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Autore: Mimi18    28/04/2010    11 recensioni
Ispirata alla alphabet challenge di pucchyko_girl.
Raccolta di pairing vari, relativi ai videgiochi e all'anime/manga che anni fa - e ancora oggi - ci ha fatto più sognare.
Hope you like it! ;)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ho notato che ci sono davvero pochissime FF su Sasuke Uchiha e Ino Yamanaka

Note per la lettura:

I personaggi utilizzati sono ripresi sia dal manga/anime, che dal gioco. Qui l’elenco per capire chi sono:

Kotone è la controparte femminile del protagonista il HeartGold&SoulSilver; la ragazza con i codini, per intenderci. Silver e Gold sono rispettivamente il rivale ed il protagonista maschile delle edizioni sopraelencate.

Satoshi, Kasumi e Takeshi li conosciamo tutti: Ash, Misty e Brock.

Haruka e Shu sono Vera e Drew; per Vera intendo quella dell’anime, in quanto Sapphire per me dovrebbe stare solamente con Ruby! XD Come tutti i personaggi, li distinguo dell’anime/manga e dal videogioco – quest’ultimi mi piacciono molto di più (a parte Satoshi e Kasumi! *_*).

Lance lo sappiamo tutti chi è: damadraghi e campione della Lega di Johto/Kanto (bellissimo) con i capelli rossi, presente? Clair è l’ultima capo palestra della Lega di Johto – quella antipatica, presente?

Green non è Gary, in quanto secondo me ha molta più classe, così come Red non può essere Ash. Quindi, sono semplicemente i protagonisti delle prime versioni. Yellow è la controparte femminile di Red in pokémon giallo, mentre Blu quella nelle versioni rosso, blu e verde foglia.

Kouki e Hikari sono i protagonisti di pokémon diamante, rubino e perla. Lei non è la Lucinda del cartone animato, in quanto lì non la sopporto mentre nel gioco la adoro. Non come Kotone, ma la adoro. Il secondo personaggio meglio riuscito, se vogliamo! *_* Jun è il rivale. Quello biondo terribilmente rompi palle...però adorabile, lo concedo.

Matsuba è il capo palestra di pokémon spettro nella versione HeartGold/SoulSilver, mentre Pino e Karen sono rispettivamente il primo ed la quarta dei superquattro.

Musashi e Kojiro sono Jessie e James (). Erika e Lt. Surge li conosciamo tutti come i capi palestra della prima versione di giochi pokémon. Mi sarebbe piaciuto mettere qualche battuta in inglese per via di Surge, ma mi sono trattenuta per esigenze di copione.

Le lettere M, U e Y sono shonen-ai. Uomo avvisato mezzo salvato.

Disclaimer: I Pokémon e tutti i personaggi, idee, ect. appartengono a Nintendo, 4Kids Entertainment, Warner Brothers, e Satoshi Tajiri. Non ho ricavato nulla da questo parto, anche se erano ventisei figli. Sic.

Inoltre, l’idea dell’alphabet challenge è di Pucchyko_girl, a cui non ho potuto aderire perché di seguito troverete Flash!Fic e non drabble, come richiesto dal regolamento.

Credo di aver detto tutto. Buona lettura, a voi che siete arrivati fin qui senza chiudere.

 

 

 

All the small things

[Raccolta dedicata a Hilly,

senza un motivo particolare.

Lettere M, U e Y a . Perché?

Così. A lei ormai dedico tutto! xD]

 

 

 

Ancora Satoshi non aveva capito cosa Kasumi significasse davvero per lui.

Quando la guardava il cuore gli sussultava nel petto come se fosse malato, e vederla fare la civetta con ogni stupido ragazzo di bell’aspetto lo mandava in bestia. Ma non era gelosia, si trattava solamente del mero desiderio di proteggere un’amica da quella che avrebbe potuto essere una delusione – in fondo, Kasumi non era poi così bella!

Eppure, qualcosa oltre all’amicizia c’era tra loro. Perché quando aveva guardato la sua schiena scomparire oltre la discesa che l’avrebbe condotta a Cerulean, Satoshi aveva sentito una parte di sé – chissà quale e quanto importante – andarsene con lei.

Forse non era amore, d’altronde erano ancora dei mocciosi; qualsiasi cosa fosse quella, comunque, gli attanagliava il petto, stringendo lo stomaco in una morsa dolorosa che, ne era sicuro, si sarebbe sciolta solamente quando avrebbe rivisto il cipiglio scocciato sul volto di Kasumi, le sue mani sui fianchi e i pantaloncini troppo corti che, in fondo, gli erano sempre piaciuti.

 

 

Baciarla era stata l’unica cosa intelligente che Silver avesse fatto nella sua vita.

Più volte durante i loro primi anni da maldestri allenatori di pokémon si era ritrovato a deriderla per quegli assurdi sentimenti che l’animavano, che accendevano una luce nei suoi occhi e che, ripensandoci ora, gli facevano anche un po’ arrotolare lo stomaco.

Mentre le mani di Kotone tremanti e indecise gli cingevano il collo, Silver aveva capito quanto fosse stato cieco ad illudersi che sempre si ritrovava a rincorrerla solo per il desiderio di batterla. Forse solamente una volta era stato quello il suo pensiero, ma successivamente si era ritrovato a volerla guardare negli occhi e studiare ogni particolare del viso grazioso che quando incontrava il suo spesso si imbronciava.

Sorrideva spesso quando la baciava Silver, al ricordo di quei bronci che ora non vedeva più, sostituiti da sorrisi calorosi e carichi d’affetto che Kotone rivolgeva solamente a lui.

 

 

C’erano volte in cui Haruka e Shu litigavano come degli ossessi, liberando i pokémon e facendoli combattere come valvola di sfogo.

Non erano mai andati veramente d’accordo; gli unici momenti dolci tra loro erano quelli in cui Haruka dormiva e Shu, silenzioso e ben attento a non farsi scoprire, la osservava per ore ed ore senza mai stancarsi, domandandosi come una ragazza dal viso così bello potesse trasformarsi in un’arpia appena sveglia.

Tuttavia, capitava a volte (sempre) che finito uno scontro Haruka gli urlasse contro mille improperi coloriti e fantasiosi, prima di gettarsi tra le sue braccia di peso e buttarlo a terra.

I pokémon in quei momenti se ne andavano, ormai abituati a quei siparietti tra i loro padroni, così infantili da nascondere sempre il desiderio che li struggeva, per poi esplodere e liberare tutto in una volta sola.

L’unico vero problema era che quello capitava tutti i giorni; Roselia non avrebbe potuto nascondere all’infinito i corpi aggrovigliati dei due ragazzi agli sguardi indiscreti e curiosi dei passanti.

 

 

Dragonite amava le carezze di Kotone quasi quanto Lance. Si strusciava contro la sua mano piccola e bianca, mugugnando un muto ringraziamento quando la ragazza grattava la parte sotto il mento, punto a cui lui era particolarmente sensibile.

Lance preferiva invece quando Kotone gli accarezzava i capelli; arrotolava intorno alle dita magre le ciocche rosse, a volte creando nodi che poi lo facevano imprecare tanto erano impossibili da districare. Tuttavia dimenticava sempre quei particolari, perché le ginocchia calde di Kotone su cui poggiava la testa e le sue dita erano una distrazione piacevole che si concedeva raramente, quindi voleva godersela appieno.

Quando apriva un occhio e notava lo sguardo stizzito di Dragonite ridacchiava roco, attirando l’attenzione della ragazza su di sé. Vedeva il suo viso dentro il suo campo visivo, finalmente, e la voglia di sollevare il collo e rubarle un bacio era così forte da fargli persino dimenticare che il suo pokémon avrebbe potuto stenderlo con un pugno.

«Kotone, se Dragonite mi picchierà tu ti prenderai cura di me, vero?»

 

 

Eccezionalmente Kouki si lasciava andare. Quando Hikari lo stringeva a sé, un abbraccio un po’ goffo ed imbarazzato, tendeva a rimanere rigido come un palo e sentire brividi gelati scorrergli lungo la schiena.

Cosa doveva fare? Avrebbe dovuto stare fermo o abbracciarla a sua volta?

Mille dubbi attraversavano la sua mente quand’era un ragazzino, ed anche ora che erano passati anni tendeva a tenere le mani ritte lungo i fianchi ed aspettare che Hikari si staccasse, per guardarlo con un cipiglio seccato e leggermente stizzito.

Solitamente, la ragazza reagiva con un pizzicotto doloroso che lo faceva gemere leggermente – era sempre stato un po’ pappamolla, lui. C’erano volte, però, che gli occhi di Hikari si adombravano leggermente, e la luce che solitamente li irradiava andava via via scomparendo.

«Sono solo io a provare qualcosa per te, Kouki-kun?» chiedeva con un tono di voce non da lei, che gli faceva stringere lo stomaco in una morsa dolorosa – i sensi di colpa?

Era in quei momenti che Kouki l’afferrava per le spalle e la stringeva al suo petto, il volto affondato nei capelli di Hikari e tutte le parole che avrebbe sempre voluto dirle pronunciate in meri sussurri.

 

 

Fraintendevano spesso il rapporto che c’era tra loro. La gente, soprattutto le vecchie, tendevano ad etichettare Kasumi come la sua ragazza; vuoi perché gli era sempre vicino, vuoi perché quando doveva cercare un consiglio oppure un cenno d’assenso, lui la guardava prima di ogni altro.

Non lo faceva perché avevano quel genere di rapporto; semplicemente Satoshi era abituato alla presenza fissa di Kasumi al suo fianco, pronta a criticarlo con quel tono da sapientona che a volte gli dava davvero sui nervi – quasi sempre a dire il vero.

Sapeva bene, però, che lei era la persona in cui più riponeva fiducia per dei consigli e, talvolta, la presenza di Kasumi riusciva anche a tranquillizzarlo e non farlo vergognare quando piangeva come un bambino.

Che fraintendessero pure, lui sapeva quel’era la verità. O meglio, credeva di saperlo.

 

 

Gengar li guardava spesso passeggiare per il paese mano nella mano; anche dalla sua posizione poteva notare il sorriso imbarazzato di Kotone e le gote arrossate di Matsuba. Il grande allenatore di pokémon spettro innamorato, pensò Gengar con un ghigno di sadico divertimento, mentre Hunter e Gastly alle sue spalle improvvisavano un matrimonio con tanto di velo e fiori.

Quando due settimane prima Kotone era tornata a Ecruteak City il suo padrone si era risvegliato con un balzo dal solito e noioso stato catatonico in cui versava durante l’assenza della ragazza. Li aveva spiati attraverso il buco della serratura che dava sulla stanza di Matsuba, e si era sentito arrossire quando le loro labbra si erano toccate. Probabilmente, Gengar si era sentito più imbarazzato di Kotone stessa che aveva impiegato minuti a sciogliere il nodo della sciarpa di Matsuba, tanto che il ragazzo era scoppiato in una risata di scherno e divertimento da stupire tutti in quella palestra.

Perché quando c’era Kotone sembrava che tutti si dimenticassero del luogo in cui si trovavano; non più una palestra dai toni cupi, ma un posto dove sorridere era la prima regola.

Gengar apprezzava Kotone anche per questo.

 

 

Hikari e Jun erano amici fin dai tempi in cui fare il bagno insieme non era divenuto ancora imbarazzante; Hikari ricordava ancora i pannolini di Jun e i suoi peluche nel lettino, quando si fermava da lei a dormire la sera.

Non aveva dimenticato quanto trovasse piacevole sentire la mano di Jun stretta nella sua, più piccola nonostante fossero entrambi mocciosi di pochi anni. Dormire con la testa appoggiata a quella di Jun, i capelli tanto aggrovigliati a quelli dell’altro che si distinguevano solo per via dei colori; a volte, quando lui aveva gli occhi ben chiusi ed il respiro era totalmente regolare, Hikari lo baciava anche sulle guance, magari sussurrandogli un “ti voglio bene” sincero e imbarazzato.

Cos’era cambiato da quei giorni? Cosa li aveva portati ad essere rivali?

Hikari si poneva questa domanda ogni notte, sola nel suo letto freddo, quando il viso di Jun le appariva di fronte come un’immagine sfuocata dal tempo e il desiderio di averlo al suo fianco la uccideva.

 

 

Inizialmente c’erano state solamente visite di cortesia; poi, però, quel colosso di Lt. Surge aveva iniziato a presentarsi più frequentemente a Celadon City, la scusa vecchia e banale di trovarsi lì per delle commissioni o perché Raichou desiderava vedere Gloom.

Erika non era una stupida, non lo era mai stata. Sapeva bene che gli uomini apprezzavano la sua grazia, ma mai si sarebbe aspettata di vedere il tenente Surge in quello stato.

«Ancora qui, Surge?» domandò per l’ennesima volta quel giorno di metà marzo, mentre l’uomo stava accarezzando il roditore elettrico in piedi di fronte a lui. Si era alzato di scatto quando l’aveva intravista arrivare, imbarazzato e balbettante come sempre.

Erika trattenne un sorriso, prendendo posto al suo fianco. Appoggiò il mento sulle mani riposte a coppa, osservando il biondo con estrema pazienza.

«Surge, non credi sia arrivato il momento di tornare l’uomo che sei, sollevarmi tra le braccia e magari portarmi in camera?»

Non era mai stata un tipo paziente, Erika. E poi vedere Surge in preda al panico era uno spettacolo favoloso.

 

 

Jun cacciò un urlo quando si ritrovò faccia a faccia con Hikari, all’uscita di casa sua.

«Quello è...un pokémon?!» domandò come se non potesse crederci, osservando la palla di pelo arancione che stringeva le gambe della ragazza sorridente.

Aveva gli occhi luminosi ed a Jun sembrò addirittura più carina del solito.

«Sì, l’ho appena ricevuto dal professore. Credo ne voglia dare uno anche a te, mi ha mandato a chiamarti!» spiegò accarezzando il cucciolo di Chimchar, mentre Jun apriva il volto in un sorriso di totale esaltazione.

«Vuoi dire che avrò un pokémon tutto mio?!» strillò eccitato, iniziando a danzare intorno ad Hikari. Questa sospirò scocciata, roteando poi gli occhi.

«Sì Jun, e come noi anche Kouki ne avrà uno. Sono stata da lui proprio adesso!»

Jun si bloccò sul posto, osservando l’amica di infanzia. Tutti e tre avrebbero avuto un pokémon e avrebbero viaggiato per la regione di Sinnoh. Questo voleva dire semplicemente una cosa...

«Quindi saremo rivali?»

Hikari annuì a disagio, giocando con una ciocca di capelli.

«Già...ma tra noi non cambierà nulla, vero?»

Non ebbe nessuna risposta, perché il biondo era corso via senza starla a sentire.

Non cambierà nulla, vero Jun?

Nelle sue orecchie l’eco sordo di una sola parola: illusa.

 

 

Kasumi quasi pianse quando li rivide. Quanti anni erano passati, due? Sembrava fosse trascorsa una vita dall’ultima volta in cui aveva afferrato l’orecchio di Takeshi per allontanarlo da una delle mille e mille ragazze che passavano sul suo cammino.

Sembravano essere passate ere prima che Pikachu le saltasse ancora tra le braccia, urlando al suo padrone di sbrigarsi, che c’era Kasumi lì! – Quella stessa Kasumi che Satoshi sognava la notte, tanto ne sentiva la mancanza.

«Brutto cretino» disse non appena Satoshi fu di fronte a lei, uno sguardo che si tramutò da felice a piccato quando sentì l’insulto che lei gli rivolse.

«Che diavolo vuoi, racchia?!»

«Sbaglio o avevi detto che ci saremmo rivisti presto?!» e lo colpì alla nuca, forte come sempre; e per un attimo Satoshi non sentì nemmeno il dolore, il pensiero di averla di nuovo accanto che occupava mente e corpo.

 

 

Lance sorrise di sbieco osservando lo sguardo imbronciato di Kotone, accanto a lui con le braccia incrociate al petto. Era ferma in quella posizione sin da quando Clair aveva fatto il suo ingresso nella Sala, addobbata per l’occasione – in fondo, non veniva eletto un nuovo Campione dai tempi di Red.

«Questa è la mia festa e tu hai invitato Clair?» domandò in quel momento, sollevando gli occhi azzurri ed incrociandoli con quelli di un blu intenso del damadraghi. Un sorriso si distese sul volto di Lance, che si premurò di accarezzare con particolare devozione il fianco destro di Kotone; sorriso che si ampliò quando la sentì rabbrividire.

«Odo una nota di gelosia nella tua voce» sussurrò contro la sua guancia arrossata, la saliva che sembrava essere scomparsa nella bocca di Kotone.

Acqua, aveva assoluto bisogno di acqua – eppure, anche la bocca di Lance sulla sua le andava bene.

 

 

Molte volte Silver aveva etichettato Gold come uno stupido sentimentale ancora attaccato alla sottana della mamma; forse troppe, ma il ragazzo aveva incassato ogni battuta con un sorriso amichevole e la mano tesa.

Voleva essere lasciato in pace durante i suoi anni di allenamento, non torturato da uno stupido ragazzino viziato con un assurdo taglio di capelli – e qui Gold gli aveva amichevolmente detto che non desiderava insulti da un pomodoro maturo.

«Terribilmente fastidioso, ecco cosa sei» gli disse anni dopo, la spalla di Gold che toccava la sua e gli mandava brividi lungo tutto il corpo. Perché doveva sentire quelle emozioni proprio con lui? E dire che Kotone era così carina.

«E tu noioso. Quante volte mi hai detto questa cosa?» chiedeva Gold con luce maliziosa negli occhi, afferrando poi il mento di Silver per potergli rubare un bacio.

 

 

Nessuno avrebbe mai potuto scambiarli per fidanzati. Shu a volte cercava di afferrarle almeno la mano, quando giravano insieme, ma il massimo che riusciva ad acchiappare era l’aria ed una velata imprecazione di Haruka: lei odiava qualsiasi tipo di smanceria – che poi la notte fosse sempre nel suo letto era un’altra storia, sosteneva la ragazza.

Peccavano sul punto romantico. E dire che non avevano problemi a dichiarare quanto l’uno provasse per l’altra e viceversa; talvolta anche quando la passione non albergava nei loro corpi, ma in momenti di gioia come la vittoria di una gara o la conquista di un nuovo pokémon.

Shu però non si lamentava mai. Amava Haruka così com’era, testarda ed indisponente come poche, ma con un sorriso che gli faceva tremare il cuore tutte le volte che lo osservava.

 

 

Osò mettere piede nella sua camera quel giorno di metà primavera, quando Hikari era sicura che Kouki non si trovasse nei paraggi e così il padre di Jun.

Il biondo l’osservò con particolare interesse vedendola bloccata sullo stipite della porta, le mani che si torturavano tra loro in segno di evidente disagio. Sorrise divertito, mettendosi a sedere sul letto.

«Cosa ci fai qui, Hikari?» domandò dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio – dov’erano finiti i giochi infantili? – che Jun aveva già iniziato a trovare insopportabile. Forse, era proprio per quel motivo che negli ultimi tempi non si erano visti poi molto.

Non prenderti in giro, Jun. Lui sapeva benissimo quale fosse il vero motivo di quell’evidente scostamento avvenuto con Hikari, lo sapeva e ne aveva paura; soprattutto in quel momento, vedendola con la sua gonnellina rosa e le gote arrossate, sulla porta della sua stanza.

«Sono venuta...a trovarti, suppongo. Mi ignori, Jun?»

Hikari vide con particolare soddisfazione il timore negli occhi del suo vecchio amico di infanzia, ma un senso di vuoto nello stomaco accompagnò quella sensazione di vittoria. Allora la evitava davvero.

«Perché?» domandò ancora, avanzando d’un passo. Jun quasi cedette all’impulso di stringerla tra le braccia, e forse fu proprio quel pensiero che gli fece sollevare una mano per bloccare l’avanzamento di Hikari.

«Non capiresti» disse senza particolare rimorso nella voce. Ascoltò l’eco sordo dei passi pesanti della ragazza correre via, dandosi dello stupido. Gli sarebbe bastato semplicemente provare.

 

 

Pokémon, soldi e potere. Essenzialmente, questi erano stati i desideri di Kojiro quando si era arruolato nel Team Rocket, scappando a gambe levate dalla sua facoltosa famiglia.

Aveva sempre creduto fermamente nella potenza del Team Rocket, vedendo vacillare però sempre più volte quella convinzione ed arrivando sino a distruggerla completamente quando Musashi gli comparve di fronte, bella come non mai nel costoso abito da sposa.

Da quel momento, i suoi desideri giravano intorno alla donna; cosa poteva fare per renderla felice? Musashi gli avrebbe mai dato un bacio del buongiorno, il mattino? I loro bambini a chi sarebbero assomigliati?

Kojiro a volte sperava che assomigliassero a Musashi. Sosteneva che in questo modo sarebbero stati sicuramente bellissimi, e tutti li avrebbero invidiati.

«Ricordi quando cercavamo di rubare il Pikachu del moccioso?» domandava a volte Musashi, al che Kojiro sorrideva e le stringeva la vita.

«E tu ricordi quanto già mi amavi?»

 

 

Quando lo vide per la prima volta, Red aveva uno sguardo spento. Aveva afferrato la sua pokéball senza particolare emozioni sul suo viso affascinante, ma non per questo Kotone aveva provato meno batticuore.

Mentre combattevano Red non aveva mai distolto i suoi occhi da quelli azzurri di Kotone. Lentamente, il suo interesse per quella ragazzina che l’aveva raggiunto con non poca fatica, aumentò. Aumentò, fino a farlo appassionare come non mai dopo tanto, troppo tempo.

«Bella battaglia» le disse accarezzando le orecchie a punta del suo Pikachu, mentre Kotone dall’altro lato del campo festeggiava abbracciata a Lugia e Typhlosion.

Vide le sue gote da pallide a causa della neve passare ad un tenue rosso carminio, che si espanse per tutto il viso grazioso.

«Che ne dici di scendere insieme dal prof. Oak e Green?» domandò poi avvicinandosi alla ragazza, sostituendo il proprio capello a quello buffo e bianco che Kotone aveva sempre portato dall’inizio del suo viaggio. «Penso che vorranno festeggiare la nuova campionessa di pokémon»

 

 

Restando al fianco di Kasumi e Satoshi, Takeshi aveva imparato in fretta a conoscerli.

Quando Kasumi si arrabbiava se la prendeva sempre con Satoshi, cercava di picchiarlo e fargli ricadere la colpa di ogni cosa. E allora anche lui si arrabbiava, ed iniziavano ad urlare come due pazzi fino ad arrivare alle mani.

Solo dopo qualche tempo Takeshi aveva capito perché facevano così. Un po’ per il tratto di infantilismo che li caratterizzava, un po’ perché volevano sentirsi vicini. Vicini davvero, però.

Aveva capito tutto questo quando Kasumi non si era unita ai loro viaggi successivi; quando Satoshi parlava di lei tanto da farne venire la nausea e cercava anche un solo un minimo pretesto per prendere il pokégear e chiamarla.

 

 

Silver aveva sempre vissuto nell’ombra; non conosceva emozioni quali la gioia o la tristezza, per lui il mondo era piatto e tedioso, un globo in cui si era ritrovato a vivere solamente per puro caso.

Da quando Kotone l’aveva afferrato per la mano, quel giorno di metà primavera, però, la luce solare aveva iniziato ad abbagliarlo – ma non in modo fastidioso.

Si era lasciato trascinare da Kotone e dal suo sorriso, che ogni tre passi si voltava indietro per accertarsi che lui la stesse seguendo. Se non fosse stato così, Silver era sicuro che lei sarebbe andata a riprenderlo e l’avrebbe obbligato ad accompagnarla chissà dove.

Kotone, con la sua forza trainante, era stata la causa (il merito) per cui aveva iniziato a provare noia per certe cose ed apprezzarne altre. Molte altre. Così tante che ora Silver potrebbe averne addirittura perso il conto, ma tra tutte, ricordava perfettamente la sensazione di calore che avvolgeva il suo corpo quando Kotone si sollevava sulle punte e lo baciava, imbarazzata e divertita.

Silver, che aveva sempre vissuto nell’ombra, poteva dire di preferire il sole mille volte – soprattutto quando Kotone era al suo fianco.

 

 

Tutto era cominciato a causa di una stupidissima festa. Jun non ci voleva manco andare, aveva saputo da Kouki che Hikari vi avrebbe preso sicuramente parte; non che non lo pensasse, lei adorava le feste.

La guardava da lontano, all’ombra di una bancarella che vendeva zucchero filato e palloncini, costantemente piena di marmocchi urlanti e genitori sclerotici. Sotto un certo punto di vista, Jun si stava anche divertendo. Un po’ per via di Kouki e i suoi imbarazzati apprezzamenti su una qualche ragazzina in yukata, un po’ per via di Hikari stessa, che lo cercava assiduamente, mangiandosi le unghie delle mani e torturandosi i capelli.

Decise di avvicinarsi a lei solamente dopo un paio d’ore, un sorriso di scherno sulle labbra ed il cuore che batteva a mille: ora o mai più, si ripeteva ad ogni passo.

Quando le fu davanti aprì la bocca per parlare, ma le braccia di Hikari già gli si erano strette intorno al corpo e le parole gli erano volate via, come il vento.

«Ti amo, nonostante tutto»

E Jun contraccambiò quell’abbraccio, affondando il volto nei capelli corvini di Hikari e sentendo un peso scivolare via.

«Anche io...nonostante tutto»

 

 

«Ultimamente ti vedo più allegro» disse Green parecchi giorni dopo il suo incontro con Kotone, facendolo bloccare con il bocconcino per Pikachu a mezz’aria. Red sollevò un sopracciglio perplesso, amalgamando per bene le parole dell’amico nella propria testa.

«Può darsi» liquidò la faccenda con un’alzata di spalle, accontentando il suo Pikachu che aveva appena messo il broncio. Sollevò poi gli occhi su Green, trovandolo con le braccia conserte ed uno sguardo scettico. «Forse» disse infine con uno sbuffo, vedendo aprirsi sul volto del castano un sorriso di vittoria.

«Lo dicevo io! Sei terribilmente loquace nell’ultimo periodo. Non è che ti sei preso una cotta per quella ragazzina?» indagò malizioso, mettendosi a quattro zampe e portando il viso verso quello di Red, sul quale si stagliava un sorriso di divertimento.

«Se lo fossi saresti geloso?»

Red si chinò verso di lui, compiaciuto dal rossore che si era espanso sulle gote di quello spaccone di Green.

 

 

Vietato entrare, ecco cosa diceva il cartello che Kotone, Gold e Silver avevano bellamente ignorato – non che potessero fare altro visto il numero di consistenti reclute del Team Rocket che avevano alle calcagna.

Silver era stremato, tant’è che aveva lasciato da parte l’orgoglio per permettere a Gold di prenderlo in spalle. Kotone, dal canto suo, se ne stava accucciata a terra in cerca di un qualsiasi spiraglio per riuscire a fuggire. Alle sue spalle, Typhlosion era l’unico pokémon che era rimasto loro.

Lo fissò per un secondo, prima che la paura per la prima volta le invadesse le viscere.

Quanto vorrei che Lance  fosse qui, pensò con un briciolo di colpevolezza. Era sicura che in quel momento il giovane damadraghi si trovasse con Clair; in fondo avevano dimostrato fin da subito di avere un rapporto alquanto intimo, quei due.

Si morse le labbra per non scoppiare a piangere, aprendo uno spiraglio di porta per poter meglio osservare la situazione. Via libera.

Facendo segno di seguirla, i tre alle sue spalle uscirono con lei da quello stretto magazzino, fino a trovarsi sul corridoio; di fronte a loro, due imponenti figure coperte da mantelli che Kotone avrebbe riconosciuto ovunque.

«Eccovi» disse Lance abbassandosi il cappuccio, guardando Kotone negli occhi. Per un attimo la felicità di vederla vacillò, non appena una lacrima solcò la guancia pallida della ragazza.

Al suo fianco, Clair avanzò d’un passo poggiando una mano sulla spalla del giovane.

«Ma guarda. Siamo giunti appena in tempo! Poveri pulcini smarriti» chiocciò con divertimento brillante negli occhi, mentre sia Kotone che Gold stringevano i pugni.

«Le Kimono-girls ci hanno avvisato e...» ma Lance non finì quella frase, perché i tre ragazzi (Kotone) lo sorpassarono di corsa, alla ricerca dell’uscita. Perché la vita di Silver era appesa ad un filo – e perché stando lì le si sarebbe infranto il cuore.

 

 

Wo ai ni, I love you, Ich Liebe Dich, Je t’aime. Avrebbe potuto dirglielo persino in italiano, ma quell’idiota di Satoshi non avrebbe mai capito cosa lei provasse per lui. Era un idiota patentato, di quelli che purtroppo non si guariscono.

«Kasumi, qualcosa non va?» le domandò d’un tratto, sventolandole una mano di fronte al viso con il suo solito sorriso di scherno; cavolo, quanto avrebbe voluto prenderlo a pugni!

Si limitò invece a dire di no con il capo, i capelli lasciati sciolti ed ancora vagamente umidi di pioggia che lanciarono qualche gocciolina in faccia al ragazzo.

«Sento solo un po’ freddo, tutto qui» spiegò con estrema pazienza, chiedendosi perché avesse seguito Satoshi nella sua folle idea di esplorare la zona Safari, quel giorno.

Sospirò pesantemente, prima di sussultare. Sollevò il viso ed incontrò quello di Satoshi, così terribilmente vicino da farla ansimare per l’ansia e l’emozione.

«Stando vicino a me ti scalderai» le disse con un sorriso fanciullesco, che faceva capire quanto fossero innocenti le intenzioni del ragazzo.

Kasumi si chiese, mentre scivolava più vicino a lui, se ci sarebbe stato bisogno di un romanzo rosa o – perché no? – di un porno per fargli capire cosa avrebbe realmente dovuto fare in quell’occasione. Ma perché si era innamorata di quel cretino?

 

 

Xatu era un pokémon psico fantastico. O almeno, questo era quello che sosteneva Karen ogni qual volta il pokémon si ritrovava a confondere gli altri membri dei superquattro quando voleva appartarsi proprio con uno di loro, in santa pace, magari in memoria dei vecchi tempi.

Afferrava Pino per la maglia, trascinandolo contro il muro e baciandolo con una violenza tale da far capire al giovane quanto quel contatto le fosse veramente mancato.

In quei momenti adocchiava il suo pokémon prediletto, che schiacciava a sua volta l’occhio e assicurava privacy per almeno un’ora.

Che bella la vita quando si potevano possedere pokémon così adorabilmente affidabili!

 

 

Yellow li guardò da lontano, un sorriso melanconico sul viso grazioso.

Vicini ed uniti come non mai, Green e Red camminavano l’uno di fianco all’altro sfiorandosi le mani ad ogni passo, la consapevolezza di essere osservati che impediva loro di arrossire.

Li aveva sempre guardati di sottecchi, cercando di captare un qualsiasi sentimento uscire dai loro corpi, a partire dall’attrazione fino ad arrivare all’amore. Perché? Perché aveva capito subito quanta emozione nascesse negli occhi di Green, ogni qualvolta Red era nei paraggi. Perché erano belli, insieme. L’uno completava l’altro con facilità estrema, così semplicemente che lei stessa e Blu si ritrovavano sempre a sorridere come due cretine.

Forse quel pomeriggio li avrebbe anche visti baciarsi, o forse no. Perché con loro tutto era possibile, anche che Red partisse per anni e che Green lo aspettasse, arrovellandosi il cervello su cosa stesse facendo, con chi fosse e perché. Li amava insieme anche per questo.

 

 

«Zitta» fu l’unica cosa che Lance le disse prima di afferrarle la mano e portarla via con sé, lontana da Gold, da Silver, da Clair. Per un attimo aveva avuto un vago istinto di ribellarsi, fargli capire che non poteva comportarsi così tutte le volte e spezzarle il cuore, per poi tentare di ricostruirlo con quei suoi scatti che negli ultimi tempi erano divenuti insostenibili.

Però nonostante pensasse tutto questo, Kotone non aveva mai la forza di rifiutarlo e si lasciava baciare come avrebbe fatto qualsiasi altra bambola al posto suo, caduta sotto quel fascino misterioso ed abbagliante che aleggiava intorno a Lance.

Mentre le mani del ragazzo armeggiavano con la bretella della sua salopette, lo sentì fremere.

«Ce l’hai con me?» sussurrò ad un passo dalle labbra morbide della giovane, guardandola negli occhi umidi e sentendo mille schegge perforargli il petto. L’aveva fatta soffrire, ancora.

«Io ti amo, Lance» spiegò con voce rotta, le mani appoggiate contro il petto di lui e gli occhi che bruciavano terribilmente. «Ma non ce la posso fare. Tu...e Clair siete perfetti l’uno per l’altra, io tra di voi non centro nulla»

E mentre diceva quelle parole, Lance la strinse. Forte, troppo forte. Così forte da farle male.

«Cazzate, sono tutte cazzate» sibilò, le mani che correvano lungo il suo corpo e l’amara consapevolezza che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto Kotone tra le braccia. Niente più carezze su un prato, non avrebbero più fatto l’amore, né avrebbe potuto godere di quei sorrisi speciali solo per lui.

Lo capì dal mondo in cui Kotone lo baciò che quella sarebbe stata l’ultima volta.  

 

 

 

N/a

Ora mi vorrete uccidere, se siete arrivati fino a qui. Sono contenta che ci siano ben due schermi a dividerci, sì.

Non ho nulla da aggiungere, se non che mi dispiace non aver messo coppie come Green/Kotone, Denzi/Hikari o Gold/Kotone. Mi rifarò, anche perché negli ultimi tempi Pokémon è la mia fissazione. Ahimè, vi siete cacciati in un brutto guaio.

Dire che le recensioni sono gradite è banale, ma visto che è stato un parto...:)

Cà.

 

   
 
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