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Autore: itsmemarss    22/04/2010    1 recensioni
(...) Così decisi che, quella notte, più precisamente verso la fine di Giugno, quando le luci degli uffici di New York si sarebbero spente per lasciare il posto a quelle dei club e dei locali, avrei chiuso la mia coscienza in un angolino del mio cervello e avrei seguito, per la prima volta, nella mia vita, il mio istinto. (...)
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ero mai stata una ragazza ribelle. Fin da piccola avevo preferito seguire le regole, certa che questo mi avrebbe mantenuto al sicuro e protetta, e così non avevo mai ecceduto in niente. Trucco leggero, non volgare. Gonna al ginocchio, non mini. Tacchi bassi, non alti.

Ora però, che avevo appena compiuto i vent’anni, mi sentivo vuota. Era come se non avessi mai vissuto davvero, cercando di non superare i miei limiti o andando controcorrente.

Come se avessi dormito per tutto questo tempo e avessi aperto gli occhi solo ora. Mi ero svegliata e, puff, avevo capito che dovevo recuperare il tempo che avevo perso a vivere la vita che i miei genitori volevano. Avevo sempre pensato che ci sarebbe stato tempo, più in là, di divertirmi e che prima dovevo pensare a dare gli esami all’università, ma non era così. Il tempo per vivere era ora. Carpe diem, come dire.

In realtà non ero mai stata davvero la ragazza che ora si stava guardando allo specchio.

Liz, invece, la mia migliore amica, era la tipica ragazza newyorkese. Bella ed estroversa, sapeva divertirsi e viveva di notte, fra locali e feste. Di giorno faceva la segretaria in un ufficio legale sulla cinquantesima e per questo era costretta a vestirsi sempre elegante, con tailleur e scarpe basse.

Di notte invece si trasformava completamente in un’altra. Lasciava sciolti i capelli biondi, truccava i magnetici occhi verdi e si vestiva molto più provocante. In queste vesti l’avevo vista poche volte, ma solo ora capivo che lei aveva davvero vissuto ed era stata fortunata.

Così decisi che, quella notte, più precisamente verso la fine di Giugno, quando le luci degli uffici di New York si sarebbero spente per lasciare il posto a quelle dei club e dei locali, avrei chiuso la mia coscienza in un angolino del mio cervello e avrei seguito, per la prima volta, nella mia vita, il mio istinto.

Lasciai stare lo specchio da parte e chiamai Liz. Appena le dissi quello che volevo fare, sulle prime non ci credette, poi si mise a urlare alla cornetta, rischiando di farmi diventare sorda. Le diedi appuntamento sotto casa mia alle nove. Dopodiché corsi in bagno e mi feci una doccia, mi asciugai i capelli e li lasciai sciolti. Mi misi ombretto, matita e mascara sugli occhi, una spolverata di fard e un velo di gloss sulle labbra. Infilai il tubino nero che avevo comprato appositamente per l’occasione e sistemai il gancetto delle decolté, aperte davanti.

Quando Liz suonò il citofono, per poco non urlai per quanto ero ansiosa. Uscii di corsa dalla porta di casa, salutando Platone, il mio cane.

Sui tacchi mi sentivo incerta, ma in qualche modo, muovendo i fianchi, riuscivo a sentirmi sexy. Mi piaceva quella parola, così come la sensazione di avere quasi tutti gli sguardi dei ragazzi addosso, mentre camminavamo sul marciapiede.

Non ero mai stata brutta, ma avevo sempre preferito non mostrare il mio bel visino dagli occhi azzurri e le labbra carnose. Non mi piaceva l’idea che una persona potesse avvicinarmi solo per il mio aspetto fisico.

Dopo un breve tragitto in taxi, Liz mi accompagnò a braccetto nel locale che frequentava spesso. Si chiamava ‘Black Hole’ e, appena entrata, capii subito il perché di quel nome così particolare.

Quando spalancai le porte antincendio rosse, mi sembrò quasi di essere risucchiata in un grande buco nero, contornato da luci colorate e stroboscopiche a intermittenza.

Sentii un terribile nodo allo stomaco, ma bastò sentirmi stringere la mano dalla mia migliore amica per calmarmi.

<< Lasciati andare, So’, e vedrai che ti divertirai. >> mi urlò Liz, nella calca di corpi. Oltre a noi c’erano come minimo un centinaio di persone, che ballavano corpo a corpo, incuranti di chi li circondasse.

La musica era molto orecchiabile e subito fui presa anche io da un bisogno istintivo di dimenarmi nella folla di sconosciuti.

Sulle prime seguii Liz, poi mi feci trasportare dal ritmo e cominciai a muovermi senza badare a nient’altro. Era come se, in quel casino, i miei problemi si diradassero nella nube di calore e sudore.

Presi così a ballare. Non ero sicura di farlo nel modo giusto, ma non me ne importava molto. In fondo nessuno mi conosceva là dentro. Potevo essere totalmente un’altra, reinventare me stessa.

Dopo quelle che sembrarono ore, iniziai a sentirmi accaldata e capii di avere il fiatone. Sentivo il sangue scorrere veloce nelle vene, l’adrenalina che pompava nel cuore e mi faceva sentire le gambe deboli.

<< Ho bisogno di bere qualcosa. Torno subito! >> urlai a Liz, prima di scomparire verso il bancone del bar. Si trovava non troppo distante dalla pista e, quando lo raggiunsi, fui quasi sicura di poter ancora vedere la chioma ribelle della mia amica.

<< Un Red Passion, per favore! >> chiesi al barman, un ragazzo dagli occhi scuri e il sorriso mozzafiato, che mi fece l’occhiolino, prima di armeggiare con la mia ordinazione.

Non ci feci caso e mi sedetti su uno degli sgabelli liberi. Iniziai a guardarmi intorno, appoggiata al bancone dalla superficie rossa e i bordi in legno scuro.

I ragazzi però sembravano esseri tutti troppo sicuri di sé, o troppo finti o già impegnati con ragazze più carine di me.

Cominciai a sentirmi inadeguata in quel posto così nuovo per me e stavo per perdere la speranza, quando lo vidi.

Se ne stava appoggiato contro una parete, a qualche metro da me, da solo. Rigirava fra le dita un cocktail scuro, con la spuma bianca in alto. I capelli castani erano mossi e gli occhi verdi sembravano brillare sotto le luci basse. Indossava una camicia bianca dal colletto alzato di poco, una cravatta snodata e i pantaloni di uno smoking neri.

Quando alzò gli occhi e mi notò, sentii le tipiche farfalle nello stomaco, solo che questa volta sembravano decise a lottare con i miei intestini. Sentivo il bisogno di prendere una boccata d’aria o, forse, quello di cui avevo semplicemente bisogno, era che mi baciasse.

<< Ecco il suo drink, dolcezza! >> mi risvegliai dalla trance e afferrai il bicchiere ghiacciato che avevo richiesto poco prima. Ringraziai e cominciai a sorseggiarlo. Era buono. Dentro doveva esserci della vodka, succo di pompelmo e un mix di frutti tropicali.

Mi voltai di nuovo nella direzione di prima, ma il ragazzo di qualche secondo fa era scomparso. Demoralizzata, finii di bere il mio drink e tornai in pista. Cercai di tornare alla passione che poco prima aveva dato vita ai miei movimenti sinuosi, ma c’era qualcosa che me lo impediva.

Poi sentii un braccio che mi passava intorno alla vita e un paio di labbra che mi baciavano. Erano morbide e allo stesso tempo decise. Chiusi gli occhi e mi lasciai travolgere dall’elettricità che, dalla bocca, si diramava in tutto il corpo.

Ora capivo perché le persone lo chiamassero ‘colpo di fulmine’.

Forse fu grazie all’alcol, forse all’atmosfera, ma continuai a baciare lo sconosciuto per più di mezz’ora e poi presi a ballarci. Era davvero bravo e mi bastava seguire i suoi passi per sentirmi sicura di me.

Si chiamava Max e aveva la mia età. Quando vidi che erano già le tre, decisi di invitarlo nel mio appartamento. La mia coscienza non era ancora riuscita a trovare la chiave per uscire dalla sua prigione mentale e io ero ancora libera. Libera di essere davvero me stessa ancora per un po’, almeno fino al mattino seguente, un po’ come una novella Cenerentola.

Passai la notte più bella di tutta la mia vita e per poco non distrussi casa mia.

La mattina dopo mi svegliai nel mio letto. Sorridendo, tastai la parte sinistra, ma le mie mani strinsero solo il vuoto e un paio di coperte sgualcite. Lui non c’era più.

Mi alzai di scatto e aprii gli occhi. Fuori, la luce del giorno, inondò il mio campo visivo. C’ero, però, solo io nella stanza e così anche nel resto dell’appartamento.

Demoralizzata, mi accasciai sul materasso e notai solo allora che vi era stata abbandonata una camicia bianca. La presi fra le mani, ne annusai il profumo, il suo profumo, e poi la strinsi fra le braccia. Da essa cadde un biglietto spiegazzato. Sopra, un paio di cifre scarabocchiate con una penna blu. Era un numero di telefono.

Mi venne un colpo. Allora non ero stata mollata così, dopo una notte di pura follia. Forse, non dovevo ancora pentirmi di quello che avevo fatto.

Le mie labbra si aprirono in un sorriso, ma non mi azzardai manco per un secondo a guardare il telefono. Non volevo chiamarlo, non subito per lo meno, forse fra un paio di ore, forse giorni.

Non volevo dare a Max l’impressione che fossi una disperata. In fondo, anche se avevo passato la notte più bella della mia vita, fra fuochi d’artifici e intense emozioni, ormai la mia coscienza era tornata da dove l’avevo segregata.

Ora ragionavo con più lucidità. Mi alzai e presi una stampella dall’armadio. V’infilai la camicia e la lasciai lì, appesa come una specie di trofeo, a testimoniare una svolta importante della mia vita, quella della nuova Sophie.

Sì, perché ormai ero cambiata. Completamente. E l’unica che dovevo ringraziare era me stessa. Per la prima volta avevo fatto qualcosa per me stessa e non per gli altri. 

   
 
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