Nick
Autore (su EFP): Meli_mao
Titolo: Un uomo non piange.
Genere: Generale, introspettivo, a tratti
Malinconico.
Rating: Verde
Pairing (ed eventuali altri personaggi): Roy
Mustang, Riza Hawkeyes, riferimenti
a
Maes Hughes.
Avvertimenti: One-shot,
Citazione:
“Molti ti saranno amici finchè sarai felice, ma
quando verrà il brutto tempo, resterai solo” (Ovidio).
Note dell'Autore (facoltative): Non
c’è poi molto da dire. Essendo il mio personaggio
Roy, non potevo ovviamente
vederlo separato da Riza. Del resto, il tema dell’amicizia mi
è sembrato
perfetto per loro due, così come per Hughes e da
lì l’idea. Non volevo scrivere
di ricordi della guerra, sia perché non ne so poi molto, sia
perché ormai lo si
legge dappertutto. Ho preferito immaginarmi il colonnello in un momento
di
debolezza nel giorno dell’anniversario della morte di quello
che era il suo
migliore amico. Allora, Buona lettura e spero ti piaccia.
Un uomo
non
piange.
Sento
un frastuono assordante. La bottiglia di Whisky che tenevo tra le mani
è
rovinata a terra, frantumandosi con un’eleganza inspiegabile.
I
piccoli pezzetti di vetro ambrati sembrano persino tutti posti in una
collocazione stranamente perfetta, a cerchio, attorno al mio piede.
Forse
sono davvero ubriaco, se arrivo a pensare che quei stupidi frammenti si
siano
disposti appositamente così attorno alla mia gamba.
La
testa vortica, riportando dall’abisso della memoria immagini
sgraziate di poco
tempo fa.
C’è
una tomba, bianca e pulita, coperta da alcune margherite bianche.
C’è una
donna, bella, che osserva le scritte raggelanti sulla lapide. Scritte
che io
non sono riuscito nemmeno a decifrare.
Non
è
da me, lo so. Non è affatto da me nascondermi dentro un
appartamento a
tracannare alcool, inconsapevole delle ore e dei giorni che passano.
Quella
donna, la cui bellezza non è mai riuscita ad influenzarmi
particolarmente, ora
diventa una calamita… non riesco a staccare gli occhi da
quel ricordo. Vorrei
fosse qui, palpabile, vorrei mi ascoltasse o meglio che parlasse.
Vorrei che
sorridesse e si sciogliesse quei capelli sempre rigorosamente raccolti.
Amo
quei capelli lunghi e lisci. Non gliel’ho mai
detto…
Quel
divano su cui sto sdraiato da giorni ha ormai preso la piega del mio
corpo,
avvolgendomi in un olezzo irritante e malsano al sapore di rum, che ho
giusto
esaurito in mattinata.
Il
telefono è suonato molteplici volte, numeri sconosciuti, di
quelli tipologia
“Donne attraenti”, che ora non mi riconoscerebbero
nemmeno.
Porto
una mano pesante sulla fronte sudata, mentre il respiro si fa
irregolare. Ho
bisogno di bere… bere, per dimenticare.
Cerco
di alzarmi, scivolando solo di lato e ritrovandomi sul pavimento,
proprio
accanto e sopra quei vetri che non raccoglierò mai.
Mi
hanno tagliato, ma non ci trovo poi molto dolore nella cosa.
Appoggiandomi ad
un poltrona riesco a reggermi sulle gambe, sorpreso che ancora mi
sostengano.
La piccola cucina, quella dove non ho mia mangiato, è la
stanza più pulita
della casa e questo mi metto a disagio.
Non
riesco a sopportarlo…
Apro
qualche armadietto, scrutando nel fondo alla ricerca di una bottiglia
qualunque. Trovo del vino, del martini, persino della vodka, tutte
rigorosamente finite, tanto da inondarmi di un senso di impotenza che
mai avevo
provato.
Bussano
alla porta, costantemente da quando quella figura dai capelli sciolti
mi appare
in sogno. Continuano a bussare, da quando mi sono trovato di fronte a
quella
tomba bassa nel verde di una collinetta fuori città.
Insistono
a bussare, da quando quella ragazza mi osserva sorridente,
incoraggiandomi con
uno sguardo che ho sempre dato per scontato.
Lei
guarda me, nei miei occhi, nei miei gesti e nelle mie
parole… mi fissa, mi
ossessiona.
Lei mi
analizza e mi controlla. Mi rimprovera e mi dice che il lavoro che
faccio
non è
sufficiente. Lei è costantemente e
irrimediabilmente padrona di me stesso, senza che io l’abbia
mai chiesto.
“Colonnello!”
urla una voce lontana, e mi rendo conto di essere inginocchiato a
terra, con
alcune lacrime incerte sugli occhi,tremanti nell’attesa che
io sbatta le
palpebre e che loro possano così scivolare giù.
Un uomo
non piange!, mi
ripeto mentalmente,
anticipando il loro proposito e passandomi una mano sugli occhi.
“Colonnello…”
e quella voce è così fastidiosamente irritante.
“Che
diavolo vuoi?!” chiedo burbero, tornando a barcollare mentre
tento di
rituffarmi sul sofà.
“I
suoi doveri non devono essere trascurati, ha intenzione di poltrire
ancora a
lungo?!” è agghiacciante la sicurezza con cui
parla, tanto da spiazzarmi.
Non
fisso l’interlocutore che è entrato senza
permesso, ora che sono finalmente con
la faccia contro il morbido cuscino, indifferente al piede sanguinante.
“Colonnello!”
ci ritenta, scuotendomi con una mano. “Non voglio ripetermi,
si alzi!” e sembra
quasi essersi fatto più vicino, oltre che noioso.
“Lasciami
in pace!” mugugno.
“Colonnello!”
e dal tono remissivo penso si sia arreso finchè…
due spari non rimbombano in
modo assordante per l’intera struttura.
Apro
di scatto gli occhi, per un attimo persino spaventato, ritrovandomi a
terra, di
nuovo.
Lei
è
di fronte a me, seria e imponente dalla sua altezza che, tuttavia,
diventa
improvvisamente insignificante quando io mi alzo.
Riconosco
l’incertezza sul suo volto, mentre non toglie lo sguardo dal
mia viso. Penso
persino di essere arrossito.
Allunga
una mano fino a sfiorarmi una guancia e sembra analizzare con rigore
qualcosa.
“Una…
lacrima?” chiede, incerta.
“Che
ci fa qui, Tenente?” torno a riprendere un aspetto
conveniente, tanto per non
sembrare sciatto davanti a lei.
“Mi
manda il comandante supremo!” dice all’improvviso,
soppesando con attenzione le
parole, come se prendere ordini da qualcun altro lo considerasse un
tradimento.
“E
dunque?!” insisto, sentendo di nuovo vorticare la testa.
È lei che mi sostiene
inaspettatamente, senza aggiungere altro.
“La
porto a letto!” celia
infine,
sospingendomi verso la camera da letto. “Non dovrebbe
abbattersi così, lo sa?
Il suo fisico potrebbe averne ripercussioni molto serie!”
E
riesce a farmi dapprima sorridere e poi ridere.
“Tenente,
non pensa che un uomo super allenato come me e così abituato
alle situazioni
precarie invece abbia molta resistenza?” Lo dico con una
punta di orgoglio, che
crolla con facilità nel momento in cui lei stringe un poco
di più la mia mano
attorno alle sue spalle, sulle quali mi sto letteralmente lasciando
andare.
“Può
capitare a chiunque!” cerco di dire, proprio mentre lei mi
molla sopra al
materasso, come fossi un tonno.
“Colonnello…
le preparo un caffè e appena avrà la testa per
comprendere le mie parole le
parlerò!” ma la blocco, afferrando con un gesto
rapido il mollettone tra i suoi
capelli.
E la
rivedo, quella figura angelica e bellissima, dai lunghi capelli biondi
e dal
sorriso incoraggiante.
“Sei…
molto… bella, con i capelli sciolti!” balbetto
infine, evitando accuratamente
di guardarla in faccia, stravolto anche io dall’insolito
senso di imbarazzo che
mi coglie praticamente mai, con le donne.
“Perché
sei qui?” butto li, consapevole che non
c’è nessun comandante supremo dietro
alla sua visita.
Sta in
silenzio, fissando il pavimento e sfiorando una ciocca di capelli, a
disagio.
Poi si
siede, il peso accanto al mio, con sguardo malinconico… di
quella tristezza che
nessuno noterebbe sul suo viso, ma che io riconosco benissimo nei suoi
occhi e
nella sua voce.
“Ho
pensato che per lei non fosse un bene stare da solo
l’anniversario della morte
di…” non dice quel nome, perché Hughes
è ancora un nome impronunciabile.
“Non
hai pensato che invece io volessi invitare qualche bella ragazza a casa
mia per
passare il tempo?”
“Lo
fa
tutto l’anno, non lo farebbe anche in questa
giornata!”
“E
non
hai invece pensato che una mia affascinantissima amica, anche senza
invito, si
potesse presentare qui per sostenermi?”
Lei ci
pensa un poco, poi mi osserva distendendosi in un sorriso silenzioso.
Sbuffando
mi lascio andare sul letto, cercando di mettere a fuoco il soffitto.
La
sento alzarsi, diretta verso la cucina e poi improvvisamente ho il
profondo
desiderio di dirle qualcosa di carino, per ringraziarla di essere
venuta.
“Riza…”
inizio, già sbagliando l’appellativo.
“Grazie di essere venuta!”
“E’
questo che fanno gli amici, no?” dice ovvia, riprendendo a
camminare come nulla
fosse.
Gli amici, penso.
Non
è
affatto un bene che io abbia amici, in un momento come questo. La mia
vita, le
mie ricerche, il mio passato… solo pericoli per chiunque si
avvicini a me.
Eppure
ho una paura tremenda di quella solitudine fastidiosa che mi assale
sempre più
spesso ultimamente.
Sento
trafficare lei in lontananza, ed un pensiero che mi coglie impreparato
torna ad
imbarazzarmi.
Non
sarebbe poi così male se
vivessimo insieme…
E
probabilmente è il mio essere così altruista a
non permettermi di
chiederglielo. Le farei del male, e non posso concedermelo.
Mi
tiro in piedi, raggiungendo lo stipite della porta e sostenendomi al
muro.
“Sai
quella mia amica che mi potrebbe fare visita?” chiedo veloce,
aspettando che
lei interrompa ciò che sta facendo per dedicarmi
un’occhiata.
“Non
esiste!” spiego con semplicità, tornando in camera
senza aggiungere altro.
Ma lei
mi è subito dietro, rapida e silenziosa, e mi ferma
prendendomi il braccio.
“E
io
chi sono?” quasi urla, trasalendo per
l’intensità di quelle sue stesse parole.
“Io
chi sono, Colonnello?” insiste, visibilmente sconcertata.
“Sei
un mio uomo!” rispondo arcigno, spingendola via.
“Molti ti saranno amici
finchè sarai felice, ma
quando verrà il brutto tempo, resterai solo. Lei crede in questa stupida filosofia di vita,
vero?”
“Non
ci trovo nulla
di stupido!”
“Se
non fossi una sua
amica, se fossi un semplice sottoposto, mi dica…
perché sarei qui allora?”
“Io
non sono
responsabile delle tue azioni, Riza!” blatero, cercando di
darmi un tono.
“E’
lei che vuole
restare solo!” dice a mezza voce, dopo attimi di silenzio.
Forse, se
non fossi
così vigliacco, le direi che non è affatto
così.
“Molti
miei atteggiamenti non hanno un senso, dovresti saperlo
Tenente!”
Eppure
non la sento indietreggiare o indugiare. È immobile dietro
di me, ed io non
riesco a spostarmi di un solo centimetro.
“Vai,
Tenente… ora sto meglio!” Ma prende la strada
inversa. Mi sorpassa, andando a
sedersi sopra al mio letto e mi fissa negli occhi senza rancore o
timore.
“Io
sono sua amica, signore!” Pronuncia con vigore, sicura e
determinata.
E
forse, ripeto forse, arrendermi a quell’amicizia coraggiosa e
vera, per una
volta non è poi così male.
Mi
siedo accanto a lei, sfiorandole il corpo con il mio, e mi esce un
sorriso
spontaneo.
“Piangi,
Tenente!” ordino.
“Piangere?”
ripete incredula.
“Esatto…
io sono un uomo e non posso piangere! Sei mia amica no? Questo e altro,
Tenente!” Ma, a dispetto della mia serietà,
accetto di buon grado la sua risata
spontanea e la seguo divertito.
Note:
un
grazie particolare alla giudice del contest, Kaname
Chidori88, che mi ha affibbiato la prima posizioni e di cui
ora riporto il giudizio.
Grazie anche a chi dedicherà qualche minuto per commentare.
Per
chi fosse interessato, lascio il link della storia
“gemella” con la quale ho
partecipato. "Per
nessun motivo, e per tutti i motivi del mondo."
Correttezza
grammaticale e
sintassi: 8/10
Stile e lessico: 9,5/10
IC dei personaggi: 9/10 Un Kalinin perfetto persino nell'appoggiare la
schiena
alla sedia e una Teletha che cerca di non far trasparire il suo solito
nervosismo impacciato.
Mustang che perde il controllo e si da all'alcol l'ho trovato quasi
"divertente"
Originalità: 8,5/10 -molto bello il colloquio fra Teletha e
Kalinin, ricco di
dettagli e spiegazioni.
Giudizio personale: 5/5 -quella che mi ha colpito maggiormente
è stata la prima
storia, la freddezza con la quale affronti il dialogo fra Kalinin e
Tessa è
davvero impeccabile!
TOTALE; 40