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Autore: Ayako_Chan    19/04/2010    3 recensioni
Pandora.
Sacerdotessa di Hades o bambina vittima di un destino più grande di lei?
Una tragedia in tre tempi, per raccontare la sua storia.
"Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna Pandora, perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l’avevano donata in dono, sciagura agli uomini laboriosi."
[ Personaggi: Pandora. Ho messo "Sorpresa" perché non avevo altra scelta ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Purple Shadow'
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Pandora CAP 1
Titolo: Quale Vita?
Rating: Giallo
Capitolo: 1 di 9
Personaggi: Pandora
Disclaimer: I personaggi non sono miei ma appartengono a quel demon genio di Masami Kurumada, anche se sto cercando di convincerlo a darmi Milo. E Kanon. E un altro centinaio di personaggi. Questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro (magari) ma per puro divertimento dell'autrice.
Note dell'Autrice: Dunque. Alla fine ce l'ho fatta ad esordire su questo fandom *C*" Con una certa incertezza, dato il numero incredibile di autori bravissimi che vi girano, ma ci tengo molto a questa storia. E, per il momento, ne sono anche piuttosto soddisfatta.
Pandora è un personaggio che mi piace moltissimo. Troppo sottovalutato, secondo me.
Questa storia è nata mentre leggevo - per l'ennesima volta - l'Hades chapter, chiedendomi come deve aver vissuto la guerra questa Povera ragazza che, diciamocelo, non ha avuto una vita propriamente allegra. Senza contare che trovo anche che sia un incredibile contrasto, con il suo aspetto delicato e quasi etereo, in mezzo ad un'armata di 108 specter grandi e grossi *O* Detto questo, buona lettura!
Ah, le frasi in viola sono prese da "Le opere e i giorni" di Esiodo.
Dedica: a tutte quelle persone e autori straordinari che frequentano Gold Insanity. In particolare a Milo, perché è grazie alle sue drabble se mi sono riavvicinata a questo fandom. E perché mi ha incoraggiata a pubblicare la fics! Vi amo, dal primo all'ultimo *O*



Il tempo del destino: ATTO I




«  così disse ed essi obbedirono a Zeus signore, figlio di Crono.
E subito l’inclito Ambidestro, per volere di Zeus, plasmò dalla terra una figura simile a una vergine casta; Atena occhio di mare, le diede un cinto e l’adornò; e le Grazie divine e Persuasione veneranda intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida chioma, l’incoronarono con fiori di primavera; e Pallade Atena adattò alle membra ornamenti di ogni genere. »




La notte in cui la bambina nacque pioveva.
Una spessa coltre di nubi oscurava completamente il cielo di Tubinga, lasciando cadere sulla città una pioggerella fitta e fastidiosa; di quelle che non portano sollievo ai raccolti, ma soltanto disagi agli uomini.
In quel momento, comunque, Maria Heinshtein non badava affatto al tempo, né a nient’altro che non fosse la creatura che stringeva fra le braccia, che ancora piangeva tendendo le manine verso l’alto, alla ricerca di un appiglio che trovò presto nel seno della madre.

“E’ bellissima.”

Mormorò il marito, commosso, con un tiepido sorriso di ringraziamento alla levatrice e uno denso d’amore per la donna che giaceva, sudata, stanca, eppure mai così bella ai suoi occhi, sulle coltri sfatte del letto.

“Hans.”

Maria ricambiò il sorriso, allungando una mano per stringere quella che l’uomo le porgeva, mentre cullava dolcemente la bambina.

“Guarda.” Gli indicò il ciuffo di capelli scuri che spuntava sul piccolo capo, con tono esausto eppur pregno di un vago divertimento “Ha preso i colori di tuo padre!”

Lui rise, sedendosi sul letto e allungando la mano libera ad accarezzare i capelli della moglie, scostandole una ciocca bagnata dalla fronte.
Si piegò a sfiorarle quel punto con le labbra.

“Ma è bella quanto te.”

Lei, troppo stanca per ribattere come suo solito, si limitò a sorridere.

“Hai cambiato idea sul nome?”

“No.” Hans scosse il capo, osservando con affetto quel corpicino fragile.

Maria, felice, si chinò a sussurrare alla bambina:

“Benvenuta al mondo, Pandora.”



***



Fin da subito, quella bambina divenne il cuore della casa.
Cullata nell’amore incondizionato dei genitori, la piccola Pandora conquistò ben presto anche l’intera servitù del castello, con la sua intelligenza e, soprattutto, con la sua innata, inestinguibile curiosità, che la portava spesso a infilarsi in luoghi impensabili.
Hans Heinshtein, ricco per eredità di famiglia ed archeologo per passione, esperto di mitologia greca, ne rideva insieme alla moglie.

“Abbiamo trovato il nome giusto, caro.” Gli disse lei, una volta, mentre commentavano il comportamento della figlia.

“E’ proprio vero!” Rispose, ripensando divertito a quel vecchio mito.

C’era un motivo, ovviamente, se i coniugi Heinshtein avevano dato alla figlia proprio quel nome, tradizionalmente associato alla sventura e alla punizione degli uomini.
Era stata Maria, soprattutto, ad insistere.
Pandora.
Pandora come la prima donna creata da Efesto.
Una donna a cui erano stati dati tutti i doni, come lo stesso nome affermava; lei stessa che, come dono, era stata recata ad Epimeteo, colui-che-vede-dopo.

“Un dono ingannevole.” Le aveva fatto notare il marito, all’inizio, più di una volta.

“Ma pur sempre un dono.” Aveva semplicemente ribattuto, dolce ma decisa. “Come lei lo è stata per noi.”

Così, alla fine, fu deciso.




« Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta, per volere di Zeus cupitonante; e voce le infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna Pandora, perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l’avevano donata in dono, sciagura agli uomini laboriosi. »




Pandora crebbe, nell’agio e colmata di regali e attenzioni che il padre, generoso per natura, mai le negava.

Al suo secondo compleanno, Hans le regalò un cucciolo di cane: un alano di appena pochi mesi, dall’aspetto adorabile. Sarebbe cresciuto con lei, rappresentando con la sua assoluta fedeltà una costante, qualcosa a cui Pandora avrebbe potuto sorreggersi anche nei momenti più bui – aggrappandosi a quell’amore istintuale che trascende le azioni compiute e, almeno Hans lo sperava, aggrappandosi anche al ricordo dei giorni felici dell’infanzia, trascorsi con loro.
Questo era ciò che egli si augurava per la figlia, mentre la osservava precipitarsi verso quella palla di pelo.

Hündchen! Hündchen!” Trillò la bambina, felice, stringendo le braccia attorno al collo del cucciolo e ricevendo per tutta risposta un’entusiasta leccata sulla guancia.

“Come si chiama, Papa?” domandò, ridacchiando e rivolgendo un sorriso al padre.

“Adolf, tesoro.”

“Ed è tutto mio?”

“Tutto tuo.”

Ancora ridendo, Pandora stampò un bacio sulla guancia del genitore, e corse subito in giardino a giocare col nuovo regalo.

Fu circa qualche mese dopo, che Hans iniziò a provare una strana inquietudine ogni volta che si parlava del nome della figlia; non sapeva spiegarsene l’origine, ma era come un indefinito presagio che gli impediva di riposare serenamente.
Era come l’attesa di un qualcosa – misterioso e impenetrabile - di latente, una forza sepolta sotto l’immenso spessore della Terra stessa, in attesa di venire liberata.
Incapace di trovare una motivazione razionale, non ne fece parola con nessuno, interpretando quelle sensazioni come le paranoie di un padre troppo attaccato alla figlia.

Passarono giorni, poi settimane; eppure, quella paura non accennava a svanire, anzi si acuiva di giorno in giorno, in una sorta di climax perverso che lo logorava istante dopo istante.
Infine, quando arrivò al punto in cui il solo posare lo sguardo sul piccolo viso ovale della bambina gli provocava un senso di angoscia quasi patologica, gli tornò in mente – quasi a caso, o per un beffardo scherzo del destino – un avvertimento che suo nonno gli aveva dato molti anni prima.




« Poi, quando compì l’arduo inganno, senza rimedio, il Padre mandò a Epimeteo l’inclito Argifonte portatore del dono, veloce araldo degli dèi; né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro, perché non divenga un male per i mortali »




C’era, nell’immenso giardino del Castello, una zona più appartata, da dove scendeva il ruscello che andava ad alimentare lo splendido lago dei cigni neri. Al di là del corso d’acqua si ergeva un tempietto circolare, di vaga forma classica, sprangato da un pesante portone chiuso a lucchetto.
Da più di duecento anni – così gli aveva detto il nonno, anni prima – quel portone non veniva aperto, né si sapeva dove fosse la chiave. Tuttavia, era proibito avvicinarsi, poiché luogo di sventura.
Quel ricordo, ritenuto evidentemente di poco valore, rimosso da molto tempo, riaffiorò in modo così improvviso e illogico che Hans non dubitò neanche un istante che fosse collegato con la sua recente inquietudine.
Quando finalmente si decise a raccontarlo a Maria, tuttavia, lei si limitò a sorridere con indulgenza.

“Caro, è solo la storia di un nonno anziano che voleva prendere un po’ in giro il nipotino. O..” e qui gli rivolse un’occhiata divertita “..impedirgli di giocare in una zona pericolosa del parco, ben conoscendo la sua attitudine all’esplorazione. Ricordi quando eri così restio a dare il nome Pandora a nostra figlia? Eppure eccola qua, bella e vivace, senza un’ombra davanti a lei. Sono soltanto miti.”

“E questa sensazione?”

Con un sospiro di amorevole sopportazione, scosse appena il capo, guardandolo corrucciata. “Sono anni che ti dico che lavori troppo, ma non hai mai voluto ascoltarmi.”

Lui rimase a osservarla per un po’, pensieroso, chiedendosi se in effetti non fosse tutto un parto di una mente stanca e troppo immersa nei reperti di un’epoca remota.
Non ne era così convinto, ma annuì comunque, seguendo con lo sguardo la figura slanciata della moglie che si dirigeva in giardino.

Ma ogni mito ha un fondo di verità.

Aggiunse poi, a mezza voce, rivolto a se stesso.



Col passare dei giorni, continuando a riflettere sulla questione giunse alla conclusione che, in ogni caso, sarebbe stato meglio se Pandora non si fosse mai avvicinata a quel luogo.
Dopotutto, non le avrebbe arrecato alcun danno un semplice avvertimento.
Glielo disse, quindi; ma, reso poco previdente dalla preoccupazione, lo fece suonare come un’ imposizione.
Imposizione che ebbe soltanto l’effetto di stimolare la sua innata curiosità.

“Va bene, Papa. Se tu non vuoi, non ci andrò.”

“E’ una promessa?”

“Sì.”



« Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta »



Piccola, ingenua bambina, vittima di un destino più grande di lei.


Un destino che, implacabile, si compie, incurante delle preghiere degli uomini. Su di esso difatti presiede una forza più grande, che tutto trascende: non è data ai mortali la facoltà di cambiarlo con poche raccomandazioni, e persino Zeus onnipotente, dominatore delle folgori, può soltanto rinviarlo.
Le Moire, nel loro giardino, tessono le vite degli uomini.
Un anno dopo, Chloto creò un altro filo.

Anni dopo, Atropo ne avrebbe recisi a decine.




« né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro, perché non divenga un male per i mortali.
 Lui lo accolse e possedeva il male, pria di riconoscerlo. »

  
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