisco; lo sento in ogni muscolo, la paura, la sofferenza, l’angoscia, tutto va a rendere il mio corpo un unico fascio di nervi.

-Angel.-

 .

Per la prima volta da quando se n’è andata, oso pronunciare il suo nome. Ed è dolce e delicato, scivola dalle mie labbra con la dolcezza di sempre, con la musicalità di sempre…ferendomi, ancor di più, perché so che lei è qui ma il mio cuore si rifiuta di accettarlo, ha paura, ha il terrore di essere abbandonato ancora.

-Proprio.- la sua voce gronda sarcasmo, non la biasimo. Posso immaginare le sue labbra carnose strette, serrate. Posso vedere la rabbia nei suoi occhi castani. Con il sole prendono una sfumatura dorata, screzi di sole sembrano riflettersi in quei due pozzi di cioccolato. Dio, quanto li amo.

-Angel…- sussurro di nuovo, alzando lentamente il viso, senza curarmi di cancellare le lacrime.

E poi, piano, mi volto.

Dio.

È ancora più bella di come la ricordavo.

Ha l’espressione che le immaginavo; contratta, altera, ferita. L’unica cosa che non avevo immaginato era il dolore; ha scavato profonde occhiaie sotto quegli occhi che adoro, ha segnato il suo viso di una durezza che non conosco. Qualcosa serra il mio cuore in una morsa di ghiaccio, quando mi rendo conto che è tutta colpa mia.

-Allora? Basti ancora a te stesso?- mi chiede. Potrei crollare in ginocchio di fronte a lei, adesso, implorarla di perdonarmi. Ma non riesco a muovermi, gli occhi fissi su di lei, cercando di strappare ogni dettaglio al presente e imprimerlo nella mia mente, per sempre, per quando lei non ci sarà più.

-Non sono mai bastato a me stesso.- mi ritrovo a sussurrare, gli occhi inchiodati nei suoi, beandomi di ogni singola venatura scura di quelle iridi, quegli sprazzi scuri che conosco, che non ho mai dimenticato.

La distanza fra noi non è di qualche metro. Quelli sarebbero facili, da percorrere.

Ma è il dolore che ha scavato una trincea, fra me e lei. Un vuoto immenso che non riesco a riempire, che non ho più la forza di riempire – quella forza che è sempre stata lei. E che non ho più.

-Angel…Angie…- fremo io stesso, vedo sussultare anche lei, quando uso il suo abbreviativo. Lo pronuncio con dolcezza, con timore. Con nostalgia. -…so quanto è…stupido…- il mio viso torna a seppellirsi fra le mani. Non riesco a guardarla. Non la merito. -…ma ti chiedo perdono.-

Ma questo dovevo dirlo. Dovevo dirglielo. Magari sarà inutile…magari se ne andrà di nuovo, e avrebbe ragione a farlo, a lasciarmi per sempre, l’ho soltanto ferita e lei questo non lo merita, lei merita qualcuno che non le faccia del male, che la ami…

Che non potrebbe mai amarla quanto la amo io.

-È stupido.- concorda con me. Ma la sua voce è dolce, è più delicata. È più vicina.

E poi sento una carezza.

Una soltanto.

Una lieve carezza lasciata da mani di fata, mani che ho baciato, sfiorato, venerato, manine minute e dolcissime che adoravo sentire sulla mia pelle, sul mio viso, fra i capelli.

-Tu, sei uno stupido.- alzo lo sguardo. Non dovrei, ma lo faccio. Lo faccio perché non riesco a non nutrire la speranza, il folle desiderio, che…

Ma lei è qui. Di fronte a me, accanto a me. Gli occhi scuri sono più lucidi che mai, ma dolci, tanto dolci, tanto miei, tanto splendidi. E mi sta accarezzando i capelli. Come a un cucciolo.

-Angel…- sussurro, e qualcosa definitivamente si rompe dentro di me. Sento gli argini crollare, e improvvisamente sono in piedi, non mi accorgo nemmeno di essermi alzato, e le mie braccia si chiudono prima di capirlo davvero intorno ai suoi fianchi morbidi.

Ed è ora che le lacrime ricominciano a scendere. Non le trattengo più, non ci riesco.

Sulla sua spalla, il suo profumo che mi stordisce, il suo corpo sempre caldo premuto sul mio, il dolore che ho trattenuto per troppo tempo esplode.

Per un istante, resta immobile.

Ho il terrore che mi spinga via. Che mi rifiuti, che se ne vada, che non capisca quanto ho bisogno di lei…

Ma l’attimo più tardi, ecco le sue braccia sottili cingermi le spalle, con forza, quasi con disperazione, il suo corpo avvicinarsi al mio. Mi costringe a sedermi. Mi stringe a sé, si siede sulla mia coscia, lascia che le mie lacrime le bagnino la camicetta che indossa.

-Sssh…- mi sussurra, accarezzandomi piano il viso, asciugando quelle lacrime che non vogliono saperne di fermarsi.

-Angie…Angie mi dispiace, io non volevo ferirti, non ho mai voluto, io non ce la faccio senza di te, non…- balbetto, senza accorgermi neanche di parlare.

-William.- pronuncia il mio nome con fermezza, ma dolcemente. Mi costringo ad alzare lo sguardo, uso violenza su me stesso per farlo.

E mi ritrovo in quegli occhi scuri e caldi che hanno rubato il mio cuore, e la mia anima.

-Ora basta. Sono qui, adesso.- sussurra, pianissimo, e sul suo viso arrossito vedo comparire un sorriso. Un piccolo sorriso che per me è il regalo più grande del mondo, dell’universo. Un minuscolo sorriso che ha il potere di riscaldarmi dentro, di restituire la vita al mio cuore malandato, quel cuore che posso sentire battere, tanto forte, dentro di lei.

-Ti amo.- mormoro, a mezza voce.

E quel sorriso si fa più grande, il rossore sulle sue guance si accentua. Dio, quant’è adorabile.

-Per quanto sia una pazzia, ti amo anch’io, Will.-

E sono queste parole, a far uscire finalmente il Sole.

 .

 .

 .

 .

 .

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{Aspettate! C'è il finale anche per Ray, ovviamente ^^}

...

Sorrido, soddisfatta.

Super Ray colpisce ancora.

Gli occhiali da sole calcano con eleganza i miei occhi, nascondendoli alla vista degli estranei; c’è chi direbbe che è una barriera contro il mondo, ed è così, alla fine.

Quando Angel si è presentata a Londra, da me e Ben, mi ha spiegato tutto. Non l’avevo mai vista così sofferente, così vuota, così…sola. È rimasta con noi per due settimane, ho cercato in tutti i modi di tenerla al sicuro, di distrarla, di proteggerla anche solo dai ricordi. Ha funzionato, in parte. Di sicuro, non si è mai lasciata andare come William.

Ma è stato guardare la sua espressione, di fronte a quelle foto, che mi ha convinta. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di farli tornare insieme. La minchiata di Will l’avevo capita e accettata, ma l’orgoglio e la testaccia di marmo di Angel sono ossi ben più duri del raziocinio.

Ma io sapevo quanto soffrisse, quanto vedere il dolore pieno e devastante di Will l’avesse turbata. E così ho deciso di agire. Nel mio personalissimo stile.

Sorrido, un sorriso sarcastico che non raggiunge gli occhi. Cosa non si fa per gli amici…

Sono brava, a fingere. Per fortuna, non c’è Ben, qui; è l’unico al mondo che riesca a vedere oltre queste lenti a specchio, oltre alle lastre di ghiaccio che sono i miei occhi.

È l’unico che può vedere quanto mi sia costato tutto questo, quanto dolore – tanto di Will, quanto di Angie – sia rimasto a proliferare nel mio petto. Ho una tristezza assurda dentro, ho tanta voglia di piangere, ho bisogno di prendere quel fottuto aereo e di tornare di corsa a Londra.

Da Ben.

E finalmente uno di quei brutti taxi gialli assolutamente antiestetici si ferma, alle mie richieste sbracciate e sicuramente incazzose; guardo molto male l’autista, un indiano antipatico che mi scruta con sufficienza – embè? C’è una banana sulla maglietta che ho addosso, e allora?

È quando carico la mia borsa sul taxi, quando, sto per salire, che una voce mi ferma.

-Ray! Dannazione, aspetta un secondo!- Will. È Will, lo riconoscerei ovunque. Ma non il William complessato, triste, senza voglia di vivere, che ho visto nelle ultime ore. No.

È il mio vecchio amico, il mio compare di disastri. È mio fratello.

Mi volto, sorpresa, e lo vedo correre verso di me.

Sorride.

Sorride, e sembra di vedere il Sole splendere di nuovo dopo un immenso temporale. Mi scalda il cuore, vederlo finalmente vivo, finalmente…sé stesso.

Mi sta correndo incontro; e per una volta, posso buttare alle ortiche la mia accuratissima maschera da stronza impeccabile, e sorridere anch’io. Un sorriso vero, raro, uno di quei sorrisi che rivolgo soltanto a chi amo. E lui, beh…non posso non amare mio fratello, no?

Ma non ditegli che l’ho detto. Ho una reputazione da difendere, io.

Ma non posso fare a meno di abbracciarlo di slancio, quando mi si butta praticamente addosso e mi stritola con una forza che avevo dimenticato. Sorrido, cingendogli con delicatezza i fianchi, posando la fronte contro la sua spalla.

-Grazie.- mi sussurra, solleticandomi l’orecchio col respiro. Mi contorco di botto, involontariamente; sono ipersensibile, io!

Lo sento ridere, ma mi trattiene contro di sé, senza lasciarmi andare. E non posso fare a meno di ridere anch’io, arruffandogli i capelli biondi, lunghi, riccioluti.

-E di cosa?- rispondo, baldanzosa e arrogante. Mi guarda, esasperato, scettico, divertito, ironico, tutto insieme. Posso condensare questa descrizione soltanto in due parole.

William Moseley.

Mi stacco da lui, avvertendo l’astio e il nervosismo del tassista, il mio desiderio di tornare a casa, da Ben.

Ma prima di salire in macchina, torno a voltarmi. Il mio fratellone ha gli occhi rossi, gonfi, felici. Sembra rinato, ed è tutto merito di Angie. Non posso non sorridergli ancora, sentendomi decisamente più tranquilla, serena, nel riconoscere in quel viso più adulto il Will a cui ho imparato a voler bene.

La prossima volta che fa un casino del genere, e finisce a fare l’emo complessato, gli stacco le vene a morsi. Giuro. Non può farmi preoccupare così, non è leale.

Abbasso un istante gli occhiali, lasciando che intraveda l’occhiolino che gli rivolgo.

-Ricordatelo, Will.- gli faccio, più dolce di quanto non vorrei sembrare.

-Io ci sono sempre, per te.-

Ed è con questa uscita ad effetto, che mi infilo nel taxi e sparisco alla sua vista, lasciandomi trascinare via dal sole fragrante che illumina Hollywood.

E ora, si torna a casa.

.

.

.

.

My Space.

sìììì, lo so, è una sclerata assurda e William è un emo assoluto. Ma povero piccino lui ç____ç

Queste sono le foto incriminanti, che hanno scatenato tutto questo putiferio di one shot. Io non voglio niente bene a quel ragazzo, non mi ci sono affezionata, nono...ma d'altronde, io sono una stronza, come Ray. Ho una reputazione da difendere, quindi non andate in giro a dire che mi sono fatta prendere dallo sconforto da queste fotografie, e dalla sua espressione. NON è assolutamente vero. No. Mmm.

http://williamgallery.org/thumbnails.php?album=209

E questa invece è la famosa maglietta con la banana XD

http://williamgallery.org/displayimage.php?album=lastup&cat=0&pos=81

a chi è dedicata? Beh...a William, dopotutto. Per quanto so che non la leggerà mai, che non saprà mai (per fortuna) gli scleri della sottoscritta, questa è dedicata a lui. Perchè quelle foto mi hanno davvero stretto il cuore. E, soprattutto, ho visto in quegli occhioni azzurri la stessa cosa che vedo ogni mattina. Nel riflesso del mio specchio.

   
 
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