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Autore: Laura Sparrow    25/04/2010    11 recensioni
Irene Adler non era mai andata veramente oltre. Forse.
(Adler/Holmes)
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, Sherlock Holmes
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Manette



- Perché non puoi semplicemente venire con me?- gli sussurrò Irene, stizzita e rassegnata al tempo stesso.
Holmes gorgogliò qualcosa in risposta, senza neanche più la forza di tenere dritta la testa: la droga che aveva ingerito col vino stava facendo effetto con sorprendente velocità. Ora quasi le dispiaceva che il loro colloqui dovesse finire così presto e così bruscamente. Pazienza, pensò: sarebbe stato per la prossima volta.
- Mai… - riuscì finalmente a mormorare Holmes, guardandola con gli occhi che gli si chiudevano. Un mano annaspava goffamente verso di lei.
Colta da un impeto di pericolosa -quanto indesiderata- tenerezza verso quel babbeo che presto si sarebbe ritrovato nel mondo dei sogni, Irene si chinò su di lui e premette la bocca sulla sua. Lo baciò in fretta, con veemenza, quasi temesse che quello perdesse i sensi prima di rendersi conto di cosa stesse facendo.
Per un istante le sembrò perfino di sentire le labbra di Holmes rispondere al bacio, poi l’uomo le crollò tra le braccia, ronfando.
Irene sospirò di nuovo. Diavolo, ma perché dovevano sempre finire così? Mai una volta che i loro incontri terminassero in modo civile, o quantomeno in modo piacevole… era chiedere troppo?
Si permise perfino di fare una rapida, distratta carezza alla testa arruffata di Holmes, prima di riscuotersi bruscamente e alzarsi in piedi. Presto sarebbe calata la sera, e lei non doveva farsi trovare lì. Sparire quella notte sarebbe stato l’ideale: solo Sherlock sapeva che si trovava lì, e lei avrebbe fatto in modo che non potesse parlare con nessuno ancora per molto tempo.
Si guardò attorno in fretta, rassettandosi meccanicamente la vestaglia: il tempo di immobilizzare Holmes e raccogliere le proprie cose, e sarebbe sparita di nuovo. Un altro albergo, uno meno sontuoso stavolta, prenotato sotto un altro nome falso, e poi sarebbe stata libera di continuare il suo lavoro.
Per un attimo quasi le venne da ridere: aveva davvero pensato “libera”? Non era mai stata più in gabbia di così: il professor Moriarty la sorvegliava col pugno di ferro, e sapeva benissimo che nessuna delle sue mosse sarebbe passata inosservata. Ingoiò un groppo in gola e si costrinse a respirare lentamente: doveva restare calma e continuare, non c’era altro modo. Avrebbe continuato a seguire Holmes, ed era certa –e anche Moriarty ne era certo- che presto li avrebbe portati entrambi a qualunque cosa Blackwood aveva fatto costruire per mettere in atto il suo grande piano di resurrezione.
Solo quello. Poi sarebbe stata libera di scappare e sparire di nuovo.
Un brontolio lamentoso la fece sussultare, ma era solo Holmes che borbottava nel sonno.
- Shhh… - sibilò seccamente Irene, tornando ad inginocchiarsi accanto a lui. Sapeva che il prossimo scherzo non gli sarebbe piaciuto affatto… ma lei doveva impedire che si mettesse in contatto con la polizia, con Watson, o con chiunque altro avrebbe potuto informare, nel caso si fosse svegliato prima del tempo.
Trascinarlo sul letto fu una pena. Per quanto non fosse particolarmente alto, Holmes aveva una discreta massa di muscoli, ed Irene ne sentì tutto il peso mentre lo spostava dal pavimento al materasso, trovandosi costretta a maltrattarlo e sbatacchiarlo forse più di quanto meritasse.
Quando ebbe finito, tirò un gran respiro di sollievo. Poi cominciò a frugare nelle tasche dei pantaloni di Holmes e trovò esattamente quello che stava cercando: un paio di manette pronte all’uso. Un’ulteriore perquisizione al suo soprabito gliene fece trovare un secondo paio, con le rispettive chiavi. Da bravo investigatore, Holmes non aveva lasciato a casa i ferri del mestiere neppure per venirla a trovare. Avrebbe davvero mantenuto la promessa di consegnarla alla polizia, se si fosse rifiutata di andarsene? Il fatto che si fosse portato dietro le manette pareva confermarlo. In ogni caso, erano perfette per quello che aveva intenzione di fare in quel momento.
Ridacchiò al pensiero: quante altre volte il grande investigatore Sherlock Holmes si era svegliato incatenato al letto con le sue stesse manette? Ecco un altro motivo per cui le piaceva giocare tiri particolarmente fantasiosi: era certa che si sarebbero ricordati di lei. Che anche lui, in ogni caso, si sarebbe sempre ricordato di lei.
Basta pensare. Ci stava impiegando davvero troppo tempo, ed era già in ritardo sulla sua tabella di marcia. Aprì le manette e prese Holmes per i polsi, sollevandogli le braccia.
Stava ancora dormendo della grossa. Irene indugiò per qualche istante. E se…?
Non si fermò troppo a chiedersi se fosse un dispetto fin troppo grosso da fare – perfino a lui- : l’idea la divertì abbastanza da convincerla a provarci.
Senza trattenere un sorrisetto, si chinò sulla figura addormentata di Holmes e cominciò a togliergli i vestiti. Prima le bretelle: gliele sganciò e le lasciò cadere sul pavimento, poi infilò le mani sotto la camicia e gliela sfilò dalla testa. La stessa fine fece fare a scarpe, calze, pantaloni, e tutto il poco che restava sotto; il tutto senza la minima esitazione, e senza neppure arrossire come sarebbe convenuto ad una signora, o distogliere pudicamente lo sguardo. Cose come l’imbarazzo o il pudore erano ormai superate da tempo, per lei.
Tuttavia, mentre gettava per terra anche il resto degli indumenti di Holmes, non poté fare a meno di restare a guardarlo per un po’. Londra, eccoti il celebre Sherlock Holmes in tutto il suo splendore, privo di sensi su un letto d’albergo e senza neanche uno straccio addosso.
Irene continuò a ridere silenziosamente mentre si sedeva sul letto e cominciava a trafficare con le manette e i polsi di Holmes, con una certa paradossale attenzione, come una mamma amorosa col figlioletto.
Già, a volte Holmes sapeva essere proprio così: capriccioso e scostante come un bambino… salvo poi rimanere sempre e comunque geniale, infallibile, incrollabile nei suoi principi. Per questo non sarebbe mai venuto via con lei, né lei sarebbe mai riuscita a convincerlo.
Le manette scattarono ai suoi polsi una dopo l’altro, assicurandolo alla testiera del letto. Non importava quando si sarebbe svegliato: in ogni caso, avrebbe avuto grossi problemi a trovare qualche cameriera disposta ad ascoltare le sue spiegazioni riguardo al perché si trovasse lì in quelle condizioni.
Irene rimase seduta sul bordo del letto, senza decidersi ad andare e a mettere quanta più distanza possibile fra lei e quella stanza d’albergo. Era un tantino distratta dalla vista di Holmes, e questo era comprensibile.
Tuttavia, non era la prima volta che aveva l’occasione di guardarlo come mamma l’aveva fatto, quindi, in sostanza, non c’era nulla che non avesse già visto.
Però lui era bello. E le piaceva. E c’era qualcosa di terribilmente ingiusto nell’avere il permesso di guardarlo soltanto se drogato e incatenato ad un letto.
Si alzò, ma ancora non trovò la voglia di raccogliere le sue valigie e andarsene una volta per tutte: semplicemente si spostò in fondo alla stanza, e si accomodò sul piccolo divano ai piedi del quale Sherlock era svenuto pochi minuti prima. Non si degnò neppure di distogliere lo sguardo dal letto e rimase lì, col viso fra le mani: non trovava affatto imbarazzante la consapevolezza di avere, da lì, un’ottima visione di Holmes che giaceva sul letto, appoggiato alla testiera come una parodia di un Cristo in croce, con la testa ciondoloni e le gambe divaricate.
Alzò gli occhi al cielo e scosse il capo. Per come la vedeva lei, quella “visita di cortesia” sarebbe potuta terminare in modo molto più interessante per entrambi, ma come al solito Holmes non era sembrato intenzionato a collaborare. Un vero spreco. Un vero spreco per lei, una professionista che poteva permettersi qualsiasi uomo, specialmente quelli giovani, prestanti e ricchi, da sorprendere regolarmente con quello che lei amava chiamare “il furtarello del giorno dopo”: ovvero ciò che le fruttava i suoi amati, preziosi e numerosi souvenir.
Un vero spreco, perché nonostante tutto Holmes le piaceva. Le piaceva davvero. Era l’unico di cui le fosse mai importato qualcosa.
E lui? L’importanza che aveva per lei quella domanda la imbarazzava quasi quanto avrebbe dovuto fare invece la vista dell’uomo nudo steso sul suo letto. Che cosa provava Holmes, per lei? Avrebbe dato qualsiasi cosa per riuscire ad entrare in quel complicato ingranaggio che era la sua mente, per capirne almeno un poco.
Finalmente abbassò lo sguardo, allungandosi sul divano e strofinandosi le tempie. Si sentiva stanca, più stanca di quanto non fosse mai stata durante quegli ultimi giorni frenetici. Troppi, troppi pensieri; e fuori, da qualche parte, di sicuro la aspettava Moriarty, se non avesse fatto le cose come le aveva detto.
Holmes aveva ancora la sua foto incorniciata, nel suo studio. Forse qualcosa voleva dire.

- …Irene?-
La voce di Holmes sembrò arrivare, come da un pozzo profondo, dopo molto, molto tempo. Irene aprì gli occhi di scatto, rendendosi improvvisamente conto di avere perso completamente la concezione del tempo.
Che era successo? Era ancora sul divano, nella medesima posizione in cui ricordava di essersi distesa poco prima. Però adesso sentiva un vago dolore al braccio sul quale si era appoggiata, come se il suo peso l’avesse fatto intorpidire. E fuori dalla finestra era già buio.
Si era assopita?! Era stata così stupida da cedere alla stanchezza e ai troppi pensieri nella sua testa? Dio mio, non capiva se a rammollirla fosse stata l’influenza di Moriarty o la presenza di Holmes nella stanza.
A proposito… Irene riportò lo sguardo davanti a sé, e inevitabilmente i suoi occhi incontrarono quelli di Holmes.
Di Holmes che in quel momento la stava fissando con aria estremamente interrogativa.
Holmes che stava flettendo le dita delle mani intorpidite, e che la guardava come a chiederle se, di grazia, lei sapesse perché mai si trovava nudo e ammanettato al letto.
Peccato che Irene al momento non avesse nessuna risposta soddisfacente da dargli, poiché contava di essere già molto lontana quando lui si sarebbe svegliato. Calcolò che non doveva essere passata più di un’ora da quando gli aveva fatto perdere i sensi; tuttavia la sua resistenza alla droga era stata notevole, considerando che avrebbe dovuto farlo dormire per diverse ore.
- Ti chiederei il perché di tutto questo, ma lo scopo è fin troppo evidente. – continuò Holmes, con invidiabile autocontrollo. – L’unico elemento che mi sfugge è… perché tu sei ancora qui?-
Per quella domanda aveva risposte ancora meno plausibili. Si alzò lentamente dal divano, lisciandosi istintivamente la gonna: ad un tratto aveva cominciato ad evitare lo sguardo di lui. – Mi sono assopita. Ero stanca, immagino… Una leggerezza. Ridicolo, non trovi? Speravo che avresti dormito fino a domattina. –
- Un po’ di sonnifero nel vino non è abbastanza per mandarmi al tappeto per tutta la notte. – replicò lui, ancora in tono accuratamente piatto. – Uhm… c’è qualcosa di estremamente scomodo in questa conversazione, ti dispiacerebbe...?- scosse leggermente i polsi per far tintinnare le manette.
Irene sorrise. – Sì, Sherlock, mi dispiacerebbe. Mi dispiacerebbe molto, anzi, trovo che la tua sia la sistemazione ideale in questa conversazione. –
- Dici?-
- Primo, sei un bel vedere. Secondo, non sei in condizione di nuocermi. Niente di personale. –
- No, certamente. – Holmes si mosse di nuovo, come saggiando la resistenza delle manette, e un’ombra di delusione mista a qualcosa che Irene non seppe identificare gli passò sul volto. – Ti prego, dimmi almeno che hai lasciato le chiavi da qualche parte. –
- Intendevo farlo, ma immagino che adesso rovinerei la sorpresa. – Irene sogghignò. – Credo che dovrai sbrigartela da solo. –
Gli voltò le spalle, animata da tutte le migliori intenzioni di prendere i bagagli e andarsene: non importava che fosse ancora in vestaglia; se necessario si sarebbe cambiata in fretta, si sarebbe buttata addosso un mantello, ma se ne sarebbe andata da lì. Poi però Sherlock la chiamò di nuovo, stavolta con la voce vibrante di una chiara nota di irritazione: - Irene…-
Oh, al diavolo. Girò sui tacchi, raggiunse il letto in quattro passi e ci salì sopra, allungandosi su Sherlock. Prima che questi potesse emettere anche solo un fiato di protesta, Irene gli prese il volto fra le mani e lo baciò: stavolta a lungo, prendendosi tutto il tempo necessario.
Quando lui riuscì a divincolarsi un poco dall’abbraccio e a staccare le labbra dalle sue, per un attimo la guardò di nuovo con quella strana espressione indecifrabile. – Non era esattamente quello che avevo intenzione di chiederti… -
- Sta zitto. Almeno per un po’. – lo baciò di nuovo, con ancora più impeto di prima, e Holmes non fece granché per opporre resistenza. Quando le loro labbra si separarono di nuovo, senza perdere altro tempo, Irene si spostò per inginocchiarsi sopra di lui, trafficando con il nodo che le chiudeva la vestaglia.
Holmes le scoccò un’occhiata in tralice. – Lo sai che non è né il posto né il momento, vero?-
- Sì, lo so. – il nodo si sciolse facilmente.
- E hai intenzione di lasciarmi ammanettato?-
- Temo di sì. –
Con prontezza disarmante, lei si lasciò scivolare la vestaglia dalle spalle e buttò anche quella ai piedi del letto mentre tornava ad occuparsi di Holmes. Per una volta poteva dire di averlo lasciato senza parole. Sherlock tentennò, a bocca aperta come se fosse lì lì per protestare di nuovo, ma senza emettere un fiato: Irene si strinse a lui mentre scendeva a baciargli il collo.
Non avrebbe mai ammesso con nessuno, forse nemmeno con sé stessa, quanto quella sensazione le fosse mancata. Toccare il corpo di lui, accarezzare quelle braccia, quelle spalle, il suo petto. A tradimento affondò le dita nei suoi fianchi, tastandone i muscoli. Holmes serrò repentinamente le labbra.
Irene sorrise fra sé, continuando a baciargli il collo: lo conosceva bene, e sapeva che non le avrebbe reso le cose facili. Ma più faceva scorrere le mani su di lui, più trovava un peccato che l’investigatore fosse così scandalosamente freddo in “quel” frangente.
Gli strinse di nuovo le mani attorno ai fianchi per premerlo contro di sé, e stavolta Holmes sospirò rumorosamente. Quanto tempo era che non toccava una donna? Irene non poteva fare a meno di chiederselo, indugiando con le labbra contro il suo mento. Al freddo, egocentrico e misogino investigatore di Londra non capitava mai di fare all’amore, ogni tanto? Con lei era successo… una volta sola, per essere precisi. Quasi due. Però era successo.
La divertiva, l’idea: le dava una sensazione di esclusività.
Lei si sollevò sulle ginocchia, tirando un lento sospiro deliziato. Le sue cosce erano strette attorno alla vita di lui, i piedi infilati sotto le sue gambe.
Holmes rimase per qualche secondo a contemplare la donna che si ergeva sopra di lui, poi sussultò sentendo le mani di lei afferrargli le natiche per tirarlo con urgenza contro di sé.
- Oh, avanti Sherlock… - mormorò. Nella sua voce c’era un dolce tono di supplica, talmente speranzoso che Holmes si decise infine ad abbandonare ogni reticenza, e si lasciò andare alla stretta di lei, assecondandola, cominciando a muoversi con lentezza.
Irene emise un piccolo gemito soddisfatto e chiuse gli occhi, reclinando il capo all’indietro, persa completamente nella dolce sensazione del corpo di lui che cominciava piano a muoversi all’unisono col suo.
Si completavano, come gli ingranaggi di un meccanismo perfetto: lo facevano vivere, funzionare, pulsare.
Ingranaggi.
Una fitta di preoccupazione distolse suo malgrado Irene da quel momento perfetto. Non erano altro, alla fine, lei e Holmes: ingranaggi che per mera coincidenza combaciavano. Insieme funzionavano, ma niente di più. Era un effetto collaterale, e non sarebbe mai stata altro per lui.
Il bacino di Holmes si alzava e si abbassava più rapidamente, al ritmo delle sue spinte; le catene delle manette tintinnarono. Irene riaprì gli occhi e stavolta trovò Sherlock a ricambiare il suo sguardo: intensamente e direttamente; ogni facciata di circostanza, ogni finzione, era abbandonata almeno per il momento. Aveva il respiro pesante, e la fissò con quel mezzo sorriso segreto, con quell’insolita e bruciante tenerezza nello sguardo che –Irene ne era certa- non era solito riservare quasi a nessuno.
- Irene… - mormorò.
Non la chiamava praticamente mai per nome. Evitava di pronunciarlo in presenza di altri, preferendo definirla semplicemente “lei” o “la donna” –e questo la lusingava, perché era la Donna per eccellenza- e quando parlava con lei, semplicemente non sentiva il bisogno di dire il suo nome a voce alta. Invece, quella sera, il suo nome l’aveva pronunciato spesso, ripetutamente, come se non ne avesse mai abbastanza.
Holmes allargò un po’ di più le braccia, per quello che poteva, e protese verso di lei le mani aperte.
Lei represse un altro gemito, ma esitò. Poteva anche trattarsi di un trucco… con lui non si poteva mai sapere. Sarebbe stato benissimo capace di immobilizzarla anche solo con le proprie mani.
Non importava.
Si allungò su di lui, le sue mani risalirono lungo le sue braccia fino a trovare quelle di lui, e le loro dita si intrecciarono energicamente. Era ancora meglio, ora: completamente addossati l’una all’altro, i suoi seni nudi contro il suo petto sudato, i loro fianchi incollati. Se davvero erano ingranaggi, allora era solo così che dovevano funzionare. Insieme, loro due, e nessun altro. Irene si abbandonò contro la spalla di Holmes, quasi senza più respiro, mentre lui non accennò a fermarsi.
Solo con lei Sherlock Holmes si concedeva una tale debolezza, una tale scontata vulnerabilità.
Lui emise un lungo e rauco sospiro di piacere, stringendo forte le mani di Irene nelle sue.
Solo con lei; lo sapeva: perché lei era il suo più bell’enigma.
Irene si raddrizzò bruscamente, lasciandosi sfuggire un gridolino deliziato, più rumorosamente di quanto fosse consigliabile in una camera d’albergo.
E in quei lunghi istanti, Irene riuscì finalmente a non pensare. A non pensare a cosa la aspettava una volta lasciato quell’albergo, a non pensare al pericolo che correva lui nel portare avanti quell’indagine, a non pensare a chi erano e a cosa avrebbero dovuto fare. Per lei in, in quel momento, ci fu solo Sherlock.
Poi, così come era cominciato, poco a poco tutto finì. Irene si ritrovò, quasi senza rendersene conto, a sciogliere la stretta delle mani sudate di Holmes sulle sue, e a posare la guancia sul suo petto, sentendosi pronta a dormire per una settimana intera se solo avesse chiuso gli occhi.
Si sentiva esausta. Però, finalmente, nella sua stanchezza c’era un che di divertito trionfo per quella serata che era riuscita a rubare per sé. Per sé e per Holmes. Poverino, lui era ancora incatenato mentre riprendeva lentamente fiato, con lei che gli riposava sul petto e gli cingeva la vita con le mani, continuando a carezzarlo distrattamente.
Probabilmente non era stato molto leale approfittare della situazione in quel modo… ma era abbastanza certa che, fosse dipeso da Holmes, l’avrebbe scagionata con l’attenuante di “vittima visibilmente consenziente”.
- Dovremmo uscire insieme, qualche volta. – fece lei ad un tratto, sogghignando fra sé. – Tu, io, il dottor Watson e la sua futura moglie. -
- Come no. Potrei invitare anche Lestrade, già che ci siamo, che ne dici?-
Irene rise: non sarebbe stato lui, se non fosse stato sarcastico. Inoltre, le piaceva stare a sentire le sue battute pungenti: anche quelle facevano parte dell’intimità che c’era tra di loro.
Si sollevò sui gomiti e diede un buffetto al mento barbuto di Sherlock. – Ora devo proprio andare. –
- Temevo il momento in cui l’avresti detto… -
Si alzò dal letto e, al contrario di poco prima, fu sorprendentemente rapida a prepararsi per lasciare la stanza: il vestito più semplice e più rapido da indossare che aveva, le scarpe che infilò in fretta e furia; rinunciò da subito a mettersi il corsetto e si coprì con la mantella, decidendo che avrebbe avuto il tempo di cambiarsi nel prossimo albergo. Aveva già pronto il suo bagaglio a mano.
Si era preparato tanto rapidamente e in silenzio, che Holmes avrebbe anche potuto rimanere offeso… se lui fosse stato un uomo come gli altri.
D’altro canto, se lei fosse stata una donna come tutte le altre, si sarebbe lasciata intenerire dalla faccia rassegnata con la quale Holmes la stava fissando in quel momento.
- Non fare così… ci rivedremo prima di quanto pensi. – gli fece, civettuola, tornando accanto al letto. Holmes le scoccò un’occhiata storta. – Non è un pensiero molto confortante, in verità. -
Irene si strinse nelle spalle, senza smettere di sorridere, e infilò una mano nella sua borsa per prenderne le chiavi delle manette. Holmes ebbe un fugacissimo istante in cui quasi aggrottò le sopracciglia per la sorpresa, poi constatò il ritorno alla normalità quando Irene piazzò le chiavi sul materasso, proprio in mezzo alle sue gambe, e prese un cuscino dal divanetto per mettervelo sopra, coprendo chiavi e quant’altro.
Non poté far altro che alzare gli occhi al cielo, mentre Irene se la svignava verso la porta.
- E’ stato bello rivederti. – aggiunse, come per un ripensamento, mentre lei era già per metà fuori dalla stanza. Irene si affacciò, lo guardò ancora per un istante, poi lo salutò con una strizzatina d’occhi e sparì nel vano della porta.
Holmes appoggiò il capo contro la testiera del letto. Gli si stavano addormentando le braccia. Sarebbe stata una lunga nottata.
Irene si incamminò a passo svelto nella via buia, cercando con lo sguardo una carrozza libera. Non riusciva a smettere di sorridere, e si diede della stupida per questo.
No, non avrebbe mai smesso di fuggire e di nascondersi, neppure dall’uomo che amava.
Holmes teneva a lei perché era davvero il suo miglior enigma, l’unica cosa a cui non riuscisse a dare una spiegazione razionale. Chissà, forse se avessero cominciato a frequentarsi come persone normali, se avessero smesso di essere un mistero l’uno per l’altra, fra di loro non avrebbe più funzionato come prima.
Probabilmente.
Allungò frettolosamente il braccio per fermare una carrozza, che si arrestò poco più avanti accanto al marciapiede: mentre si avvicinava, scorse il vetturino squadrarla con l’aria di chiedersi cosa diavolo ci facesse un’elegante signora in giro per strada a quell’ora di notte, ma non fece domande.
Mentre saliva sulla carrozza, il sorriso non se n’era ancora andato dalla sua faccia.
Povero, povero Holmes. L’aveva lasciato in una situazione talmente scomoda e imbarazzante che un po’ gli dispiaceva per lui.
Scrollò le spalle. Gli aveva lasciato le manette, se mai avesse voluto pareggiare i conti.






Trascurabili note dell'autrice:

Domanda spontanea: perché questa one-shot, estranea al mio "solito" fandom e al mio "solito" modo di scrivere? Oh, per diversi motivi.
Perché personalmente adoro la coppia Holmes/Adler. Perché avevo voglia di scrivere qualcosa su di loro, e quello che ne è venuto fuori non mi è dispiaciuto. Perché le one-shot sono un'ottima palestra. Perché trovo artisticamente e fisicamente pregevole il sopracitato Robert Downey Jr. Perché nel fandom di Sherlock Holmes non c'è una fanfiction che non sia Slash... Ah no, in verità a ben guardare qualcuna ce n'è.
Perché sì, insomma. Perché mi è piaciuto Sherlock Holmes, ed è maledettamente difficile non scrivere quando qualcosa mi piace.
A voi.

  
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