Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: miseichan    29/04/2010    5 recensioni
Non tutto è come appare. Bisogna sempre ricordarlo. Una dolce ragazza con il viso inondato di lacrime, una giornata triste ed uggiosa, un ragazzo affascinante ed imperfetto. La corsa di un pullman con la solita compagnia di sempre. Si può cambiare il corso delle cose: basta sapersi applicare ed indovinare l’approccio migliore. Chissà che poi, il sorriso non possa tornare a brillare, seguito anche da un solitario raggio di sole…
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Lacrime di cristallo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cocc

 

 

 

Lacrime di coccodrillo

 

La prima lacrima scese piano, rimanendo bloccata fra le ciglia per qualche istante, come se fosse indecisa se scendere o meno. Poi, preso lo slancio, continuò la sua discesa lungo la guancia.

Quando scese la prima lacrima il pullman si era appena fermato e l’autista non si era accorto di niente: pioveva, ininterrottamente da quella mattina e come chiunque altro, staccando il biglietto per la ragazza, pensò che a bagnarle il viso fosse stata la pioggia. Era fradicia in fin dei conti, dalla testa ai piedi non una parte che fosse ancora asciutta: i capelli lunghi e castani resi neri dall’acqua e i vestiti, completamente incollati sulla pelle, ormai quasi trasparenti.

Niente ombrello.

Il pullman era completamente vuoto: era la prima fermata quella e lei era stata la prima a salire.

Camminò piano fra le file di sedili, fermandosi giusto al centro e prendendo posto sulla sinistra, lato finestrino. Si accomodò sul sedile con calma, raggomitolandosi su se stessa, stringendo le gambe al petto e poggiando la testa contro il finestrino.

Guardò per un po’ le gocce scivolare placide sul vetro: non avevano fretta, non era una pioggia forte e cattiva, semplicemente era pioggia. Leggera, quasi invisibile ma presente.

Di quelle che sono in grado di rovinare una giornata.

Si fece ancora più piccola, incurante del fatto che i jeans fossero zuppi e che i piedi sembrava stessero galleggiando nelle scarpette. Ignorò anche che si vedesse chiaramente il reggiseno sotto la felpa leggera: non le importava in quel momento, aveva ben altri pensieri per la testa.

Il pullman si fermò di nuovo con uno scatto secco e lei socchiuse gli occhi, lasciando scendere le nuove lacrime: ormai cadevano copiose e non riusciva a fermarle.

Se cominciare era stato difficile, era niente in confronto a come lo era ora smettere.

Le sentiva distintamente percorrere veloci tutta la lunghezza del viso: dagli occhi fino al collo, ma sembrava quasi che la cosa non la tangesse minimamente.

Che scendessero pure.

Non le importava nemmeno che ora, stando al chiuso, qualcuno potesse accorgersi che stava piangendo. No.

Le importava solo di una cosa.

E non era ancora arrivata.

Erano salite diverse persone: uomini e donne di ritorno dal lavoro, il senegalese con il doppio turno, la baby sitter che portava i bambini a spasso e tanti altri.

Li conosceva tutti.

Prendeva lo stesso autobus da quasi tre anni e li conosceva tutti.

Nessuno escluso.

Aveva imparato vita, morte e miracoli di ognuno.

Ne conosceva le abitudini, le manie, i difetti, le paure.

Eppure loro di lei non sapevano quasi niente.

Lei era la ragazza silenziosa.

Lei era quella che se ne stava lì seduta, in disparte, sempre con il sorriso pronto.

Sì, perché a sorridere sorrideva sempre: lo faceva con tutti, era il suo modo di salutare, il suo modo di far sapere agli altri che esisteva.

Un sorriso a lui, uno a lei, uno a loro.

E con il passare dei giorni e dei mesi tutti avevano imparato ad amarla.

Se ne sentiva la mancanza: non subito, ma poi, quando seduti ai loro abituali posti, si rendevano conto di non aver ricambiato il sorriso di nessuno, allora capivano.

Mancava Rosa.

Fortunatamente non si assentava spesso, permettendo a tutti di sorridere almeno una volta al giorno. Era come un piccolo, semi invisibile sole: c’era ma bisognava prestare attenzione per accorgersene. Una volta incontrato quel sorriso poi, non se ne poteva più fare a meno.

Era una bella ragazza, giovane, aggraziata, gentile, educata.

Incredibilmente timida e riservata.

In pochi erano riusciti a superare le difese che aveva alzato attorno a sé.

Pochi fortunati.

Su quel pullman però non ci era riuscito ancora nessuno.

Tutti le passavano accanto, silenziosi, non sapendo cosa fare.

Perché tutti si erano accorti che qualcosa non andava: tutti passando accanto a quel sedile l’avevano vista. Così come avevano capito che quel giorno non avrebbero sorriso: per il semplice fatto che lei non sorrideva.

Indugiavano, attardandosi e rallentando il passo, solo per lei: volevano accertarsi di aver visto bene e che Rosa stesse davvero piangendo.

Ma avevano fatto bene? No, perché ora stavano peggio.

Se ne erano accertati e lei stava piangendo.

Non potevano fare niente però: era come se non fossero autorizzati.

La terza fermata fu quella che durò più a lungo: quella degli studenti.

Salirono in troppi: una ventina all’incirca, tutti liceali e tutti su di giri.

Normalmente si affrettavano verso la coda dell’autobus, dove prendevano posto tutti assieme, accalcandosi e ridendo. Fra strepiti e grida giocavano, divertendosi, sfogando la gioia per la fine di un’altra giornata scolastica: chi parlando del pomeriggio, chi lamentandosi dei compiti, chi insultando i professori, in un ammasso informe e variopinto di risa e schiamazzi.

Questa volta non fu così però.

Subito capirono che qualcosa non andava.

Forse il silenzio, forse le facce tristi degli altri passeggeri, forse l’assenza delle voci dei bambini.

In qualche modo capirono.

E passando cautamente accanto a lei capirono ancora di più.

Si soffermarono tutti su quella figura piccola e triste, sulle troppe lacrime versate.

Nessuno si fermò.

Chi lo fece fu solo per pochi minuti, prima di scuotere il capo e continuare a camminare con lo  sguardo basso. La salutarono, a voce bassa, così bassa da rischiare di non essere sentiti.

La salutarono ma non come facevano sempre.

Lo fecero con un misto di rincrescimento e preoccupazione.

E raggiungendo i posti a sedere sentirono un peso sul cuore, perché per quanto costasse loro ammetterlo si erano affezionati tutti a lei. Maledettamente affezionati.

Era la loro mascotte.

Anche quando per un qualsivoglia motivo erano un po’ giù, sul pullman incrociavano il sorriso di lei che riusciva a tirarli su di nuovo, facendogli dimenticare il perché della tristezza.

Perché allora loro non potevano fare altrettanto?

Non potevano andare lì, sedersi accanto a lei e parlarle.

Non potevano chiederle come stava, perché piangeva, se potevano fare qualcosa.

Non potevano e basta.

Perché lei era Rosa.

La bellissima ragazza fuori dalla loro portata che concedeva loro solo un sorriso.

Di più non potevano.

Alla quarta fermata salì solo un ragazzo ed entrò dalla porta posteriore, trovandosi così direttamente nel ritrovo dei liceali.

Normalmente con la sua apparizione il vociare già alto sarebbe salito di diversi decibel.

Perché lui era all’ultimo anno, lui era Luigi, lui era l’idolo di tutti.

Un mito.

Bruno, alto, occhi neri.

Non perfetto, assolutamente non perfetto.

Molto imperfetto.

Grande però, eccezionale nella sua unicità.

Simpatico, dalla battuta pronta, intelligente, acuto, dolce, intuitivo, educato.

E chi più ne ha più ne metta.

La fila per lui era lunga diversi chilometri.

Non stava con nessuna però, non si sapeva come mai.

E la cosa tanto infastidiva le ragazze che aspettavano impazienti, tanto entusiasmava i ragazzi che lo vedevano con ancora maggiore venerazione e rispetto.

Normalmente avrebbe sorriso, ridendo delle battute che gli venivano lanciate, arruffando teste e dando scappellotti, prima di raggiungere il posto riservato a lui e sedersi con aria soddisfatta.

Non fu così stavolta.

Salendo non sentì niente.

Temette quasi di esser diventato sordo, ma no, la pioggia la sentiva.

Dovette capacitarsi allora del fatto che realmente nel pullman non si sentisse alcun rumore.

Non una voce, non un mormorio. Sembrava non si respirasse nemmeno.

Sgranò gli occhi, lanciando sguardi a destra e a manca: osservò interrogativo tutti i suoi compagni di viaggio, studiandone le espressioni strane, mai viste.

Si avvicinò al proprio posto per sedersi e continuare a guardarsi attorno spaesato.

Non riusciva a capire cosa potesse essere successo di tanto grave da essere in grado di zittire venti liceali in libera uscita, una dozzina di lavoratori esausti, due bambini sotto i dieci anni ed un autista dalla parlantina irrefrenabile.

Non riuscendo ad arrivarci, intimorito da quella situazione paranormale, si decise a dire qualcosa:

- Che è successo?-

Lo aveva bisbigliato, pianissimo, nell’orecchio del ragazzo alla sua destra.

L’altro si voltò verso Luigi, come accorgendosi solo in quel momento della sua presenza e dopo aver visto la sua espressione sconvolta si affrettò a rispondere, in un sussurro:

- Rosa piange-

Luigi sgranò gli occhi, credendo fosse uno scherzo.

Forse era una cosa organizzata: sì, doveva essere così, si erano messi tutti d’accordo e lo stavano prendendo per il culo. Non c’erano altre spiegazioni.

Si piegò di nuovo sull’orecchio dell’altro:

- Chi è Rosa?-

Era una domanda di circostanza, posta con tono sarcastico, come a dire che aveva capito lo scherzo e che potevano smetterla. Mai si sarebbe aspettato che quello rispondesse serio:

- Come chi è? Miss sorriso! La ragazza del terzo che si siede sempre al centro, che se ne sta sulle sue… quello schianto che sorride, dai! Sta piangendo-

Luigi aveva capito ora.

Aveva capito chi era Rosa e aveva capito la gravità della situazione.

Non credeva più fosse uno scherzo, non riteneva più la scena degna di un telefilm sugli alieni.

No, ora ci era arrivato.

Scattò in piedi, quasi senza rendersene conto, e si avviò a passo svelto verso il centro del pullman.

Sentiva gli occhi di tutti puntati su di lui ma non ci fece caso, continuando verso di lei.

Quando ebbe raggiunto il sedile chiese, con voce tranquilla:

- Posso?-

Non ebbe nessuna risposta e dopo aver aspettato qualche istante prese posto senza dire niente.

Le lanciò diverse occhiate veloci e alla fine non smise più di guardarla: era rimasto incantato.

Era come se non l’avesse mai vista.

Non era così però e lo sapeva.

Ricordava di esserle passato accanto diverse volte, di averla incontrata per caso e di averla anche riconosciuta come “la ragazza del pullman”

Niente di più però, non ci si era mai soffermato più di tanto.

Come si fa ad essere cos’ stupidi?

Come si fa a prendere il pullman con una persona per tre lunghi anni e non accorgersi di ciò che si sta perdendo!?

Osservò quella piccola figura scossa dai singhiozzi e accartocciata contro il vetro, ne studiò il tremore delle labbra rosse e lo scorrere ininterrotto delle lacrime.

Si sentì male, triste come non gli era mai capitato.

Si avvicinò di più, eliminando la distanza che li divideva, ma lei non sembrava essersi nemmeno accorta della sua presenza. Lui allora si piegò su di lei, coprendola quasi interamente, come per abbracciarla, sussurrandole piano, con voce calma:

- Ciao-

La ragazza si allontanò ancora di più, per quello che le fu possibile, attaccandosi al finestrino.

Lui però non la lasciò, continuando a seguirla, fino ad arrivare a poggiarle una mano sulla spalla per fermarla: non era un ragazzo che si lasciava intimorire, anzi, era paurosamente sfacciato.

La attirò delicatamente verso di sé, fino ad avvolgerle con il braccio la vita.

Con l’altra mano le sollevò invece il viso, avvicinandolo al suo: con il pollice le asciugò le guancie, fermando la discesa di nuove lacrime.

- Ehy, ehy, ehy… che succede? Non fare così-

Lei scosse impercettibilmente il viso, tremando ancora sebbene stretta saldamente tra le sue braccia e aprì gli occhi prima serrati. Lo fissò, fermando il suo sguardo nei suoi occhioni neri.

Lo aveva incantato.

Non riusciva più a distogliere lo sguardo da quegli occhioni azzurri: lucidi, bagnati, bellissimi.

Non appena ebbe aperto gli occhi ecco due nuove lacrime scendere, irreprensibili.

- Non piangere-

Lo aveva detto con tono disperato, come se fosse una tortura vederla così.

Ma lo era.

- Che c’è? Vuoi… io…-

Lei scosse la testa di nuovo, questa volta con maggiore forza e tentò di allontanarsi senza riuscirvi.

Sorrise, ma non per davvero: era un falso sorriso, di apparenza.

- Niente-

Stava per continuare ma la voce le si era spezzata, mentre altre due lacrime erano cadute.

Lui prontamente le bloccò, asciugandole ancora con il pollice che ormai si muoveva ritmicamente accarezzandola. La strinse di più a sé sentendola ghiacciata e lei continuò dopo un po’:

- Niente, davvero-

Lui non le credette neppure per un istante e le rivolse uno sguardo duro.

Lei chiuse e riaprì gli occhi, prendendo un bel respiro che uscì invece come un singhiozzo soffocato e mal represso:

- Non mi va di parlarne-

Lui restò qualche attimo in silenzio, non sapendo cosa fare ma poi decise che non poteva insistere: non la conosceva in fondo, non si era nemmeno presentato, non ne aveva il diritto.

Non poteva prendersi tutta quella confidenza.

Annuì allora, sorridendole incoraggiante, per poi cominciare a parlare con voce dolce:

- Non devi piangere però, promettimelo, altrimenti non ti lascio più. Tutte… tutte queste lacrime non ci dovrebbero essere: che fai sennò, non sorridi più?-

Lei strinse gli occhi a quelle parole e poi sollevò un po’ gli angoli della bocca, scatenando in lui un moto di risa che a mala pena riuscì a contenere:

- Sì, ecco, ci siamo quasi!-

Continuò a ridacchiare, in un modo così naturale e divertente da essere contagioso.

Lei socchiuse gli occhi e si lasciò sfuggire una risatina minuscola.

Lui l’aveva sentita però e la fissò sorpreso e soddisfatto, senza minimamente aspettarsi il gesto successivo di lei che lo lasciò totalmente basito.

Rosa gli gettò le braccia al collo, restando poggiata a lui solo per qualche secondo.

Gli poggiò le labbra bollenti vicino all’orecchio e sussurrò, inconsapevolmente sensuale:

- Grazie-

Giusto il tempo di sentire e di realizzare il piacere del tenero abbraccio di lei, che lei non c’era più, già scesa dal pullman. Tutto a tempo record.

Luigi si voltò verso i suoi amici, trovandoli tutti sorridenti: chi sorpreso, chi entusiasta.

Lo stesso valeva per gli altri passeggeri.

Lui però non guardava nessuno di loro: lui teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino, lì dove la schiena della ragazza che lo aveva stregato si stava allontanando.

Lei svoltò l’angolo con passo incerto, le gambe tremanti e l’aria confusa.

Quasi sbattè contro un’altra persona, ferma e con un ombrello rosso a quattro posti aperto in mano.

Non la riconobbe subito, ancora scombussolata e fu lei a fermarla, afferrandola per il gomito.

Rosa si voltò fissando l’altra ragazza: Tonia!

Si avvicinò, fermandosi sotto il suo ombrello e sospirando.

Quindi rialzò lo sguardo, fermandolo nel suo.

Un sorriso enorme prese improvvisamente forma sul suo viso.

Così grande e luminoso da far impallidire il sole.

- Sì!-

Era stato un grido, a frequenze da ultrasuoni, prorotto da entrambe le ragazze contemporaneamente.

Due secondi dopo stavano saltellando mano nella mano, fra gridolini entusiasti e risate convulse.

- Te l’avevo detto, te l’avevo detto, te l’avevo detto!-

Rosa annuì, in preda all’euforia, rossa in viso e raggiante.

- Lo so, lo so, lo so! Scusa se non ti ho ascoltata prima-

Tonia fece segno con la mano che non era niente e reprimendo un nuovo grido di gioia trascinò con sé l’amica verso il centro cittadino.

Sbandando leggermente, ridacchiando e scuotendo l’ombrello si incamminarono, senza accorgersi che aveva smesso di piovere e che anzi qualche raggio di sole aveva anche penetrato la coltre di nubi: uno di questi si era appena poggiato sulla coppia felice, illuminandola di oro.

- Ricorda: le lacrime funzionano sempre-

 

*

 

 

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: miseichan