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Autore: Melanyholland    03/05/2010    9 recensioni
Ci conosciamo da anni, facciamo tutto insieme ma… lui è lontano. Irraggiungibile. C’è come una barriera, fra me e lui, fra lui e il mondo, che mai sono riuscita a infrangere.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Melanyholland

Summary: Ci conosciamo da anni, facciamo tutto insieme ma… lui è lontano. Irraggiungibile. C’è come una barriera, fra me e lui, fra lui e il mondo, che mai sono riuscita a infrangere.

Rating: giallo

Note: una fic che ci ha messo un po’ a passare dalla mia mente alla pagina word; di solito non scrivo storie su DC di genere drammatico/malinconico, ma questa si è annidata nel mio cervello finché non l’ho buttata giù. Spero che vi piaccia.

Disclaimer: tutto di Gosho-sensei. Ma lo sapevate già, vero? ;)

Feedback: vi sarò grata di qualsiasi recensione vogliate lasciarmi, positiva o negativa, corta o lunga. L’importante è sapere che ne pensate. :)

 

 

 

Prisma

 

Prisma = Fig. Filtro ideale o emotivo che ha il potere di alterare e modificare una realtà percepita.

(dal dizionario on-line “Hoepli”).   

 

Io e lui ci conosciamo da quando eravamo piccoli.

È sempre stato al mio fianco, contento, triste, strafottente, insicuro e coraggioso. La prima persona a cui penso quando sono nei guai, il primo ragazzo per cui il mio cuore ha battuto forte.

Il mio migliore amico.

La mia famiglia.

So che in molte mi invidiano per questo, vorrebbero essere al mio posto. Lui è così carino, con quegli occhi blu sinceri e brillanti, quei capelli bruni che non vogliono mai stare al loro posto, quel sorriso disarmante. Non solo, è un eroe, agli occhi di tutti: spesso compare sul giornale per aver sventato un furto, incastrato un assassino, salvato delle vite. Il più grande teenager-detective che esista, così proclamano i titoli a caratteri cubitali, così esclamano i nostri compagni di classe, così credo io nel mio cuore. Molte ragazze del liceo Teitan hanno una cotta per lui, e credo che sia così anche in altri istituti superiori e in qualche scuola media.

E vorrebbero essere me, che con tanta disinvoltura cammino al suo fianco, rido con lui, lo prendo perfino in giro. Qualche volta mi capita di sentirmi dire quanto sono fortunata.

Ma si sbagliano.

Gli ho sempre voluto bene. Lo amo, anche se non sono mai riuscita ad esprimerlo ad alta voce. Tutti pensano che siamo molto vicini, ma non è così.

No. Per niente.

Ci conosciamo da anni, facciamo tutto insieme ma… lui è lontano. Irraggiungibile. C’è come una barriera, fra me e lui, fra lui e il mondo, che mai sono riuscita a infrangere. Anche solo a capire.

Non che mi tratti con freddezza o distacco, tutt’altro. È spiritoso, gentile e pieno di premure e sorrisi nei miei confronti.

Ma non credo che lui mi dica davvero cosa prova. A volte mi capita di guardarlo quando è distratto, e allora non sorride, non sorride mai. In quei momenti, i suoi occhi sono pieni di desolazione e c’è una gravità, una pesantezza intorno a lui che non trapela quando si pavoneggia davanti alle macchine fotografiche o ride a una mia battuta.

Come se un peso tremendo lo stesse schiacciando.

Come se qualcosa lo stesse divorando da dentro.

Come se stesse soffocando e consumando se stesso in una stanza senza uscite.

Vorrei aiutarlo, capire cos’è che lo fa soffrire così tanto e abbracciarlo e consolarlo e incoraggiarlo e salvarlo, come tante volte ha fatto lui con me, affrontando criminali spietati, armati. Perché vederlo così non solo mi fa star male, ma mi spaventa, tremendamente; mai nella mia vita ho conosciuto qualcuno più coraggioso di lui, più forte, e se c’è qualcosa che lo distrugge così, allora ho il terrore di scoprire cosa sia. Qualunque sia stata la situazione in cui si è trovato, lui ha sempre reagito, sempre. È il tipo di persona che non si arrende mai, che lotta con tutte le sue risorse per salvare se stesso e chi ama. Ma allora cos’è che lo sta divorando, cosa?

“Cosa?”. Mi guarda con aria confusa, ma so che ha capito. Vedo un’ombra velare l’azzurro, prima che i suoi occhi s’ingrandiscano, carichi di un’ingenuità un po’ infantile. È bravo a fare il finto tonto, ho notato.

“Non mentirmi. Lo so che c’è qualcosa che non va. Ti prego, dimmi cos’è”. E lo sto davvero implorando. Dimmi cos’è, perché vederti morire a poco a poco sta uccidendo anche me. Questo vorrei dirgli, ma non posso. Dio perdonami, sono una schifosa codarda, ma non posso.

 Sorride dolcemente, guardandomi con affetto, una di quelle espressioni che nonostante tutto il tempo passato mi fanno ancora arrossire. Si avvicina e mi accarezza i lunghi capelli bruni, sfiorando con la punta delle dita la guancia.

“Non ti devi preoccupare.” sussurra.

“Ma-“

“Sei sempre stata troppo apprensiva!” ride leggermente, ma i suoi occhi sono seri, lo vedo. “Ingigantisci le situazioni fino a deformarle totalmente. Sì, sono un po’ crucciato da un caso importante che non riesco a risolvere, ma è tutto qui! Chissà cosa sei andata a pensare tu, invece!”.

Un caso. Solo un caso. Che abbia ragione, che sia io quella esagerata? Vorrei credergli, sto per credergli, perché mi fido di lui, perché non voglio vederlo stare male, perché mi piace pensare che il nostro rapporto sia profondo e sincero.

Ma ci sono i suoi occhi a contraddirlo, occhi fatti per vedere la verità e che non sanno dire il falso.

“Sei un bugiardo!” lo accuso sottraendomi al suo tocco, e lui sussulta per l’improvviso urlo. Sento le lacrime che imperlano le mie ciglia deformando un po’ l’immagine del suo volto, ora sbalordito.

“Ma perché fai cosi? Non ti fidi di me, è questo?”.

Sospira, sconfitto e  il suo falso sorriso scompare, mentre la bocca si uniforma al sentimento che esprime il suo sguardo. Vederlo così demoralizzato mi stringe il cuore e vorrei non aver urlato così. Ma non voglio ritrattare, questo no. Devo sapere.

“Mi dispiace.” mormora solamente, così piano che a stento riesco a sentirlo. “Ma io non posso…”, deglutisce, stringendo i pugni. “Non posso. Non è colpa tua. Lasciami stare”.

Si volta per andarsene. Ormai non riesco più a bloccare il pianto e mi sento una completa idiota quando la confessione sfugge dalla mia bocca, incontrollabile.

“Ma io…io ti amo!”.

Lui si irrigidisce improvvisamente. Un’eternità passa tra noi mentre la frase si fa sempre più pesante nel mio cuore, un ferro ardente che ustiona i tessuti.

Lui non si gira a guardarmi.

Forse è questo che mi fa più male. Più ancora del suo ultimo “Mi dispiace” prima che lasci definitivamente l’aula vuota, mollandomi lì, distrutta, mentre dalla finestra trapela l’ultimo fioco raggio di sole del giorno.

 

*

 

“Sei un bastardo.” Ai Haibara parla con voce fredda, ma sento la rabbia palpitare in ogni sua parola come una cosa vivente.

“Che cosa avrei dovuto dirle?” ribatto furiosamente, sprovvisto del suo naturale autocontrollo. Sto male anch’io per come sono andate le cose, ma non sapevo che altro fare. Darei metà della mia abilità investigativa per avere un briciolo di competenza negli affari sentimentali, ma non ce l’ho. “Che la amo anch’io? Dovevo darle un bacio?”.

Haibara non risponde, guardando altrove.

“Quand’è il lieto evento?” chiede, disinvolta. Lei sa bene come farmi male.

“Lo sai.” ribatto con un tono che spero suoni indifferente, stringendo però i pugni nelle tasche tanto da sentire le unghie nella carne. “Sabato prossimo.”

“Ci andrai, vero? Ma certo che ci andrai… e magari ballerai anche con lei, dopo. L’ultimo ballo. Il drammatico addio”. Il suo tono pungente e divertito mi fa ribollire il sangue. “Sei così melodrammatico, Kudo-kun!”.

“No chiamarmi così.” la ammonisco in tono brusco. Haibara sorride, soddisfatta di essere riuscita a cogliermi sul vivo. Vorrei poter cancellare quel suo odioso sorrisino urlandole che non ci andrò, ma sarebbe inutile. Sappiamo entrambi che ha ragione.

Sospiro, mentre la collera defluisce lasciandomi solo desolatamente vuoto. Era quasi stato bello poter provare qualcosa per un po’, anche se un sentimento così negativo.

“Le parlerò, domani. Cercherò di rimediare.” la rassicuro.

“Sarà meglio per te.” giudica lei, annuendo. “Beh, allora ci vediamo…Conan Edogawa”.

Si allontana, i capelli biondi e la gonna a pieghe azzurra della divisa che ondeggiano cullati dalla prima brezza fresca della sera.

Sì. Domani parlerò ad Ayumi e cercherò di correggere lo sbaglio che ho fatto oggi. Non era mia intenzione farla soffrire, le voglio bene, ma come a una sorellina.  Non potrebbe essere altrimenti. E, come ha profetizzato Haibara, accidenti a lei, andrò ad assistere al matrimonio di Ran. Sono sicuro che sarà una sposa bellissima. Sento una fitta rovente di dolore al petto pensandolo, ma non posso farne a meno.

Voglio la sua felicità. E la sua felicità è anche vedere l’adorato ‘fratellino’ il giorno delle sue nozze, quindi ci andrò.

Ballerò con lei.

Così forse, anche se per un solo istante, anche se sarà solo un’illusione, mi sentirò come se fosse il nostro matrimonio.

E per un attimo fugace mi ricorderò cosa significa essere felice.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

       

  
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