Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Trick    27/04/2010    6 recensioni
«Possibile che nessuno nasca mai nel momento giusto?».
«Chiediti perché nessuno agisca mai al momento giusto, piuttosto».

È un comune 27 aprile del 2410 ed Emilia e Dino osservano il cielo dal loro appartamento a Nuova Bologna.
Scritta per "2010: a Year Together" indetto da C.o.S - Collection of Starlight
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: Dal terrazzo di un mondo che sanguina
Conteggio parole: 990
Genere: Malinconico, introspettivo
Rating: Verde
Note dell'autrice: Non ero certa di dove collocare questa storia, così ho deciso di tagliare la testa al toro e di lasciarla fra gli Originali – Generale. Ci tengo a precisare solo una cosa: Piazza D'Agostino non esiste – non a Bologna, perlomeno. È Piazza VIII Agosto ed è la stessa che compare nella mia storia. Non a caso con un nome diverso. Ci sono cose che dimentichiamo oggi: figurarsi fra quattrocento anni. Gli uomini vanno e vengono, fanno e disfano il mondo per poi storia. Qui, ho voluto lasciare un piccolo ammonimento dalle pretese piuttosto modeste.
Scritta per 2010: a year together, indetto da C.o.s. - Collection of Starlight



27 aprile 2410

I fitti grattacieli di Nuova Bologna si stagliavano cupi fra i fumi rossastri delle ciminiere della centrale econucleare di Panigale. Nonostante l'edificio rilasciasse le proprio ecoscorie a chilometri di distanza dalla città, il Dipartimento per l'Ambiente Nucleare – il noto DAN – non aveva ancora dato alcuna spiegazione sul perché il cielo si fosse tinto di rosso.
Non rosato o ambrato.
Rosso.
Con i gomiti appoggiati alla balconata di naturamianto del proprio attico in Piazza D'Agostino, Emilia scrutava con sguardo pensieroso fra le nuvole rubizze.
Si accese una sigaretta e aspirò profondamente. Chinò il capo indietro e soffiò il fumo grigiastro verso l'altro. La facilità con la quale si mescolava a quello delle ecoscorie era irritante: possibile che lei non potesse fare altrettanto? Possibile che fosse così difficile accettare di vivere in un mondo che non le era mai piaciuto? Eppure, la gente di Nuova Bologna pareva essersi abituata a tutto – anche al furto del proprio cielo.
«Emilia?».
«Sono qui».
Dino si affacciò sul terrazzo e cercò con lo sguardo la figura alta ed esile della sorella. Si avvicinò a lei e contemplò con aria perplessa la strana tonalità del cielo.
«Carino» scherzò.
«Come un calcio delle Pattuglie di Controllo in mezzo ai reni».
«Dici che rimarrà così?».
Emilia alzò appena la spalle.
«Sai» riprese con voce trillante Dino, «a volte mi domando come diavolo abbiamo fatto a ridurci così. Come in quel vecchio romanzo di quel tizio... hai presente? Quello con il Grande Fratello».
«È Orwell, razza di ignorante».
«Quello» continuò lui. «Mi pare quasi di esserci dentro».
«No».
Dino inarcò interrogativo un sopracciglio.
«No?».
«No» ribatté Emilia con forza. «Noi sappiamo come gira il mondo. E sappiamo di non poterlo più aggiustare. Il che rende tutto più macabro, non credi?».
Il ragazzino distolse lo sguardo dalla sorella e iniziò a tamburellare sulla superficie liscia del naturamianto.
«E dire che sarebbe bastato così poco. Se fossi nato prima, sarei morto per evitare di arrivare a questo. Possibile che nessuno nasca mai nel momento giusto?».
Emilia fece uno sbuffo sarcastico.
«Chiediti perché nessuno agisca nel momento giusto, piuttosto».
«Non lo so» rispose Dino. «Tu lo sai?».
«No» ribatté freddamente Emilia. «Ma mi piacerebbe poterlo chiedere alla gente di qualche secolo fa. Quelli che hanno vissuto l'arrivo del Duemila, magari. Fra tutti, sono proprio loro che avevano più possibilità di cambiare le sorti del mondo. Invece, si sono rivelati i migliore a stare zitti».
«Sei troppo dura, Emilia».
«No, Dino. È colpa di chi ci ha preceduti se oggi non possiamo più tornare indietro. Io vorrei tanto che il mondo cambiasse. Vorrei tanto che non esistessero più quelle maledette centrali econucleari. Mi si stringono le viscere a pensare che dipendiamo totalmente dalla loro distribuzione di ossigeno. Secoli fa, bastava la vegetazione».
«So cos'era. Ne ho dovuto studiare un intero capitolo per la verifica di storia».
«In troppi permisero a pochi di distruggere il mondo. Ed ora, noi che vogliamo una vita migliore, non abbiamo più armi per combattere. Non ci hanno lasciato nemmeno quelle. Che diavolo ci rimane, Dino? Dimmi, cosa rimane?».
Dino sorrise tristemente.
«Il cielo?».
Emilia spense con vigore il mozzicone e fece una smorfia stizzita.
«Un cielo rosso. Buon Dio, sembra quasi che stia sanguinando. Ecco, cosa ci rimane. Un cielo che sanguina sopra a milioni di utopie calpestate mille, mille e mille volte ancora. Viviamo in un mondo già morto. E ciò che più mi opprime è sapere di non potere fare niente. Non più, ormai».
Era quasi arrivata alla porta a vetri, quando sentì la voce di Dino.
«E pensare che dicevano “rosso di sera, bel tempo si spera”».
Emilia gli rivolse un'ultima occhiata eloquente.
«Dicevano sempre più cose e ne facevano sempre meno. Se si fossero staccati dai loro salotti confortevoli, se fossero usciti dalle loro case e avessero aperto gli occhi, oggi non avremmo bisogno di qualcuno che ci dia l'aria. Non ci sarebbe un Governo che impianta microchip ai neonati per controllare i loro movimenti da adulti. Non ci sarebbero le Pattuglie di Controllo che sparano a chi non rispetta il coprifuoco. La gente potrebbe ancora scegliere da sé cosa fare della propria vita, senza dover rendere conto a chi ha più denaro e potere. Potremmo ancora vivere, se solo si fossero alzati in piedi e avessero detto “così non va”. Ma non l'hanno fatto. Nessuno ha fatto qualcosa che tutti avrebbero potuto fare, ed ecco il risultato».
Affranta, Emilia scosse ancora il capo e rientrò in casa. Dino la scorse mentre si lasciava cadere sul divano e gettava la testa fra i cuscini, con gli occhi chiusi e il volto stanco. Da bambino, tentava di immaginare come sarebbe stato vivere in un posto diverso, ma era un'abitudine che aveva perso rapidamente. Non sarebbe riuscito a sopportare a lungo l'idea di non poter entrare nei propri sogni, così aveva deciso di smettere di sognare. Sopravviveva e basta, come tutti.
Sollevò lo sguardo e fece un sospiro rassegnato.
«Un cielo rosso sopra una città che sanguina» mormorò fra sé. «Bell'eredità storica del cazzo».
E dire che vi sarebbe bastato così poco.


   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Trick