All
night long
Pioveva.
Non forte, non un vero e
proprio diluvio: bastava ascoltare il cadere ritmico e lento per capire che era
solo una lieve pioggerellina; una di quelle che vengono dette “azzuppa
viddrani” perché quasi non ti accorgi che sta cadendo, almeno finché
non senti i vestiti ormai fradici completamente incollati sulla pelle. Ecco, la
pioggia che stavo osservando era una di quelle.
Continuai a tenere lo
sguardo fisso fuori dal finestrino, muovendo leggermente la testa, inclinandola
così da poter vedere chiaramente le sottili gocce che cadevano davanti a me.
Fu una schiarita di gola
particolarmente marcata che mi riportò alla realtà, costringendomi a voltarmi
per capire chi fosse tanto brusco in quel momento delicato da pretendere la mia
attenzione.
Incontrai lo sguardo del
tassista che mi fissava attraverso lo specchietto retrovisore: aveva
un’aria tutt’altro che cordiale e continuava ad accennarmi con il
mento verso l’esterno.
- Siamo arrivati! Glielo sto
ripetendo da quasi un quarto d’ora: si decide o no a scendere!?-
La gentilezza in persona,
pensai acida: che fastidio gli potevo mai dare?
Mossi la mano verso la
borsa, cercando all’interno il portafogli ma lui mi fermò con una
sottospecie di ringhio gutturale: tornai a guardarlo e lui sospirò scuotendo la
testa sconfortato.
- Ha già pagato-
Annuii distrattamente,
lanciandogli al contempo un’occhiata molto prossima alla disperazione.
Lui sembrò accorgersene e
preso un bel respiro, si girò verso di me, guardandomi negli occhi e
lisciandosi i lunghi baffi biondi. Spostò un attimo lo sguardo fuori dalla
vettura, osservando con aria saputa il lussuoso hotel dall’altro lato
della strada. Annuì, come se avesse capito tutto e dentro di me sperai fosse
davvero così: avrebbe forse trovato un modo di farmi forza, chissà.
- Ricevimento importante,
eh? Cos’è un anniversario, un matrimonio?-
Mossi impercettibilmente la
testa alla seconda ipotesi, lui sorrise e prese un altro bel respiro prima di
continuare, stava per dire qualcosa quando si interruppe di colpo. Studiai
l’espressione del suo viso che cambiava piano: le labbra si strinsero in
una sottospecie di ghigno e uno scintillio malizioso gli passò rapido negli
occhi. Si sporse verso di me, superando di qualche centimetro lo spazio oltre i
sedili, per poi sussurrare con voce roca:
- Se vuole, invece di andare
ad un matrimonio a cui chiaramente non vuole essere presente, la porto con me
da qualche parte, ci divertiamo…-
Spalancai gli occhi in un
moto di sorpresa, ritraendomi istintivamente. Con un solo movimento aprii la
portiera scendendo subito e chiudendomela altrettanto velocemente alle spalle.
Feci per attraversare
immediatamente la strada, incurante della pioggia che effettivamente non
sentivo, quando uno stridere forte e prolungato mi fece bloccare sul posto: mi
girai quasi al rallentatore, alzando piano lo sguardo su una moto enorme ferma
a pochi millimetri da me.
Ringraziai mentalmente tutti
i santi che conoscevo, mentre con le gambe che mi tremavano mi poggiavo al taxi
alle mie spalle. Poi ricordai il rumore dei freni e capii di essere invece in
debito con il misterioso pilota che era stato tanto misericordioso da decidere
di risparmiare la vita a quella ragazza con la testa non proprio a posto che
attraversa senza guardare a destra e a sinistra.
Feci per dire qualcosa,
anche solo un flebile grazie, ma non mi uscì un solo suono dalle labbra mentre
studiavo la figura in moto: non riuscivo ad identificarvi niente, il viso
coperto da un casco nero integrale e con la visiera oscurata. Lui fece
arretrare la moto di qualche metro, per poi rivolgermi un cenno con il capo,
come un saluto, ed allontanarsi silenziosamente.
Scossi la testa, cercando di
contenere le emozioni che rischiavano di farmi implodere o peggio esplodere.
Non potevo crollare, non ora che doveva iniziare ancora tutto.
Feci per attraversare,
guardando ripetutamente se la strada fosse libera questa volta. Prima di
entrare nell’enorme albergo però lanciai un’ultima occhiata al taxi
ancora fermo dall’altra parte e vidi chiaramente l’autista
sorridermi incoraggiante e salutarmi con la mano.
Imprecai a denti stretti
mentre l’auto partiva: quel grandissimo figlio di buona donna con i baffi
mi aveva presa in giro! Lo aveva fatto apposta a spaventarmi: per farmi scendere!
Aprii la porta ed
attraversai l’atrio a passo svelto, nervosa ed irritata: raggiunsi il
primo salone e mi fermai davanti ad un lungo tavolo bianco coperto di
cartoncini plastificati. Iniziai a scorrerli con gli occhi: su ognuno
c’erano nome e numero del tavolo. Trovai dopo poco il mio:
“Isabella Swan, tavolo
dieci”
Lo presi e con un unico
movimento afferrai anche quello posizionato giusto affianco al mio: quello di
Mike, mio marito. Li misi entrambi in borsa, con un gesto stizzito.
Ero lì sola: Mike mi aveva
lasciata sola! Non riuscivo ancora a crederci!
Che razza di marito ti
lascia andare sola ad un ricevimento di nozze!?
Quasi mi veniva da piangere:
sia chiaro che non sono il tipo di ragazza che non sa cavarsela da sola, anche
se già in quei primi venti minuti mi sembrava di aver dimostrato l’esatto
contrario, solo non mi andava di stare lì.
Non mi andava per vari
motivi: perché non ero stata al matrimonio, tanto per cominciare. Che bisogno
c’era quindi di invitarmi al ricevimento, dico io?!
Con un ghigno sadico pensai
che era esattamente un’azione degna di Jessica, la sposa.
Jessica era il mio ex datore
di lavoro: ci tengo a specificare ex!
Avevo pregato mille volte
Mike di venire con me o almeno di non costringermi ad andare, ma lui non
mi aveva accontentata: non era potuto venire perché aveva un’importante
riunione di lavoro e voleva che andassi perché altrimenti sarebbe sembrato
sgarbato.
Gli lanciai varie
imprecazioni mentali, avviandomi verso il salone principale. Non se le meritava
forse, non riuscii ad evitarlo però. Qualunque donna di trentacinque anni,
messa nella mia stessa posizione, avrebbe subito pensato che il marito aveva
un’amante: semmai la segretaria in ufficio, e che mi aveva letteralmente
costretta ad andare fuori città per avere campo libero.
Non io, però: Mike non era
il tipo da tradimento. Ragazzo epico, come si dice: quello del liceo, sempre al
mio fianco. Non mi avrebbe mai tradita, ne ero sicura: anche perché troppo
pigro per farlo. Semplicemente e alquanto più noioso a dirsi, doveva veramente
lavorare.
Mossi qualche passo tremante
all’interno del salone, guardando sconvolta l’enorme stanza, a dir
poco immensa, piena di tavoli e decorazioni bianche e rosa. Tutto estremamente
chic ed estremamente costoso pensai allibita. Lanciai poi uno sguardo sulla
miriade di persone che si muovevano confusamente fra i tavoli e le sedie: non
conoscevo assolutamente nessuno e la cosa mi terrorizzava. Sì, perché non dico
di essere sociopatica o asociale, ma socialmente inadeguata lo ero sicuramente
ed io in una situazione come quella ci avrei potuto lasciare la pelle.
A farmi mancare l’aria
successivamente, bloccandomi il respiro con brutalità, fu un’altra
sconcertante scoperta: mi resi conto che tutti gli altri ospiti si aggiravano a
coppie e lo sconforto più totale mi assalì. Non era possibile: non ce
n’era uno che fosse da solo!
Continuai ad osservarmi
attorno, spostando lo sguardo da giovani che si scambiavano effusioni a dir
poco imbarazzanti, di quelli a cui va di gridare “Prendetevi una
stanza!”, a quarantenni mano nella mano. Arretrai ancora, cercando una
via di scampo che temevo di non avere.
E fu allora che vidi una
porta beige con una minuscola scritta affianco: “Toilette”.
Con uno scatto da corridore
professionista, rischiando di rompermi l’osso del collo per via dei
tacchi troppo alti che portavo, mi diressi al bagno, nella speranza di trovarvi
sollievo.
Entrai e mi poggiai con il
respiro corto alla lunga fila di lavandini in marmo: guardai il mio riflesso
nello specchio e l’immagine che vidi non mi confortò. Ricambiai lo
sguardo terrorizzato che mi lanciavano i due occhi verdi nello specchio e con
la mano cercai di ravvivare i lungi capelli neri.
Mi diedi qualche pizzicotto
sulle guance, per riportare un po’ di colore sulle guance troppo bianche
e mi inumidii le labbra con la lingua. Iniziai a tormentarmi gli orecchini: due
piccoli cerchi brillantinanti, come facevo sempre quando l’ansia stava
per avere il sopravvento.
Feci per lisciarmi il
vestito nero quando sentii un movimento fuori la porta.
Senza alcun motivo mi
infilai nella cabina più vicina all’uscita, chiudendomi dentro e
smettendo quasi di respirare: sentii delle risate acute accompagnare
l’entrata di alcune ragazze. Chiusi gli occhi, sperando di scomparire, mentre
i loro discorsi arrivavano alle mie orecchie:
- Bellissimo ricevimento,
vero?-
- Sì, assolutamente
stupendo! Adoro poi il fatto che sia un “All night long”!-
Temetti di svenire sentendo
quelle parole: me ne ero dimenticata! No! Dovevo scappare!
Non potevo rimanere: non ad
un “All night long” per la miseria! Come avevo fatto a venire?
Andavano di moda
quell’anno: ricevimenti che esattamente duravano per tutta la notte.
Prima la festa con tanto di cena in un lussuoso albergo e poi festeggiamenti fino
all’alba. Cosa fantastica per alcuni, e che in quel momento era sul punto
di farmi venire una crisi isterica.
- Tuo marito è
simpaticissimo, cara-
- Oh, niente in confronto al
tuo ragazzo, Tanya-
- Non è il mio ragazzo,
Carmen-
Avevo appena ripreso ad ascoltarle
che già me ne ero pentita:
- Come non lo è?!-
Dopo qualche istante di
silenzio, una risatina accompagnò la risposta:
- L’ho conosciuto
stamattina e l’ho convinto a venire: sai com’è non potevo certo
presentarmi da sola. Sarebbe stato a dir poco patetico e voi altre ragazze poi
mi avreste mangiata viva!-
Sussultai, stringendo
convulsamente l’orlo del vestito: lo sapevo! Non c’era modo di
superare la serata: non da sola! Ero patetica e sarei finita in pasto alle
iene…
Aprii la cabina e feci per
uscire dal bagno a passo svelto, sperando che le ochette non mi notassero.
Tutto inutile: sentii un
gridolino di sorpresa alle mie spalle e un ticchettare di passi al mio seguito.
Cercai di affrettarmi, ma
ero appena nell’atrio e mi avevano già trovata:
- Aspetta: non ci siamo
presentate!-
Disperata finsi di non aver
sentito, ma ormai mi avevano raggiunta: l’intero gruppetto mi si parò
davanti, squadrandomi dall’alto in basso con un’aria snob che mi
fece venire la nausea.
Perché ero ancora lì? Non mi
conosceva nessuno, potevo dire di aver sbagliato hotel e scappare.
- Io sono Tanya, lei Carmen
e lei Laure. Tu sei?-
- Bella-
Avevo risposto?! Perché?
Perché!?
- Bella, eh? Sei qui da
parte di chi?-
- Della sposa: Jessica era
la mia datrice di lavoro-
Stavo ancora parlando con
loro, cosa mi saltava per la testa? Io e la mia innaturale sincerità… non
ce la facevo proprio ad andarmene. Ne ero sicura ormai: non ne sarei stata
capace.
Sarei rimasta lì: cibo per
iene.
- Sei una giornalista
allora! Che bello!-
- Sposata? E lui
dov’è?-
Avevo annuito
automaticamente alla prima domanda, rimanendo pietrificata alla seconda: cazzo.
Le vidi scambiarsi occhiate
d’intesa, sembrava quasi sapessero già che ero sola: ma che avevano, un
radar? Erano venute appositamente per tormentarmi?
Loro continuarono a
fissarmi, chi con aria impietosita, chi spietata.
Arrossii probabilmente fino
alla radice dei capelli, sentii gli occhi inumidirsi mentre prendevo a mordermi
ferocemente il labbro inferiore: volevo andarmene, avevo bisogno di
aiuto…
Feci per rispondere
qualcosa, con un filo di voce tremante, quando l’espressione delle
ragazze davanti a me mi confuse: sembrava che fossero sul punto di prendere a
sbavare. Avevano spalancato tutte gli occhi e cominciato a fare mosse da donne
in calore.
Fu in quel momento che
sobbalzai sentendo un braccio avvolgermi la vita.
Non mi voltai subito e lo
stesso braccio mi strinse forte, sorreggendomi gentilmente.
Le ragazze che avevo di
fronte avevano smesso di respirare, guardandomi allibite: iniziarono a temere
di aver sbagliato le loro previsioni.
Sentii l’inaspettato
salvatore muoversi, spostandosi dietro di me, e abbracciarmi da dietro. Il suo
mento si poggiò dolcemente sulla mia testa, poi sentii la sua voce: profonda,
sensuale ed allo stesso tempo piena di gentilezza involontaria.
- Signore, buonasera a
tutte. Scusate se vi rubo un attimo questa meravigliosa ragazza ma ho un
improvviso ed irrefrenabile bisogno di mia moglie-
Continuando a stringermi per
la vita mi fece girare, guidandomi verso il salone con sicurezza.
Rabbrividii quando sentii le
sue labbra poggiarsi sul mio collo e avvicinarsi caute al mio orecchio:
- Edward, molto piacere-
*