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Autore: Dazel    05/05/2010    6 recensioni
«Quindi, vuoi farmi intendere-» aveva detto, posando poi le labbra sul suo collo e mordendolo piano «Che ieri mattina, ieri pomeriggio e ieri sera... non ti è bastato?»
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dilucŭlum

Lo amava, lo amava praticamente da sempre. Lo aveva amato fin da bambino, quando il lui vedeva il suo migliore amico, l'unico che avesse il coraggio di affrontarlo e il motivo per farlo. Poi, successivamente, lo aveva visto come confidente nel periodo più difficile della vita di ogni uomo – l'adolescenza. Efestione era rimasto ad ascoltarlo quando aveva il cuore infranto per qualche bella ragazza, quando i litigi dei suoi genitori diventavano insostenibili e quando blaterava che forse, un giorno, l'avrebbe fatta finita. In quel momenti Efestione lo spintonava e gli diceva che era un idiota, che era più o meno quello di cui aveva davvero bisogno di sentirsi dire Alessandro. E infine, era divenuto il suo compagno, il suo amante. Tra loro si era creato un rapporto clandestino, come quello delle sacerdotesse di Apollo, pure e distanti dagli amori carnali, e quello di un fedele particolarmente affascinante. Era rischioso, era pericoloso, era qualcosa che nessuno doveva sapere. Un segreto eccitante come lo è la danza dei ballerini e dei loro corpi aggraziati e sudati alle feste.
In poche parole, lo amava come non avrebbe mai potuto amare nessuna donna e nessun uomo. Un amore che nemmeno quello per la patria, in futuro, avrebbe eguagliato.
Se ne stava in silenzio a fissare gli albori di un nuovo giorno, con lo sguardo perso lontano, sull'orizzonte, lì dove la cresta dorata dei campi di grano si univa con il rosa e il celeste del nuovo cielo nascente. L'aria fresca, estiva, gli accarezzava il viso, mentre i primi raggi solari andavano a scaldarlo e a svegliare gli schiavi.

Da lì a poco, si sarebbe udito il canto del gallo.
Socchiuse gli occhi per un attimo, lasciandosi trascinare ancora un po' dal sonno che, tentatore, lo richiamava nel letto caldo.

Era inusuale si svegliasse così presto, probabilmente non avrebbe detto una follia se avesse affermato di aver visto così poche albe in vita sua da poterle contare sulla punta delle dita di una mano. Il sonno l'aveva sempre avuta vinta su di lui, rendendolo da più giovane pigro e svogliato nonostante i pressanti impegni da principe.
Essere un principe può sembrare una passeggiata, ma essere un principe qualsiasi era molto diverso da essere un principe perché si è figli di Filippo. Filippo era un sovrano rozzo e sgarbato, senza rispetto per nessuno se non per il vino e per gli déi.
Per tutti gli anni che la Macedonia aveva visto lui come suo monarca, nulla era cambiato o era avvenuto. Era come se il quello sprazzo di terra si fosse addormentato, mentre tutto il mondo attorno correva e si evolveva a una velocità allucinante.
Sospirò, passandosi piano un pugno sull'occhio. Quando sarebbe diventato Re, avrebbe fatto il possibile per essere un sovrano migliore di suo padre, avrebbe fatto tutto il necessario per rendere la Macedonia un regno potente e imbattibile e dieci, cento o mille città avrebbero portato il suo nome.
Ma ai tempi, quelli erano solo sogni utopici ben distanti dal divenire realtà.

«Alessandro-» per un attimo gli sembrò di essere in un sogno e che la voce calda di Efestione che lo chiamava in realtà non fosse che una flebile fantasia. Lo credette con insistenza, cercando di convincersi di questo, finché qualcosa non gli sfiorò una spalla.
Alessandro si girò lentamente e il cuore fece una piccola capriola quando si rese conto che sì, non era un sogno e che Efestione era davvero nella sua stanza.
«Che ci fai qui?!» sussurrò, come se qualcuno potesse udirlo. Nella sua voce – o meglio, nel suo bisbiglio – era racchiusa una felicità che Efestione colse.
«Non mi aspettavo di trovarti già alzato-» sul suo volto puro e innocente si allargò un sorriso. Era così che Alessandro si ostinava a vederlo: come una vergine, un essere meraviglioso fuggito dai giardini dell'Olimpo, che ha trovato il suo posto trai mortali. Stupidaggini da innamorati, probabilmente, tanto melense da nauseare, ma sentite a tal punto da essere, nel suo mondo immaginario, quasi reali.
Alessandro lo attirò a sé, stringendogli piano il bacino tra le braccia. «Come hai fatto ad entrare? Gli schiavi sono già svegli?» Gli dette un bacio sulla fronte, prima di scendere depositando baci sul viso fino alle labbra.
«Gli schiavi si svegliano prima del sole e prima degli déi, Alessandro-» Sussurra contro le sue labbra, prima di mettergli le mani sul volto e accarezzarlo «I principi si svegliano solo quando il sole è già alto, pronto a servirli per elogiare la loro bellezza.»
Alessandro rise, accarezzandogli i capelli e intrecciando le mani tra di essi. Amava giocare con le sue ciocche scure e lisce e scure «Sei un folle. Non c'è niente di meraviglioso in me.» né era sempre stato convinto e suo padre non si era mai sforzato a fargli credere il contrario. Non correva di certo buon sangue trai due, questo era risaputo. Filippo lo reputava come l'incarnazione dell'odio della moglie e quindi, come una piaga e una maledizione.
Ma in cuor suo sapeva che Alessandro era valido. Non glielo avrebbe mai detto, nemmeno in punto di morte.

Efestione emise un sospiro, accoccolandosi contro il petto dell'uomo. Era passato un sacco di tempo da quando erano bambini e i loro abbraccio erano innocenti: ora i loro abbracci erano perlopiù maliziosi, complici. Come se trai due si nascondesse un grande segreto.
È qui che ti sbagli. Efestione chiuse gli occhi, ispirando il suo odore buono non c'è niente che non sia meraviglioso, in te.
«Come mai sei venuto?» chiese Alessandro.

Questa era davvero una bella domanda. Ovviamente, il principe non poteva saperlo, ma Efestione andava ogni mattina nella sua stanza da ormai diversi mesi. Lo fissava dormire, come una madre guarda il suo neonato nella culla, attenta alla respirazione del suo bambino.
Era sempre stato lì, seduto sul bordo del suo letto, con le sue mani sul suo corpo e le sue labbra contro quelle del principe, in baci e gesti silenziosi che mai nessuno avrebbe raccontato. L'unico testimone di quell'amore, di quell'innamoramento sempre più viscerale e sconvolgente, era il sole che basso li osservava.
«Per svegliarti. Volevo stare con te-»
Un sorriso malizioso si allargò sulle labbra di Alessandro, che si unirono nuovamente con le gemelle.

«Quindi, vuoi farmi intendere-» aveva detto, posando poi le labbra sul suo collo e mordendolo piano «Che ieri mattina, ieri pomeriggio e ieri sera... non ti è bastato?»
Efestione lo pizzicò, arrossendo appena, mentre l'altro si liberava in una dolce risata. «Ti amo.» Disse poi, semplicemente, con la stessa naturalezza con cui si saluterebbe un amico.
«Anche io, e lo sai.»

   
 
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