Erano
le 10.55 del 1
settembre a Londra. Il tempo non era dei migliori, come suo solito
pioveva,
eppure era ancora estate. Le strade erano quasi vuote, le persone
preferivano
stare chiuse in casa al calduccio piuttosto che mettere il naso fuori
dalla
porta, e poi era domenica e la domenica si riposa in tutto il mondo.
Beh, di
certo nel mondo dei Babbani perché, al contrario di questo,
quella domenica,
per la maggior parte delle persone appartenenti al mondo magico, non
era un
giorno di riposo.
“Dai
ragazzi siamo in
ritardo! Correte!”
“Uf
io non voglio correre..!
questa è tutta colpa di QUALCUNO che non si muove a
prepararsi la mattina!”
“Hugo
hai poco da
incolparmi..! Se mi serve quel tempo per prepararmi non è
colpa mia!”
“Si
invece! Potresti
svegliarti prima la matt—“
“Smettetela
voi due e
camminate! E state attenti a non scivolare! Questa pioggia non fa
vedere un
tubo..!”
Un
gruppetto di quattro
persone si muoveva veloci nella stazione di King’s Cross,
quasi deserta. La
pioggia non permetteva di vedere bene da quanto era fitta, sembrava
quasi si
stesse sfogando contro i cittadini che inquinano, inquinano, senza
pensare che
causano problemi all’ambiente e al cielo, ma da quella
oscurità mattutina
spiccavano due chiome rosse e due castane. Nessuno sapeva dove la
famiglia
Wealsley era diretta, nessuno la vide fermarsi davanti a una colonna
tra il
binario 9 e 10, nessuno la vide sparire oltre quella barriera segreta
conosciuta solo dai maghi.
Erano
passati cinque anni
dalla prima volta che Rose Weasley si era trovata tra i due binari, con
il
carrello dei bagagli in mano. Aveva tutto con sé nel baule: penne d’oca,
pergamene e tutti i libri della
lista riportata nella lettera ricevuta. Sopra il baule si trovava una
gabbia
dove Rose teneva la sua bella civetta regalatale dallo zio Harry. Era
ancora
piccola, sarà stata alta circa
Ricordava
perfettamente le
emozioni provate quei primi giorni, l’eccitazione durante il
viaggio nel treno
nello scompartimento con Josh, Albus e Claire passato a ridere, a fare
supposizioni, a fantasticare, quanto era rimasta affascinata alla vista
del
castello nero con le mille finestre illuminate, la pioggia insieme al
freddo
che l’accompagnava durante il passaggio in barca,
l’ ansia quando si era
trovata davanti a quella porta altissima di legno che era
l’ingresso alla sala
grande.
Erano
entrati in quella
stanza che le sembrava immensa, guardò il soffitto: la madre
le aveva detto che
non era vero, era un incantesimo, infatti non potè non
notare quanto fosse
splendidamente magico. Con il naso per aria, il gruppetto dei primini
era
arrivato davanti a uno sgabello sulla quale si trovava un cappello
parecchio
vecchio, malandato, insignificante. Fece il suo canto
d’inizio anno, Rose
sapeva tutto a riguardo, per ogni corso di studi il cappello parlante
inventava
una canzone che poi il giorno dello smistamento avrebbe dovuto
presentare.
Quell’anno fu così:
“Allora,
salve giovane
maghetto
in
barca hai superato il
laghetto
ma
non credere fosse una
sfida
quella
la incontrerai presto
così
sentirò le tue grida
ma
non essere mesto
Non
spetta a me farti la
lezione
non
è di questo che parla la
canzone
con
la vita capirai,
chissà
da che parte starai
io
ti devo giudicare
o
forse è meglio dire
studiare
decido
qual è la casa che ti
spetta
prima
te le presento,
aspetta.
Tassorosso
è lì tranquillo
Serpeverde
è sempre brillo
Corvonero
con la sua
intelligenza
Grifondoro
con la sua
imprudenza
Tu
davvero sai dove andare?
Io
non credo lo sappia dire
Solo
io ti saprò interpretare
E
dove smistarti capire
Ma
ora basta con i canti
Chi
sono i demoni e chi i
santi?
Siete
curiosi di sapere
E
porre fine alle vostre pene
Non
vi lascio più sulle spine
Diamo
a questa canzone una
fine!”
E
accompagnati dalle urla,
dagli applausi della scuola il cappello era tornato immobile su quello
sgabello. Rose pensò quanto dovesse essere triste essere
lui, non poteva
inchinarsi, dire grazie alla folla che l’aveva acclamato, ma
in fondo era
questo che contava? Il suo compito era un altro e nel farlo insegnava e
cercava
di aprirti gli occhi, lo faceva bene.
Ecco
che ad uno ad uno i
giovani maghi e le giovani streghe erano stati chiamati. E tutti
accolti dai
festeggiamenti si erano seduti nelle tavolate delle rispettiva case.
“Ethan Allow”
“Corvonero!!”
“Trevor Allow”
“Corvonero!!”
“Vernon
Dusley”
Qui
il cappello aveva
esitato. Si era trovato a dover analizzare una mente difficile, sentiva
tristezza, coraggio, voglia di emergere, timidezza, paura, ansia,
eccitazione,
speranza, intelletto, furbizia, ostilità, intolleranza. Si
chiedeva perché
c’erano sempre più persone così
complesse, la scelta la vedeva difficile. Ma
alla fine decise, dopo aver pensato a tutto quello che quel ragazzo
possedeva
aveva gridato la casa che sarebbe stata la sua potenziale famiglia per
i
prossimi sette anni.