Note per la lettura:
I
personaggi utilizzati sono ripresi sia dal manga/anime, che dal gioco. Qui
l’elenco per capire chi sono:
Kotone è la controparte femminile del
protagonista il HeartGold&SoulSilver; la ragazza con i codini, per
intenderci. Silver e Gold sono rispettivamente il rivale ed
il protagonista maschile delle edizioni sopraelencate.
Satoshi, Kasumi e Takeshi li
conosciamo tutti: Ash, Misty e Brock.
Haruka e Shu sono Vera e Drew; per Vera intendo quella dell’anime, in quanto
Sapphire per me dovrebbe stare solamente con Ruby! XD Come tutti i personaggi,
li distinguo dell’anime/manga e dal videogioco – quest’ultimi mi piacciono
molto di più (a parte Satoshi e Kasumi! *_*).
Lance lo sappiamo tutti chi è:
damadraghi e campione della Lega di Johto/Kanto (bellissimo) con i capelli
rossi, presente? Clair è l’ultima
capo palestra della Lega di Johto – quella antipatica, presente?
Green non è Gary, in quanto
secondo me ha molta più classe, così come Red
non può essere Ash. Quindi, sono semplicemente i protagonisti delle
prime versioni. Yellow è la
controparte femminile di Red in pokémon giallo, mentre Blu quella nelle
versioni rosso, blu e verde foglia.
Kouki e Hikari sono i protagonisti di pokémon diamante, rubino e perla. Lei
non è la Lucinda del cartone animato, in quanto lì non la sopporto mentre nel
gioco la adoro. Non come Kotone, ma la adoro. Il secondo personaggio meglio
riuscito, se vogliamo! *_* Jun è il
rivale. Quello biondo terribilmente rompi palle...però adorabile, lo concedo.
Matsuba è il capo palestra di pokémon
spettro nella versione HeartGold/SoulSilver, mentre Pino e Karen sono
rispettivamente il primo ed la quarta dei superquattro.
Musashi e Kojiro sono Jessie e James (♥). Erika e Lt. Surge li
conosciamo tutti come i capi palestra della prima versione di giochi pokémon.
Mi sarebbe piaciuto mettere qualche battuta in inglese per via di Surge, ma mi
sono trattenuta per esigenze di copione.
Le
lettere M, U e Y sono shonen-ai.
Uomo avvisato mezzo salvato.
Disclaimer: I
Pokémon e tutti i personaggi, idee, ect. appartengono
a Nintendo, 4Kids Entertainment, Warner Brothers, e
Satoshi Tajiri. Non ho ricavato nulla da questo
parto, anche se erano ventisei figli. Sic.
Inoltre, l’idea dell’alphabet challenge
è di Pucchyko_girl, a cui non ho potuto aderire
perché di seguito troverete Flash!Fic e non drabble, come richiesto dal
regolamento.
Credo di aver detto tutto. Buona lettura, a voi che siete arrivati
fin qui senza chiudere.
All the small things
[Raccolta dedicata a Hilly,
senza un motivo particolare.
Lettere M, U e Y a Cì. Perché?
Così. A lei ormai dedico tutto! xD]
Ancora Satoshi non aveva capito cosa Kasumi
significasse davvero per lui.
Quando
la guardava il cuore gli sussultava nel petto come se fosse malato, e vederla
fare la civetta con ogni stupido ragazzo di bell’aspetto lo mandava in bestia.
Ma non era gelosia, si trattava solamente del mero desiderio di proteggere
un’amica da quella che avrebbe potuto essere una delusione – in fondo, Kasumi
non era poi così bella!
Eppure,
qualcosa oltre all’amicizia c’era tra loro. Perché quando aveva guardato la sua
schiena scomparire oltre la discesa che l’avrebbe condotta a Cerulean, Satoshi
aveva sentito una parte di sé – chissà quale e quanto importante – andarsene
con lei.
Forse
non era amore, d’altronde erano ancora dei mocciosi; qualsiasi cosa fosse
quella, comunque, gli attanagliava il petto, stringendo lo stomaco in una morsa
dolorosa che, ne era sicuro, si sarebbe sciolta solamente quando avrebbe
rivisto il cipiglio scocciato sul volto di Kasumi, le sue mani sui fianchi e i
pantaloncini troppo corti che, in
fondo, gli erano sempre piaciuti.
Baciarla era stata l’unica cosa intelligente che
Silver avesse fatto nella sua vita.
Più
volte durante i loro primi anni da maldestri allenatori di pokémon si era
ritrovato a deriderla per quegli assurdi sentimenti che l’animavano, che
accendevano una luce nei suoi occhi e che, ripensandoci ora, gli facevano anche
un po’ arrotolare lo stomaco.
Mentre
le mani di Kotone tremanti e indecise gli cingevano il collo, Silver aveva
capito quanto fosse stato cieco ad illudersi che sempre si ritrovava a
rincorrerla solo per il desiderio di batterla. Forse solamente una volta era
stato quello il suo pensiero, ma successivamente si era ritrovato a volerla
guardare negli occhi e studiare ogni particolare del viso grazioso che quando
incontrava il suo spesso si imbronciava.
Sorrideva
spesso quando la baciava Silver, al ricordo di quei bronci che ora non vedeva
più, sostituiti da sorrisi calorosi e carichi d’affetto che Kotone rivolgeva
solamente a lui.
C’erano volte in cui Haruka e Shu litigavano come
degli ossessi, liberando i pokémon e facendoli combattere come valvola di
sfogo.
Non
erano mai andati veramente d’accordo;
gli unici momenti dolci tra loro erano quelli in cui Haruka dormiva e Shu,
silenzioso e ben attento a non farsi scoprire, la osservava per ore ed ore
senza mai stancarsi, domandandosi come una ragazza dal viso così bello potesse
trasformarsi in un’arpia appena sveglia.
Tuttavia,
capitava a volte (sempre) che finito uno scontro Haruka gli urlasse contro
mille improperi coloriti e fantasiosi, prima di gettarsi tra le sue braccia di
peso e buttarlo a terra.
I
pokémon in quei momenti se ne andavano, ormai abituati a quei siparietti tra i
loro padroni, così infantili da nascondere sempre il desiderio che li
struggeva, per poi esplodere e liberare tutto in una volta sola.
L’unico
vero problema era che quello
capitava tutti i giorni; Roselia non avrebbe potuto nascondere all’infinito i
corpi aggrovigliati dei due ragazzi agli sguardi indiscreti e curiosi dei
passanti.
Dragonite amava
le carezze di Kotone quasi quanto Lance. Si strusciava contro la sua mano
piccola e bianca, mugugnando un muto ringraziamento quando la ragazza grattava
la parte sotto il mento, punto a cui lui era particolarmente sensibile.
Lance
preferiva invece quando Kotone gli accarezzava i capelli; arrotolava intorno
alle dita magre le ciocche rosse, a volte creando nodi che poi lo facevano
imprecare tanto erano impossibili da districare. Tuttavia dimenticava sempre
quei particolari, perché le ginocchia calde di Kotone su cui poggiava la testa
e le sue dita erano una distrazione piacevole che si concedeva raramente,
quindi voleva godersela appieno.
Quando
apriva un occhio e notava lo sguardo stizzito di Dragonite ridacchiava roco,
attirando l’attenzione della ragazza su di sé. Vedeva il suo viso dentro il suo
campo visivo, finalmente, e la voglia
di sollevare il collo e rubarle un bacio era così forte da fargli persino
dimenticare che il suo pokémon avrebbe potuto stenderlo con un pugno.
«Kotone,
se Dragonite mi picchierà tu ti prenderai cura di me, vero?»
Eccezionalmente Kouki si lasciava andare. Quando Hikari
lo stringeva a sé, un abbraccio un po’ goffo ed imbarazzato, tendeva a rimanere
rigido come un palo e sentire brividi gelati scorrergli lungo la schiena.
Cosa doveva fare? Avrebbe dovuto
stare fermo o abbracciarla a sua volta?
Mille
dubbi attraversavano la sua mente quand’era un ragazzino, ed anche ora che
erano passati anni tendeva a tenere le mani ritte lungo i fianchi ed aspettare
che Hikari si staccasse, per guardarlo con un cipiglio seccato e leggermente
stizzito.
Solitamente,
la ragazza reagiva con un pizzicotto doloroso che lo faceva gemere leggermente
– era sempre stato un po’ pappamolla, lui. C’erano volte, però, che gli occhi
di Hikari si adombravano leggermente, e la luce che solitamente li irradiava
andava via via scomparendo.
«Sono
solo io a provare qualcosa per te, Kouki-kun?» chiedeva con un tono di voce non
da lei, che gli faceva stringere lo stomaco in una morsa dolorosa – i sensi di
colpa?
Era
in quei momenti che Kouki l’afferrava per le spalle e la stringeva al suo
petto, il volto affondato nei capelli di Hikari e tutte le parole che avrebbe
sempre voluto dirle pronunciate in meri sussurri.
Fraintendevano spesso il rapporto che c’era tra loro.
La gente, soprattutto le vecchie, tendevano ad etichettare Kasumi come la sua
ragazza; vuoi perché gli era sempre vicino, vuoi perché quando doveva cercare
un consiglio oppure un cenno d’assenso, lui la guardava prima di ogni altro.
Non
lo faceva perché avevano quel genere di
rapporto; semplicemente Satoshi era abituato alla presenza fissa di Kasumi
al suo fianco, pronta a criticarlo con quel tono da sapientona che a volte gli
dava davvero sui nervi – quasi sempre a dire il vero.
Sapeva
bene, però, che lei era la persona in cui più riponeva fiducia per dei consigli
e, talvolta, la presenza di Kasumi riusciva anche a tranquillizzarlo e non
farlo vergognare quando piangeva come un bambino.
Che
fraintendessero pure, lui sapeva quel’era la verità. O meglio, credeva di saperlo.
Gengar li guardava spesso passeggiare per il paese
mano nella mano; anche dalla sua posizione poteva notare il sorriso imbarazzato
di Kotone e le gote arrossate di Matsuba. Il
grande allenatore di pokémon spettro innamorato, pensò Gengar con un ghigno
di sadico divertimento, mentre Hunter e Gastly alle sue spalle improvvisavano
un matrimonio con tanto di velo e fiori.
Quando
due settimane prima Kotone era tornata a Ecruteak City il suo padrone si era
risvegliato con un balzo dal solito e noioso stato catatonico in cui versava
durante l’assenza della ragazza. Li aveva spiati attraverso il buco della
serratura che dava sulla stanza di Matsuba, e si era sentito arrossire quando
le loro labbra si erano toccate. Probabilmente, Gengar si era sentito più
imbarazzato di Kotone stessa che aveva impiegato minuti a sciogliere il nodo
della sciarpa di Matsuba, tanto che il ragazzo era scoppiato in una risata di
scherno e divertimento da stupire tutti in quella palestra.
Perché
quando c’era Kotone sembrava che tutti si dimenticassero del luogo in cui si
trovavano; non più una palestra dai toni cupi, ma un posto dove sorridere era
la prima regola.
Gengar
apprezzava Kotone anche per questo.
Hikari e Jun erano amici fin dai tempi in cui fare il
bagno insieme non era divenuto ancora imbarazzante; Hikari ricordava ancora i
pannolini di Jun e i suoi peluche nel lettino, quando si fermava da lei a
dormire la sera.
Non
aveva dimenticato quanto trovasse piacevole sentire la mano di Jun stretta
nella sua, più piccola nonostante fossero entrambi mocciosi di pochi anni.
Dormire con la testa appoggiata a quella di Jun, i capelli tanto aggrovigliati
a quelli dell’altro che si distinguevano solo per via dei colori; a volte,
quando lui aveva gli occhi ben chiusi ed il respiro era totalmente regolare,
Hikari lo baciava anche sulle guance, magari sussurrandogli un “ti voglio bene”
sincero e imbarazzato.
Cos’era
cambiato da quei giorni? Cosa li aveva portati ad essere rivali?
Hikari
si poneva questa domanda ogni notte, sola nel suo letto freddo, quando il viso
di Jun le appariva di fronte come un’immagine sfuocata dal tempo e il desiderio
di averlo al suo fianco la uccideva.
Inizialmente c’erano state solamente visite di
cortesia; poi, però, quel colosso di
Lt. Surge aveva iniziato a presentarsi più frequentemente a Celadon City, la
scusa vecchia e banale di trovarsi lì per delle commissioni o perché Raichou
desiderava vedere Gloom.
Erika
non era una stupida, non lo era mai stata. Sapeva bene che gli uomini
apprezzavano la sua grazia, ma mai si sarebbe aspettata di vedere il tenente
Surge in quello stato.
«Ancora
qui, Surge?» domandò per l’ennesima volta quel giorno di metà marzo, mentre
l’uomo stava accarezzando il roditore elettrico in piedi di fronte a lui. Si
era alzato di scatto quando l’aveva intravista arrivare, imbarazzato e
balbettante come sempre.
Erika
trattenne un sorriso, prendendo posto al suo fianco. Appoggiò il mento sulle
mani riposte a coppa, osservando il biondo con estrema pazienza.
«Surge,
non credi sia arrivato il momento di tornare l’uomo che sei, sollevarmi tra le
braccia e magari portarmi in camera?»
Non
era mai stata un tipo paziente, Erika. E poi vedere Surge in preda al panico
era uno spettacolo favoloso.
Jun cacciò un urlo quando si ritrovò faccia a faccia
con Hikari, all’uscita di casa sua.
«Quello
è...un pokémon?!» domandò come se non potesse crederci, osservando la palla di
pelo arancione che stringeva le gambe della ragazza sorridente.
Aveva
gli occhi luminosi ed a Jun sembrò addirittura più carina del solito.
«Sì,
l’ho appena ricevuto dal professore. Credo ne voglia dare uno anche a te, mi ha
mandato a chiamarti!» spiegò accarezzando il cucciolo di Chimchar, mentre Jun
apriva il volto in un sorriso di totale esaltazione.
«Vuoi
dire che avrò un pokémon tutto mio?!» strillò eccitato, iniziando a danzare
intorno ad Hikari. Questa sospirò scocciata, roteando poi gli occhi.
«Sì
Jun, e come noi anche Kouki ne avrà uno. Sono stata da lui proprio adesso!»
Jun
si bloccò sul posto, osservando l’amica di infanzia. Tutti e tre avrebbero
avuto un pokémon e avrebbero viaggiato per la regione di Sinnoh. Questo voleva
dire semplicemente una cosa...
«Quindi
saremo rivali?»
Hikari
annuì a disagio, giocando con una ciocca di capelli.
«Già...ma
tra noi non cambierà nulla, vero?»
Non
ebbe nessuna risposta, perché il biondo era corso via senza starla a sentire.
Non cambierà nulla, vero Jun?
Nelle
sue orecchie l’eco sordo di una sola parola: illusa.
Kasumi quasi
pianse quando li rivide. Quanti anni erano passati, due? Sembrava fosse
trascorsa una vita dall’ultima volta in cui aveva afferrato l’orecchio di
Takeshi per allontanarlo da una delle mille e mille ragazze che passavano sul
suo cammino.
Sembravano
essere passate ere prima che Pikachu le saltasse ancora tra le braccia, urlando
al suo padrone di sbrigarsi, che c’era
Kasumi lì! – Quella stessa Kasumi che Satoshi sognava la notte, tanto ne
sentiva la mancanza.
«Brutto
cretino» disse non appena Satoshi fu di fronte a lei, uno sguardo che si
tramutò da felice a piccato quando sentì l’insulto che lei gli rivolse.
«Che
diavolo vuoi, racchia?!»
«Sbaglio
o avevi detto che ci saremmo rivisti presto?!»
e lo colpì alla nuca, forte come sempre; e per un attimo Satoshi non sentì
nemmeno il dolore, il pensiero di averla di nuovo accanto che occupava mente e
corpo.
Lance sorrise di sbieco osservando lo sguardo
imbronciato di Kotone, accanto a lui con le braccia incrociate al petto. Era
ferma in quella posizione sin da quando Clair aveva fatto il suo ingresso nella
Sala, addobbata per l’occasione – in fondo, non veniva eletto un nuovo Campione
dai tempi di Red.
«Questa
è la mia festa e tu hai invitato Clair?» domandò in quel momento, sollevando gli
occhi azzurri ed incrociandoli con quelli di un blu intenso del damadraghi. Un
sorriso si distese sul volto di Lance, che si premurò di accarezzare con
particolare devozione il fianco destro di Kotone; sorriso che si ampliò quando
la sentì rabbrividire.
«Odo
una nota di gelosia nella tua voce» sussurrò contro la sua guancia arrossata,
la saliva che sembrava essere scomparsa nella bocca di Kotone.
Acqua,
aveva assoluto bisogno di acqua – eppure, anche la bocca di Lance sulla sua le
andava bene.
Molte volte Silver aveva etichettato Gold come uno
stupido sentimentale ancora attaccato alla sottana della mamma; forse troppe,
ma il ragazzo aveva incassato ogni battuta con un sorriso amichevole e la mano
tesa.
Voleva
essere lasciato in pace durante i suoi anni di allenamento, non torturato da
uno stupido ragazzino viziato con un assurdo taglio di capelli – e qui Gold gli
aveva amichevolmente detto che non desiderava insulti da un pomodoro maturo.
«Terribilmente
fastidioso, ecco cosa sei» gli disse anni dopo, la spalla di Gold che toccava
la sua e gli mandava brividi lungo tutto il corpo. Perché doveva sentire quelle
emozioni proprio con lui? E dire che Kotone era così carina.
«E
tu noioso. Quante volte mi hai detto questa cosa?» chiedeva Gold con luce
maliziosa negli occhi, afferrando poi il mento di Silver per potergli rubare un
bacio.
Nessuno avrebbe mai potuto scambiarli per fidanzati.
Shu a volte cercava di afferrarle almeno la mano, quando giravano insieme, ma
il massimo che riusciva ad acchiappare era l’aria ed una velata imprecazione di
Haruka: lei odiava qualsiasi tipo di smanceria – che poi la notte fosse sempre
nel suo letto era un’altra storia, sosteneva la ragazza.
Peccavano
sul punto romantico. E dire che non avevano problemi a dichiarare quanto l’uno
provasse per l’altra e viceversa; talvolta anche quando la passione non
albergava nei loro corpi, ma in momenti di gioia come la vittoria di una gara o
la conquista di un nuovo pokémon.
Shu
però non si lamentava mai. Amava Haruka così com’era, testarda ed indisponente
come poche, ma con un sorriso che gli faceva tremare il cuore tutte le volte
che lo osservava.
Osò mettere piede nella sua camera quel giorno di
metà primavera, quando Hikari era sicura che Kouki non si trovasse nei paraggi
e così il padre di Jun.
Il
biondo l’osservò con particolare interesse vedendola bloccata sullo stipite
della porta, le mani che si torturavano tra loro in segno di evidente disagio.
Sorrise divertito, mettendosi a sedere sul letto.
«Cosa
ci fai qui, Hikari?» domandò dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio – dov’erano finiti i giochi infantili? –
che Jun aveva già iniziato a trovare insopportabile. Forse, era proprio per
quel motivo che negli ultimi tempi non si erano visti poi molto.
Non prenderti in giro, Jun. Lui sapeva benissimo quale fosse
il vero motivo di quell’evidente scostamento avvenuto con Hikari, lo sapeva e
ne aveva paura; soprattutto in quel momento, vedendola con la sua gonnellina
rosa e le gote arrossate, sulla porta della sua stanza.
«Sono
venuta...a trovarti, suppongo. Mi ignori, Jun?»
Hikari
vide con particolare soddisfazione il timore negli occhi del suo vecchio amico
di infanzia, ma un senso di vuoto nello stomaco accompagnò quella sensazione di
vittoria. Allora la evitava davvero.
«Perché?»
domandò ancora, avanzando d’un passo. Jun quasi cedette all’impulso di
stringerla tra le braccia, e forse fu proprio quel pensiero che gli fece
sollevare una mano per bloccare l’avanzamento di Hikari.
«Non
capiresti» disse senza particolare rimorso nella voce. Ascoltò l’eco sordo dei
passi pesanti della ragazza correre via, dandosi dello stupido. Gli sarebbe bastato semplicemente provare.
Pokémon, soldi e potere. Essenzialmente, questi erano
stati i desideri di Kojiro quando si era arruolato nel Team Rocket, scappando a
gambe levate dalla sua facoltosa famiglia.
Aveva
sempre creduto fermamente nella potenza del Team Rocket, vedendo vacillare però
sempre più volte quella convinzione ed arrivando sino a distruggerla completamente
quando Musashi gli comparve di fronte, bella come non mai nel costoso abito da
sposa.
Da
quel momento, i suoi desideri giravano intorno alla donna; cosa poteva fare per
renderla felice? Musashi gli avrebbe mai dato un bacio del buongiorno, il
mattino? I loro bambini a chi sarebbero assomigliati?
Kojiro
a volte sperava che assomigliassero a Musashi. Sosteneva che in questo modo
sarebbero stati sicuramente bellissimi, e tutti li avrebbero invidiati.
«Ricordi
quando cercavamo di rubare il Pikachu del moccioso?» domandava a volte Musashi,
al che Kojiro sorrideva e le stringeva la vita.
«E
tu ricordi quanto già mi amavi?»
Quando lo vide per la prima volta, Red aveva uno
sguardo spento. Aveva afferrato la sua pokéball senza particolare emozioni sul
suo viso affascinante, ma non per questo Kotone aveva provato meno batticuore.
Mentre
combattevano Red non aveva mai distolto i suoi occhi da quelli azzurri di
Kotone. Lentamente, il suo interesse per quella ragazzina che l’aveva raggiunto
con non poca fatica, aumentò. Aumentò, fino a farlo appassionare come non mai
dopo tanto, troppo tempo.
«Bella
battaglia» le disse accarezzando le orecchie a punta del suo Pikachu, mentre
Kotone dall’altro lato del campo festeggiava abbracciata a Lugia e Typhlosion.
Vide
le sue gote da pallide a causa della neve passare ad un tenue rosso carminio,
che si espanse per tutto il viso grazioso.
«Che
ne dici di scendere insieme dal prof. Oak e Green?» domandò poi avvicinandosi
alla ragazza, sostituendo il proprio capello a quello buffo e bianco che Kotone
aveva sempre portato dall’inizio del suo viaggio. «Penso che vorranno
festeggiare la nuova campionessa di pokémon»
Restando al fianco di Kasumi e Satoshi, Takeshi aveva
imparato in fretta a conoscerli.
Quando
Kasumi si arrabbiava se la prendeva sempre con Satoshi, cercava di picchiarlo e
fargli ricadere la colpa di ogni cosa. E allora anche lui si arrabbiava, ed
iniziavano ad urlare come due pazzi fino ad arrivare alle mani.
Solo
dopo qualche tempo Takeshi aveva capito perché facevano così. Un po’ per il tratto
di infantilismo che li caratterizzava, un po’ perché volevano sentirsi vicini.
Vicini davvero, però.
Aveva
capito tutto questo quando Kasumi non si era unita ai loro viaggi successivi;
quando Satoshi parlava di lei tanto da farne venire la nausea e cercava anche
un solo un minimo pretesto per prendere il pokégear e
chiamarla.
Silver aveva sempre vissuto nell’ombra; non conosceva
emozioni quali la gioia o la tristezza, per lui il mondo era piatto e tedioso,
un globo in cui si era ritrovato a vivere solamente per puro caso.
Da
quando Kotone l’aveva afferrato per la mano, quel giorno di metà primavera,
però, la luce solare aveva iniziato ad abbagliarlo – ma non in modo fastidioso.
Si
era lasciato trascinare da Kotone e dal suo sorriso, che ogni tre passi si
voltava indietro per accertarsi che lui la stesse seguendo. Se non fosse stato
così, Silver era sicuro che lei sarebbe andata a riprenderlo e l’avrebbe
obbligato ad accompagnarla chissà dove.
Kotone,
con la sua forza trainante, era stata la causa (il merito) per cui aveva
iniziato a provare noia per certe cose ed apprezzarne altre. Molte altre. Così
tante che ora Silver potrebbe averne addirittura perso il conto, ma tra tutte,
ricordava perfettamente la sensazione di calore che avvolgeva il suo corpo
quando Kotone si sollevava sulle punte e lo baciava, imbarazzata e divertita.
Silver,
che aveva sempre vissuto nell’ombra, poteva dire di preferire il sole mille
volte – soprattutto quando Kotone era al suo fianco.
Tutto era cominciato a causa di una stupidissima
festa. Jun non ci voleva manco andare, aveva saputo da Kouki che Hikari vi
avrebbe preso sicuramente parte; non che non lo pensasse, lei adorava le feste.
La
guardava da lontano, all’ombra di una bancarella che vendeva zucchero filato e
palloncini, costantemente piena di marmocchi urlanti e genitori sclerotici.
Sotto un certo punto di vista, Jun si stava anche divertendo. Un po’ per via di
Kouki e i suoi imbarazzati apprezzamenti su una qualche ragazzina in yukata, un
po’ per via di Hikari stessa, che lo cercava assiduamente, mangiandosi le
unghie delle mani e torturandosi i capelli.
Decise
di avvicinarsi a lei solamente dopo un paio d’ore, un sorriso di scherno sulle
labbra ed il cuore che batteva a mille: ora
o mai più, si ripeteva ad ogni passo.
Quando
le fu davanti aprì la bocca per parlare, ma le braccia di Hikari già gli si
erano strette intorno al corpo e le parole gli erano volate via, come il vento.
«Ti
amo, nonostante tutto»
E
Jun contraccambiò quell’abbraccio, affondando il volto nei capelli corvini di
Hikari e sentendo un peso scivolare via.
«Anche
io...nonostante tutto»
«Ultimamente ti vedo più allegro» disse
Green parecchi giorni dopo il suo incontro con Kotone, facendolo bloccare con
il bocconcino per Pikachu a mezz’aria. Red sollevò un sopracciglio perplesso,
amalgamando per bene le parole dell’amico nella propria testa.
«Può
darsi» liquidò la faccenda con un’alzata di spalle, accontentando il suo
Pikachu che aveva appena messo il broncio. Sollevò poi gli occhi su Green,
trovandolo con le braccia conserte ed uno sguardo scettico. «Forse» disse infine con uno sbuffo,
vedendo aprirsi sul volto del castano un sorriso di vittoria.
«Lo
dicevo io! Sei terribilmente loquace nell’ultimo periodo. Non è che ti sei
preso una cotta per quella ragazzina?» indagò malizioso, mettendosi a quattro
zampe e portando il viso verso quello di Red, sul quale si stagliava un sorriso
di divertimento.
«Se
lo fossi saresti geloso?»
Red
si chinò verso di lui, compiaciuto dal rossore che si era espanso sulle gote di
quello spaccone di Green.
Vietato entrare, ecco cosa diceva il cartello che
Kotone, Gold e Silver avevano bellamente ignorato – non che potessero fare
altro visto il numero di consistenti reclute del Team Rocket che avevano alle
calcagna.
Silver
era stremato, tant’è che aveva lasciato da parte l’orgoglio per permettere a
Gold di prenderlo in spalle. Kotone, dal canto suo, se ne stava accucciata a
terra in cerca di un qualsiasi spiraglio per riuscire a fuggire. Alle sue
spalle, Typhlosion era l’unico pokémon che era rimasto loro.
Lo
fissò per un secondo, prima che la paura per la prima volta le invadesse le
viscere.
Quanto vorrei che Lance fosse qui, pensò con un briciolo di colpevolezza. Era sicura
che in quel momento il giovane damadraghi si trovasse con Clair; in fondo
avevano dimostrato fin da subito di avere un rapporto alquanto intimo, quei
due.
Si
morse le labbra per non scoppiare a piangere, aprendo uno spiraglio di porta
per poter meglio osservare la situazione. Via
libera.
Facendo
segno di seguirla, i tre alle sue spalle uscirono con lei da quello stretto
magazzino, fino a trovarsi sul corridoio; di fronte a loro, due imponenti
figure coperte da mantelli che Kotone avrebbe riconosciuto ovunque.
«Eccovi»
disse Lance abbassandosi il cappuccio, guardando Kotone negli occhi. Per un
attimo la felicità di vederla vacillò, non appena una lacrima solcò la guancia
pallida della ragazza.
Al
suo fianco, Clair avanzò d’un passo poggiando una mano sulla spalla del
giovane.
«Ma
guarda. Siamo giunti appena in tempo! Poveri pulcini smarriti» chiocciò con
divertimento brillante negli occhi, mentre sia Kotone che Gold stringevano i
pugni.
«Le
Kimono-girls ci hanno avvisato e...» ma Lance non
finì quella frase, perché i tre ragazzi (Kotone) lo sorpassarono di corsa, alla
ricerca dell’uscita. Perché la vita di Silver era appesa ad un filo – e perché
stando lì le si sarebbe infranto il cuore.
Wo ai ni, I
love you, Ich Liebe Dich, Je t’aime. Avrebbe potuto
dirglielo persino in italiano, ma quell’idiota di Satoshi non avrebbe mai
capito cosa lei provasse per lui. Era un idiota patentato, di quelli che
purtroppo non si guariscono.
«Kasumi,
qualcosa non va?» le domandò d’un tratto, sventolandole una mano di fronte al
viso con il suo solito sorriso di scherno; cavolo, quanto avrebbe voluto
prenderlo a pugni!
Si
limitò invece a dire di no con il capo, i capelli lasciati sciolti ed ancora
vagamente umidi di pioggia che lanciarono qualche gocciolina in faccia al
ragazzo.
«Sento
solo un po’ freddo, tutto qui» spiegò con estrema pazienza, chiedendosi perché
avesse seguito Satoshi nella sua folle idea di esplorare la zona Safari, quel
giorno.
Sospirò
pesantemente, prima di sussultare. Sollevò il viso ed incontrò quello di
Satoshi, così terribilmente vicino da farla ansimare per l’ansia e l’emozione.
«Stando
vicino a me ti scalderai» le disse con un sorriso fanciullesco, che faceva
capire quanto fossero innocenti le intenzioni del ragazzo.
Kasumi
si chiese, mentre scivolava più vicino a lui, se ci sarebbe stato bisogno di un
romanzo rosa o – perché no? – di un porno per fargli capire cosa avrebbe realmente dovuto fare in
quell’occasione. Ma perché si era innamorata di quel cretino?
Xatu era un pokémon psico
fantastico. O almeno, questo era quello che sosteneva Karen ogni qual volta il
pokémon si ritrovava a confondere gli altri membri dei superquattro quando
voleva appartarsi proprio con uno di loro, in santa pace, magari in memoria dei
vecchi tempi.
Afferrava
Pino per la maglia, trascinandolo contro il muro e baciandolo con una violenza
tale da far capire al giovane quanto
quel contatto le fosse veramente mancato.
In
quei momenti adocchiava il suo pokémon prediletto, che schiacciava a sua volta
l’occhio e assicurava privacy per almeno un’ora.
Che
bella la vita quando si potevano possedere pokémon così adorabilmente
affidabili!
Yellow li guardò da lontano, un sorriso melanconico
sul viso grazioso.
Vicini
ed uniti come non mai, Green e Red camminavano l’uno di fianco all’altro
sfiorandosi le mani ad ogni passo, la consapevolezza di essere osservati che
impediva loro di arrossire.
Li
aveva sempre guardati di sottecchi, cercando di captare un qualsiasi sentimento
uscire dai loro corpi, a partire dall’attrazione fino ad arrivare all’amore.
Perché? Perché aveva capito subito quanta emozione nascesse negli occhi di
Green, ogni qualvolta Red era nei paraggi. Perché erano belli, insieme. L’uno
completava l’altro con facilità estrema, così semplicemente che lei stessa e
Blu si ritrovavano sempre a sorridere come due cretine.
Forse
quel pomeriggio li avrebbe anche visti baciarsi, o forse no. Perché con loro
tutto era possibile, anche che Red partisse per anni e che Green lo aspettasse,
arrovellandosi il cervello su cosa stesse facendo, con chi fosse e perché. Li
amava insieme anche per questo.
«Zitta» fu l’unica cosa che Lance le
disse prima di afferrarle la mano e portarla via con sé, lontana da Gold, da
Silver, da Clair. Per un attimo aveva
avuto un vago istinto di ribellarsi, fargli capire che non poteva comportarsi
così tutte le volte e spezzarle il cuore, per poi tentare di ricostruirlo con
quei suoi scatti che negli ultimi tempi erano divenuti insostenibili.
Però
nonostante pensasse tutto questo, Kotone non aveva mai la forza di rifiutarlo e
si lasciava baciare come avrebbe fatto qualsiasi altra bambola al posto suo,
caduta sotto quel fascino misterioso ed abbagliante che aleggiava intorno a
Lance.
Mentre
le mani del ragazzo armeggiavano con la bretella della sua salopette, lo sentì
fremere.
«Ce
l’hai con me?» sussurrò ad un passo dalle labbra morbide della giovane,
guardandola negli occhi umidi e sentendo mille schegge perforargli il petto.
L’aveva fatta soffrire, ancora.
«Io
ti amo, Lance» spiegò con voce rotta, le mani appoggiate contro il petto di lui
e gli occhi che bruciavano terribilmente. «Ma non ce la posso fare. Tu...e
Clair siete perfetti l’uno per l’altra, io tra di voi non centro nulla»
E
mentre diceva quelle parole, Lance la strinse. Forte, troppo forte. Così forte
da farle male.
«Cazzate,
sono tutte cazzate» sibilò, le mani che correvano lungo il suo corpo e l’amara
consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto Kotone
tra le braccia. Niente più carezze su un prato, non avrebbero più fatto
l’amore, né avrebbe potuto godere di quei sorrisi speciali solo per lui.
Lo
capì dal mondo in cui Kotone lo baciò che quella sarebbe stata l’ultima volta.
N/a
Ora
mi vorrete uccidere, se siete
arrivati fino a qui. Sono contenta che ci siano ben due schermi a dividerci,
sì.
Non
ho nulla da aggiungere, se non che mi dispiace non aver messo coppie come
Green/Kotone, Denzi/Hikari o Gold/Kotone. Mi rifarò,
anche perché negli ultimi tempi Pokémon è la mia fissazione. Ahimè, vi siete
cacciati in un brutto guaio.
Dire
che le recensioni sono gradite è banale, ma visto che è stato un parto...:)
Cà.